La Legge di Bilancio 2020 ha portato con sé la novità dei canoni unici patrimoniali, che vanno a sostituire le entrate sbrigativamente appellate con il termine tributi minori, pur avendo una dignità economica e storica. Ci si riferisce all’imposta comunale sulla pubblicità e alla tassa occupazione spazi ed aree pubbliche, con le loro successive (e facoltative) declinazioni (canone per installazione di mezzi pubblicitari e canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche), entrate che, conosciute e stabilizzate nel tempo, dovrebbero vedere nuova linfa, anche in termini di semplificazione ed ottimizzazione, dalla riforma introdotta e varata dalla legge di Bilancio 2020, legge n. 160 del 27/12/2019. 

I commi d’interesse recano principi piuttosto scarni, nel senso che la disciplina dei canoni introdotti è rimandata alla fase regolamentare. Non che questo possa configurarsi quale fatto negativo; oramai la portata della potestà regolamentare recata dall’articolo 52, comma 1, del D.Lgs. 446 del 15/12/19971, è nota a tutti. Non solo. La normativa recata dal decreto 446 è stata una grande novità nel panorama della gerarchia delle fonti; con alcuni limiti (massimi tariffari e fattispecie imponibili) gli enti locali sono liberi di disciplinare come meglio credono, ed in via appunto regolamentare, le proprie entrate. 

Questo aspetto dovrà essere sfruttato al massimo per ottimizzare l’introduzione dei nuovi canoni patrimoniali. Purtroppo, gli elementi di novità che potevano sgorgare dal combinato disposto dell’introdotta normativa e dalla modulazione regolamentare, non hanno dispiegato appieno gli effetti per via della nota pandemia. Le limitazioni conseguenti allo stato emergenziale non hanno consentito una programmazione “serena” delle nuove entrate con la conseguenza che, anziché spingere per una disamina dinamica e propositiva, i comuni sono stati “costretti” a rieditare vecchi schemi applicativi e tariffari. In questa scelta, che per i motivi sopra espressi si è rivelata sostanzialmente obbligata, non sono estranei elementi introdotti dallo stesso legislatore. Primo fra tutti il fatto che le esenzioni dettate sono sostanzialmente un copia e incolla di quelle dell’abrogata normativa. È chiaro che, su queste basi normative ma con riverberi fattuali, risulta complesso- in questo momento storico- ipotizzare dinamiche diverse rispetto al passato.

Inoltre la normativa primaria, pur potendo essere integrata da quella secondaria di natura regolamentare, reca con sé alcuni profili di dubbia chiarezza che già stanno accendendo il dibattito, al momento dottrinale ma, è facile prevederlo, presto diventerà- o si traslerà-  nella dibattimentale- processuale.

Il comma che più di altri fa discutere è l’articolo 1 comma 820  della citata legge di Bilancio 2020: ”L’applicazione del canone dovuto per la diffusione dei messaggi pubblicitari di cui alla lettera b) del comma 819 esclude l’applicazione del canone dovuto per le occupazioni di cui alla lettera a) del medesimo comma”.  

Il servizio Studi della Camera così commenta e “liquida” il comma: “Il comma 820, nel presupposto dell’unicità del canone, si preoccupa di escludere che lo stesso possa contenere una componente relativa all’occupazione di suolo pubblico, quando abbia ad oggetto la diffusione di messaggi pubblicitari”.

Semplice: non proprio. Se la ratio è chiara, la stessa perde il focus laddove l’esposizione pubblicitaria (che nel passato ricadeva sempre e comunque sotto l’egida impositiva del comune per il tramite dell’imposta comunale sulla pubblicità o del canone per l’istallazione di mezzi pubblicitari) avviene su suolo provinciale. 

A chi spetta il CUP ramo pubblicità? Al comune o alla Provincia? Le posizioni sul punto non sono univoche. E si è parlato di ramo? Perché? 

Perché il CUP nasce come unico ma per il Ministero dell’Economia e delle Finanze unico non è. Più precisamente, come argomentato nella risoluzione ministeriale n. 9 del 18/12/2020, i presupposti del canone sono due. 

Il primo, previsto dalla lettera a) del comma 819, è l’occupazione di aree appartenenti al demanio o al patrimonio indisponibile dell’ente e il secondo, previsto dalla lettera b) stesso comma, è la diffusione di messaggi pubblicitari

Così agendo, è stata riprodotta esattamente la struttura dei due tributi, (tassa per l’occupazione di aree pubbliche e imposta di pubblicità) che dovevano essere unificati, per cui si è depotenziato l’effetto di semplificazione dal momento che, sotto uno stesso titolo, si avrebbero in realtà due tributi/entrate diversi, con tutto ciò che ne consegue ivi compresa la confusione nella futura gestione di una consistente entrata per i Comuni e di un consistente onere per i contribuenti/utenti. 

E questi sono solo alcuni aspetti. Insomma i nuovi canoni patrimoniali forse così nuovi non sono. E portano con sé dubbi che nascono da una normativa primaria scarna e da alcune interpretazioni tutte da scrutinare. 

Il tempo, e più probabilmente la giurisprudenza, disegneranno i nuovi canoni.

Vedremo se il Legislatore interverrà sulle questioni più delicate. Al momento è da registrare positivamente lo sforzo non indifferente degli enti per adeguarsi, o più precisamente per istituire, le nuove entrate.

 

Dott.Enrico Bocchino

Cultore della materia di Diritto della riscossione pubblica

Università “N. Cusano” Roma