Un’altra importante questione che ha caratterizzato la misura del fermo amministrativo è stata quella di stabilire se l’utilizzo dell’autovettura fosse indispensabile per il debitore, fosse cioè da considerarsi strumentale alla propria attività lavorativa.

L’art. 52, comma 1, lett. m-bis) d.l. n. 69 del 2013, convertito dalla legge n. 98 del 2013, c.d. Decreto del fare, ha modificato il comma 2 dell’art. 86, stabilendo che il fermo dei beni mobili del debitore o dei coobbligati iscritti in pubblici registri, può essere disposto “.. salvo che il debitore o i coobbligati, nel predetto termine, dimostrino all’agente della riscossione che il bene mobile è strumentale all’attività di impresa o della professione“.

La giurisprudenza di merito (C.T.P. Milano, 29-10-2014, n. 9202) si era già occupata della problematica dell’indispensabilità dell’autovettura per lo svolgimento dell’attività lavorativa, arrivando anche a stabilire l’illegittimità del fermo amministrativo che ha ad oggetto l’autovettura di proprietà del ricorrente, qualora si tratta di bene indispensabile per lo svolgimento dell’attività lavorativa.

Pare opportuno sottolineare la considerazione che il fermo amministrativo non è soggetto a limiti di tempo e prevede regole severe in caso di utilizzo del bene assoggettato al provvedimento, con la conseguenza che di fatto viene ad assumere effetti espropriativi e quindi molto gravi soprattutto quando il bene è necessario per un’attività lavorativa o anche solo utile per comprovate particolari esigenze personali o familiari.

Fatte le suddette premesse e considerato la necessità di rispettare l’applicazione dei principi di logicità e ragionevolezza previsti dallo Statuto Contribuente, C.T.P. Ravenna, Sent., 25-09-2014, n. 744. ha ritenuto che il “Concessionario della riscossione (anche Lui soggetto alla L. n. 212 del 2000 per effetto di quanto previsto dall’art. 17) quando decide di emettere un preavviso di fermo (l’art. 86 del D.P.R. n. 602 del 1973 dispone che il concessionario può disporre) deve valutare non solo se il bene ha un valore tale da essere in grado di far fronte al credito da soddisfare ma anche accertare che non rivesta una rilevanza essenziale nello svolgimento dell’attività lavorativa del contribuente e, nel caso ricorra questa situazione, verificare l’eventuale esistenza di altri beni da sottoporre a fermo, (…) in ogni caso motivare la misura cautelare scelta con riferimento sia alla persona del debitore sia ai rischi relativi al recupero del credito vantato in caso di scelte diverse”.

Non sono mancate tuttavia pronunce di merito (C.T.P.Treviso, Sent., 05-02-2009, n. 21) contrarie al predetto indirizzo, fino all’intervento chiarificatore del Legislatore che, con il Decreto del Fare, ha espressamente previsto l’obbligo di dimostrazione  da parte del debitore o dei coobbligatiche il bene mobile è strumentale all’attività di impresa o della professione“.

La giurisprudenza di merito (CTP di Macerata sent. n. 181/01/17 del 25/09/2017), ritiene che nel corso dell’esecuzione forzata promossa dal creditore personale di uno dei coniugi in regime di comunione legale sui beni rientranti in detta comunione, al coniuge non obbligato vanno riconosciuti i rimedi processuali tanto della opposizione di terzo, quanto della opposizione agli atti esecutivi.  

Con l’opposizione di terzo all’esecuzione il coniuge non personalmente obbligato può far valere la natura sussidiaria della responsabilità della comunione rispetto a quella personale dell’altro coniuge, per cui il credito non può soddisfarsi illimitatamente sui beni in comunione legale, mentre con l’opposizione agli atti esecutivi egli può denunciare che l’esecuzione interferisce processualmente sulla propria posizione, con conseguente privazione del potere di separazione della quota.

I problemi della responsabilità patrimoniale dei coniugi che vivono in regime di comunione legale dei beni possono essere presi in considerazione sia sotto il profilo sostanziale, sia sotto quello processuale.

Sotto il profilo sostanziale la possibilità che i beni in regime di comunione legale soddisfino le pretese dei creditori di entrambi i coniugi è condizionata dalla natura familiare oppure no del credito.

In questo ambito, inoltre, occorre distinguere tra responsabilità di entrambi i coniugi e responsabilità individuale di ciascuno di essi.

Infatti, i beni in comunione legale rappresentano la garanzia primaria dei creditori solo per le obbligazioni contratte congiuntamente dai coniugi, oltre che per i pesi e gli oneri che gravavano su di essi al momento dell’acquisto, per i carichi derivanti dalla sua amministrazione, per le spese collegate all’andamento della famiglia.

Tanto si ricava dal combinato disposto degli artt. 186 e 190 c.c., secondo i quali i beni della comunione legale rappresentano la garanzia dei debiti della famiglia, mentre quelli dei singoli coniugi rappresentano una garanzia sussidiaria e parziale nel caso di insufficienza dei beni della comunione.

La comunione legale dei beni, inoltre, permane anche dopo la separazione dei coniugi.

Questa determina lo scioglimento della comunione e gli effetti di essa solo per gli acquisti successivi al passaggio in giudicato della sentenza di separazione, ma non incide sulla condizione giuridica dei beni entrati a far parte della comunione prima di detta sentenza: questi ultimi restano nella condizione di comunione fino a quando non si proceda alla loro divisione come indicato dall’art. 194 c.p.c.

I beni in comunione legale costituiscono ancora la garanzia del creditore per le obbligazioni assunte individualmente da uno dei coniugi, ma solo se queste derivano da atti di straordinaria amministrazione compiuti senza il consenso dell’altro coniuge, nei limiti del valore corrispondente alla quota dell’obbligato e se il creditore procedente non può soddisfarsi sui beni personali dello stesso obbligato (art. 187, primo e secondo comma, c.p.c.).

Questi principi producono anche effetti processuali, nel senso che il coniuge non obbligato personalmente ha titolo di opporsi all’esecuzione sui beni in comunione legale ed in questa veste può assumere due diverse posizioni:

– far valere, mediante opposizione di terzo all’esecuzione, che il credito azionato non è di carattere familiare, oppure che quella sui beni in comunione è una responsabilità sussidiaria rispetto a quella personale dell’altro coniuge, per cui il credito non può soddisfarsi affatto o illimitatamente sui beni in regime di comunione legale;

– denunciare, mediante opposizione agli atti esecutivi, che l’esecuzione interferisce processualmente sulla sua posizione, ad esempio, privandolo del potere di separazione della propria quota.

La diversa configurazione delle azioni incide, come è stato accennato, sulla scelta del giudice competente per le due diverse forme di opposizioni: nel primo caso la competenza sarà determinata con i criteri del valore del bene in contestazione; nel secondo caso la competenza spetterà sempre al giudice dell’esecuzione davanti al quale debbono essere proposte tutte le opposizioni agli atti esecutivi (art. 617 c.p.c.).

Nel secondo caso (quello dell’opposizione agli atti esecutivi) la posizione del coniuge comproprietario viene in ulteriore rilievo sotto due aspetti:

sotto quello che a lui deve essere notificato il pignoramento, come dispone l’art. 599, secondo comma, c.p.c.;

sotto quello che egli può chiedere la separazione della propria quota in caso di vendita o di assegnazione del bene, come stabilisce il successivo articolo 600 c.p.c..

Fuori di queste condizioni il coniuge comproprietario non può avanzare altre pretese in ordine allo svolgimento del processo esecutivo e, quindi, non può pretendere di essere destinatario della notificazione del titolo esecutivo o precetto, i quali si rivolgono al debitore e non al comproprietario quando questi non è debitore.