Proposizione dell’impugnazione.

L’art. 65 prevede che:

  1. Competente per la revocazione è la stessa commissione tributaria che ha pronunciato la sentenza impugnata.   
  2. A pena di inammissibilità  il ricorso deve contenere gli elementi previsti dall’ art. 53, comma 1, e la specifica indicazione del motivo di revocazione e della prova dei fatti di cui ai numeri 1, 2, 3 e  6  dell’art. 395 del codice di procedura civile nonché del giorno della scoperta o  della falsità dichiarata o del recupero del documento. La prova della sentenza passata in giudicato che accerta il dolo del giudice deve essere data mediante la sua produzione in copia autentica.   
  3. Il ricorso per revocazione è proposto e depositato a  norma  dell’art. 53, comma 2.    

3-bis.  Le parti possono proporre istanze cautelari ai sensi delle disposizioni di cui all’articolo 52, in quanto compatibili. 

Commissione competente. 

La norma in esame riprende il contenuto dell’art. 398 c.p.c. con la differenza, rispetto al codice di rito, della proposizione dell’impugnazione mediante ricorso anziché con atto di citazione.

Competente a giudicare è la stessa commissione che ha pronunciato la sentenza impugnata, ossia la commissione tributaria provinciale qualora si tratti di sentenze di primo grado e la commissione tributaria regionale per le sentenze emesse in grado di appello.

Per commissione competente si intende l’organo giudiziario che ha emesso la sentenza di cui si aspira ad ottenere la riforma. 

Pertanto, potrà essere investita della decisione indifferentemente la stessa sezione, che ha pronunciato la sentenza o altra sezione dello stesso ufficio.

Ad esclusione del caso di dolo del giudice, sulla domanda di revocazione potrà decidere non solo la stessa sezione, ma anche lo stesso giudice che ha preso parte alla formazione della sentenza impugnata.

Qualora il ricorrente si rivolga ad un ufficio giudiziario incompetente, si ritiene possibile la translatio iudicii, seppure con qualche dubbio dal momento che si tratta di giudizio di impugnazione.

Modalità di proposizione e contenuto del ricorso.

Il giudizio di revocazione segue le forme del grado di appello e, pertanto, si impone il rispetto delle norme previste per il procedimento dinanzi alla commissione regionale.

A pena d’inammissibilità, il ricorso deve contenere gli elementi previsti dall’art. 53, comma 1, nonché la specifica indicazione del motivo di revocazione e della prova dei fatti di cui ai nn. 1, 2, 3 e 6 dell’art. 395 c.p.c..

Più precisamente si devono indicare: 

  1. a) la commissione adita; 
  2. b) il ricorrente e le altre parti; 
  3. c) la sentenza che si intende revocare; 
  4. d) i fatti di causa; 
  5. e) la specifica indicazione del motivo di revocazione; 
  6. f) la specifica indicazione della prova dei fatti di cui ai nn. 1, 2, 3 e 6 dell’art. 395 c.p.c.; 
  7. g) la precisa indicazione del giorno della scoperta o della falsità dichiarata o del recupero del documento;
  8. h) l’oggetto della domanda;
  9. i) la sottoscrizione del difensore. 

In sostanza, poiché ci troviamo di fronte ad un mezzo di impugnazione a critica vincolata, il ricorso per revocazione deve contenere, in luogo dei motivi specifici di impugnazione, l’indicazione specifica del motivo di revocazione dedotto che costituisce l’elemento decisivo per valutarne l’ammissibilità oltre al giorno “della scoperta o della falsità dichiarata o del recupero del documento” al fine di stabilire il rispetto del termine perentorio per la proposizione dell’impugnazione.

La giurisprudenza è costante nel ritenere necessaria una precisa esplicazione delle ragioni e dei fatti posti a fondamento della domanda, escludendo la possibilità di integrare o modificare il motivo addotto, o di proporre nuovi motivi (Cass., SS.UU., 6 luglio 1983, sent. n. 4570, Cass., 27 ottobre 1989, sent. n. 4504).

L’inammissibilità del ricorso per carenza degli elementi richiesti è rilevabile d’ufficio, a prescindere dalla formulazione o meno di eccezioni da parte dell’avversario.

Il giudice della revocazione, anche eventualmente prescindendo dalle indicazioni fornite dal ricorrente per ricondurre il fatto revocatorio ad una delle previsioni dell’art. 395 c.p.c.; tuttavia, non potrà elevare a motivo di revocazione un fatto ontologicamente diverso da quello dedotto dall’istante. 

Il ricorso deve essere notificato alle parti del giudizio conclusosi con la sentenza impugnata e, entro trenta giorni dalla notifica, deve essere depositato presso la commissione tributaria competente (a norma degli artt. 20 e 22). 

Il termine è perentorio.

La norma in esame richiede inoltre che la prova del dolo del giudice debba essere data attraverso la produzione di copia autentica della sentenza che lo ha accertato.

Il difetto di tale allegazione non determinerebbe l’inammissibilità del ricorso (dal momento che ciò non è positivamente previsto) ma il rigetto per mancanza della prova richiesta, dato che la norma prevede che tale prova debba essere data esclusivamente a mezzo di siffatta produzione.

Nel caso in cui, per carenza di uno degli elementi di cui sopra, venga dichiarata l’inammissibilità del ricorso per revocazione, sembra doversi ritenere preclusa la riproposizione dell’impugnazione, anche se non ancora spirato il termine, in forza dell’espressa previsione normativa di cui all’art. 60, D.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, che prevede il divieto di riproporre l’appello inammissibile. 

La norma, in forza dell’art. 66 è applicabile anche al processo tributario. 

Tale riproposizione sarà, invece, possibile nella pendenza del termine, nel caso in cui la dichiarazione di inammissibilità non sia ancora intervenuta: il ricorso andrà, in tal caso, a sostituire quello inammissibile.

Trova, infine, applicazione anche nel processo tributario l’art. 398 c.p.c.: il ricorso dovrà, pertanto, essere sottoscritto dal difensore munito di procura speciale, non potendosi questi avvalere di quella rilasciata per il giudizio, che ha condotto alla sentenza impugnata, sempreché non ricorrano le circostanze di cui all’art. 12 comma 5 del decreto in esame.

La proposizione della impugnazione.

La modifica all’articolo 65 del decreto n. 546/1992, che disciplina la proposizione della revocazione delle sentenze, ha riguardato l’introduzione del nuovo comma 3-bis, che vale ad estendere la sospensione dell’esecutività anche alle sentenze impugnate col suddetto mezzo, consentendo alle parti di “proporre istanze cautelari ai sensi delle disposizioni di cui all’art. 52, in quanto compatibili”. 

Il giudice della revocazione dovrà, dunque, sincerarsi non soltanto che ricorra il periculum in mora, ma anche il fumus boni iuris della impugnazione, e, così, che il vizio revocatorio di volta in volta prospettato dal ricorrente sia prima facie plausibile e non, invece, esulante in punto di ammissibilità dalle fattispecie tassative previste dai numeri 1-6 dell’art. 395 c.p.c..  

Quanto alle forme di proposizione dell’istanza, anche in questo caso, si ritiene che, sulla falsariga dell’articolo 47 del decreto n. 546/1992, l’appellante possa presentare l’istanza di sospensione (della sentenza o dell’atto) tanto unitamente allo stesso ricorso ex articolo 65, quanto con atto separato. 

Il procedimento.

L’art.66 prevede che:

  1. Davanti alla commissione tributaria adita per la revocazione si osservano le norme stabilite per il procedimento davanti ad essa in quanto non derogate da quelle della presente sezione.

In modo perfettamente corrispondente alle previsioni processualcivilistiche (art. 400 c.p.c.) l’art. 66 prevede che per il giudizio di revocazione si osservino le norme stabilite per il procedimento davanti alla commissione adita, in quanto non espressamente derogate da quelle del D. lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, dettate per il mezzo di impugnazione in esame. 

Attraverso tale previsione l’art. 66 ha mutato la disciplina, rispetto a quella precedente contenuta nell’art. 41 del D.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636, secondo il quale, nel giudizio di revocazione dovevano osservarsi, sempre nei limiti di compatibilità, le norme relative al procedimento dinanzi alla commissione tributaria di secondo grado. 

In forza del generale principio riconosciuto nel processo civile per cui il giudice può, secondo la sua discrezionale valutazione ricondurre i fatti dedotti dalle parti alle fattispecie normative, anche i componenti le commissioni tributarie hanno la facoltà di ricondurre i fatti dedotti da parte del ricorrente ad un motivo di revocazione diverso rispetto a quello invocato comunque sempre nei limiti della causa petendi dedotta dall’attore (Cass. 5 gennaio 1979, sent. n. 34).

Istruttoria.

Per quanto attiene all’istruttoria, nel giudizio di revocazione può essere disposta l’assunzione di nuovi mezzi di prova che appaiono necessari a fondare l’ammissibilità dell’impugnazione e a condurre alla nuova sentenza. 

Tuttavia, nella fase rescissoria, saranno mantenute le risultanze istruttorie già espletate e le parti si troveranno nella stessa posizione processuale in cui si trovavano nel procedimento che aveva condotto alla sentenza revocata.

Per quanto riguarda i termini e le modalità di presentazione di documenti e memorie e, in genere, per tutto lo svolgimento del processo di revocazione, si seguono le norme applicabili al procedimento dinanzi alle commissioni tributarie provinciale e regionali. 

Circa l’estinzione del giudizio, in forza della applicabilità delle norme del codice di rito, richiamate dall’art. 49 del D. lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, qualora si tratti di revocazione ordinaria l’estinzione determina il passaggio in giudicato della sentenza impugnata. 

Qualora, invece, intervenga l’estinzione del giudizio di revocazione straordinaria, non potendo esso incidere sul giudicato già esistente, si determina solamente il venir meno del potere di impugnazione sulla base dei motivi dedotti. 

La dottrina si oppone all’applicabilità, nel processo tributario, dell’art. 401 c.p.c. in ordine alla possibilità per il giudice di sospendere l’esecutività della sentenza impugnata qualora dall’esecuzione possa derivare un danno grave e irreparabile. 

Poiché la sospensione della sentenza impugnata non è prevista dalla normativa sul processo tributario, la sua ammissibilità solo in ordine a questo mezzo di impugnazione in assenza di previsioni specifiche per esso, viene ritenuta incongrua. 

Tuttavia, è da considerare che, nonostante la presenza del frazionato prelievo a seguito dell’impugnazione, esso va di pari passo con un accertamento della pretesa; pertanto detta sospensione potrebbe essere considerata ammissibile tenuto conto della natura del mezzo, spiccatamente teso a rimuovere una sentenza ingiusta determinata da fatti o eventi indipendenti dalla volontà della parte pregiudicata dalla stessa decisione che si  intende revocare, valutata, naturalmente, al termine della fase rescindente, l’esistenza del pericolo di un danno grave e irreparabile.

La decisione.

L’art. 67 dispone che:

  1. Ove ricorrano i motivi di cui all’art. 395 del codice di procedura civile la commissione tributaria decide il merito della causa e detta ogni altro provvedimento consequenziale.
  2. Contro la sentenza che decide il giudizio di revocazione sono ammessi i mezzi d’impugnazione ai quali era originariamente soggetta la sentenza impugnata per revocazione.

Una volta riscontrata l’ammissibilità dell’impugnazione, la commissione tributaria adita decide direttamente il merito della controversia, dettando i provvedimenti consequenziali alla revocazione della sentenza impugnata. 

Il fatto che nel giudizio di revocazione siano logicamente distinguibili una fase rescindente ed una rescissoria (v. supra art. 64) incide anche sulla pronuncia. 

Infatti, la decisione sfavorevole all’impugnante potrà essere, a seconda dei casi, di inammissibilità o di rigetto per infondatezza dei motivi. 

Se, invece, la decisione accoglie la formulazione dell’impugnante, pur trattandosi di un provvedimento unitario, essa si compone logicamente di due pronunce: la prima provvede a revocare la sentenza impugnata e costituisce presupposto logico della conseguente fase rescissoria o sostitutiva che va ad aprire e che avrà lo scopo di sostituire la sentenza rimossa con altra decisione basata sulle nuove risultanze processuali. 

In altre parole, nell’ipotesi dell’art. 67, il giudice, revocata la sentenza in forza della ritenuta fondatezza del motivo di revocazione e concludendo così la fase rescindente, aprirà la fase rescissoria andando ad esaminare il merito della causa ed assumendo i provvedimenti consequenziali alla suddetta revocazione che riguarderanno, per lo più, la restituzione di somme corrisposte dal contribuente in corso di causa o da questi ricevute a seguito del passaggio in giudicato della sentenza poi revocata.

Impugnazione della sentenza emessa in sede di revocazione.  

In forza del dettato del secondo comma della norma in esame che, nel richiamare l’art. 403 c.p.c. ne ignora completamente il primo comma secondo cui “non può essere impugnata per revocazione la sentenza pronunciata nel giudizio di revocazione”, non sembrano sussistere dubbi sulla revocabilità della sentenza conclusiva del giudizio di revocazione: l’esigenza di rimuovere un’eventuale sentenza ingiusta non viene meno in caso di decisioni emesse al termine di un giudizio di revocazione. 

Per converso, appare utile rilevare che il divieto presente nel processo civile è sottoposto a varie critiche e, persino, si dubita della sua costituzionalità.

Dott.ssa Eleonora Cucchi

Unicusano – Roma