Giornata di studio, Lerici, 31 marzo 2023

“L’impatto delle recenti novità normative sulla Fiscalità locale”

Le disposizioni del Decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14 (Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza), e quelle del successivo D.lgs. 26 ottobre 2020, n. 147  che ne ha introdotto disposizioni integrative e correttive regolano tutte le procedure concorsuali aperte  successivamente alla data del 15 luglio 2022.

Occorre precisare che, a norma del combinato disposto degli artt. 349, comma 1, e 389, comma 1, D.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, come sostituito dall’art. 5, comma 1, D.L. 8 aprile 2020, n. 23, convertito, con modificazioni, dalla L. 5 giugno 2020, n. 40, a decorrere dal 1° settembre 2021, nelle disposizioni normative vigenti i termini «fallimento», «procedura fallimentare», «fallito» nonché le espressioni dagli stessi termini derivate devono intendersi sostituite, rispettivamente, con le espressioni «liquidazione giudiziale», «procedura di liquidazione giudiziale» e «debitore assoggettato a liquidazione giudiziale» e loro derivati, con salvezza della continuità delle fattispecie. 

Il sistema portato dalle norme del Decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14 (Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza) comportano una significativa modificazione del dettato normativo degli artt. 87 e ss. del D.P.R. 602/1973, cui deve fare riferimento il concessionario della riscossione per l’attuazione del credito degli enti locali, nelle procedure concorsuali della liquidazione giudiziale e della liquidazione coatta amministrativa.

Pertanto, il disposto dell’art. 87 (Ricorso per la dichiarazione di apertura della procedura di liquidazione giudiziale e domanda di ammissione al passivo), deve, successivamente alla data del 15 luglio 2022, leggersi in tal senso.

“1.   L’agente della riscossione può, per conto dell’Agenzia delle entrate, ed il concessionario della riscossione per conto dell’Ente impositore  presentare il ricorso di cui all’art. 37, comma 2, del Decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14.  

  1. Se il debitore, a seguito del ricorso di cui al comma 1 o su iniziativa di altri creditori, è dichiarato debitore assoggettato a liquidazione giudiziale, ovvero sottoposto a liquidazione coatta amministrativa, l’agente della riscossione o il concessionario della riscossione, chiede, sulla base del ruolo, o dell’accertamento esecutivo, per conto dell’Agenzia delle entrate o dell’ente impositore l’ammissione al passivo della procedura.

2-bis.  L’agente della riscossione cui venga comunicata la proposta di concordato, ai sensi degli articoli 85 e ss. del Decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14, la trasmette senza ritardo all’Ente impositore, anche in deroga alle modalità indicate nell’art. 36 del D.lgs. 112/1999, e la approva, espressamente od omettendo di esprimere dissenso, solamente in base a formale autorizzazione dell’Ente medesimo.”.

In particolare, il disposto del secondo comma dell’art. 87. D.P.R. 602/1973, dispone che: “Se il debitore, a seguito del ricorso di cui al comma 1 o su iniziativa di altri creditori, è dichiarato debitore assoggettato a liquidazione giudiziale, ovvero sottoposto a liquidazione coatta amministrativa, l’agente della riscossione o il concessionario della riscossione, chiede, sulla base del ruolo, o dell’accertamento esecutivo, per conto dell’Agenzia delle entrate o dell’ente impositore l’ammissione al passivo della procedura.”

Il dettato dell’art. 1, comma 792, lett. f), della Legge 160/2019, dispone che  gli enti e i soggetti affidatari, ovvero i concessionari della riscossione,  (soggetti di cui all’art. 52, comma 5, lettera b) del D.lgs. 446/97) si avvalgono per la riscossione coattiva delle entrate degli enti delle norme di cui al titolo II del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, con l’esclusione di quanto previsto all’art. 48-bis del medesimo decreto3, confermando quanto a suo tempo espresso nei commi 2 sexies e 2 septies dell’art. 4 del D.L. 24 settembre 2002, n. 209, introdotti dalla L. di conversione n. 265/2002: «i comuni e i concessionari iscritti all’albo di cui all’art. 53 del D.lgs. 446/1997 procedono alla riscossione coattiva delle somme risultanti dall’ingiunzione prevista dal R.D. n. 639/1910 secondo le disposizioni di cui al titolo II del D.P.R. n. 602/1973 in quanto compatibili».

Ne consegue, che la gestione delle procedure concorsuali, da parte dei concessionari della riscossione, dovrà essere attivata secondo le norme contenute nel D.P.R. 602/1973, e precisamente ai sensi degli art. 87 e ss. del D.P.R. 602/1973, in quanto disciplina appunto ricompresa nel Titolo II, del citato Decreto Presidenziale.

Occorre tuttavia precisare che la normative speciale del D.P.R. 602/1973, a seguito della introduzione della legge 160/2019, e precisamente dell’art. 1, comma 792, lett. l), subisce modificazioni sostanziali, in quanto,  ai fini della procedura di riscossione, i riferimenti contenuti in norme vigenti al ruolo, alle somme iscritte a ruolo, alla cartella di pagamento e all’ingiunzione di cui al testo unico di cui al R.D. 14 aprile 1910, n. 639, si intendono effettuati agli atti indicati nella lettera a), ovvero all’avviso di accertamento relativo ai tributi degli enti, emessi a partire dal 1° gennaio 2020.

Pertanto, gli enti ed i concessionari della riscossione relativamente ai debiti sottoposti alle procedure concorsuali, dovranno procedere, per le annualità precedenti al 1° gennaio 2020, sulla base dell’ingiunzione fiscale, mentre per le annualità successive costituisce titolo esecutivo idoneo ad attivare le procedure esecutive e cautelari l’avviso di accertamento relativo, appunto, ai tributi degli enti locali. La riscossione coattiva a mezzo ruolo fino all’entrata in vigore ha sempre postulato un provvedimento di derivazione avente efficacia di titolo esecutivo, e dunque la necessità del titolo “legittimante” la iscrizione del relativo carico sul ruolo da trasmettere al concessionario territorialmente competente.

L’emanazione dell’art. 52 del D. Lgs. n. 446/1997, (sesto comma), ha centralizzato nella figura dell’ingiunzione fiscale lo strumento precipuo di riscossione delle entrate locali, in luogo del ruolo, la quale, ancorché preceduta da invito di pagamento, ha continuato a mantenere intatta la funzione di comunicazione formale al debitore dell’esistenza dell’obbligazione tributaria e di individuazione dei principali elementi costitutivi della medesima, avverso la quale il contribuente è in grado di reagire con lo strumento dell’opposizione.

Questi principi hanno trovato unanime conforto nella giurisprudenza di legittimità, da tempo consapevole di questa natura nel considerare l’accertamento del credito tributario contenuto nell’ingiunzione atto sostanziale di manifestazione della pretesa fiscale suscettibile, anche a prescindere dalla idoneità o meno a costituire titolo esecutivo, di definitività ed incontestabilità ove non sia stata proposta opposizione nei termini di legge.

Il Ministero delle Finanze con la risoluzione 129 del 7 agosto 2000 in ordine agli adempimenti processuali relativi alle insinuazioni fallimentari curate dagli uffici finanziari anteriormente al 1° luglio 1999 chiariva che, premessa l’applicabilità delle regole del processo ordinario al giudizio fallimentare, ha osservato che: “l’agente della riscossione, nella sua qualità di concessionario di pubblica funzione, svolge per l’Amministrazione Finanziaria un’attività assimilabile a quella civilistica di mandato senza rappresentanza (art. 1705 c.c.) agendo per conto di essa, ma in nome proprio…” e ancora “… neppure può invocarsi l’istituto della sostituzione processuale di cui all’art. 81 c.p.c., poiché esso ha natura eccezionale e non è applicabile in mancanza di una norma di legge a carattere espressamente derogatorio”.

Pur se espresse in ordine a diversa fattispecie, rimangono ferme le determinazioni espresse nella citata risoluzione, con una importante novità: l’entrata in vigore del nuovo testo dell’art. 87, 1° comma; la cui disposizione rappresenta quella “…norma di legge a carattere espressamente derogatoria …” di cui il Ministero lamentava la mancanza per potere applicare l’istituto processuale dell’art. 81 c.p.c. al procedimento fallimentare. 

La portata tassativa dell’art. 81 c.p.c. dispone, infatti, che: “Fuori dai casi espressamente previsti dalla legge, nessuno può far valere nel processo, in nome proprio un diritto altrui.” 

Unanimemente si concorda che sia l’agente della riscossione (Agenzia delle Entrate Riscossione), sia il concessionario della riscossione, agiscano non acquistando la titolarità del credito, che permane in capo all’Amministrazione Finanziaria, o all’ente (locale) impositore, ma solo l’esercizio di esso. 

In altre parole, il titolare del credito è l’ente impositore, il concessionario procede per la riscossione dello stesso. Ponendo in essere il procedimento di riscossione fiscale, il concessionario “fa valere” in nome proprio un diritto altrui. 

In conseguenza di ciò, il legislatore ha articolato il disposto dell’art. 87 primo comma: la legge speciale ha inserito il concessionario tra i soggetti che possono proporre il ricorso per l’apertura della liquidazione giudiziale (nel sistema previgente l’istanza di fallimento, ex art. 6 L. fall.), rappresentando un rapporto di sostituzione processuale ex art. 81 c.p.c.. 

Con la locuzione “… può per conto …” si evita che il ricorso proposto possa essere respinto, qualora si eccepisca il difetto di legittimazione del  soggetto istante, sul presupposto, ribadito, che come previsto dall’art. 87, 1° comma citato, il concessionario possa far valere nella procedura concorsuale in nome proprio il debito dell’ente impositore.

Quindi, avvenuta la consegna del carico da riscuotere da parte dell’ente impositore, il concessionario della riscossione provvederà agli adempimenti processuali successivi, ovvero, ricorrendone i presupposti soggettivi ed oggettivi, alla presentazione del ricorso per l’apertura della liquidazione giudiziale, o, nelle ipotesi in cui il debitore risultasse sottoposto a procedura concorsuale, all’insinuazione del credito in tali procedure. Dunque, l’Ente impositore non è un terzo estraneo al rapporto tributario, ma ne è il titolare, che poi demanda il concessionario alla riscossione. 

Infatti, le Sezioni Unite della Cassazione hanno affermato che “In tema di fallimento, alla legittimazione del concessionario a far valere il credito tributario nell’ambito della procedura fallimentare deve essere attribuita una valenza esclusivamente processuale, nel senso che il potere rappresentativo attribuito agli organi della riscossione non esclude la concorrente legittimazione dell’Amministrazione, la quale conserva la titolarità del credito azionato e la possibilità di agire direttamente per farlo valere in sede di ammissione al passivo” (Cass. Civ. SS.UU. 15 marzo 2012, n. 4126).

Se l’Ente conserva la titolarità del credito e anche la legittimazione alla riscossione, sarà necessario che l’Amministrazione, ricevuta la comunicazione dell’avvenuta dichiarazione di liquidazione giudiziale del contribuente, comunichi all’agente della riscossione tale evento, in modo da consentirgli di effettuare l’insinuazione al passivo che gli aveva demandato.

Dott.ssa Eleonora Cucchi

Unicusano Roma