Indice degli argomenti: 

 

PARTE PRIMA

Premessa

Par. 1  LA PRESCRIZIONE DECENNALE DELL’AZIONE DI RISCOSSIONE TRIBUTARIA– LA  GIURISPRUDENZA DOPO L’INTERVENTO DELLE SEZIONI UNITE CON SENTENZA 23397/2019 E L’ORIENTAMENTO SECONDO  CASS. 24106 DEL 27/09/2019 ; 

PARTE SECONDA

PAR. 2 GLI EFFETTI DEL CONSOLIDAMENTO DELLA PRETESA TRIBUTARIA SULL’ECCEZIONE DI PRESCRIZIONE;

PAR. 3 ALCUNI ASPETTI CRITICI SULL’EFFICACIA INTERRUTTIVA DELLA RICHIESTA DI RATEIZZAZIONE, LIMITATAMENTE  ALL’ECCEZIONE DI PRESCRIZIONE – INESISTENZA DELL’ACQUIESCENZA E L’EFFETTO INTERRUTTIVO DELLA RATEIZZAZIONE     


Cass. SS.UU. 23397/2016; Cass. Sent. n.13134/ 2019, pubblicata il 16.05.2019; 

Cass. 24106 del 27/09/2019; Cass. Ord. n.16098 del 18 giugno 2018;

Cass. Ord.n.18005/2019 pubblicata in data 04/07/2019;

Corte Cost. Sent.280/2005;

CTP di Siracusa Sez. I,  sentenza n. 394/19 depositata il 05.02.2019;

Cass. Sez. I, 19 giugno 1975, n.2436.


PAR. 2 GLI  EFFETTI SOSTANZIALI  DEL CONSOLIDAMENTO DELLA  PRETESA TRIBUTARIA SULL’ECCEZIONE  DI PRESCRIZIONE

Il consolidamento della pretesa tributaria, per effetto della omessa impugnazione dell’atto presupposto, rende irretrattabile l’eccezione di prescrizione antecedente all’atto prodromico e non eccepita nei termini di legge, ma fatta valere con l’atto successivo. Pertanto, la prescrizione antecedente alla notifica della cartella non impugnata, non potrà essere invocata dal contribuente con la notifica dell’intimazione di pagamento.  

Si tratta di un principio ricavabile dalla struttura stessa del processo tributario, quale processo per atti impugnabili, in cui il rapporto processuale viene instaurato con l’impugnazione entro il termine perentorio previsto dall’art. 21 del D.lgs. 546/92. La Corte di cassazione, con Sentenza n. 13134/ 2019, pubblicata il 16.05.2019, ha evidenziato che è intempestiva e inammissibile l’impugnazione dell’intimazione di pagamento avente titolo in un avviso di accertamento precedentemente notificato e non impugnato, fondata non su vizi dell’intimazione medesima, ma su eccezioni afferenti alla pretesa impositiva e che avrebbero dovuto essere fatte valere come vizi dell’avviso di accertamento mediante la relativa impugnazione. Ed invero, la tempestività del ricorso costituisce un presupposto processuale in ogni stato e grado del giudizio, salvi i limiti del giudicato. Nella fattispecie, quindi, la prescrizione della pretesa impositiva, antecedente alla notifica dell’avviso di accertamento, avrebbe dovuto essere fatta valere come vizio dell’avviso di accertamento sotteso all’intimazione impugnata, mediante l’impugnazione del predetto avviso. 

Secondo la giurisprudenza di merito (ex multis: CTP di Siracusa Sez. I, con sentenza n. 394/19 depositata il 05.02.2019) il contribuente che ricorre avverso una intimazione di pagamento successiva alla cartella, riferita a tasse automobilistiche e regolarmente notificata, non può eccepire la mancata notifica del processo verbale di liquidazione,da parte dell’Amministrazione finanziaria, e la prescrizione maturata in data anteriore alla notifica della cartella, atteso che i vizi dell’accertamento non notificato avrebbero dovuto essere contestati con la notifica della cartella ex art. 19, ultimo comma del D.lgs.546/92, norma che dà diritto all’accesso alla tutela recuperatoria solo avverso gli atti non ritualmente notificati. Secondo il giudice di primo grado, se è vero che secondo Cass. SS. UU. 23397 del 17.11.2016, la mancata opposizione a cartella non trasforma l’ordinario termine di prescrizione triennale del tributo in decennale, è anche vero che una volta consolidatasi la pretesa per effetto dell’omessa impugnazione della cartella, diviene irretrattabile l’eccezione di prescrizione anteriore alla cartella e che avrebbe dovuto essere fatta valere con la notifica di quest’ultimo atto. Con la predetta motivazione, il giudice di primo grado ha respinto l’eccezione di prescrizione e rigettato il ricorso. 

Ed invero, le argomentazioni processuali appaiono inconfutabilmente sostenute dai principi di diritto che sorreggono l’istituto stesso della prescrizione. Con l’eccezione di prescrizione non si contesta l’an debeatur della pretesa tributaria, ma si esercita la facoltà di volersene avvalere al fine di ottenere l’estinzione del debito per il decorso del tempo previsto dalla legge nell’inerzia del creditore. Pertanto, sino a quel momento, pur essendo decorso il tempo della prescrizione, il credito esiste, ma è solo in una situazione di quiescenza, atteso che l’eccezione di prescrizione, quale eccezione in senso stretto, non incide sull’an debeatur e non può essere pronunciata d’ufficio, ma può essere pronunciata solo su richiesta di parte. La prescrizione, infatti, tipica eccezione in senso stretto, va opposta con il primo atto utile del procedimento, di cui il contribuente sia venuto a conoscenza, anche attraverso un semplice atto “facoltativamente impugnabile”. Secondo il principio di non contestazione, che opera rispetto ai fatti costitutivi del diritto del ricorrente, ove non siano contestati i fatti estintivi nei termini di legge, non necessita prova della controparte: pertanto, l’Ufficio non ha l’onere di dimostrare con le prove un fatto (inesistenza della decorrenza dei termini di prescrizione) che il ricorrente avrebbe dovuto contestare, quale eccezione in senso stretto, nei termini, ossia con il primo atto utilmente impugnabile, ossia la cartella non opposta. Il limite sostanziale al quale va incontro il principio di non contestazione è la disponibilità del diritto di cui al I comma dell’art. 2937 c.c. ove è sancito che: “Si può rinunziare alla prescrizione solo quando questa è compiuta”. Quindi, il principio di “non contestazione” interagisce direttamente con la norma contenuta nell’articolo 2697 del Codice civile ed è idoneo a mutare la distribuzione dell’onere probatorio o, più correttamente, ad esonerare la parte onerata dal fornire la prova del fatto non contestato, senza necessità di produrre atti interruttivi, nel caso della prescrizione e, proprio in questi termini, l’Amministrazione finanziaria non era tenuta a fornire prova della notifica del processo verbale di liquidazione della tassa automobilistica. 

In altri termini, il ricorrente avrebbe dovuto contestare la prescrizione con il primo atto ritualmente ricevuto, mentre in realtà è incorso in decadenza, con l’effetto della irretrattabilità dell’eccezione di prescrizione. In verità, l’art. 2938 c.c., dal titolo: “Non rilevabilità d’ufficio”, stabilisce che “Il giudice non può rilevare d’ufficio la prescrizione non opposta”, ponendo in rilievo che, ai sensi dell’art. 112 c.p.c., si tratta di una tipica figura di exceptio in senso proprio.  Il che equivale a dire che l’eccezione di prescrizione è rimessa alla facoltà di scelta della parte, non essendo rilevabile d’ufficio dal giudice

Sul punto, non sono state sollevate perplessità in giurisprudenza e in dottrina, vista la chiarezza della portata letterale della norma. Come è noto, la prescrizione risponde all’esigenza di rimuovere l’incertezza nei traffici e rapporti giuridici, conseguente al trascorrere del tempo. Tuttavia, nonostante la finalità e la chiarezza della norma, qualche dubbio sorge dalla doppia chiave di lettura che viene data alla stessa, in quanto: 

  1. il Codice del 1942 propone una impostazione della prescrizione in chiave sostanziale: infatti, l’art. 2934 cod. civ. descrive la prescrizione come fatto estintivo del diritto, circostanza quest’ultima che ha consentito alla dottrina tradizionale di collocare la prescrizione fra i modi di estinzione delle obbligazioni;
  2. al contrario, secondo l’impostazione processuale, più recente, l’eccezione di prescrizione, in termini processuali, va inquadrata alla stessa stregua di una semplice opposizione al giudizio. Per questa via si afferma che il decorso del tempo non comporta l’estinzione automatica del diritto, ma implica soltanto la possibilità di paralizzare, con l’eccezione di prescrizione, l’azionabilità del diritto medesimo operata dal creditore, onde determinare il rigetto della pretesa creditoria avversaria; tuttavia, se questa azione paralizzatrice non viene esercitata nei termini di legge, dovrà intendersi sostanzialmente rinunciata per l’intervenuta decadenza processuale dal termine entro cui opporre l’eccezione in senso stretto. Ciò vale a maggior ragione nel processo tributario, di natura strettamente impugnatoria, ove non è ammessa l’azione di accertamento negativo del credito, seppur si sia aperto un varco in giurisprudenza attraverso la creazione della “teoria degli atti c.d. facoltativamente impugnabili”. Pertanto, secondo la dottrina processuale, l’eccezione di prescrizione si configura alla stregua di eccezione ad impugnandam actionem, ispirata al principio dispositivo. Solo chi può disporre di un diritto potrà concretamente esercitarlo, ma dovrà esercitarlo nei termini di legge. In quest’ottica, occorre comprendere la portata delle norme regolanti la prescrizione e il loro coordinamento con la natura impugnatoria del processo tributario per dare una chiave di lettura alla previsione di cui all’art. 2937 cod. civ., secondo la quale la prescrizione può essere oggetto di rinuncia da parte del soggetto legittimato a farla valere, anche attraverso un comportamento di non contestazione, e quella di cui all’art. 2938 cod. civ., secondo la quale la prescrizione, in quanto facoltà rimessa alla libera discrezionalità della parte, non è rilevabile d’ufficio dal giudice

Corollario di tale impostazione è la legittimazione esclusiva della parte interessata a far valere la prescrizione entro i prescritti termini di decadenza, con il primo atto necessario ed indispensabile a farla valere, e la sua non rilevabilità d’ufficio ad opera del giudice, pena la violazione della previsione di cui all’art. 112 cod. proc. civ. 

Pertanto, è palese che la parte che ha ricevuto la notifica di un atto precettivo o ne è venuta a conoscenza aliunde, e non ha opposto in sede di primo atto utile l’eccezione di prescrizione maturata, ha implicitamente rinunciato ad avvalersi della prescrizione, in virtù del principio di non contestazione e del combinato disposto tra gli artt. 2937 c.c. (secondo il quale “La rinunzia può risultare da un fatto incompatibile con la volontà di valersi della prescrizione”), 2938 c.c. (secondo quale “ Il giudice non può rilevare d’ufficio la prescrizione non opposta”) e 112 c.p.c. (secondo il quale “Il giudice deve pronunciare su tutta la domanda e non oltre i limiti di essa; e non può pronunciare d’ufficio su eccezioni, che possono essere proposte soltanto dalle parti”). 

Pertanto, è facile comprendere come il principio sancito dall’art. 2937 c.c. ultimo comma, della rinuncia tacita alla prescrizione, ai sensi del quale “la rinuncia può risultare da un fatto incompatibile con la volontà di valersi della prescrizione”, trovi applicazione pur in assenza di acquiescenza espressa. 

PAR. 3 LA RICHIESTA DI RATEIZZAZIONE E L’EFFICACIA INTERRUTTIVA DELLA PRESCRIZIONE  IN ASSENZA DI ACQUIESCENZA 

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n.16098 del 18 giugno 2018, ha chiarito il principio distintivo tra l’effetto dell’inesistenza di ipotesi di acquiescenza del debito, in seguito a domanda di rateizzazione, che riguarda l’an della pretesa tributaria, e l’effetto interruttivo della prescrizione estintiva incorporata nell’atto della riscossione, che riguarda la differente problematica del quantum debeatur della medesima pretesa. 

La Suprema Corte ha premesso, con l’ordinanza in commento, che secondo i principi stabiliti dalle Sezioni Unite con sentenza n. 19704 del 02.10.2015, la tutela del contribuente, in assenza di notifica della cartella, potrà estendersi anche all’impugnazione delle cartelle mediante i loro estratti di ruolo, atteso che, in tal caso, l’interesse all’impugnazione nasce dalla conoscenza che si abbia dell’atto per il tramite della consegna del suo estratto. Tuttavia, la produzione della richiesta di rateizzazione del debito, pur non costituendo acquiescenza, intesa come mera accettazione del debito da parte del contribuente, nondimeno comporterà l’effettiva conoscenza del debito, che non è accettazione, ma semplice prova della conoscibilità della sua esistenza, in grado di produrre l’effetto dell’interruzione della decorrenza del termine di prescrizione, oltre che della decorrenza del termine perentorio di impugnazione (Cass. sez.5 8 febbraio 2017, n. 3347), essendo la richiesta di rateizzazione incompatibile con l’affermazione del contribuente di non aver ricevuto la notifica delle cartelle, anche se non è stata fornita prova positiva. 

L’ordinanza, richiama un precedente indirizzo giurisprudenziale, abbastanza remoto ( Cass. Sez. I, 19 giugno 1975, n.2436) secondo il quale: “la rateizzazione non costituisce acquiescenza”, poiché la manifestazione di volontà del contribuente non potrà avere effetto sull’an debeatur della pretesa tributaria, ma la stessa manifestazione di volontà, tipica della richiesta di rateizzazione, anche se non esprima la chiara rinunzia al diritto di contestazione del merito della pretesa tributaria, sarà rilevante per quanto concerne il quantum debeatur, nel senso che è vincolante per il contribuente, limitatamente ai dati a tal fine forniti ed accettati”. Da questa disamina non sfuggirà all’interprete che, con l’ordinanza in commento, la Corte di Cassazione ha distinto i due differenti concetti di “acquiescenza” e “consapevolezza” del debito, in seguito alla richiesta di rateizzazione, ed i loro differenti effetti. 

L’inesistenza dell’acquiescenza implica che il ricorrente potrà contestare sempre il merito della pretesa e, quindi, l’an debeatur in riferimento a tutte le argomentazioni che riguardano il procedimento che ha condotto alla gestazione e alla nascita del credito tributario da parte dell’Ente impositore, ma allorquando si è formato il titolo esecutivo, ossia laddove la funzione cognitiva è ormai incontestabile per la sua irretrattabilità, legata alla notifica degli atti prodromici non impugnati, nulla quaestio

La questione si ripropone nell’ipotesi in cui questa irretrattabilità non si è conclamata in un atto, a causa del vizio di notifica che lo ha reso inefficace, ma nella fattispecie si è realizzata con un mezzo di conoscenza atipico o attraverso mezzi facoltativi o manifestazioni di volontà che rendono inconfutabile non già la conoscibilità dell’atto nella sua interezza e, quindi nella sua motivazione effettiva, tale da consentirne l’impugnazione nell’an debeatur, ma la presunzione di conoscenza che, in ogni caso, è in grado di rimettere alla libera valutazione del contribuente la contestazione o non contestazione del quantum debeatur

La consapevolezza del debito esternata con la manifestazione di volontà di rateizzarlo, pur non comportando accettazione del debito nel senso sopra delimitato e secondo l’insegnamento della Cassazione del 1975 citata, diviene rilevante per ciò che concerne il quantum debeatur, che riguarda tipicamente la contestazione della prescrizione, atteso che il debito prescritto non è un debito inesistente, ma un debito quiescente. 

Infatti, con l’eccezione di prescrizione non si contesta l’an debeatur, ma si esercita la facoltà di avvalersi dell’istituto per ottenere l’estinzione del debito quale conseguenza dell’inerzia del creditore protratta per il tempo di volta in volta previsto dalla legge, quindi, si contesta un fatto giuridico differente e successivo alla formazione dell’atto giuridico che ha generato la pretesa tributaria. Pertanto, sino a quel momento il credito esiste, ma è solo quiescente, atteso che l’eccezione di prescrizione, quale eccezione in senso stretto, non incide sull’an debeatur, ma una volta esercitata paralizza l’azione del creditore e, di contro, una volta estinto il debito prescritto con il pagamento, non è consentita la ripetizione di quanto spontaneamente pagato, attesa la scissione dei fatti costitutivi dell’obbligazione pecuniaria nei due distinti elementi dell’an e del quantum debeatur. 

Dott. Francesco Rubera