L’ estinzione del giudizio tributario ed il provvedimento sulle spese.

 Il processo tributario si estingue, in tutto o in parte: nei casi di definizione delle pendenze tributarie previsti dalla legge; in ogni altro caso di cessazione della materia del contendere (art. 46 c. 1 del D.lgs. 546/92).

Con “cessazione della materia del contendere” si intende far riferimento a quel fenomeno in base al quale fatti influenti sul diritto sostanziale producono effetti sull’interesse delle parti alla prosecuzione del processo, facendolo venire meno.

L’estinzione del processo si verifica: nei casi di cessazione della materia del contendere per: adempimento spontaneo da parte del contribuente; annullamento dell’atto impositivo da parte dell’Amministrazione; nei casi di definizione delle pendenze tributarie previsti, ad esempio, dall’art. 48 del D.lgs. 546/92 che disciplina l’istituto della conciliazione giudiziale.

In questi casi nell’ipotesi di conciliazione in udienza, disciplinata dal comma 3 del riformulato art. 48, gli Uffici avranno cura di informare il contribuente che, per l’estinzione del giudizio, si rende necessaria la tempestiva consegna, di copia dell’attestazione del versamento eseguito (intero importo, ovvero prima rata) unitamente alla garanzia prestata. Sulla base di tale documentazione, l’Ufficio verificherà la regolarità del versamento e della garanzia ed avrà cura di depositare copia della documentazione medesima presso la segreteria della Commissione tributaria competente. Nei casi di mancato od insufficiente pagamento della prima o unica rata, nonché di mancata prestazione dell’idonea garanzia nell’ipotesi di rateizzazione, l’Ufficio avrà cura di informare di tali inadempimenti il giudice tributario, al fine della prosecuzione del giudizio. Nell’ipotesi di conciliazione fuori udienza, il comma 5 del riformulato art. 48 in esame prevede che la dichiarazione di estinzione del giudizio abbia luogo con decreto del presidente della commissione, previa verifica della sussistenza dei presupposti e delle condizioni di ammissibilità dell’accordo conciliativo. Detta dichiarazione interviene precedentemente al pagamento delle somme dovute per il perfezionamento dell’accordo stesso e alla prestazione della eventuale garanzia. È evidente che in tale delicata situazione processuale potrebbe configurarsi la necessità di riattivare il processo nei casi di mancato perfezionamento della conciliazione. Pertanto, gli Uffici dovranno porre la massima cura nell’accertare il regolare assolvimento degli adempimenti suddescritti, proponendo, in difetto, tempestivo reclamo avverso il decreto presidenziale di estinzione, ai sensi dell’art. 28 del D.lgs. 546/92. (circ. Min. fin. 8.8.1997, n. 235/E). 

Altri casi previsti di definizione delle pendenze tributarie oltre la conciliazione sono , ad esempio, quelli contenuti nell’art. 16 della L. 289/2002 (A questo proposito Cass.,  13 luglio 2016, sent. n. 14258 “Dichiara cessata la materia del contendere, Comm. Trib. Reg. Liguria, Nel processo tributario, l’estinzione del giudizio di legittimità per cessata materia del contendere ai sensi dell’art. 16, comma 8, della l. n. 289 del 2002 comporta conseguenze di ordine sostanziale sul contenuto delle proposte domande, determinando, in virtù della cassazione senza rinvio della sentenza impugnata, la caducazione di tutte le pronunce emanate nei precedenti gradi di giudizio e non passate in giudicato, in quanto non più attuali in ragione del venire meno del contrasto tra le parti.”) ; nell’ art. 39 co. 12 del DL 98/2011. (Cass.,  09 settembre 2016,  sent. n. 17817 “In tema di contenzioso tributario, la definizione della lite fiscale mediante presentazione da parte del contribuente dell’istanza prevista dall’art. 39, comma 12, del d.l. n. 98 del 2011, conv. con mod. in l. n. 111 del 2011, comporta l’estinzione del giudizio ex art. 46, comma 1, del D.lgs. n. 546 del 1992 per sopravvenuta cessazione della materia del contendere sul rapporto tributario controverso, con conseguente cassazione senza rinvio della pronuncia impugnata.”) 

Sul piano processuale, l’estinzione per cessazione della materia del contendere può essere dichiarata solo se le parti di comune accordo dichiarano di non avere più pretese contrapposte in atto, quanto all’oggetto della lite: il giudice non può rilevare tale cessazione in assenza di tale concorde dichiarazione (Cass., 2 marzo 2015, ord.  n. 4137).

In virtù del potere di autotutela, l’Amministrazione finanziaria è legittimata ad annullare i propri provvedimenti qualora essa li ritenga illegittimi.

L’annullamento dell’atto nelle more del processo comporta l’estinzione del giudizio per cessazione della materia del contendere (CTR. Torino 8 luglio 2008 n. 27, Cass., 1 marzo 2006., ord.  n. 4558, Cass., 1 marzo 2006,  sent. n. 4744 “In tema di contenzioso tributario e nella ipotesi di annullamento in autotutela del contrastato avviso di accertamento, il giudice di merito è tenuto alla pronuncia di estinzione del giudizio per cessazione della materia del contendere, prescritta dall’art. 46 del D.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546. A detto provvedimento non osta l’eventualità – nella specie solo prospettata – di una successiva rimozione dell’annullamento in autotutela.”  e Cass. 12 novembre 2003, sent. n. 16987 “ ).

Per la giurisprudenza, lo sgravio della cartella di pagamento disposto in via di provvisoria ottemperanza della sentenza favorevole al contribuente non comporta la cessata materia del contendere, trattandosi di un mero atto esecutivo ma lo sgravio produce l’effetto della cessazione della materia del contendere se ad esso si accompagna l’annullamento dell’atto prodromico (Cass. 20 gennaio 2015, ord.  n. 918).

Vi è poi una giurisprudenza di merito minoritaria, sostenuta anche da parte della dottrina (come per esempio Marcheselli) che con la CTP Macerata ha stabilito che l’annullamento dell’atto in corso di causa non comporta, di per sé, la cessazione della materia del contendere, in quanto ciò è assimilabile ad un atto di rinuncia.

L’assunto si basa sulle seguenti considerazioni: gli atti di autotutela devono essere paragonati, se espressione di un potere discrezionale dell’Amministrazione, alla rinuncia agli atti processuali; anche il ricorrente del giudizio tributario, così come la parte di un procedimento civile, può rinunciare alle proprie pretese e alla stessa stregua l’Ufficio può decidere di abbandonare la pretesa impositiva quando lo ritenga opportuno; alla rinuncia depositata dal contribuente consegue l’applicazione del disposto dell’art. 44 del D.lgs. 546/92, pertanto la stessa norma dovrà applicarsi nel caso in cui l’atto di rinuncia provenga dall’Ufficio impositore; in tali ipotesi, il giudice deve procedere, anziché alla declaratoria di estinzione del processo, all’esame della causa, salvo che il contribuente non accetti la rinuncia dell’ente. Bisogna, inoltre, tenere conto del fatto  che la declaratoria di estinzione del giudizio per cessazione della materia del contendere non comporta gli effetti del giudicato sostanziale, e, quindi, l’ufficio, se ancora nei termini, ha la possibilità di notificare nuovamente l’atto. Per contro, nel caso in cui il contribuente ottenga un giudicato sull’infondatezza della pretesa, la questione sarebbe “coperta”, appunto, da tale giudicato.

Il ritiro di un atto impositivo e l’emanazione di un nuovo avviso di accertamento con il quale vengono corretti vizi del primo, costituisce esercizio del potere di “autotutela sostitutiva”.

L’annullamento dell’atto impugnato e la sua contestuale sostituzione con altro provvedimento impositivo determina comunque l’estinzione del processo per cessazione della materia del contendere.

L’autotutela sostitutiva è ammessa per sanare vizi formali dell’atto (ad esempio, il difetto di sottoscrizione, l’omessa indicazione dell’aliquota o il vizio di notifica), mentre deve ritenersi non ammessa nel caso in cui riguardi questioni di merito (ad esempio la determinazione dell’imponibile o l’identificazione dei soggetti passivi).

Il nuovo atto deve essere impugnato dando vita ad un ulteriore giudizio.

La Corte di Cassazione, però, ha delimitato tale potere, stabilendo che occorre: la presenza di vizi formali nell’atto sostituito; il rispetto dei termini decadenziali per l’accertamento; l’annullamento del precedente atto impositivo, e la relativa comunicazione al contribuente (Cass., 16 luglio 2003, sent.  n. 11114).

La necessità di rispettare i vincoli e il procedimento indicato dalla giurisprudenza è stata sostenuta anche dall’Amministrazione finanziaria (circ. DRE Calabria 29 novembre 2010 n. 24477).

L’ente impositore potrebbe anche annullare l’atto nelle more del processo di appello.

La giurisprudenza di legittimità ha, infatti, sostenuto che il provvedimento di autotutela dell’Amministrazione finanziaria ben potrebbe intervenire al termine del processo di primo grado (Cass. 4 febbraio 2005, sent. n. 2305). Più restrittiva la giurisprudenza di merito (CTR Catanzaro 21 marzo 2002, sent. n. 16; CTR Bari, 15 marzo 99, sent.  n. 20, che ha dichiarato l’estinzione del processo per rinuncia, anziché per cessazione della materia del contendere, in una fattispecie in cui, nel corso del giudizio di appello proposto dall’ufficio, lo stesso ha notificato al contribuente un avviso di accertamento che annullava e sostituiva integralmente quello impugnato).

Il potere di autotutela, come stabilito dal DM 37/97, non incontra il limite del giudicato, a meno che, ovviamente, le ragioni dell’annullamento d’ufficio non contrastino con il contenuto della statuizione giudiziale.

Pertanto, l’annullamento può avvenire anche successivamente al giudicato, e ciò comporterà l’inefficacia della riscossione.

Nella prassi, succede che, nel corso del processo, l’Amministrazione provveda a ritirare in parte il provvedimento impugnato, riducendo la pretesa.

A tale risultato si può pervenire attraverso due percorsi alternativi. Il primo è il puro e semplice annullamento della parte dell’atto precedente. In questo caso si ha un atto nuovo dal contenuto meramente demolitivo, mentre sopravvive l’atto precedente, sia pure ridotto. Il secondo è il totale annullamento dell’atto precedente e la sua sostituzione con un nuovo atto di portata più limitata.

Il risultato finale è lo stesso, ma le due soluzioni adottate sono, in realtà, ben diverse tra loro.

Nel secondo caso il primo provvedimento non esiste più, con la conseguenza che l’eventuale processo instaurato contro di esso deve vedere cessata la materia del contendere. Inoltre il nuovo provvedimento è legittimo solo se sussistono i presupposti per un nuovo esercizio del potere, il che non è, ad esempio, se decorso il termine di decadenza.

Nel primo caso invece l’atto originario sopravvive, e con esso il relativo processo, mentre il contribuente non ha di regola interesse a impugnare il secondo atto.

Facendo poi riferimento alla giurisprudenza si può affermare che la riduzione della pretesa non causa l’estinzione del giudizio, infatti, si ritiene che nel caso in cui l’ufficio riduca la pretesa in occasione della costituzione in giudizio, il giudice debba comunque giudicare sul residuo (Cass., 23 luglio 2007, sent. n. 16252 “ Poiché il giudizio tributario è un giudizio sul rapporto mediato attraverso la impugnazione dell’atto ed il giudice che ritenga invalido l’avviso di accertamento per motivi sostanziali e non formali deve procedere ad una adeguata valutazione del contenuto del rapporto tributario e non limitarsi ad accertare la illegittimità dell’avviso, l’Amministrazione ben può ridurre in corso di giudizio la pretesa senza che ciò comporti l’autoannullamento dell’atto impugnato e la sua sostituzione con altro atto (in ipotesi illegittimo).” e Cass., 12 luglio 2006, sent. n. 15825).

Questa materia viene trattata in maniera particolare nei casi di obbligazioni solidali.

Nella solidarietà tributaria, in linea di principio, trovano applicazione le norme codicistiche sulle obbligazioni solidali di cui agli artt. 1292 c.c. ss., però,  uno dei casi tipici di vincolo solidale in ambito fiscale è contemplato dall’art. 57 del DPR 131/86, ove è previsto che le parti contraenti rispondono in solido per l’imposta di registro accertata.

Quindi, in forza del regime di solidarietà, l’Agenzia delle Entrate può notificare l’atto a tutti o a parte dei condebitori, e questi possono o meno proporre impugnazione: nel caso in cui un coobbligato impugni e l’altro versi il tributo sorge il problema se il processo instaurato debba ritenersi estinto per cessazione della materia del contendere. Secondo il Marcheselli perché questa si possa verificare cessazione della materia del contendere deve trattarsi di pagamento volontario, derivante ad esempio da acquiescenza ex art. 15 del D.lgs. 218/97 o da accertamento con adesione, e non di pagamento a seguito di riscossione posta in essere da Equitalia, o, comunque, effettuato per evitare le sanzioni da omesso versamento delle somme richieste con l’avviso di liquidazione/accertamento.

Ed a sostegno di questa tesi vi sono anche alcune sentenze di legittimità ed alcune sentenze di merito (Cass.,  20 luglio 2007, sent.  n. 16101 e sempre del 2007  Cass. 11 giugno 2007 sent. n. 13588 “La dichiarazione della cessazione della materia del contendere, nel processo tributario, presuppone che sia venuta meno ogni questione controversa tra il contribuente e l’erario, e quindi non può essere pronunciata allorché il contribuente abbia aderito ad un condono che riguardi le sole sanzioni previste per il tardivo od omesso pagamento, né quando il contribuente abbia presentato una dichiarazione integrativa nella quale sia esposto un debito d’imposta comunque inferiore alla pretesa erariale” e CTR Firenze, 14 luglio 2008, sent. n. 23), in quanto l’art. 1292 c.c. afferma che l’estinzione dell’obbligazione ad opera di un coobbligato estingue il vincolo anche per gli altri, con perdita di interesse in capo all’ufficio per la prosecuzione del giudizio. Di avviso contrario a questa teoria, invece, è l’Amministrazione finanziaria, con la risalente RM 27.8.79 n. 271238, confermata da altra giurisprudenza (si veda a questo proposito CTC 10 ottobre 1991, sent. n. 6725), ha sostenuto, invece, che sussiste interesse alla prosecuzione del giudizio in capo al coobbligato, posto che questi, ottenendo una sentenza di annullamento, la potrà far valere nella successiva ed eventuale azione di regresso proposta in sede civile. Ove si opti per la tesi affermativa, il contribuente potrebbe, a seconda delle ipotesi, proporre appello o reclamo avverso la sentenza/decreto di estinzione del giudizio, e chiedere l’esame nel merito o la prosecuzione del processo.

Nelle liti di rimborso, la cessazione della materia del contendere può essere dichiarata solo con la materiale erogazione delle somme. Infatti, il semplice annullamento del diniego o il riconoscimento del debito non sarebbero idonei a soddisfare integralmente il contribuente (Cass., 15 novembre 2013, sent. n. 25669, dove si è evidenziato che, nel caso in cui il contribuente abbia chiesto sin dal giudizio di primo grado la condanna dell’amministrazione al pagamento della somma oggetto della richiesta di rimborso, non può dichiararsi l’estinzione del giudizio per cessazione della materia del contendere a seguito dell’annullamento dell’atto di diniego in autotutela).

 

Prof. Bruno Cucchi

Università N. Cusano – Roma