L’art. 17 bis del D. Lgs. 546/92, novellato dal D. Lgs. 24 settembre 2015 n. 156 (1 parte)
L’art. 17 bis esplicitamente sancisce che “l’accordo costituisce titolo per il pagamento delle somme dovute dal contribuente”, non lo costituisce invece per gli accordi che hanno ad oggetto un atto impositivo o di riscossione
L’art. 17 bis del D. Lgs. 546/92, novellato dal D. Lgs. 24 settembre 2015 n. 156, prevede al comma 6 che “Nelle controversie aventi ad oggetto un atto impositivo o di riscossione, la mediazione si perfeziona con il versamento, entro il termine di venti giorni dalla data di sottoscrizione dell’accordo tra le parti, delle somme dovute ovvero della prima rata. Per il versamento delle somme dovute si applicano le disposizioni, anche sanzionatorie, previste per l’accertamento con adesione dall’articolo 8 del decreto legislativo 19 giugno 1997, n. 218. Nelle controversie aventi per oggetto la restituzione di somme la mediazione si perfeziona con la sottoscrizione di un accordo nel quale sono indicate le somme dovute con i termini e le modalità di pagamento. L’accordo costituisce titolo per il pagamento delle somme dovute al contribuente”.
L’art. 17 bis esplicitamente sancisce che “l’accordo costituisce titolo per il pagamento delle somme dovute dal contribuente”, non lo costituisce invece per gli accordi che hanno ad oggetto un atto impositivo o di riscossione; l’art. 48, in materia di conciliazione fuori udienza, riprende la medesima dizione statuendo che “l’accordo costituisce titolo per la riscossione delle somme dovute all’ente impositore e per il pagamento delle somme dovute al contribuente”; l’art. 48 bis, sempre in materia di conciliazione, questa volta in udienza, afferma che “il processo verbale costituisce titolo per la riscossione delle somme dovute all’ente impositore”.
Nei titoli di formazione amministrativa quel grado di certezza, più o meno intenso, ritenuto dal legislatore sufficiente per consentire, ad un tempo, l’assoggettamento del debitore all’esecuzione e per desumere l’improbabilità della contestazione del debitore discende di norma non già oggettivamente dall’atto bensì dalla qualità del soggetto che, in esso qualificatosi creditore, l’atto ha formato.
Talvolta la formazione dell’atto costituente titolo esecutivo segue la conclusione di un procedimento, giurisdizionale o amministrativo, che immodificabilmente sancisce l’esistenza e l’ammontare del credito: si pensi al ruolo formato in base ad un accertamento definitivo, o al ruolo o all’ingiunzione fiscale emessi dopo il rigetto dell’opposizione proposta avverso l’ordinanza ingiunzione o l’inutile spirare del termine per proporre l’opposizione ex art. 22 L. 689/81.
Una “dichiarazione confessoria” del debitore è tout court qualificata titolo esecutivo dall’art. 2, comma 1, D.L. 338/89, convertito in legge 389/1989, per il quale “costituiscono titolo esecutivo, ai sensi e per gli effetti dell’art. 474 del codice di procedura civile, le denunce, le dichiarazioni e gli atti di riconoscimento di debito resi agli enti gestori di forme di previdenza ed assistenza obbligatorie dai soggetti tenuti al versamento di contributi e premi agli enti stessi, non seguiti da pagamento nel termine stabilito, limitatamente alle somme denunciate, dichiarate o riconosciute e non pagate ed ai relativi accessori di legge”; dal tenore del comma 5, secondo il quale “per la riscossione dei crediti assistiti da titoli esecutivi, gli enti gestori di forme di previdenza ed assistenza obbligatorie possono avvalersi del servizio centrale della riscossione di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 gennaio 1988, n. 43, ai sensi dell’art. 2 e dell’art. 67 del decreto stesso”, sembrerebbe tuttavia che la qualità di titolo esecutivo riconosciuta a quelle dichiarazioni confessorie si risolva, in realtà, nella possibilità di formare immediatamente il vero titolo esecutivo, cioè il ruolo.
La legge esige quindi che affinchè un provvedimento, diverso dalla sentenza, costituisca titolo esecutivo, tale efficacia gli sia espressamente attribuita dalla legge.
In ambito civile, al “processo verbale di conciliazione” la legge riconosce espressamente efficacia esecutiva, tuttavia la dottrina e la giurisprudenza evidenziano grande incertezza sul suo inquadramento tra i titoli giudiziali ovvero extra giudiziali contemplati dall’art. 474, n. 2 e 3.
L’art. 185 cpc stabilisce che “….Quando le parti si sono conciliate, si forma processo verbale della convenzione conclusa. Il processo verbale costituisce titolo esecutivo”.
L’art. 88 delle disp. Att. cpc(Processo verbale di avvenuta conciliazione) statuisce che“La convenzione conclusa tra le parti per effetto della conciliazione davanti al giudice istruttore è raccolta in separato processo verbale, sottoscritto dalle parti stesse, dal giudice e dal cancelliere. …”.
Quanto al giudice di pace, l’art. 322 del c.p.c. prevede che l’istanza per la conciliazione in sede non contenziosa venga proposta anche verbalmente al giudice di pace competente per territorio secondo le disposizioni della sezione III, capo I, titolo I, del libro primo. Il processo verbale di conciliazione in sede non contenziosa costituisce titolo esecutivo a norma dell’articolo 185, ultimo comma, cpc se la controversia rientra nella competenza del giudice di pace; mentre negli altri casi ha valore di scrittura privata riconosciuta in giudizio.
Il carattere negoziale della conciliazione giudiziaria secondo la giurisprudenza comporta la sua idoneità a dar vita soltanto ad espropriazione per crediti pecuniari. In dottrina, viceversa, si sottolinea la circostanza che la legge non pone alcuna limitazione all’efficacia esecutiva attribuita alla conciliazione.
Certamente carattere negoziale deve riconoscersi anche alle scritture private autenticate, relativamente alle somme di denaro in esse contenute, che ex art. 474 n. 2 cpc, costituiscono titolo esecutivo, così come gli atti ricevuti da notaio a da altro pubblico ufficiale autorizzato dalla legge a riceverli(art. 474, n. 3 cpc).
L’accordo raggiunto in sede di mediazione così come disciplinato dall’art. 17 bis, a parere di chi scrive, non è titolo esecutivo, anche perché il legislatore non lo ha espressamente qualificato come tale.