La Corte Costituzionale, con sentenza 114 del 2018, ha dichiarato incostituzionale, l’art.57, comma 1, lett. a) del d.p.r. 602/73 e, contestualmente, ha dichiarato inammissibile l’eccezione  di incostituzionalità in relazione alla lettera b) dello stesso articolo.

L’art. 57, comma 1, del d.p.r. 602/73 dal titolo Opposizione all’esecuzione o agli atti esecutivi“, così statuiva, prima che intervenisse la Consulta: ” Non sono ammesse: a) le opposizioni regolate dall’art.615 del codice di procedura civile, fatta eccezione per quelle concernenti la pignorabilità dei beni; b) le opposizioni regolate dall’art.617 del codice di procedura civile relative alla regolarità formale ed alla notificazione del titolo esecutivo”.

La norma, quindi, ha sempre limitato l’ampio ventaglio di tutela giurisdizionale del contribuente, predisposto dal legislatore con l’opposizione all’esecuzione ex art.615 c.p.c., riducendone la portata alla sola ipotesi di pignorabilità dei beni, secondo il disposto della lettera a) del’art. 57 citato.

Quanto all’opposizione agli atti esecutivi, prevista dall’art.617 c.p.c., secondo la lettera b) dello stesso articolo 57 d.p.r. 602/73, essa è sempre ammissibile salvi i casi in cui si contesti la regolarità formale e la notificazione del titolo esecutivo, la cui giurisdizione è rimessa alle Commissioni Tributarie.

La Corte Costituzionale, con la Sentenza 114/2018, ha ritenuto fortemente lesiva e limitativa del diritto di difesa del contribuente, l’inammissibilità dell’opposizione all’esecuzione prevista dalla lettera a), poiché la “sanzione” dell’inammissibilità preclude il diritto di difesa del contribuente contro tutti gli atti dell’esecuzione forzata tributaria ed ha ritenuto che la citata norma, si ponga in contrasto rispetto agli artt. 3, 24 e 113 della Costituzione.

Secondo la Consulta, l’inammissibilità prevista dall’art.57 comma 1, lett. a) impedisce di chiedere e ottenere la tutela giurisdizionale contro i titoli esecutivi di natura tributaria, ove la riscossione coattiva viene regolata con il rito speciale previsto dal D.p.r. 602/73. Si pone, inoltre, in contrasto con l’art.3 della Costituzione, poiché crea una situazione di disparità di trattamento tra i cittadini che hanno disponibilità finanziaria e possono pagare immediatamente, evitando la procedura esecutiva, salvo il diritto di ripetizione dell’indebito dopo l’accertamento giudiziale favorevole sulla debenza del tributo, rispetto ai cittadini che non hanno la disponibilità economica sufficiente, e quindi, sono costretti a subire la procedura esecutiva senza possibilità di difesa piena.

Com’è noto, l’espropriazione forzata in materia di riscossione coattiva, regolata dal capo II del d.p.r. 602/73 agli art. 49 e seguenti, ha sempre rappresentato un procedimento amministrativo svolto sotto la direzione dell’Agente della Riscossione, quale organo ausiliario della Pubblica Amministrazione, sino alla fase della vendita, mentre la fase successiva alla vendita si compie sotto il controllo del Giudice dell’esecuzione, al fine di garantire il rispetto del principio della par condicio creditorum di eventuali creditori intervenuti e la regolarità degli atti espletati, in sede di distribuzione o assegnazione delle somme ricavate dalla vendita. Nel pignoramento presso terzi, prima dell’introduzione dell’art.72 bis d.p.r. 602/73, avvenuta con l’art.3, comma 40 del D.L. 30 settembre 2005, l’attività giurisdizionale si estrinsecava con l’ordinanza emessa dal Giudice dell’Esecuzione al terzo debitore (debitor debitoris), contenente l’ordine di pagare le somme di cui era debitore nei confronti del contribuente direttamente all’Ente creditore pignorante (versandole all’Agente della Riscossione) alle rispettive scadenze,  e ciò dopo il rilascio della dichiarazione positiva del terzo in merito all’esistenza del credito o all’accertamento giudiziale della sua esistenza, in ipotesi di dichiarazione negativa seguita dall’accertamento. In ogni caso, alla fase amministrativa dell’esecuzione forzata e del pignoramento, o della dichiarazione stragiudiziale, nel pignoramento presso terzi, ha sempre fatto seguito la fase giudiziale diretta sotto il controllo del Giudice dell’Esecuzione, ove, dopo la citazione del terzo l’accertamento dell’esistenza del credito e l’ordine di pagamento, erano rimessi al provvedimento del G.E.

La portata dell’art. 57 del d.p.r. 602/73, ben si inseriva nel sistema antecedente al d.l. 30 settembre 2005 n. 203 e andava letta anche attraverso una interpretazione sistematica con il disposto dell’ art. 2 del D.lgs. 546/92, che richiama le norme del d.p.r. 602/73. Infatti, l’art.2 del D.lgs. 546/92 limita la giurisdizione del giudice tributario, laddove statuisce che “Restano escluse dalla Giurisdizione Tributaria soltanto le controversie riguardanti gli atti dell’esecuzione forzata tributaria successivi alla notifica della cartella di pagamento e, ove previsto, dell’avviso di cui all’art.50 del Decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n.602, per le quali continuano ad applicarsi le disposizioni del medesimo decreto del Presidente della Repubblica”. T

utto ciò fa comprendere la necessità della scelta del legislatore della riforma del d.p.r. 602/73, introdotta il 1° luglio 1999, atteso che le ipotesi in cui veniva ammessa l’opposizione all’esecuzione (pignorabilità dei beni), erano ipotesi di contestazione a pignoramento già iniziato, con esclusione totale di tutte le opposizioni a precetto, regolate dall’art. 615, comma 1, c.p.c. e di tutte le opposizioni a pignoramento diverse dalla casistica della pignorabilità dei beni.

Infatti, quando la norma dell’art. 57. lett. Aa) del d.p.r.602/73 ammette la possibilità di opposizione all’esecuzione, solo nell’ipotesi di pignorabilità dei beni, non fa altro che limitare tale possibilità di opposizione solo alla fase successiva del pignoramento (l’impignorabilità dei beni può essere contestata solo dopo che i beni sono stati pignorati) e, quando la norma dell’art.2 del d.lgs.546/92 richiama espressamente “gli atti dell’esecuzione forzata tributaria successivi alla notifica della cartella di pagamento e, ove previsto, dell’avviso di cui all’art.50 del Decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n.602, per le quali continuano ad applicarsi le disposizioni del medesimo decreto del Presidente della Repubblica”, ove per inizio dell’esecuzione forzata si intende ai sensi dell’art.491 c.p.c. “il pignoramento”, non fa altro che confermare l’esclusione di tutte le ipotesi di opposizione all’esecuzione previste dall’art. 615, comma 1, c.p.c. ossia le ipotesi di opposizione a precetto o al titolo esecutivo e, quindi, tutte le ipotesi di opposizione “sine titulo”. Si tratta, a ben vedere, di un’ampia casistica che comprende anche le vicende estintive del credito tributario per cause naturali, successive alla formazione e notificazione del titolo esecutivo, quindi successive alla formazione del ruolo di riscossione e alla notifica della cartella di pagamento o dell’avviso di accertamento esecutivo emesso ai sensi dell’art. 29 del D.L. 31 maggio 2010 n. 78, convertito con modificazioni dalla legge 30 luglio 2010 n. 122 ( ad es. prescrizione, decadenza, avvenuto pagamento, adesione a condono, saldo della definizione agevolata).

La lettera b) dell’art.57, comma 1 del D.P.R. 602/73, conferma tale impostazione voluta dal legislatore della riforma progettata con legge delega n.337/1998 e introdotta con la novella del D.lgs. n.46 del 26.02.1999.

Infatti, la lettera b) dell’art.57, comma 1, d.p.r.602/73 esclude dalla giurisdizione del giudice ordinario tutte le ipotesi di contestazione della regolarità formale del titolo esecutivo e le ipotesi di vizio di notifica del titolo esecutivo, relegandole alla giurisdizione tributaria. Tale impostazione non fa altro che delimitare ulteriormente i confini della giurisdizione tributaria, limitandone la portata alle sole ipotesi di vizi antecedenti alla fase dell’inizio dell’esecuzione, come confermato dall’art. 2 del d.lgs.546/92, che esclude la giurisdizione tributaria dopo l’inizio dell’esecuzione forzata, ossia dopo il pignoramento (art.491 c.p.c.).

La ratio di tale limitazione di tutela davanti all’A.G.O. che giustifica il riparto della giurisdizione, trova la sua chiave di lettura nella portata dei differenti interessi tutelati dall’ordinamento giuridico nelle diverse fasi del procedimento, secondo il progetto voluto dal legislatore dell’epoca. Invero, questa impostazione voluta dal legislatore è frutto di una strutturazione sistematica della tutela dei diritti e degli interessi tutelati contro gli atti di esercizio dell’azione tributaria nelle diverse fasi del procedimento amministrativo, dall’accertamento e formazione del titolo esecutivo, sino alla sua notificazione e alla eventuale e successiva riscossione coattiva in caso di inadempimento, che segue la concezione legata ai concetti delle teoria c.d. costitutiva. Invero, nonostante il principio di riserva di legge dell’art.23 della Costituzione limiti fortemente il potere discrezionale degli uffici finanziari, relegando le ipotesi di discrezionalità ai vincoli della legge riguardo ai meri atti interni del procedimento o nei limiti del potere regolamentare degli uffici relativamente all’esercizio del potere impositivo, i cui confini esterni sono delimitati dalla legge, è di tutta evidenza che, seppur marginalmente, l’attribuzione al giudice tributario, da parte della L. n. 448 del 2001, art. 12, comma 2, di tutte le controversie in materia di tributi di qualunque genere e specie comporta che anche quelle relative agli atti di esercizio dell’autotutela tributaria, in quanto comunque incidenti sul rapporto obbligatorio tributario, devono ritenersi devoluti al giudice la cui giurisdizione è radicata in base alla materia tributaria, indipendentemente dalla specie di atto impugnato. Pertanto, la natura discrezionale dell’esercizio dell’autotutela tributaria non comporta la sottrazione delle controversie sui relativi atti al giudice naturale, la cui giurisdizione è ora definita mediante una clausola generale, per il solo fatto che gli atti di cui tale giudice si occupa sono vincolati. L’attribuzione al giudice tributario di una controversia che può concernere la lesione di interessi legittimi non incontra un limite nell’art. 103 Cost. Infatti, secondo una costante giurisprudenza costituzionale, non esiste una riserva assoluta di giurisdizione sugli interessi legittimi a favore del giudice amministrativo, potendo il legislatore attribuire la relativa tutela ad altri giudici. Con la conseguenza che il sindacato del giudice dovrà riguardare, non solo l’esistenza dell’obbligazione tributaria, ma prima di tutto il corretto esercizio del potere discrezionale dell’amministrazione, nei limiti e nei modi in cui l’esercizio di tale potere può essere suscettibile di controllo giurisdizionale (Sezioni Unite sentenza 16778/05). Secondo questa impostazione, legata alla teoria costitutiva, l’atto impugnato che è espressione di un potere pubblico, non tende ad accertare una preesistente situazione giuridica, ma a costituire il rapporto giuridico tributario, attraverso una funzione amministrativa di esercizio del potere vincolato alla legge, in virtù del principio di riserva di legge di cui all’art.23 della Costituzione. Quindi, secondo questa concezione, cui si è ispirato il legislatore, a fronte dell’esercizio di questo potere degli uffici tributari, corrisponde  in capo al contribuente una situazione giuridica soggettiva attiva di interesse legittimo, correlata alla giurisdizione di annullamento dell’atto di imposizione, fase che precede l’attività di esecuzione forzata e che si estrinseca sino alla notifica della cartella o se decorso un anno, dell’intimazione di pagamento di cui all’art.50 del D.p.r. 602/73. Pertanto, secondo questo inquadramento sistematico, il contribuente sin quando è portatore di una posizione di mero interesse legittimo: potrà scegliere se pagare o se contestare la pretesa di cui all’atto precettivo notificato, e, se vorrà contestare nell’an o nel quantum debeatur l’ingiusto prelievo richiesto, che consegue all’attività amministrativa della P.A., qualora lo ritenga non dovuto o eccessivo, dovrà rivolgersi al giudice tributario, per l’accertamento della lesione dell’interesse legittimo di cui è portatore. Se, invece, interviene l’inadempimento, per decorrenza del termine dilatorio previsto dall’atto precettivo, una volta che diviene legittimo l’esercizio dell’azione esecutiva della P.A. e, quindi, inizia l’esecuzione forzata, il contribuente esecutato, che non ha adempiuto al precetto indicato nella cartella di pagamento, nell’avviso di accertamento esecutivo o nell’intimazione di cui all’art.50 del d.p.r. 602/73 diviene titolare di una posizione di diritto soggettivo, atteso che l’azione esecutiva sui suoi beni inciderà sul suo diritto di proprietà in relazione ai beni esecutati, sino a giungere alla spoliazione della titolarità del suo diritto e, se intende difendersi contro questa lesione, ma solo limitatamente alla pignorabilità dei beni, stante al testo del vecchio art. 57, comma 1, lett. a) del D.p,r. 602/73, oggi dichiarato incostituzionale con la sentenza 114 del 2018 della Consulta, può rivolgersi al giudice dell’esecuzione, salvo il diritto al risarcimento del danno per l’ingiusta esecuzione ex art.59 del d.p.r. 602/73.

In realtà, l’art.57 del D.p.r. 602/73, in passato, ha sempre retto all’analisi della Consulta, atteso che l’opposizione all’esecuzione forzata, pur essendo limitata  alle ipotesi anguste di cui alla lettera a), è stata pur sempre assoggettata al controllo giurisdizionale finale del Giudice dell’Esecuzione, ed in ogni caso l’ingiusta esecuzione viene compensata da un’azione di risarcimento del danno di natura satisfattoria, come previsto dal citato art.59 del d.p.r. 602/73. Ma la problematica si complica man mano che gli strumenti dell’esecuzione forzata divengono sempre più incisivi nei confronti del patrimonio del contribuente inadempiente. I

n particolare, con la modifica dell’art.72 bis DPR 602/1973, avvenuta con l’art.3, comma 40, del D.L. 30 settembre 2005 n. 203, laddove viene previsto che: “l’atto di pignoramento dei crediti del debitore verso terzi può contenere, in luogo della citazione di cui all’art. 543, secondo comma, numero 4, dello stesso codice di procedura civile, l’ordine al terzo di pagare direttamente al concessionario, fino a concorrenza del credito per cui si procede”, viene introdotto un procedimento di esecuzione forzata di natura esclusivamente amministrativa in cui viene eliminata la citazione avanti al giudice per l’assegnazione del credito e l’emissione dell’ordine di pagamento nei confronti del terzo debitore, da parte del giudice dell’esecuzione.

Secondo l’interpretazione letterale della norma, si tratta di una scelta alternativa (“può contenere“), tra il pignoramento amministrativo e quello giurisdizionale, lasciata alla discrezionalità dell’Agente della riscossione. Questa forma di pignoramento, che incide sui diritti soggettivi dell’esecutato attraverso l’espropriazione del credito, rappresenta certamente un atto autoritativo della P.A., che attraverso la sua azione interamente amministrativa assoggetta ad espropriazione forzata le somme di cui il terzo è debitore, anche se in ipotesi di inottemperanza non prevede sanzioni e, l’Agente della Riscossione in quest’ultima ipotesi, dovrà riprendere la via giudiziale. In ogni caso, si tratta di un procedimento che incide sui diritti del contribuente e dei terzi creditori e, come tale, necessita certamente un contrappeso a favore del contribuente per la tutela giurisdizionale dei suoi diritti in sede di esecuzione e dei diritti dei terzi creditori a tutela e garanzia della par condicio creditorum.  Infatti, questa forma di procedimento non ha pubblicità notizia, non risulta iscritto in un ruolo generale del Tribunale, essendo appunto amministrativo e, una volta che il terzo abbia ottemperato all‘ordine, viene liberato con soddisfazione del credito iscritto a ruolo, nei limiti della quota versata da lui versata, ma di fatto i terzi creditori non verranno mai a conoscenza dell’esistenza del pignoramento presso terzi operato con la procedura dell’art.72 bis del d.p.r. 602/73 e non potranno neanche intervenire per far valere i loro diritti che, potrebbero addirittura essere poziori rispetto a quelli dell’Agente della Riscossione. L’incisività di questa procedura, non è stata bilanciata con adeguati strumenti difensivi, anzi, così come era congegnata la norma dell’art.57, comma 1, lett. A) del d.p.r. 602/73, disapplicata dopo la pronuncia della Consulta, non dava spazio sufficiente, alla tutela giurisdizionale dei diritti dell’esecutato in sede di opposizione, apparendo obsoleta e violando palesemente gli 3, 24 e art.113 della Costituzione proprio in relazione al pignoramento presso terzi. Questo vuoto di tutela, sempre più sentito ed evidente, mostrava tutta la debolezza del sistema proprio nella sede naturale giurisdizionale, poiché di fatto impediva la tutela giurisdizionale dei diritti del contribuente, in special modo dopo l’introduzione di questa nuova forma di pignoramento presso terzi ex art.72 bis. L’ingiusta compressione dell’esercizio del diritto di difesa del contribuente era già stata avvertita dalla giurisprudenza sia di merito che di legittimità, che si era spinta a trovare soluzioni adeguate per garantire una tutela piena, specie nell’ipotesi di pignoramento iniziato in assenza di notifica della cartella o dell’intimazione di cui all’art.50 del d.p.r. 602/73, ove la dicotomia esistente tra opposizione all’esecuzione e opposizione agli atti esecutivi è molto sottile, in relazione al vizio di forma del titolo esecutivo ( 617 c.p.c), che determina la nullità del procedimento e  il vizio di inesistenza del titolo esecutivo, che determina l’ipotesi di esecuzione sine titulo e la caducazione non solo del procedimento, ma altresì dell’intera pretesa tributaria (615 c.p.c.). Secondo un orientamento dei giudici di merito, è possibile impugnare il pignoramento alla Commissione Tributaria: in primo luogo perchè il pignoramento ex art.72 bis del d.p.r. 602/73 non è considerato un atto del procedimento giurisdizionale di esecuzione forzata, in quanto non contiene la citazione rivolta al terzo di comparire avanti al giudice per il rilascio della dichiarazione e, quindi, l’assenza del giudice dell’esecuzione non darebbe spazio all’applicazione alle norme del codice di procedura civile per le opposizioni ordinarie. Secondo la CTP di Treviso Sentenza n. 23/07/09 del 28.01.2009 il carattere amministrativo della procedura, non permette di assoggettare il regime delle opposizioni alla giurisdizione ordinaria, come invece sancisce l’art.2 del D.lgs.546/92 poichè, ai sensi dell’art.19, ultimo comma del d.lgs.546/92, la cognizione della causa sarebbe ammessa avanti al giudice tributario. Se la conoscenza della pretesa tributaria avviene con la notifica del pignoramento ( atto conseguente), poiché vi è un vizio di notifica dell’atto prodromico,  il contribuente potrà impugnare l’atto prodromico non notificato per i vizi propri, attraverso l’impugnazione dell’atto conseguente (pignoramento), regolarmente notificato. Peraltro, l’elencazione degli atti impugnabili di cui all’art.19 ultimo comma,, non è elencazione tassativa, essendo ammessa, addirittura, secondo una costante giurisprudenza della Cassazione, l’impugnazione degli atti c.d. “facoltativamente impugnabili” idonei a portare il contribuente a conoscenza dell’esistenza della pretesa tributaria, ancorchè non notificati, ma conosciuti aliunde.

Un successivo orientamento della giurisprudenza di legittimità (Cass. Sent. 20294 del 04.10.2011) sosteneva che il pignoramento non potesse essere impugnato avanti le Commissioni Tributarie, neanche nell’ipotesi di mancata notifica dell’atto prodromico, atteso che ai sensi dell’art.2 del D.lgs.546/92, verrebbero escluse dalla giurisdizione tributaria tutte le controversie che riguardano gli atti dell’esecuzione forzata tributaria successivi alla notifica della cartella di pagamento o dell’avviso di cui all’art.50 del d.p.r. 602/73. Secondo questo orientamento, il pignoramento di crediti verso terzi di cui all’art.72 bis del d.p.r. 602/73 potrebbe essere contestato solo con il rimedio previsto dagli artt. 615 e 617 c.p.c. dinanzi al giudice ordinario, ma ciò solo nei limiti previsti dall’art.57 del d.p.r. 602/73. Con pronuncia delle SS.UU. della Cassazione, Sentenza n. 8618 del 2015, veniva individuato il criterio di riparto della giurisdizione, richiamando alcuni principi già espressi in altra sentenza della Cassazione n.9246 del 2015. Secondo questa interpretazione: 1) qualora il contribuente si limiti a chiedere l’annullamento del pignoramento, per vizio di nullità derivata ( mancata notifica dell’atto prodromico), si verterà in materia di esecuzioni e non in materia tributaria, atteso che non viene contestato l’an  o il quantum della pretesa tributaria, ma l’ingiusta esecuzione per vizio di nullità derivata dell’intero procedimento esecutivo, atteso che la nullità della notifica travolge tutti gli atti successivi, pertanto, il giudice naturale è il giudice ordinario; 2) qualora, invece, il contribuente impugni con il pignoramento anche il titolo esecutivo che ritenga non notificato, contestando il merito della pretesa conosciuta per la prima volta con il pignoramento e facendo valere  la nullità del titolo esecutivo prodromico, ai sensi dell’art. 19 ultimo comma del d.lgs.546/92, dovrà rivolgersi al giudice tributario, atteso che introduce questioni tributarie dirette a contestare l’an ed il quantum debeatur della pretesa tributaria. L’azione avanti al giudice ordinario incontrerebbe i limiti di cui all’art.57 del d.p.r. 602/73, atteso che il tema affrontato è quello tributario ed in tal senso, le limitazioni dell’art.57 del d.p.r. 602/73 trovavano una giustificazione razionale, poiché concorrevano a segnare i confini della giurisdizione. Tuttavia, il limite di questa interpretazione fornita dalle SS.UU. del 2015, ad avviso di chi scrive, stava nella circostanza che l’individuazione della giurisdizione restasse legata non esclusivamente alla materia trattata, ma principalmente al petitum e quindi alla volontà del ricorrente, seppur il risultato raggiunto fosse identico, ossia quello di realizzare in entrambi i casi la caducazione del pignoramento e dell’atto ad esso preordinato e prodromico per il principio del giudicato sostanziale. In altri termini significava, affidare al contribuente, con la scelta del petitum, la selezione del giudice cui rivolgere la domanda, che poteva mutare in base alla tipologia di domanda ad esso rivolta, in violazione dell’art. 25 della Costituzione laddove è previsto che “nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge”.  Lo stesso orientamento aveva espresso la Corte di Cassazione che con sent. 9246/2015, statuiva che : “se il contribuente impugna l’atto presupposto – cartella di pagamento, intimazione di pagamento o avviso di mora- chiedendone l’annullamento per irregolarità formali dell’atto o della sua notificazione, l’opposizione agli atti esecutivi avanti al giudice dell’esecuzione ordinario non è ammessa e la cognizione spetta al giudice tributario. Se impugna l’atto di pignoramento e ne chiede la nullità derivata per vizio di mancata notifica dell’atto impugnato o dell’atto presupposto, l’opposizione sarà ammissibile avanti al giudice ordinario, come opposizione agli atti esecutivi, anche se l’atto presupposto è una cartella di pagamento”. Sullo stesso argomento, la Corte di Cassazione tornava a pronunciarsi con sentenza SS.UU. 13913 del 05.giugno 2017, mutando il precedente indirizzo e statuendo il seguente principio:” Laddove venga messa in discussione l’invalidità o omessa notificazione della cartella di pagamento o decorso un anno dalla notifica della cartella, venga contestata l’omessa notifica dell’intimazione di cui all’art.50 del d.p.r. 602/73, a prescindere della richiesta di annullamento anche dell’atto presupposto o del solo pignoramento, basato su titoli di natura tributaria, atteso che, l’art.57 del d.p.r. 602/73 stabilisce che non sono ammesse dinanzi al giudice ordinario le opposizione regolate dall’art. 617 del codice di procedura civile, riguardanti la regolarità formale e la notificazione del titolo esecutivo, la giurisdizione spetta sempre al giudice tributario”. Infatti, in tal caso il pignoramento, con la pronuncia di nullità del titolo esecutivo, viene travolto dalla nullità derivata, producendo l’effetto di realizzare la tutela piena ed efficace del contribuente esecutato. Secondo tale orientamento, l’inammissibilità va intesa nel senso che è fatto divieto di proporre opposizioni avanti al giudice ordinario, essendo ammessa solo avanti al giudice tributario. Le SS.UU., pertanto, con le predette pronunce, seppur oscillanti e differenti, hanno dato un indirizzo sistematico al regime delle opposizioni al pignoramento tributario, tenendo conto del combinato disposto delle norme di coordinamento: art.57 d.p.r. 602/73, art.2 del D.lgs.546/92, e art.19, ultimo comma, del D.lgs.546/92. Tuttavia, nonostante le predette pronunce, è rimasta aperta la problematica della insufficiente tutela offerta dal sistema nei confronti dell’opposizione all’esecuzione, ex art. 615 c.p.c., limitata alla sola ipotesi di impignorabilità dei beni ( 615, comma 2 c.p.c) ed esclusa in tutti gli altri casi di inesistenza del titolo esecutivo ( 615, 1° comma c.p.c.). Invero, questa interpretazione, e la limitazione dell’opposizione all’esecuzione data dall’art.57 lett. a) d.p.r. 602/73, non risolveva il problema dei casi di pignoramento basato su  titolo esecutivo estinto per avvenuto pagamento, prescrizione, decadenza, adesione a condono o pagamento a saldo della definizione agevolata. In tal caso, si tratta infatti di opposizione all’esecuzione che, se sollevata dopo la notifica della cartella e del pignoramento, ai sensi dell’art. 2 del D.lgs.546/92 , va opposta avanti al giudice ordinario, tuttavia, mentre in passato restava il problema della inammissibilità, secondo l’art.57 comma 1, lett.a) del d.p.r. 602/73, testo anteriore alla pronuncia del Giudice delle leggi, essendo l’opposizione limitata solo alla pignorabilità dei beni, oggi se proposta prima dell’inizio dell’esecuzione forzata, a rigor di logica, diventerebbe ammissibile persino l’opposizione a precetto. La Corte Costituzionale con la sentenza n.114 del 2018 ha ritenuto fondata la questione di legittimità costituzionale della norma, analizzando il vuoto di tutela del sistema ma dopo la sentenza che ha pronunciato l’incostituzionalità dell’art.57 comma 1 lett. a) del d.p.r. 602/73, si ripropone il problema della giurisdizione che, seppur appariva superato dall’ultima sentenza n. 13913 del 2017 delle SS.UU. della Corte di Cassazione, oggi si ripresenta, dopo lo ius superveniens che segue la logica della pronuncia della Consulta. Il problema, che resta aperto, pone differenti interrogativi: 1) può il giudice ordinario conoscere i modi di estinzione naturale delle obbligazioni tributarie successive alla formazione del titolo esecutivo e, quindi, successive alla notifica del titolo esecutivo, ma antecedenti al pignoramento? E’di tutta ovvietà, che a fronte, ad es. di una cartella prescritta o perenta, oppure a fronte di una pretesa condonata o pagata, la modalità di estinzione del titolo esecutivo potranno essere fatte valere avanti al giudice tributario, in forza del comma 1 dell’art.2 del D.lgs.546/92, trattandosi di vicende estintive comunque relative a tributi, ma alla luce della Sentenza della Consulta, i suddetti fatti estintivi sopravvenuti, potrebbero essere fatti valere anche avanti al giudice ordinario con opposizione ex art.615, comma 1 c.p.c. Infatti, a prescindere della qualificazione della domanda, trattandosi di una contestazione che sorge su un fatto estintivo che non incide sull’an o su quantum debeatur della pretesa tributaria, ma solo sulla sua esistenza, dipendente da cause estintive naturali dell’obbligazione, non potrà non evidenziarsi che ai sensi del comma 3, dell’art.2 del d.lgs.546/92, qualora la domanda potrebbe essere rivolta al giudice ordinario, se il giudizio tributario è già iniziato nella sua sede naturale avanti la Commissione Tributaria e coinvolge altri motivi di merito, ed di tutta ovvietà che “il giudice tributario risolve in via incidentale ogni questione da cui dipende la decisione delle controversie rientranti nella propria giurisdizione” e se si verte in materia di tributi, non v’è dubbio che sulla vicenda deve pronunciarsi il giudice tributario che ha cognizione piena in materia tributaria. Tuttavia, diversa è l’ipotesi in cui  l’eccezione, tesa a far valere l’inesistenza del titolo esecutivo come conseguenza del fatto estintivo sopravvenuto, venga sollevata autonomamente in un giudizio di opposizione all’esecuzione. In verità il contribuente, dopo la sentenza 114/2018 della Corte Costituzionale, potrebbe ricorrere alla tutela prevista dall’art. 615, comma 1, c.p.c. mentre è pacifico che potrà farlo dopo il pignoramento considerato, che l’ art.2 del D.lgs.546/92 permette di adire il giudice ordinario solo dopo la notifica del pignoramento. Ad. Es. allo stato attuale, per effetto della sentenza della Corte Costituzionale, ancor prima della notifica del pignoramento, il contribuente potrebbe ottenere l’annullamento del titolo, con una normale opposizione ex art.615 c.p.c., tesa a far valere l’intervenuta prescrizione o la decadenza. A ben vedere le questioni aperte di giurisdizione tornano ad essere irrisolte. La Consulta, infatti, preoccupata di risolvere il vuoto di tutela giurisdizionale in relazione al diritto di difesa del contribuente, non ha tenuto conto delle problematiche inerenti la giurisdizione, che restano affidate allo strumento della traslatio iudicii. Dopo l’intervento della Corte Costituzionale, che ha dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 57, comma 1, lett. A) del d.p.r. 602/73 e dichiarato inammissibile la questione in relazione all’art.57, comma 1, lettera B) dello stesso d.p.r. si apre un nuovo scenario secondo il quale: 1) l’opposizione all’esecuzione ex art.615, comma 1 (c.d. opposizione a precetto) diviene ammissibile anche avanti al giudice ordinario, seppur limitatamente alle vicende estintive successive alla notifica del titolo esecutivo, attesa la delimitazione di cui all’art. 2 del D.lgs.546/92, comma 1.; 2) l’opposizione all’esecuzione a pignoramento già iniziato ( art. 615, comma 2) resta ammissibile solo avanti al giudice ordinario ( art. 2 del D.lgs.546/92, comma 2); 3) l’opposizione agli atti esecutivi ex 617 c.p.c. per contestare l’irregolarità formale o la mancata notifica del titolo esecutivo, è ammissibile solo avanti la giurisdizione tributaria, ai sensi del combinato disposto degli artt. 57 lett. b) del d.p.r. 602/73 e 19 ultimo comma del D.lgs.546/92, mentre negli altri casi è relegata alla giurisdizione ordinaria. In questo scenario, che scaturisce dall’intervento della Consulta, ed in relazione al combinato disposto delle norme regolatrici ancora in vigore,  si pongono taluni interrogativi irrisolti, atteso che non si comprende la ratio ispiratrice del criterio del riparto di giurisdizione tra opposizione all’esecuzione di cui all’art. 615 c.p.c., comma 1, nei casi di vicende estintive successive alla notifica del titolo esecutivo che ne determinano l’inesistenza, rientranti nella giurisdizione del giudice ordinario; rispetto all’ipotesi di opposizione agli atti esecutivi di cui all’art. 617 c.p.c. qualora sia contestata la regolarità formale del titolo esecutivo o la mancata notifica che viene rimessa alla giurisdizione tributaria. Invero, trattandosi in entrambi i casi di azione proposta a tutela di interessi legittimi, almeno stante al disegno sistematico originario, che ha ispirato questa suddivisione, sarebbe più ragionevole che in entrambi i casi la giurisdizione fosse attribuita al giudice tributario, tenuto conto del criterio di riparto della giurisdizione di cui all’art.2 del D.lgs.546/92 (atti pre- pignoramento e atti post pignoramento) . Secondo questo modello ispiratore, solo dopo l’esecuzione forzata viene lesa una posizione di diritto soggettivo, venendo leso il patrimonio del contribuente moroso, attraverso l’esercizio dell’esecuzione forzata. Sino alla notifica della cartella o nell’estrema ipotesi di mancata notifica della cartella, il contribuente ha diritto alla tutela di una posizione di interesse legittimo. Peraltro, l’argomentazione è confermata dalla norma dell’art. 59 del d.p.r. 602/73 che prevede la risarcibilità del danno derivante dall’ingiusta esecuzione per gli atti dell’esazione forzata e non la risarcibilità del danno derivante dall’ingiusto e illegittimo accertamento del titolo esecutivo. La questione diviene ancora più complessa laddove ci si interroghi sulla dicotomia esistente tra opposizione all’esecuzione ex art.615, comma 1 c.p.c. o opposizione a precetto e, opposizione agli atti esecutivi ex art.617 c.p.c., nei titoli esecutivi di natura tributaria. Si tratta di una dicotomia, di non facile individuazione e, molto spesso, anche se qualificata dal ricorrente “all’esecuzione o, viceversa, agli atti esecutivi” viene rimessa in discussione dal giudice che in virtù del principio iura novit curia può riqualificare la domanda; molto spesso, infatti, nell’esecuzione tributaria, il limite della qualificazione dell’opposizione viaggia su un filo sottile di delimitazione: 1) La mancata notificazione del titolo esecutivo, non sempre dà luogo ad ipotesi di vizio di regolarità formale, opponibile avanti al giudice tributario ex art.617 c.p.c., atteso che, qualora alla mancata notifica della cartella abbia fatto seguito la decadenza, ci troveremmo di fronte ad una vera e propria ipotesi di titolo esecutivo inesistente (Cass. SS.UU. 19854/2004) opponibile ex art. 615, c.p.c. comma 1, poiché si verterebbe in tema di opposizione “sine titulo” avanti al giudice ordinario. Lo stesso dicasi nelle ipotesi di prescrizione o avvenuto pagamento; adesione a condono e definizione agevolata con pagamento a saldo  Così ad es., la sanatoria della notificazione non opera in relazione all’intervenuta decadenza della pretesa, travolgendo la sostanza dell’atto e non la regolarità formale del titolo esecutivo, opponibile ex art.617 c.p.c. Dopo la pronuncia di incostituzionalità dell’art. 57, comma 1, lettera a) del d.p.r. 602/73, avvenuta con sentenza 114 del 2018, ci troviamo di fronte a due giurisdizioni differenti che potranno trattare ipotesi di tutela di posizioni di mero interesse legittimo. La distorsione del sistema sorge poichè, se ai sensi dell’art. 2 del D.lgs.546/92, comma 1, la contestazione di una pretesa tributaria potrà essere fatta valere avanti la giurisdizione tributaria, trattandosi di atto di natura tributaria, viceversa, allorquando gli la contestazione del titolo esecutivo è legata ad un fatto sopravvenuto alla fase di formazione del titolo stesso, si potrebbe adire il giudice ordinario con l’opposizione all’esecuzione, essendo contestato il fatto estintivo sopravvenuto e non la natura dell’obbligazione. In questo contesto, mentre il motivo che concerne il fatto modificativo o estintivo della pretesa tributaria antecedente alla formazione del titolo esecutivo verrà opposto, ai sensi dell’art.2 del D.lgs. 546/92, avanti al giudice tributario, nei termini di cui all’art. 21 del D.lgs.546/92, il fatto sopravvenuto, che attiene all’ “estinzione – inesistenza” del titolo esecutivo e che riguarda una vicenda naturale di estinzione dell’obbligazione generica per tutte le obbligazioni, legata alla perenzione del titolo esecutivo o all’inerzia protratta nel tempo di esercizio dell’azione del creditore, potrà trovare la via dell’opposizione avanti al giudice ordinario con l’opposizione ex art.615, comma 1,c. p.c. non essendo una contestazione limitata alla irregolarità formale del titolo esecutivo ed avendo un quid – pluris rispetto alla semplice mancanza di notifica del titolo esecutivo. 2) Conseguenza delle problematiche legate all’esame del punto precedente è quella riguardante la difformità radicale dei due riti (ricorso al giudice tributario e atto di citazione in opposizione ex art.615, 1° comma, c.p.c.), si tratta di una conseguenza che scaturisce dalla dicotomia dell’azione, spesso non facilmente individuabile e, della ipotesi, di sovrapposizione della tutela giurisdizionale che urta con i principi costituzionalmente protetti del giudice naturale. Nel rito ordinario, il processo di opposizione viene introdotto con atto di citazione, senza limiti di tempo, quindi la sua caratteristica è quella di un giudizio che si instaura su iniziativa di parte attraverso la vocatio in ius, e nelle ipotesi limite, serve anche a contestare la mera o presunta esistenza di un credito, a prescindere dalla sua natura, ove l’interesse ad agire è rappresentato dal pericolo c.d. mero vanto del credito. Si tratta di una vera e propria azione di accertamento negativo, tipicamente esercitabile anche per far valere la prescrizione estintiva dell’obbligazione civile. Nel giudizio tributario, l’azione di accertamento negativo non è ammessa. Il giudizio tributario è un giudizio di natura impugnatoria in cui il ricorrente reagisce ad una pretesa dell’amministrazione finanziaria, essendone venuto a conoscenza nei modi di legge, ossia attraverso la conoscenza di un atto della Pubblica Amministrazione, capace di incidere sul proprio patrimonio e questa reazione deve essere esercitata con ricorso (vocatio iudicis) avverso l’ atto impugnato di natura recettizia, entro un termine perentorio a pena di decadenza, pena la cristallizzazione della pretesa. Siamo di fronte a due riti totalmente differenti e, mentre nel giudizio tributario la mancata reazione per la tutela dell’interesse legittimo leso, nei termini di legge (60 giorni), implica la definitività del provvedimento non opposto; nel giudizio di opposizione ex art.615, comma 1, c.p.c. il titolo esecutivo potrebbe essere opposto in ogni tempo con atto di citazione, con la conseguenza, in quest’ultima ipotesi, dell’incertezza dei rapporti tra fisco e contribuente sine die, ossia una vera rivoluzione copernicana del sistema che mette a rischio anche la certezza delle Entrate dello Stato. Così, mentre nel processo tributario, la prescrizione non opposta nei termini, avverso un atto notificato, implica la decadenza dell’eccezione di prescrizione e, di conseguenza, la piena efficacia dell’atto, atteso che l’eccezione di prescrizione non è rilevabile d’ufficio e , considerata la sua natura di eccezione in senso stretto; va eccepita con il primo atto utile;  nell’opposizione ex art.615, comma 1, c.p.c., l’eccezione di prescrizione potrà essere opposta in ogni tempo con atto di citazione, con il primo atto utile per la sua contestazione. Si tratta, di casi ben evidenti di disparità di trattamento, legati alle difformità di rito esistenti, tra il rito ordinario dell’opposizione ex art.615, comma 1 rispetto al rito tributario disciplinato dal D.lgs.546/92. Disparità di trattamento che rileva chiaramente nella differente giurisdizione cui andrebbero a collocarsi le opposizioni ex art. 615 c.p.c., comma 1, vizi di inesistenza del titolo esecutivo, appartenenti alla giurisdizione ordinaria e, vizi di formazione del titolo esecutivo o di notifica appartenenti alla giurisdizione tributaria, in virtù della lettera B) dell’art. 57, comma 1 del D.p.r. 602/73. Pertanto, nonostante gli interventi delle SS.UU. sembrava avessero chiarito con la sentenza 13913/2017 la questione della giurisdizione in materia di opposizione all’esecuzione forzata tributaria in assenza di notifica del titolo esecutivo, oggi, alla luce della sentenza 114/2018 della Corte Costituzionale, il panorama della cognizione in relazione ai predetti giudizi appare fortemente frastagliato. E’ evidente, quindi, che se da un lato il giudice delle leggi ha ampliato la tutela giurisdizionale del contribuente a fronte degli atti dell’esecuzione forzata tributaria, dall’altro lato ha riaperto la questione del conflitto di giurisdizione. nonostante le SS.UU. avessero trovato un criterio di riparto attraverso l’interpretazione del combinato disposto degli artt. 2, 19 del D.lgs. 546/92 e 57 del d.p.r. 602/73. Conseguentemente, a parere di chi scrive, il problema si riapre, manca la quadratura del cerchio tra esercizio pieno della tutela giurisdizionale dei diritti del contribuente esecutato e giudice naturale precostituito per legge, problema che solo attraverso un duplice intervento del legislatore potrà trovare soluzione, e che si ripropone in forza dello ius superveniens della Corte Costituzionale. Tale intervento dovrebbe essere strutturato nei seguenti termini: 1) da un lato l’abolizione totale dell’art. 57 del d.p.r. 602/73; 2) dall’altro l’introduzione all’interno dell’art. 19 del d.l.gs.546/92 della lettera E-quater recante il seguente tenore letterale: “gli atti dell’esecuzione forzata tributaria, fatta salva l’ipotesi di cui all’art. 2 del presente decreto, per vizi di nullità derivata o di inesistenza dell’atto prodromico”. Questa disposizione, così formulata, manterrebbe i caratteri della generalità e della astrattezza della norma, e attraverso il richiamo ai vizi di nullità derivata andrebbe ad includere tutte le ipotesi di cui all’art.617 c.p.c., mentre attraverso il richiamo espresso all’inesistenza del titolo esecutivo andrebbe ad assorbire i vizi opponibili attraverso l’art.615 , comma 1 c.p.c., ossia l’opposizione a precetto, restituendo in modo organico la tutela del contribuente alla giurisdizione del giudice tributario, e contestualmente, andrebbe ad eliminare la dicotomia tra opposizione all’esecuzione o agli atti esecutivi connessa ai conseguenti rischi di disparità di trattamento legati alla difformità di rito e di giurisdizione. Inoltre, con la previsione espressa di deroga rispetto ai casi di cui all’art. 2 del D.lgs.546/92, si risolve definitivamente il riparto della giurisdizione tra tutela dei diritti soggettivi (giurisdizione dell’A.G.O.) e tutela degli interessi legittimi (giurisdizione speciale tributaria), come voluto dal disegno originario del legislatore, seppur oggi potrebbe essere riscritto alla luce di una migliore individuazione degli interessi tutelati che sfugge alla tradizionale ripartizione diritti soggettivi e interessi legittimi, rimarcata dalla disposizione dell’art. 2 del d.lgs.546/92 che, in combinato disposto con la norma dell’art.57, comma 1 lett. A), dichiarata incostituzionale con sentenza 114 del 2018 della Suprema Corte Costituzionale, e lettera B) ha tracciato per anni il limite invalicabile tra l’opposizione ex art, 617 c.p.c. e 615 c.p.c. comma 1, rispetto all’opposizione ex art.615, comma 2 c.p.c. Con la modifica dell’art. 19 e l’aggiunta della lettera E-Quater, l’ampia casistica dell’opposizione 615, comma 1 c.p.c, rientrerebbe nella giurisdizione tributaria, trovando la sua naturale collocazione, nel rispetto della decisione della consulta e della salvaguardia dei diritti di difesa del contribuente. Si tratterebbe di una soluzione di compromesso che lascia inalterata l’impalcatura, seppur superata dalla dottrina maggioritaria, su cui si basa la differenza tra tutela di differenti degli interessi legittimi e tutela dei diritti soggettivi. Ed è proprio l’art. 57 lettera B), del d.p.r. 602/73, che la Corte Costituzionale non ha censurato, che dà conferma dell’impostazione data al sistema della tutela giurisdizionale dei diritti del debitore esecutato nel rito dell’esecuzione forzata tributaria, poiché, nel limitare la giurisdizione del giudice ordinario, alle sole ipotesi di cui all’art. 617 c.p.c non derogate, conferma che i vizi che intervengono sino alla notifica della cartella, siano essi vizi sostanziali del titolo esecutivo che ne inficiano l’esistenza oppure vizi formali o di notifica che ne inficiano l’efficacia, invalidando solo l’azione esecutiva, sono pur sempre vizi che incideranno su una posizione di interesse legittimo, mentre dopo il pignoramento danneggeranno una posizione di diritto soggettivo, tutelabile avanti all’A.G.O.

Tuttavia, oggi l’impostazione appare è del tutto discutibile: secondo l’orientamento della dottrina dominante, c.d. teoria dichiarativa, è ravvisabile un diritto soggettivo in capo al contribuente,  giammai una posizione di interesse legittimo, atteso che le norme tributarie sono norme materiali che delimitano la fattispecie del presupposto da cui derivano gli effetti obbligatori del tributo. Gli effetti prodotti dall’avviso di accertamento, dunque, non costituiscono il rapporto di imposta ma sono meramente dichiarativi di una obbligazione già sorta in forza di legge, in virtù del principio di riserva di legge di cui all’art.23 della Costituzione. L’atto da impugnare, alla luce di tale teoria, non ha natura provvedimentale, ma rappresenta unicamente lo strumento attraverso il quale la Pubblica amministrazione avanza le sue pretese, ogni qualvolta il contribuente non dovesse ritenerle in linea con l’obbligazione sorta per legge. Il contribuente, quindi, secondo questa teoria, potrà agire in giudizio per l’ottenimento di una pronuncia di solo accertamento dell’an e del quantum del tributo, a fronte della lesione del suo diritto soggettivo ad ottenere una giusta imposizione. Tuttavia, se analizziamo l’impostazione data dal legislatore nel  ripartire la giurisdizione tra giudice tributario e giudice ordinario in tema di impugnazioni, non potrà non ritenersi che l’impostazione è legata ai principi ispiratori della c.d. teoria costitutiva dell’obbligazione tributaria. Infatti, appare evidente che la linea di demarcazione che realizza la tutela tra l’interesse legittimo leso e il diritto soggettivo è ancora legata al principio della risarcibilità del danno che derivi dall’illegittima esecuzione, come peraltro conferma lo stesso art.59 del d.p.r. 602/73, mentre alla luce della più recente e autorevole giurisprudenza (Cass. SS.UU. 500/99) questa linea distintiva appare oggi affievolita, essendo legata al bene della vita tutelato, la cui lesione è condicio sine qua non per il risarcimento al di là delle posizioni meritevoli di differente tutela ( diritto soggettivo o interesse legittimo). Sotto questo ulteriore profilo, la differenziazione tra giudice ordinario e giudice speciale in tema di impugnazione della pretesa e di opposizione all’esecuzione e agli atti esecutivi, appare oggi del tutto superata. Alla luce delle moderne teorie in tema di risarcibilità del danno dopo la sentenza delle SS.UU. 500/99, mentre  l’interesse legittimo è condizione necessaria, ma non sufficiente per l’accesso alla tutela risarcitoria, e l’attività di esecuzione forzata successiva,  conseguente a tale interesse sarà certamente sufficiente, se illegittimamente esercitata, a danneggiare un bene della vita meritevole di tutela, si dovrà ritenere che la causa di illegittimità potrebbe anche derivare dall’esercizio illegittimo dell’accertamento tributario che, in tal caso, andrà a scaricare l’ingiustizia del danno in fase di esecuzione forzata, basata sul titolo esecutivo illegittimo. Sotto questo profilo, la distinzione creata dal legislatore al fine di tutelare le posizioni differenti, onde affidarne la tutela al giudice ordinario o al giudice speciale tributario, resta superata in seguito all’evoluzione moderna della teoria della c.d. risarcibilità degli interessi legittimi. In conclusione, al di là delle posizioni dottrinarie, preso atto dell’impostazione del sistema, voluto dal legislatore, che oggi appare obsoleta, così come è avvenuto in tema di fermo amministrativo e di ipoteca legale, impugnabili in CTP per i titoli di natura tributaria, grazie all’introduzione delle lettere E-Bis ed  E-Ter, all’art.19 del D.lgs.546/92, ci si auspica un intervento del legislatore in tal senso, ossia l’aggiunta della lettera E – Quater, che oltre a risolvere il problema della cognizione del giudice naturale, garantisce la funzionalità e sistematicità dell’originario progetto, seguendone i principi ispiratori naturali, e con garanzia di tutela piena come voluto dalla Consulta con la sentenza 114/2018. Al di fuori di questa via, qualora il legislatore intenda passare al modello improntato alla “c.d. teoria dichiarativa”, sicuramente più moderno e più adeguato alla costituzione vivente,  non resta altra strada che riformare ed affidare l’esecuzione forzata tributaria del contribuente esecutato al giudice dell’esecuzione, terzo ed imparziale, super partes di cui oggi si discute e ne è sentita la necessità dell’istituzione, eliminando anche l’ AdER, e attribuendo al processo di esecuzione tributaria la sua natura totalmente giurisdizionale. Il problema appare sentito, attese la lacunosità dell’ultima riforma che ha creato il nuovo Ente pubblico economico AdER. Infatti, si andrebbe anche a risolvere l’incongruenza del sistema attuale, ancora legato in tema di controllo, al sistema dualistico Agente delle Riscossione- Ente impositore. Infatti, secondo quanto prevede il D.lgs.112/99, agli artt. 19 e 20, ancora in vigore, in tema di discarico per inesigibilità, l’Ente impositore dovrebbe esercitare un’attività di controllo sull’Ente di Riscossione al fine di autorizzare o negare il diritto al discarico per inesigibilità, ed in ipotesi di diniego, potrebbe azionare i giudizi di conto, presso la giurisdizione contabile: Invero, l’unificazione dei due Enti ( Agenzia delle Entrate e Agente della Riscossione) sotto la medesima direzione e controllo, si pone in contrapposizione rispetto alle direttive ANAC, secondo le quali: non può coincidere in capo al medesimo Ente, con un unico rappresentante legale, il ruolo di soggetto controllore e allo stesso tempo di soggetto controllato, salvo che non si decida di riscrivere il D.lgs.112/99, regolante i rapporti tra Amministrazione finanziaria e Agente della riscossione e nato in epoca in cui esisteva questo sistema binario ( Agenzia delle Entrate e Agente della Riscossione). Attribuendo ad un giudice terzo ed imparziale, anche il processo di esecuzione forzata tributaria verrebbe eliminata la ragione dell’esclusione dalla giurisdizione tributaria nelle ipotesi di cui all’art. 2 del D.lgs.546/92, poiché la vertenza riguarderebbe unicamente diritti soggettivi, secondo la visione “c.d. dichiarativa” del procedimento di formazione dell’obbligazione tributaria. Ma per questa seconda soluzione, necessita attendere la riforma della giustizia tributaria, sempre che si allinei al sistema voluto dalla dottrina moderna e maggioritaria, affinchè il legislatore, prenda posizione anche sul tema del “giusto processo di esecuzione tributaria”, verso una direzione più moderna, efficace ed imparziale.

Dott. Francesco Rubera

Coordinatore Regione Sicilia della rivista Accademia Tributaria