Cass. SS.UU. 23397/2016; Cass. Sent. n.13134/ 2019, pubblicata il 16.05.2019;  Cass. 24106 del 27/09/2019; Cass. Ord. n.16098 del 18 giugno 2018; Cass. Ord.n.18005/2019 pubblicata in data 04/07/2019; Corte Cost. Sent.280/2005; CTP di Siracusa Sez. I,  sentenza n. 394/19 depositata il 05.02.2019; Cass. Sez. I, 19 giugno 1975, n.2436


 

PREMESSA

La prescrizione dopo la notifica della cartella esattoriale ripropone alcuni aspetti problematici che, seppur superati, all’indomani della Sentenza Cass. SS.UU. 23397/2016, riemergono in seguito alla recente pronuncia Cass. 24106 del 27/09/2019 che, da più parti viene ritenuta fautrice dell’applicazione della prescrizione decennale limitatamente alle cartelle di natura tributaria in forza dell’art.20, comma 6, del d.lgs.112/99, escludendola categoricamente alle cartelle di natura contributiva. In realtà, la sentenza fa riferimento all’applicazione della prescrizione decennale, limitatamente alla procedura di discarico per inesigibilità delle cartelle tributarie, che è cosa ben diversa dall’applicazione della prescrizione decennale nei rapporti con il contribuente, come di seguito si spiegherà. Sotto altro profilo, alcune criticità emergono in seguito al consolidamento della pretesa tributaria, per effetto della omessa impugnazione dell’atto presupposto che rende irretrattabile l’eccezione di prescrizione antecedente all’atto prodromico che sia invocata con l’atto successivo (Cass. Sent. n.13134/ 2019, pubblicata il 16.05.2019). Infine, un cenno a parte merita il recente orientamento della Corte di Cassazione con l’Ordinanza n.16098 del 18 giugno 2018 che ha chiarito il principio distintivo tra l’effetto della mancata acquiescenza del debito, in seguito a domanda di rateizzazione, che riguarda l’an della pretesa tributaria e l’effetto interruttivo della prescrizione estintiva incorporata nell’atto della riscossione, che riguarda la differente problematica del quantum debeatur della medesima pretesa e che, quindi, considera la domanda di rateizzazione un valido atto interruttivo della prescrizione. Si tratta di indirizzi seguiti dalla giurisprudenza di legittimità che fanno comprendere la complessità del sistema della prescrizione tributaria, dovuta in parte alla carenza di norme specifiche sulla prescrizione per i singoli tributi, previste solo in casi rari, e, dall’altro lato viene in evidenza la farraginosità del sistema, attesa l’inesistenza di una norma di interpretazione autentica che dia la giusta e corretta interpretazione della norma amministrativo-contabile sulla prescrizione decennale prevista dall’art. 20, comma 6 del D.lgs.112/99, che in ogni caso, trova applicazione solo in seno alla procedura di discarico per inesigibilità nel rapporto tra gli enti e non ha effetti nei confronti del contribuente, atteso che la comunicazione tra enti, circa i nuovi cespiti patrimoniali da assoggettare ad esecuzione dopo il discarico amministrativo non rappresenta un atto interruttivo nei confronti del contribuente, essendo un atto meramente interno all’amministrazione. Peraltro, dalla lettura della Sentenza delle S.U. 23397/2016, che la stessa sentenza 24106/2019 richiama, viene fatto riferimento alla sua inapplicabilità nei rapporti col contribuente.    

 Par. 1  LA PRESCRIZIONE DECENNALE DELL’AZIONE DI RISCOSSIONE TRIBUTARIA  – CRITICITA’ DELLA GIURISPRUDENZA DOPO L’INTERVENTO DELLE SEZIONI UNITE CON SENTENZA 23397/2019 E L’ORIENTAMENTO SECONDO  CASS. 24106 DEL 27/09/2019  

Com’è noto, la Corte di Cassazione, risolvendo un contrasto giurisprudenziale esistente tra le sezioni, è giunta con Sentenza SS.UU. n. 23397/2016 ha stabilire il principio secondo il quale: “ la definitività del titolo di riscossione per mancata impugnazione entro il termine perentorio dalla sua notificazione, rende la pretesa definitivamente irretrattabile nel merito, ma non determina la trasformazione del termine breve di prescrizione ( quinquennale) in termine lungo ( decennale) attesa l’inapplicabilità dell’art. 2953 c.c. in via analogica ai titoli la cui definitività sia di derivazione amministrativa e non da sentenza passata in giudicato”. La stessa sentenza, che nasce dall’analisi di un caso riguardante una cartella previdenziale, tuttavia ha fatto sorgere qualche dubbio in merito alla portata della prescrizione tributaria, attesa la formulazione letterale dell’art. 20, comma VI del D.lgs.112/99 che, nel regolare le procedure di discarico, fa riferimento espresso ad un termine di prescrizione decennale. L’intervento delle Sezioni Unite ha ulteriormente chiarito le specificità della prescrizione tributaria rispetto alle cartelle rientranti nella giurisdizione dell’A.G.O., ma nel contempo ha lasciato molte perplessità in merito alla natura e alla portata della norma amministrativa richiamata. Il dubbio riguardava l’eventuale portata sostanziale della prescrizione decennale contenuta nella norma. Dopo l’intervento delle S.U. con la nota sentenza 23397/2016 la questione è stata riaffrontata dal legislatore con la prima bozza, poi stralciata, della legge di bilancio 2018, laddove era previsto che: “gli articoli 49 e 50 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n.602, si interpretano nel senso che il diritto alla riscossione dei carichi affidati all’Agente della Riscossione, si prescrive con il decorso di 10 anni, quando riguardo ad essi è stata notificata e non opposta nei termini la cartella di pagamento ovvero uno degli atti di cui agli articoli……omissis”. Si è discusso tanto sulla portata della norma inserita in bozza, secondo la tesi prevalente si trattava di norma innovativa e, quindi, non poteva trovare applicazione nel sistema tributario con efficacia retroattiva, senza violare l’art.3 dello statuto del contribuente, peraltro lo stesso statuto all’art. 8, n.3, non consente l’introduzione di termini di prescrizione e decadenza oltre il limite ordinario previsto dal codice civile e, il codice civile prevede fattispecie a prescrizione breve (art.2948, n.4 c.c.)  altre a prescrizione lunga (art.2946 c.c.). Secondo altri, la previsione introdotta nella bozza, riguardava una norma di interpretazione autentica, relativamente alla prescrizione decennale, suscitando una serie di perplessità in ordine alla scelta del legislatore, per la sua collocazione all’interno dello stesso articolo, inserito nel testo della vecchia bozza, che prevedeva la cessione dei crediti insoluti dal 2000 al 2010, mediante cessione pro-soluto, a società di cartolarizzazione, tramite gara di evidenza pubblica per un prezzo base non inferiore a 4.086 milioni di euro. Invero, l’applicazione retroattiva della prescrizione decennale alle cartelle non impugnate entro 60 giorni, contrastava con il principio della certezza del diritto, oltre che con la stessa previsione dell’art.8 della legge 212/2000, specie dopo la pronuncia delle Sezioni Unite in tema di prescrizione e actio iudicati, che riteneva inapplicabile la prescrizione decennale ai titoli non derivanti da giudicato giudiziale, impedendo l’applicazione analogica della disposizione dell’art.2953 c.c. ai titoli di origine amministrativa definitivamente irretrattabili per omessa impugnazione nei termini di legge. Ed invero, il presunto ricorso ad una norma di interpretazione autentica, apparentemente atipico nella fattispecie, celava al contrario, un tentativo da parte del legislatore di introdurre una norma innovativa, in contrasto con lo Statuto del contribuente. La nostra analisi si soffermerà solo ed esclusivamente alle motivazioni di diritto, relativamente a questo ultimo aspetto. In realtà, secondo l’art. 3 dello Statuto del Contribuente “ le disposizioni tributarie non hanno effetto retroattivo, salva l’ipotesi di cui all’art. 1, comma 2, che a sua volta prevede che: ” l’adozione di norme interpretative, in materia tributaria, può essere disposta soltanto in casi eccezionali e con legge ordinaria, qualificando come tali le disposizioni di interpretazione autentica”. Ne discende il corollario che la deroga al principio di irretroattività della norma tributaria è ipotizzabile solo in casi eccezionali e qualora ricorrano ipotesi di gravi contrasti interpretativi tra le norme di derivazione giurisprudenziale e la volontà del legislatore, contrasto che va risolto attraverso la norma di interpretazione autentica. Il legislatore dello Statuto del contribuente ha  trovato una soluzione di compromesso tra la salvaguardia delle ragioni della certezza del diritto, senza far ricorso a prestazioni imposte aventi efficacia retroattiva e tali da lasciare il contribuente esposto indefinitamente alla pretesa del fisco, con  l’interesse della certezza dell’interpretazione costante della norma nel tempo, al fine di evitare disparità di trattamento tra i contribuenti per fattispecie identiche”. In verità, nell’analisi complessa dell’istituto della prescrizione decennale non v’è corrispondenza tra il dato normativo complessivo e il risultato limitativo che parte della dottrina ha voluto attribuire alla lettura della Sentenza SS.UU. 23397/2016, ove l’unico ius superveniens è delimitato alla inapplicabilità dell’actio iudicati riguardo ai titoli resi definitivi dall’omessa  tempestività dell’impugnazione, nulla mutando in relazione alle regole sostanziali della prescrizione, che il codice civile distingue in linea generale, tra termine di prescrizione breve, per le prestazioni periodiche e termine di prescrizione lungo, per le prestazioni unitarie, salvo deroghe espressamente previste dalle singole disposizioni di legge. Per tali ragioni sarebbe stata auspicabile una norma di legge di interpretazione autentica, idonea a spiegare i suoi effetti ex tunc, superando l’ostacolo dell’efficacia innovativa posto a divieto di irretroattività della legge tributaria. In verità, riguardo alla prescrizione tributaria, salvo qualche particolare  richiamo espresso, relativamente a singoli tributi o accessori al tributo principale ( ad es. in materia di sanzioni tributarie), la materia è stata sempre regolata da norme di derivazione interpretativa della giurisprudenza, che facendo ricorso all’analogia ha dato un inquadramenti sistematico alla materia della prescrizione dei singoli tributi: 1) a volte facendo riferimento alla prescrizione lunga, decennale ( art.2946 c.c.); 2) altre volte facendo leva sulla prescrizione breve, quinquennale ( art.2948, n.4 c.c. ad es. in materia di tributi comunali), ma in linea generale, il legislatore, salvo rari casi ( ad es. sanzioni tributarie e tasse automobilistiche), non ha mai previsto un regime di prescrizione tributaria all’interno delle leggi istitutive dei singoli tributi, né ha mai regolato la “prescrizione dell’azione di riscossione tributaria”, la cui impostazione si faceva risalire all’interpretazione analogica dell’art. 2953 c.c. Ed invero, il legislatore, dopo la formazione del titolo esecutivo,  ha regolato solo i termini di decadenza, ad es. con l’art. 25 del d.p.r. 602/73, relativamente alle imposte erariali. In realtà, l’unico limite riferibile alla prescrizione si ricava dalla lettura dello Statuto del contribuente che pone quale limite invalicabile nella regolamentazione dei termini di prescrizione quello previsto nella disposizione dell’art. 8, comma 3, secondo cui non possono essere stabiliti o prorogati termini di prescrizione superiori  al limite massimo ordinario stabilito dal codice civile. Si tratta infatti dell’unica norma in cui è contenuto un rinvio esplicito al codice civile e che conferma l’orientamento del legislatore tributario di adottare l’istituto della prescrizione, mutuandolo dalla disciplina civilistica. A questo punto occorre risalire alla dizione letterale del legislatore dello Statuto sul concetto di “limite massimo ordinario stabilito dal codice civile”. Una prima soluzione, riconduce al limite massimo temporale previsto dall’art.2946 c.c., che stabilisce il termine ordinario in dieci anni; mentre l’altro, fa salve le deroghe per  le prestazioni tributarie, considerate periodiche, ove trova applicazione anche il limite dell’art.2948, n.4 c.c. Quindi, il limite massimo ordinario stabilito dal codice civile fa riferimento non solo alla durata della prescrizione ordinaria, ma anche alla natura dell’obbligazione, fatte salve specifiche disposizioni di legge, e non può essere derogato in modo peggiorativo per il contribuente, né può essere stabilito un termine più lungo attraverso una nuova norma che preveda un termine di prescrizione superiore rispetto a quella massima consentita dal codice civile. In ogni caso, il legislatore, senza ricorrere alla deroga, potrà fissare termini di prescrizione più brevi. Pertanto, alla luce delle disposizioni statutarie, trova applicazione l’intera disciplina civilistica della prescrizione, ad eccezione delle disposizioni ritenute incompatibili con i principi dell’ordinamento tributario. La normativa fiscale, laddove fornisca una disciplina specifica, come nel caso delle sanzioni tributarie prescrivibili in 5 anni o le tasse automobilistiche prescrivibili in 3 anni, prevale su quella civilistica. Posto, infatti, che il procedimento tributario è un procedimento complesso, che si articola in più fasi che iniziano con l’accertamento e si concludono con la riscossione volontaria e, finanche con la riscossione coattiva nelle ipotesi di inadempimento in seguito all’omesso versamento volontario, ci si chiede quale regime di prescrizione debba operare nelle diverse fasi dell’attività di formazione ed esecuzione della pretesa. A questa domanda, la legge nulla ha disposto per anni e nell’opera di ricostruzione interpretativa della giurisprudenza si erano formati due filoni d’interpretazione: 1) da un lato si era creato un indirizzo giurisprudenziale propenso all’applicazione analogica dell’art. 2953 c.c., relativamente ai titoli esecutivi definitivi per decorrenza dei termini di impugnazione, quindi di natura amministrativa, e non derivanti da giudicato giudiziale; 2) altra giurisprudenza, di contrario avviso, riteneva limitare l’applicazione dell’actio iudicati solo ai titoli esecutivi derivanti da sentenze passate in giudicato, aderendo all’interpretazione letterale della norma dell’art.2953 c.c., con il conseguente divieto di estensione analogica ai titoli di natura amministrativa, definitivamente irretrattabili per mancata impugnazione. Com’è noto, il contrasto giurisprudenziale è stato risolto dalla Cassazione a Sezioni Unite con la sentenza n.23397/2016 che ha statuito il principio oramai consolidato, secondo il quale l’actio iudicati trova applicazione solo per i titoli esecutivi tributari derivanti da sentenze passate in giudicato, quindi i titoli accertati giudizialmente. Va evidenziato che la predetta sentenza, parte dall’analisi di un’ordinanza di rimessione su un giudizio sorto presso il Tribunale di Catania relativo a cartella esattoriale per crediti Inps di natura contributiva. Ed invero, per i crediti di natura contributiva, la prescrizione è quinquennale a partire dal 1 gennaio 1996, ai sensi dell’art. 3, comma 9, della legge 8 agosto 1995, n.335, e non è applicabile altro regime prescrizionale se non quello quinquennale, secondo quanto statuito dalle Sezioni Unite visto il divieto di estensione analogica dell’art.2953 c.c. alle cartelle divenute definitive per omessa impugnazione nei termini di legge. Ma le Sezioni Unite con la sentenza 23397/2016 si sono spinte oltre, analizzando pure l’applicabilità del predetto principio alle cartelle di natura tributaria. Infatti, in materia contributiva, vige il principio della irrinunciabilità della prescrizione, secondo cui: non è ammessa la possibilità di effettuare versamenti a regolarizzazione di contributi arretrati, dopo che rispetto ai contributi stessi sia intervenuta la prescrizione, pertanto, le contribuzioni di previdenza e assistenza sociale obbligatoria sono soggette a prescrizione e non possono essere versate dopo il decorso del relativo termine. Pertanto, allo spirare del termine, l’Ente di previdenza non può procedere all’azione coattiva rivolta al recupero delle omissioni, ed è tenuto a restituire d’ufficio il pagamento del debito prescritto effettuato anche spontaneamente in deroga alla disposizione contenuta nell’art.2940 cc secondo cui: “Non è ammessa la ripetizione di ciò che è stato spontaneamente pagato in adempimento di un debito prescritto”, norma che, invece, trova applicazione nella prescrizione tributaria. Tuttavia , concludono le Sezioni Unite del 2016, per le cartelle tributarie esiste un dato normativo che proviene da un decreto legislativo che regola i rapporti tra Ente impositore e Agente della Riscossione, avente natura amministrativa, poiché regolante i rapporti tra Ente impositore di natura tributaria e Agente della Riscossione. Infatti, l’art. 1, comma 683 della legge n. 190 del 2014, che ha introdotto l’art. 20, comma 6, del D.lgs.112/99, in vigore dal 1° gennaio 2015, dispone che: “l’ente creditore, qualora nell’esercizio della propria attività istituzionale individui, successivamente al discarico, l’esistenza di significativi elementi reddituali o patrimoniali riferibili agli stessi debitori, può, a condizione che non sia decorso il termine di prescrizione decennale, sulla base di valutazioni di economicità e delle esigenze operative, riaffidare in riscossione le somme, comunicando all’Agente della riscossione i nuovi beni da sottoporre ad esecuzione, ovvero le azioni cautelari o esecutive da intraprendere…”. La norma è applicabile solo alla procedura di discarico delle quote inesigibili nella riscossione coattiva tributaria, poiché è inserita nel decreto legislativo n.112/99, in attuazione della legge delega n. 337 del 1998, e riguarda esclusivamente la riscossione tributaria. Essa è riferita al servizio della riscossione dei tributi organizzato dal Ministero delle Finanze, mentre per le entrate previdenziali la riscossione è regolata dalle norme del capo III del decreto legislativo 9 luglio 1997, n.241. Quest’ultimo decreto non prevede il discarico per inesigibilità e, quindi non prevede l’applicazione dell’art. 20 del D.lgs.112/99, che regola la riscossione fiscale. La stessa Sentenza 23397/2016 richiama esplicitamente questa particolare specificità di applicazione del D.lgs.112/99, limitandola alla riscossione fiscale. E’ di tutta evidenza, quindi, che allorquando il legislatore del novellato art.20, comma VI, del D.lgs. 112/99, richiama la prescrizione decennale dell’azione di riscossione, elevandola a “condicio sine qua non” per l’espletamento delle nuove procedure di riscossione sul patrimonio del debitore, di cui si abbiano notizie dopo il discarico, non fa altro che manifestare la ben precisa volontà che, dopo il discarico per inesigibilità, la prescrizione divenga decennale. Il dubbio dell’applicazione del predetto termine è risolto dalle stesse Sezioni Unite allorquando viene sostenuto che la norma, seppur utilizzi l’espressione ellittica “ prescrizione decennale”, debba essere letta nel contesto del d.lgs.112/99 e della sua natura amministrativo- contabile. E’pur vero, tuttavia, tanto da apparire paradossale e contraddittorio, che a fronte di una tassa smaltimento rifiuti, di una sanzione tributaria o di una tassa automobilistica, a prescrizione breve, si agisca in via esecutiva, in virtù delle segnalazioni dell’Amministrazione finanziaria, ed in ossequio al disposto dell’art.20 citato, dopo il termine di prescrizione breve, ma entro il decennio, poiché il giudice si troverebbe di fronte a due termini diversi, derivanti da due norme contrastanti, da un lato la prescrizione dell’azione (decennale art. 20, comma VI citato) e dall’altro la prescrizione breve del tributo ( quinquennale art. 2948 n.4 c.c.) e  il contrasto potrebbe apparire irrisolvibile di fronte ad una opposizione del debitore. In altri termini, il dubbio apparente è se, nonostante il ridimensionamento della portata dell’art.2953 c.c., dopo l’intervento delle S.U., la prescrizione decennale tributaria continui a sopravvivere in virtù del dato normativo dell’art. 20 comma VI del D.lgs. 112/99 che prevede un termine di prescrizione decennale nei casi in cui l’ente creditore nell’esercizio della propria attività istituzionale individui, successivamente al discarico, l’esistenza di significativi elementi reddituali o patrimoniali riferibili agli stessi debitori. In altri termini, può un termine di prescrizione riespandere la sua durata ed essere prorogato in forza di un atto amministrativo interno alla P.A.? Se è vero che l’art.2953 c.c. si applica solo ai casi di accertamento fondato su un giudicato giudiziale, è  altrettanto vero che la prescrizione decennale dei titoli tributari in fase di riscossione coattiva trova il suo fondamento nella differente fattispecie citata nella norma speciale dell’art. 20, comma 6, del D.lgs.112/99? Le domande contrastano con i principi generali dell’ordinamento giuridico, attesa la disposizione dell’art.8, comma 3 della legge 212/2000.  Ed è proprio dalla lettura della Sentenza 23397/2016 delle Sezioni Unite che appare evidente l’esigenza di intervenire con una norma di interpretazione autentica in materia di prescrizione tributaria, atteso che è inconfutabile che, allorquando il legislatore pone l’esercizio del diritto dell’Ente, successivamente al discarico, “a condizione che non sia decorso il termine di prescrizione decennale” non fa riferimento ai soggetti del procedimento di esecuzione forzata tributaria, ossia il soggetto attivo ( agente della riscossione) e il soggetto passivo ( contribuente), ma al rapporto tra Enti in sede di regolamentazione della procedura amministrativa di discarico, mentre la volontà del legislatore nella formulazione dell’art. 20, comma VI del D.lgs. 112/99, appare evidentemente diretta ad un intervento che legittimi la durata decennale della prescrizione per il recupero dei crediti tributari. Questa elaborazione ha spinto la dottrina, l’indomani della sentenza delle S.U. a discutere dell’ulteriore figura della c.d. “prescrizione dell’azione di riscossione” che differisce dalla prescrizione dell’accertamento tributario. Conseguentemente, secondo questo indirizzo la disposizione dell’art. 49 e 50 del D.p.r. 602/73, che è stata  introdotta nella prima bozza della legge di bilancio 2018 non aveva alcuna efficacia innovativa, ma semplicemente natura di norma di interpretazione autentica, interpretativa di una norma già esistente, se letta in combinato disposto con l’art.20, comma VI del D.lgs.112/99. Tuttavia, per l’originaria formulazione, la bozza della legge di bilancio presentava alcune falle incolmabili: infatti, il legislatore della bozza non ha distinto i titoli esecutivi di natura contributivo – previdenziale, dai titoli esecutivi relativi alla riscossione coattiva fiscale. Il disposto normativo è stato stralciato della bozza della legge di bilancio e la vicenda è riapprodata in Cassazione. Nel mese di luglio 2019 con l’ordinanza n.18005/2019 pubblicata in data 04/07/2019 è stato chiarito che ai contributi Inps non si applica la prescrizione tributaria decennale, prevista dall’art.20, comma 6, del d.lgs. 112/99. La Suprema Corte ha chiarito che la disposizione in sede di discarico per inesigibilità vale solo nei rapporti amministrativo- contabili tra Enti tributari ed Agente della Riscossione. Essa ha natura amministrativa, trovando applicazione solo riguardo ai carichi tributari, atteso che in materia previdenziale, non trovano applicazione gli artt. 19 e 20 del D.lgs. 112/99, che regolano il discarico per inesigibilità dei carichi tributari. La predetta decisione ha trovato conferma nella Sentenza 24106 del 27.09.2019, che tuttavia ha fatto sorgere qualche dubbio, riconoscendo nella disposizione normativa un effetto sostanziale sull’esatta portata del termine della prescrizione tributaria. Con la sentenza in argomento, la Suprema Corte ha espressamente richiamato l’inapplicabilità dell’art. 20, comma 6 del D.lgs.112/99 per il caso in questione, che riguardava una cartella per contributi previdenziali INPS, rigettando il ricorso dell’AdER, tuttavia, dopo aver richiamato la sentenza delle SS.UU. 23397/2016, ha ribadito l’applicabilità della prescrizione decennale derivante dal citato art. 20, comma 6° del D.lgs.112/99 solo per i carichi tributari, dando al periodo di prescrizione decennale una portata sostanziale, applicabile limitatamente alle cartelle tributarie. Ed invero, in materia di prescrizione tributaria, in virtù della giurisprudenza consolidata, si è sempre affermato il principio generale che distingue i tributi iscritti a ruolo a prescrizione breve da quelli a prescrizione lunga. Secondo il citato orientamento maggioritario, i tributi a prestazioni periodiche sono a prescrizione quinquennale ai sensi dell’art 2948, n 4 cc. Il principio è ribadito dalla recente Cassazione (Ord. 29996 del 2018 depositata in data 20.11.2018) che ha ribadito la prescrizione quinquennale per i tributi comunali trattandosi di obbligazioni a prestazioni periodiche. Secondo l’orientamento citato, mentre per le imposte statali si è in presenza di prestazione unitaria, poiché i singoli periodi di imposta sono autonomi e l’esistenza del debito dovrà essere valutata anno per anno, in base alla dichiarazioni annuali, ove i singoli anni solari rappresentano obbligazione autonoma e non periodica, avente una propria autonomia legata alla variabilità degli eventi produttivi del reddito e quindi idonei al calcolo della capacità contributiva in base alla ricchezza prodotta per anno solare; per i tributi comunali, legati a dichiarazione iniziale di detenzione dell’immobile, modificabile in relazione al mutare dei presupposti dell’autodenuncia iniziale (ad es. ampliamento immobile e variazione superficie), la prestazione è periodica, rateale e in assenza di denunce modificative o accertamenti d’ufficio, il ruolo viene formato sulla scorta delle risultanze del ruolo dell’anno precedente, non è previsto obbligo di denuncia annuale. La Cassazione ha sempre differenziato la prescrizione a seconda delle tipologie dell’obbligazione tributaria, applicando a volte l’art 2946 cc e altre volte l’art. 2948, n. 4 c.c. in virtù del principio richiamato. La pronuncia 24106 del 27.09.2019, rimette in dubbio il citato principio, anche se la giurisprudenza della stessa Cassazione è stata sempre altalenante in merito all’applicazione dell’art. 2946 c.c. o 2948 n.4, vista l’assenza di una normativa speciale per le singole tipologie di tributi. Tuttavia, per la prima volta, un punto fermo viene segnato dall’ultima pronuncia della Cassazione SS.UU. (Sentenza 23397/2016 , par. 19.4 e 19.5), ove si dimensiona la portata dell’art.20, comma VI del decreto legislativo 112/99, che ha spinto parte della dottrina a parlare per la prima volta della c.d. “prescrizione dell’azione di riscossione tributaria”. La sentenza, secondo alcuni, ha posto in luce il principio dell’applicazione della prescrizione decennale per l’azione di riscossione coattiva tributaria, a prescindere dalla tipologia di tributo, in virtù dell’art. 1, comma 683, L. 23 dicembre 2014 n. 190, in vigore dal 1° gennaio 2015 che dispone: l’ente creditore, qualora nell’esercizio della propria attività istituzionale individui, successivamente al discarico, l’esistenza di significativi elementi reddituali o patrimoniali riferibili agli stessi debitori, può, a condizione che non sia decorso il termine di prescrizione decennale, sulla base di valutazioni di economicità e delle esigenze operative, riaffidare in riscossione le somme, comunicando all’agente della riscossione i nuovi beni da sottoporre a esecuzione, ovvero le azioni cautelari o esecutive da intraprendere …. Nel prevedere un successivo nuovo affidamento dell’azione esecutiva all’Agente della Riscossione, successivo al discarico, la norma pone la condizione che non sia trascorso il termine di prescrizione decennale, confermando, secondo questa interpretazione minoritaria,   che addirittura, per il legislatore, la prescrizione dei tributi iscritti a ruolo sia sempre decennale, nella fase di riscossione coattiva tributaria dopo la notifica della cartella. Dall’interpretazione letterale di tale previsione, secondo la tesi in argomento, si avrebbe la conferma della durata decennale della prescrizione. In verità, questa tesi si scontra con un dato oggettivo già valutato in premessa: tra i soggetti cui fa riferimento la norma, non vi è il contribuente, ma l’Ente impositore e l’Agente della riscossione. Ed invero, occorre precisare che la disposizione, di natura amministrativa, va letta alla luce del presupposto che la origina, ossia la particolare procedura di discarico e l’esistenza di significativi elementi reddituali o patrimoniali riferibili agli stessi debitori, successiva al discarico, che legittima la notificazione di una nuova intimazione di pagamento, su input dell’amministrazione finanziaria a condizione che non sia decorso il termine di prescrizione decennale. Pertanto, a parere di chi scrive e alla luce dei principi costituzionali e giurisprudenziali che si ricavano dall’insegnamento delle S.U. che non consentono l’adozione di termini incerti che lascino il contribuente indefinitamente assoggettato all’azione esecutiva del fisco ed in virtù del principio di specialità della disposizione, che si inserisce in un contesto normativo che regola i rapporti tra Ente impositore e Agente della riscossione, appare più corretta l’impostazione che considera il richiamo espresso nella norma alla c.d. “condizione che non sia decorso il termine di prescrizione decennale”, quale termine applicabile tra la data del discarico amministrativo operata dall’Ente, che coincide con la notifica del decreto di discarico fatta all’Agente della riscossione e che ha valore liberatorio per quest’ultimo, e la data in cui viene effettuata la comunicazione di attivare le nuove procedure sui nuovi beni rinvenuti da A.T., fermo restando che il termine di prescrizione per il contribuente, va calcolato con dies a quo, decorrente dall’ultimo atto interruttivo notificato, idoneo a metterlo in mora e dies ad quem coincidente con la data di notifica dell’intimazione di pagamento prevista dall’art. 20 citato, in base alle nuove notizie trasmesse dall’Ente e tenuto conto della disciplina che regola la prescrizione tributaria del singolo tributo, se a prestazione periodica o a prestazione unitaria. Si tratta quindi di due prescrizioni differenti, separate l’una dall’altra e che hanno efficacia estintiva di due  differenti diritti: 1) il diritto amministrativo al discarico amministrativo da responsabilità contabile dell’Agente della riscossione; 2) il diritto sostanziale ad esigere la pretesa tributaria dell’Ente impositore nei confronti del contribuente. E’ di tutta ovvietà, infatti, che qualora sia decorso il termine di prescrizione tributaria a favore del contribuente, in pendenza di prescrizione decennale per l’Ente nei rapporti con l’Agente della riscossione, l’eventuale notifica dell’intimazione di pagamento per le notizie sopravvenute in seguito “all’esistenza di significativi elementi reddituali o patrimoniali”, non rappresenta atto illegittimo. Invero, l’eccezione di prescrizione è eccezione in senso stretto che solo l’interessato può far valere, non può essere pronunciata d’ufficio dal giudice. Il ricorso all’autotutela su istanza del contribuente, potrebbe realizzare l’effetto di paralizzare l’azione di recupero del credito prescritto ed, al contempo efficace a rendere definitivamente chiusa la procedura di discarico, seppur con esito sfavorevole per l’ente esattore. Infatti, fermo restando che non possono essere applicati termini nuovi di prescrizione e  peggiorativi a carico del contribuente, non v’è alcun dubbio che la comunicazione tra enti, circa i nuovi cespiti patrimoniali da assoggettare ad esecuzione dopo il discarico amministrativo, non rappresenta un atto interruttivo nei confronti del contribuente, ma un atto meramente interno all’amministrazione che inizia a produrre effetti nei confronti del cittadino solo dopo la notifica dell’intimazione di pagamento prevista dall’art. 20 citato. Secondo un principio oramai consolidato, anche nella giurisprudenza Costituzionale (Corte Cost. Sent.280/2005), il cittadino non potrà vedersi applicare termini diversi di prescrizione ed essere assoggettato indefinitamente all’azione del fisco, in forza di un termine meramente interno agli atti amministrativi della P.A. La  norma dell’art.20, comma 6 del D.lgs.112/99 disciplina, con la notifica dell’intimazione di pagamento al contribuente, dopo il discarico amministrativo, l’atto iniziale di intimazione dell’azione esecutiva su un titolo esecutivo esistente ed unico, portato a conoscenza con la notifica della cartella di pagamento o dell’avviso di accertamento esecutivo, mentre il procedimento che origina dall’attività dell’amministrazione finanziaria, dopo il discarico, diretto ad accertare “l’esistenza di significativi elementi reddituali o patrimoniali riferibili al debitore, successiva al discarico e che legittima la notificazione di una nuova intimazione di pagamento, a condizione che non sia decorso il termine di prescrizione decennale”, non rappresenta emissione di un nuovo titolo esecutivo, ma semplicemente il presupposto dell’azione esecutiva che trae origine da un procedimento amministrativo di nuovo accertamento reddituale e patrimoniale, finalizzato al buon esito del recupero in executivis. Il termine decennale non ha carattere sostanziale nel rapporto obbligazionario, ma rappresenta un termine di prescrizione amministrativo intercorrente nel rapporto tra enti. La notifica dell’intimazione di pagamento prevista dall’art. 20 citato è  disciplinata dall’art. 50 del d.p.r. n. 602 del 1973. Essa rappresenta il precetto che trova il suo atto prodromico in un titolo esecutivo unico e certo che è la cartella discaricata. La verifica degli elementi reddituali e patrimoniali riferibili al debitore dopo il discarico rappresentano atto esterno alla sfera di conoscibilità del contribuente e interno alla P.A.. Premesso ciò, si può dedurre che, se da un lato il discarico amministrativo ha un effetto liberatorio per l’Agente della riscossione, rappresentando la naturale conclusione del procedimento amministrativo che lo vincola all’Ente, dall’altro lato, esso  non ha alcun effetto liberatorio nei confronti del contribuente che potrà essere assoggettato alla notificazione di atti di intimazione e procedure esecutive anche dopo la procedura di discarico amministrativo, restando inteso che il titolo esecutivo è efficace anche dopo il discarico, restando salva ed impregiudicata per il decennio successivo al discarico l’azionabilità del titolo contro il contribuente, a condizione che non si siano verificati fatti estintivi dell’obbligazione sostanziale sottostante al rapporto tra l’ente e il contribuente. Come è facile comprendere la procedura di diritto al discarico amministrativo è separata dalle sorti del titolo esecutivo e dalla vicenda legata al processo speciale di esecuzione prevista dal rito del d.p.r. 602/73.  In conclusione, nei rapporti con il contribuente non troverà applicazione il termine decennale dell’art. 20 comma 6, del d.lgs.112/99, poiché una differente lettura, oltre a contrastare con la disposizione dell’art. 8, comma 3, della legge 212/2000, in combinato disposto con gli artt. 2948, n.4 c.c. e 2946 c.c. violerebbe i principi fondamentali della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo. Infatti, non solo non sono consentite proroghe ai termini di prescrizione e decadenza, rispetto ai termini massimi previsti dal codice civile e non è consentito l’uso di norme innovative con efficacia retroattiva, motivo per il quale la bozza di legge di bilancio 2018 è stata stralciata dal testo successivamente approvato, ma, nella fattispecie, trova applicazione l’art. 1 del protocollo addizionale della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, laddove sancisce il principio generale secondo il quale: “ ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni …. omissis” e come l’art. 8 della legge 212/2000, rappresenta una norma posta a salvaguardia dell’integrità patrimoniale del cittadino in generale e del contribuente in particolare. Si tratta di norme di rango costituzionale che pongono alla base della loro ratio non solo il diritto della persona alla tutela dell’integrità patrimoniale e della proprietà, ma tendono a dare certezza ai rapporti giuridici e, in subiecta materia, tale intervento si può realizzare solo vincolando con termini certi l’azione esecutiva del fisco, senza  abbandonare il contribuente alla sorte di una esecuzione forzata tributaria sine die e protratta all’infinito, nell’assoluta incertezza del tempo. Secondo la Giurisprudenza della Corte di Strasburgo, nell’applicazione di tale previsione del protocollo aggiuntivo, posto a tutela del diritto di proprietà, nonostante le particolari deroghe disposte per motivi di utilità pubblica e di riscossione delle imposte, materie ove i singoli stati hanno piena autonomia, le norme interne degli ordinamenti nazionali devono soddisfare i caratteri di precisione e non sono ammesse previsioni legislative che riconoscano poteri discrezionali ai legislatori statali in modo tale da rendere imprevedibili i comportamenti dell’autorità e tale da trasformare l’esercizio del potere discrezionale in comportamento arbitrario. In realtà il suddetto principio sancito dall’art.1 del protocollo aggiuntivo alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo ha trovato sino ad oggi parecchie applicazioni in tema di proporzionalità dell’azione esecutiva sui beni del debitore, nondimeno esso deve essere considerato quale principio fondamentale in tema di certezza dell’azione esecutiva, che rappresenta il primo elemento a tutela del rispetto dei beni del cittadino ed a garanzia di un giusto equilibrio con la tutela del diritto del creditore ad agire entro termini certi. Appare quindi chiaro, che alla luce dei recenti interventi legislativi, che hanno limitato quantitativamente l’azione esecutiva del fisco in relazione alle procedure immobiliari; al pignoramento ex art. 48 bis ecc. e agli indirizzi della giurisprudenza delle Sezioni Unite (23397/2016), che ha dettato l’orientamento che limita l’efficacia temporale del titolo esecutivo amministrativo, definitivamente irretrattabile, si assista ad una tendenza chiaramente volta a realizzare un più equilibrato contemperamento dei contrapposti interessi dell’erario e dei contribuenti, la cui derivazione trova riscontro nella norma dell’art. 1 del protocollo aggiuntivo alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo.                           

Dott. Francesco Rubera