Giornata di studio Pontremoli: 08 luglio 2021

“Fiscalità locale: novità normative e problematiche”


 

 “Accertamento esecutivo ex L. 160/2019 e mediazione

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La stabilità dell’avviso di accertamento.

Concentriamo l’attenzione sulla “stabilità” dell’avviso di accertamento, poiché la norma prevede che “b) gli atti di cui alla lettera a) acquistano efficacia di titolo esecutivo decorso il termine utile per la proposizione del ricorso ovvero decorsi sessanta giorni dalla notifica dell’atto finalizzato alla riscossione delle entrate patrimoniali, senza la preventiva notifica della cartella di pagamento e dell’ingiunzione fiscale di cui al testo unico delle disposizioni di legge relative alla procedura coattiva per la riscossione delle entrate patrimoniali dello Stato e degli altri enti pubblici, dei proventi di Demanio pubblico e di pubblici servizi e delle tasse sugli affari, di cui al regio decreto 14 aprile 1910, n. 639. …”

Abbiamo detto che l’avviso di accertamento esecutivo di cui all’art. 1, comma 792, Legge 160/2019, così come quello di cui all’art. 29 D.L. 78/2010 convertito con modificazioni in Legge 122/2010, costituisce un atto impoesattivo, che cumula in sé, in modo indissolubile, tre distinte funzioni:

  • quella di accertamento;
  • quella di titolo esecutivo;
  • quella di precetto.

E’ un atto che proviene dalla pubblica amministrazione quindi nasce presuntivamente legittimo, e se notificato correttamente e se non impugnato acquista efficacia di titolo esecutivo.

I presupposti quindi affichè l’avviso di accertamento ex art. 1, comma 792, L. 160/2019 acquisti efficacia di titolo esecutivo sono due: la notifica, in quanto si tratta di un atto recettizio, e la mancata impugnazione.

La definitività dell’atto è una definitività amministrativa, non certamente una definitività giudiziale.

La stabilità dell’atto, se si verificano i presupposti indicati, è una stabilità amministrativa.

Se invece l’atto viene impugnato nei termini e la procedura instaurata dinanzi alla Commissione tributaria ha esito negativo per il contribuente, il nostro avviso di accertamento acquisterà una stabilità e una definitività giudiziale: in questo caso possiamo parlare correttamente di giudicato. 

Per avere un giudicato formale quindi una definitività giudiziale, quando si verificano le condizioni previste dall’art. 324 c.p.c., il quale stabilisce che “si intende passata in giudicato la sentenza che non è più soggetta né a regolamento di competenza, né ad appello, né a ricorso per cassazione, né a revocazione per i motivi di cui ai numeri 4 e 5 dell’articolo 395”.

Sappiamo che benché il codice di rito faccia riferimento alla sola sentenza, la previsione è estensibile a tutti i provvedimenti con contenuto decisorio, quindi anche ai decreti e alle ordinanze, cioè tutti quei provvedimenti che non sono più contestabile in giudizio dalle parti né modificabile da parte del giudice.

Parlando di cosa giudicata in senso formale si intende far riferimento alla stabilità che acquisisce un provvedimento decisorio del giudice, nel momento in cui non può più essere impugnato per via ordinaria.

Quando una sentenza passa in giudicato, il suo effetto è quello di obbligare le parti a osservare quanto statuito dal giudice.

Si verificano quindi gli effetti del giudicato sostanziale, che sono quelli indicati dall’art. 2909 del codice civile, in base al quale “l’accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato fa stato a ogni effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa”.

Con il termine cosa giudicata in senso sostanziale, dunque, si fa riferimento all’effetto di diritto sostanziale che produce la sentenza e che consiste nella determinazione dell’esistenza o dell’inesistenza di un diritto delle parti e nell’imporre a queste ultime l’obbligo di osservare quanto stabilito dal giudice.

Il giudicato in senso sostanziale è unanimemente riconosciuto solo con riferimento alle sentenze che decidono in maniera irrevocabile sul merito, mentre la sua estensibilità anche agli altri provvedimenti con contenuto decisorio è dibattuta in dottrina.

Le espressioni giudicato sostanziale e formale non sottendono altrettanti distinti concetti di cosa giudicata, ma due aspetti dello stesso fenomeno, atteso che il giudicato è propriamente (quello che si definisce “formale” e cioè) la decisione giurisdizionale non più impugnabile con i rimedi ordinari (art. 324 cod. proc. civ.), cui conseguono determinati effetti sul piano delle certezze giuridiche (art. 2909 cod. civ.), che vengono definiti “giudicato sostanziale”.

Nel caso dell’avviso di accertamento, ex art. 1, comma 792, L. 160/2019, non impugnato non possiamo quindi parlare di giudicato né formale né sostanziale, ma possiamo parlare di una definitività amministrativa.

Dobbiamo domandarci se questa stabilità/definitivà amministrativa può essere messa in discussione dal contribuente anche “decorso il termine utile per la proposizione del ricorso ovvero decorsi sessanta giorni dalla notifica dell’atto finalizzato alla riscossione delle entrate patrimoniali”, se la definitività amministrativa e giudiziale hanno la medesima “forza” processuale.

Certamente un giudicato e una stabilità amministrativa hanno come effetto quello di far acquisire ESCUTIVITA’ ALL’AVVISO DI ACCERTAMENTO, come prevedono specifiche norme.

Pensiamo ad un’impugnazione “tardiva” in cui il contribuente eccepisce, in via preliminare un vizio di notifica (irritualità della notifica), e successive eccezioni sul merito della pretesa impositiva.

In questo caso la “definitività amministrativa” viene meno poiché la legittimità della notifica era uno dei due requisiti richiesti per poter avere un atto che acquista efficacia di titolo esecutivo e il giudizio, che passa obbligatoriamente attraverso un reclamo-mediazione (che potrebbe avere esiti negativi per il contribuente che si vede rigettare da parte dell’ufficio il reclamo per tardività), arriva dinanzi alla giurisdizione delle commissioni tributarie.

Dimostrata la irritualità della notifica dinanzi alla commissione tributaria il contribuente potrebbe vedersi accogliere anche altre eccezioni di merito (non debenza, pagamento parziale, compensazione…) che teoricamente una definitività amministrativa non può “coprire”.

La sentenza pronunciata dalla commissione tributaria travolge gli effetti della stabilità/definitivà amministrativa: una volta che la sentenza passa in giudicato gli effetti del giudicato sono sia formali che sostanziali.

La stessa situazione si verifica se l’eccezione di irritualità della notifica è spesa dal contribuente dinanzi al giudice dell’esecuzione nel caso in cui l’ente abbia iniziato l’esecuzione con un avviso di accertamento avente una stabilità/definitivà solo amministrativa (opposizione all’esecuzione agli atti esecutivi).

Oltre all’eccezione di irritualità della notifica il contribuente potrebbe sollevare anche l’eccezione di prescrizione, la c.d. eccezione “amorale”.

L’eccezione di prescrizione è un’eccezione di parte, non opera automaticamente ma deve essere eccepita dalla parte che vi abbia interesse, cioè il giudice non può rilevare d’ufficio la prescrizione non opposta.

L’eccezione di prescrizione esonera il debitore dall’onere di fornire la prova dell’avvenuta estinzione del credito, quindi, spetta al creditore dimostrare che la prestazione non è stata eseguita.

L’eccezione di prescrizione può essere eccepita in ogni stato e grado del procedimento.

Anche in questo caso la stabilità/definitivà amministrativa del nostro avviso di accertamento esecutivo è travolta dalla decisione del giudice sulla predetta eccezione.

La forza della sentenza irrevocabile

Quando andiamo ad esaminare la definitività giuridica dobbiamo necessariamente verificare se la sentenza, divenuta irrevocabile, sia una sentenza DICHIARATIVA o COSTITUTIVA.

Se la sentenza è DICHIARATIVA, andrà a confermare la legittimità dell’atto impugnato e l’esecuzione potrà procedere sulla base dell’iniziale avviso di accertamento impugnato.

Se, al contrario, la sentenza è una sentenza COSTITUTIVA, è una sentenza cioè sul merito della pretesa impositiva, è una pronuncia in cui solitamente si ha una soccombenza parziale e l’atto iniziale viene rimodulato.

In questo caso la sentenza SOSTITUISCE l’avviso di accertamento iniziale.

Se questa sentenza costitutiva è utilizzabile come TITOLO ESECUTIVO, significa che nella sentenza il giudice ha individuato la CERTEZZA, la LIQUIDITA’ e l’ESIGIBILITA’ del credito.

In questo caso la sentenza, che avrà una prescrizione decennale a prescindere dalla natura del credito, sarà il titolo esecutivo attraverso il quale è possibile compiere l’esecuzione forzata.

Tale sentenza, una vota passata in giudicato, sarà impugnabile solo con mezzi straordinari quali quelli individuati nella revocazione.

Se invece questa sentenza costitutiva NON è utilizzabile come TITOLO ESECUTIVO, perché il giudice impone una rideterminazione dell’atto iniziale, quindi non individua la CERTEZZA, la LIQUIDITA’ e l’ESIGIBILITA’ del credito, sarà necessario per procedere ad esecuzione forzata notificare un ATTO SECONDARIO, un avviso di accertamento in cui si riformula la pretesa impositiva secondo il dettato indicato in sentenza.

 

Prof. Federica Simonelli

Diritto della Riscossione Pubblica

Unicusano- Roma