L’ estinzione del giudizio tributario ed il provvedimento sulle spese.
Le spese del giudizio estinto.
Le spese del giudizio estinto per cessazione della materia del contendere restano a carico della parte che le ha anticipate nei casi di definizione delle pendenze tributarie previsti dalla legge (art. 46 c. 3 del D.lgs. 546/92).
Negli altri casi, le spese sono poste a carico del soggetto virtualmente soccombente. Ciò in conformità alla giurisprudenza costituzionale con cui la regola della permanenza delle spese in capo a chi le aveva anticipate, in ogni caso, è stata dichiarata incostituzionale in quanto lesiva del principio di ragionevolezza nella parte in cui esclude la facoltà del giudice di pronunciarsi sulla condanna alle spese nelle ipotesi di cessazione della materia del contendere diverse dai casi di definizione delle pendenze tributarie.
La pronuncia di C. Cost. 12 luglio 2005, sent. n. 274 precisa che il processo tributario è ispirato al principio di responsabilità per le spese del giudizio. “La compensazione ope legis delle spese nel caso di cessazione della materia del contendere, rendendo inoperante quel principio, si traduce, dunque, in un ingiustificato privilegio per la parte che pone in essere un comportamento (il ritiro dell’atto, nel caso dell’Amministrazione, o l’acquiescenza alla pretesa tributaria, nel caso del contribuente) di regola determinato dal riconoscimento della fondatezza delle altrui ragioni, e, corrispondentemente, in un del pari ingiustificato pregiudizio per la controparte”.
Per effetto di questa sentenza trova pieno riconoscimento anche nel contenzioso tributario il principio della soccombenza.
Quindi, il giudice che prende atto del venir meno della materia del contendere è tenuto ad effettuare una valutazione circa l’esito virtuale della controversia, accollando, ove lo ritenga opportuno, le spese alla parte virtualmente soccombente, c.d. “soccombenza virtuale” (Cass. 15 ottobre 2007, sent. n. 21530).
E’ stato rilevato da una recente sentenza della Cass., 13. Aprile 2016, sent. n. 7273 che “Premesso che nel processo tributario, alla cessazione della materia del contendere per annullamento dell’atto in sede di autotutela non si correla necessariamente la condanna alle spese secondo la regola della soccombenza virtuale, qualora tale annullamento non consegua ad una manifesta illegittimità del provvedimento impugnato sussistente sin dal momento della sua emanazione, nel caso in cui non sia prontamente verificabile la manifesta illegittimità o meno dell’atto impositivo fin dal momento della sua emanazione, deve essere cassata la sentenza con che ha disposto la compensazione delle spese di lite con rinvio alla medesima CTR in diversa composizione, affinché verifichi se l’annullamento dell’ufficio consegua ad una manifesta illegittimità dell’atto impositivo fin dal momento della sua emanazione, nel qual caso, s’impone senz’altro la liquidazione delle spese a favore della parte contribuente, ovvero vi era un’obiettiva complessità della materia, per la quale l’atteggiamento dell’ufficio, può essere considerato conforme al principio di lealtà, ai sensi dell’art. 88 c.p.c., che può essere premiato con la compensazione delle spese.”
È stato precisato che, proprio in virtù dell’obbligo di effettuare il menzionato “giudizio virtuale” sull’esito della controversia, non vi può essere automatismo tra annullamento dell’atto in corso di causa e condanna alle spese del resistente, posto che, se del caso, vi può essere la compensazione di queste ultime (Cass., 21 settembre 2010, sent. n. 19947).
La giurisprudenza ha talvolta disposto la condanna alla rifusione delle spese sostenute dal contribuente nel caso in cui l’Amministrazione finanziaria annulli, nel corso del giudizio, il provvedimento impugnato.
Nel processo tributario, alla cessazione della materia del contendere per annullamento dell’atto in sede di autotutela non consegue necessariamente la condanna alle spese secondo la regola della soccombenza virtuale, qualora l’annullamento non consegua ad una manifesta illegittimità del provvedimento impugnato sussistente sin dal momento della sua emanazione, quanto, piuttosto, alla complessità della materia in seguito chiarita da apposita norma interpretativa. In tal caso, infatti, l’intervento in autotutela integra l’ipotesi di un comportamento processuale conforme al principio di lealtà, che può essere premiato con la compensazione delle spese (Cass., 13 aprile 2016, sent. n. 7273).
Nell’ipotesi di estinzione del processo per cessazione della materia del contendere, però, è possibile disporre il rimborso delle spese sostenute dal contribuente che sia stato in giudizio personalmente (Oltre alla CTP Bologna, 22 febbraio 2006, sent. n. 20 si possono individuare a questo riguardo altre sentenze di merito quali: CTP Pisa, 18 febbraio 2008, sent n. 14 in cui veniva condannato un Comune alla rifusione delle spese in quanto lo stesso non aveva giustificato né perché avesse attivato una procedura di liquidazione palesemente infondata, né perché non avesse evitato, mediante una sollecita attivazione della procedura di annullamento dell’atto in sede di autotutela, un inutile contenzioso; CTP Lecce, 17 novembre 2008, sent n. 632 che, in un processo avviato su ricorso del contribuente avverso un’iscrizione di ipoteca, successivamente cancellata dall’Agente della Riscossione, ha condannato detto agente alla rifusione delle spese processuali poiché aveva causato al contribuente un ingiusto danno con l’intempestiva iscrizione ipotecaria, impedendo il normale svolgimento dell’attività imprenditoriale (preclusione all’ottenimento del credito da parte della clientela e delle banche); la CTR Roma, 27 maggio 2008, sent. n. 37 che ha dichiarato illegittima la compensazione delle spese siccome dagli atti è emerso che il contribuente, ben prima della proposizione del ricorso (che, tra l’altro, è avvenuta l’ultimo giorno utile), aveva sollecitato l’annullamento dell’atto, che è stato disposto dieci giorni dopo la proposizione del ricorso stesso; sempre la CTR Roma, 28 gennaio 2009, sent n. 18 che ha condannato il resistente alle spese siccome, nonostante il contribuente avesse reso edotto il Comune (che aveva emanato un accertamento ai fini TARSU 2000, 2001 e 2002) di essere residente nel territorio comunale solo dal 2002, esso ha provveduto all’annullamento dell’atto durante il giudizio, e non antecedentemente e per ultima la Cass., 4 ottobre 2006, sent. n. 21380 secondo la quale la condanna alla rifusione delle spese a carico dell’ente è legittima nel caso di annullamento dell’atto per un vizio formale, segnatamente perché contrastante con l’orientamento giurisprudenziale consolidato che ritiene illegittimi gli atti non recanti l’indicazione delle aliquote applicate
Per CTR Bari, 11 gennaio 2011, sent. n. 11/7/11, anche nel caso di estinzione del giudizio per annullamento dell’atto è applicabile la responsabilità da “lite temeraria”.
Dichiarazione di cessazione della materia del contendere.
L’estinzione del processo è dichiarata con provvedimento giudiziale.
Detto provvedimento assume la forma: o del decreto, se pronunciato dal presidente della Sezione; o della sentenza, se pronunciata dalla Commissione (artt. 45 c. 4 e 46 c. 2 del D.lgs. 546/92).
Il ricorso a differenti tipologie di provvedimenti dipende dal momento, precedente o successivo alla fissazione dell’udienza di trattazione, in cui gli eventi estintivi si verificano. In particolare, il decreto è emanato in sede di esame preliminare del ricorso ai sensi dell’art. 27 del D. lgs. 546/92.
La verifica circa la sussistenza di una causa di cessazione della materia del contendere deve essere effettuata dal giudice successivamente all’esame sulla corretta instaurazione del giudizio.
Pertanto, la cessazione della materia del contendere non può essere dichiarata qualora sia preventivamente accertata la nullità del ricorso, essendo in tal caso preclusa al giudice la cognizione di ogni altra questione di rito e di merito.
Avverso il decreto presidenziale può essere proposto reclamo ai sensi dell’art. 28 del D.lgs. 546/92. A seguito del procedimento di reclamo, la Commissione può sia confermare, con sentenza, la declaratoria di estinzione e provvedere sulle sole spese del giudizio di reclamo (art. 28 co. 5 del D.lgs. 546/92); sia revocare, con ordinanza, la precedente declaratoria di estinzione, dando i provvedimenti necessari per la prosecuzione del processo. Nel primo caso, mantiene efficacia la liquidazione delle spese per il giudizio precedente estinto. La sentenza dichiarativa dell’estinzione del processo per cessazione della materia del contendere comporta la caducazione di tutte le pronunce emanate nei precedenti gradi di giudizio e non passate in giudicato.
Detta pronuncia, tuttavia, non è idonea ad acquistare efficacia di giudicato sostanziale, se non per la parte in cui accerta il venir meno dell’interesse alla prosecuzione del giudizio (Cass., 23 luglio 2004, sent. n. 13854 e Cass., 15 ottobre 2007, sent. n. 21529).
Un particolare caso di sentenza dichiarativa dell’estinzione del processo per cessazione della materia del contendere concerne l’ipotesi della conciliazione giudiziale.
L’estinzione del giudizio di primo grado determina l’incontestabilità dell’atto impositivo.
Se, invece, l’estinzione è intervenuta nel corso del giudizio di impugnazione, si verifica il passaggio in giudicato della sentenza impugnata (CTC 27 ottobre 2000, sent. n. 6229).
L’estinzione intervenuta nel corso del giudizio di rinvio fa venire meno tutte le pronunce emanate nel corso del processo, ma non l’efficacia dell’atto impositivo, che diventa definitivo (CTC 13 luglio 95, sent n. 2891 e Cass., 8 febbraio 2008, sent. n. 3040).
Resta, in ogni caso, ferma l’efficacia delle parti delle sentenze non impugnate che sono passate in giudicato (ivi compreso il giudicato parziale).
Prof. Bruno Cucchi
Università N. Cusano – Roma