Convegno Pontremoli, 21 febbraio 2020

“Prime riflessioni sulla riscossione delle entrate locali mediante accertamento esecutivo, ai sensi della L. 160/19”

L’art. 8, comma 2, della L. 212/2000 (Statuto dei diritti del Contribuente) afferma che “È ammesso l’accollo del debito d’imposta altrui senza liberazione del contribuente originario“. Dunque, salvo il limite dell’impossibilità di liberare il debitore originario, l’accollo del debito di imposta altrui è ammesso ed è disciplinato dall’art. 1273 c.c..

In ambito civilistico l’accollo del debito è qualificato come un contratto; in particolare, nel disciplinare l’istituto, l’art. 1273 c.c. afferma espressamente che “il debitore e un terzo convengono che questi assuma il debito dell’altro”. A tal proposito appare opportuno sottolineare come la relazione al Codice Civile del Guardasigilli descriveva l’accollo come “una tipica applicazione del contratto a favore di terzo, le regole del quale, sia in ordine al momento o al modo in cui il creditore acquista il diritto, sia in ordine alle eccezioni che il nuovo debitore può opporre al creditore che beneficia della stipulazione a suo favore, sono espressamente richiamate”

Attraverso l’accollo, infatti, il debitore (accollato) e un terzo (accollante) stipulano un contratto in base al quale quest’ultimo assume il debito nei confronti del creditore. (CHINE’ – FRATTINI –ZOPPINI, Manuale di Diritto Civile, Neldirittoeditore, Molfetta 2018, X Ed., pag. 989 -990).

La norma, inoltre, disciplina diverse tipologie del contratto di accollo. 

La seconda parte del comma 1 dell’art. 1273 c.c., invero, stabilisce che “il creditore può aderire alla convenzione, rendendo irrevocabile la stipulazione a suo favore”.

Dunque, in primo luogo, l’atteggiamento che il creditore assume in relazione all’accordo determina di che tipologia di accollo si tratti. Difatti, l’accollo è interno quando il creditore non aderisce all’accordo e resti così estraneo all’accollo, rendendolo revocabile. Diversamente, se il creditore aderisce all’accordo fra debitore e accollante, si ha accollo esterno il quale non può più essere revocato, di modo che l’accollante stesso divenga definitivamente debitore del creditore. (V. ROPPO, Diritto privato, III Ed., G. Giappichelli Editore, Torino 2018, p. 308)

In secondo luogo, l’atteggiamento del creditore incide sulla posizione del debitore originario. Nello specifico, a mente dell’art. 1273, comma 2, c.c. “L’adesione del creditore importa liberazione del debitore originario solo se ciò costituisce condizione espressa della stipulazione o se il creditore dichiara espressamente di liberarlo. Se non vi è liberazione del debitore, questi rimane obbligato in solido col terzo”. 

Ebbene, nel caso in cui il creditore non aderisse o non intendesse espressamente liberare il debitore, l’accollo viene definito cumulativo, poiché il debitore originario non viene liberato ma resta obbligato in solido con l’accollante. In questi casi, a ben vedere, l’assuntore si obbliga esclusivamente nei confronti dell’accollato ad estinguergli il debito alla scadenza. 

Diversamente, l’adesione del creditore può rendere l’accollo semplicemente irrevocabile e, in alcuni casi, anche liberatorio, quest’ultima ipotesi si profila quando il creditore dichiari espressamente di liberare il debitore originario o la liberazione del debitore sia espressamente prevista nell’accordo. L’effetto dell’accollo esterno liberatorio si concretizza nell’assunzione da parte dell’accollante di un obbligo diretto ed immediato nei confronti del terzo creditore.

L’accollo esterno liberatorio, dunque, realizza una delle ipotesi di modificazione sostanziale del soggetto passivo del rapporto obbligatorio. Infatti, laddove il Fisco aderisse all’accordo tra un terzo accollante e un debitore accollato, con espressa liberazione di quest’ultimo, si avrebbe una traslazione, di fatto, del debito tributario dal contribuente originario (debitore accollato) ad un terzo estraneo alla stessa obbligazione tributaria (terzo accollante). 

Va da sé, quindi, come in ambito tributario, ammettere l’accollo esterno liberatorio significherebbe realizzare una modificazione sostanziale del soggetto di imposta.

Ebbene, la ragione del limite posto dall’art. 8, comma 2, dello Statuto dei diritti contribuente è proprio quella di evitare una modificazione sostanziale del soggetto passivo di imposta, garantendo, così, una dovuta aderenza ai principi costituzionali.

In particolare, l’art. 53, comma 1, Cost. afferma che “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva”. Dunque, l’obbligo di concorrere alle spese pubbliche in ragione della propria capacità contributiva ha rilevanza costituzionale. 

Per costante giurisprudenza, il suddetto principio ha valore non solo oggettivo, inteso quale obbligo giustificato da espressione della capacità contributiva, ma anche soggettivo, nel senso che il relativo adempimento debba essere compiuto esclusivamente dal soggetto che per legge ne ha l’obbligo, con impossibilità pertanto di trasferire il debito tributario a soggetto diverso. Al riguardo, infatti, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno, anche di recente, confermato che “Il sacrificio economico derivante dal pagamento del tributo, e cioè la riduzione patrimoniale conseguente all’adempimento, deve – si è precisato – essere sopportato effettivamente e definitivamente dal soggetto alla cui capacità contributiva si riferisce l’obbligazione, e non già da altri, l’art. 53 Cost., esigendo che ad una determinata capacità contributiva faccia seguito l’adempimento del dovere di concorrere alla spesa pubblica, ed escludendo che tale obbligo possa sorgere in capo a soggetto privo di capacità contributiva; come pure che un soggetto possa accollarsi – anche di fatto – il carico contributivo altrui, essendo contrario all’interesse della collettività che il concorso alla spesa pubblica gravi –  anche di fatto- su soggetto diverso da colui che vi è tenuto ex lege, in quanto ogni soggetto dotato di capacità contributiva deve in misura corrispondente contribuire personalmente al costo dei servizi e dei vantaggi sociali”. (Cass. Civ. Sez. Un. n. 6882 – 08 maggio 2019)

In altri termini, secondo l’interpretazione giurisprudenziale, l’art. 53 Cost. sancisce il principio dell’indisponibilità dell’obbligazione tributaria, per cui il sacrificio economico legato al pagamento del tributo deve essere sostenuto dal soggetto alla cui capacità contributiva si riferisce l’obbligazione, esigendo, quindi, che ad una certa capacità contributiva corrisponda l’adempimento di concorrere alla spesa pubblica.

Ebbene, la ratio essenziale del limite dell’art. 8, comma 2, della L. 212/2000 sembra essere, appunto, quella di salvaguardare l’indisponibilità dell’obbligazione tributaria, rendendo l’istituto dell’accollo aderente a tale principio che, come detto, trova diretto riconoscimento in Costituzione.

Analizzando da vicino l’art. 8 dello Statuto dei diritti del contribuente, emerge come la norma vieti espressamente l’accollo esterno liberatorio ma nulla, almeno in apparenza, sembrerebbe impedire che possa realizzarsi un accollo esterno cumulativo. Nella specie, il Fisco aderirebbe, rendendolo irrevocabile,l all’accordo tra terzo accollante e debitore accollato, senza, tuttavia, che quest’ultimo venga liberato.

Alcuni autori ritengono quest’ultima forma di accollo conforme all’art. 8, comma 2, L. 212/2000 e all’art. 53 Cost.. Nello specifico, secondo questa tesi, in questi casi, l’accollante diviene responsabile in solido con l’accollato nei confronti del Fisco senza che si concretizzi una modificazione del debitore di imposta, in quanto unico scopo dell’operazione sarebbe quello di rafforzare la garanzia del Fisco stesso nella veste di creditore. Tuttavia, appare una forzatura affermare che non si realizzi un sostituzione del debito di imposta, laddove il Fisco possa esercitare i propri poteri di esazione verso un soggetto diverso dal contribuente. 

Secondo l’orientamento maggioritario, invece, con il quale concorda la giurisprudenza di legittimità, le forme di accollo conformi ai principi in materia tributaria sono quello interno e quello esterno ma, solamente, se l’adesione al Fisco renda irrevocabile l’accordo tra accollato e accollante, senza estensione dei poteri di esazione nei confronti di quest’ultimo.

Ebbene, il secondo orientamento appare più aderente al principio dell’indisponibilità dell’obbligazione tributaria. Infatti, in questo modo, l’accollante può impegnarsi a pagare le imposte dovute dal debitore originario, non assumendo la posizione di contribuente o di soggetto passivo del rapporto tributario ma solamente quella di coobbligato in forza del titolo negoziale.

Al riguardo, giova evidenziare come la Suprema Corte abbia affermato che “l’impegno di pagare le imposte dovute dall’iniziale debitore non significa «assumere la posizione di contribuente o di soggetto passivo del rapporto tributario, ma la qualità di obbligato (o coobbligato) in forza di titolo negoziale», tanto che l’Amministrazione finanziaria non può esercitare nei confronti degli accollanti «i propri poteri di accertamento e di esazione, che possono essere esercitati solo nei confronti di chi sia tenuto per legge a soddisfare il credito fiscale” (Corte Cassazione, Sez.Un., sent. 26 novembre del 2008 n. 28162).

Proprio su tale solco nel 2019 le Sezioni Unite con la sentenza, già richiamata, n. 6882 del 8 Marzo 2019 hanno stabilito che “La clausola del contratto di locazione che attribuisca al conduttore l’obbligo di farsi carico di ogni tassa, imposta ed onere relativi ai beni locati ed al contratto, tenendone conseguentemente manlevato il locatore, non è affetta da nullità per violazione di norme imperative, né, in particolare, per violazione del precetto costituzionale dettato dall’art. 53 della Carta Costituzionale, qualora essa sia stata prevista dalle parti come componente integrante la misura del canone locativo e non implichi che il tributo debba essere pagato da un soggetto diverso dal contribuente, trattandosi in tal caso di pattuizione da ritenersi in via generale consentita in mancanza di una specifica, diversa disposizione di legge”.

Pertanto, l’art. 8 dello Statuto dei diritti del Contribuente, sebbene non vieti espressamente l’accollo esterno cumulativo, deve essere preferibilmente interpretato sempre alla luce dell’art. 53 Cost. e, di conseguenza, è ragionevole escludere tale tipologia di accollo laddove possa estendere i poteri di esazione nei confronti dell’accollante. 

Giova evidenziare come l’art. 8, comma 1, dello Statuto dei diritti del Contribuente, il quale afferma”L’obbligazione tributaria può essere estinta anche per compensazione”, riconosca la possibilità di estinguere i propri debiti con il Fisco attraverso l’istituto della compensazione disciplinato dall’art. 1241c.c (Quando due persone sono obbligate l’una verso l’altra, i due debiti si estinguono per le quantità corrispondenti). In un recente passato, accadeva, spesso, che alcune società proponessero ad imprese e ditte individuali di accollarsi i loro debiti con il Fisco, pagando con propri crediti le imposte e i contributi previdenziali dovuti da questi ultimi chiedendo la corresponsione soltanto di una parte del valore nominale del debito compensato.

In altri termini, attraverso il meccanismo di accollo tributario, il debito di imposta veniva pagato da una terza società, definita accollante, mediante propri crediti fiscali. Non appena l’accollato vedeva, sul proprio cassetto fiscale, l’estinzione del debito, corrispondeva all’accollante la percentuale concordata del valore nominale del debito compensato (Lo Statuto del Contribuente consente di estinguere l’obbligazione tributaria anche mediante accollo da parte di un terzo soggetto, senza liberazione del debitore originario, https://www.studiosalata.eu/accollo-e-compensazione-nel-diritto-tributario/). Tale pratica era stata ritenuta illegittima, già nel 2017, dall’Agenzia dell’Entrate, la quale attraverso la R.M. 15.11.2017, n. 140/E stabiliva che “deve negarsi, in via generale, che il debito oggetto di accollo possa essere estinto utilizzando in compensazione crediti vantati dall’accollante nei confronti dell’Erario”. Nello specifico, l’Agenzia delle Entrate motivava il proprio diniego alla suddetta prassi affermando che “La circostanza per la quale il contribuente/soggetto passivo del rapporto tributario, al pari del credito fiscale che è tenuto ex lege a soddisfare, rimanga sempre il medesimo, pone il conseguente dubbio se, nell’accollo disciplinato dall’articolo 8 della L. n. 212, possano trovare applicazione in favore dell’accollante le norme che prevedono modalità peculiari di soddisfazione di tale credito, quali la compensazione. Il dubbio va risolto in senso negativo .La compensazione, infatti, fatte salve limitate eccezioni previste specificamente da disposizioni normative ad hoc, trova applicazione solo per i debiti (e i contrapposti crediti) in essere tra i medesimi soggetti e non tra soggetti diversi”. 

Al riguardo, appare opportuno evidenziare come la Suprema Corte di Cassazione abbia affermato, a più riprese, che le risoluzioni ministeriali non hanno valore vincolante, per cui la c.d. interpretazione ministeriale non può imporre ai contribuenti nessun adempimento, né tanto meno vincolare l’interpretazione dei Giudici . (Ex multis: Cort. Cass. Sez. Trib. 06 agosto 2008 n. 21154; 05 marzo del 2014 n. 5137)

In tal senso, si spiega l’art. 1, comma 2, del D.L. 124/2019 (Disposizione urgenti in ,materia fiscale e per esigenze indifferibili), il quale ha stabilito che“Per il pagamento, in ogni caso, è escluso l’utilizzo in compensazione di crediti dell’accollante”.

Orbene, il divieto dell’accollante di compensare con il debito assunto i propri crediti tributari, è strettamente collegato al principio di indisponibilità dell’obbligazione tributaria declinato negli stessi termini dell’accollo del debito di imposta; infatti, non a caso, la risoluzione dell’Agenzia delle Entrate richiamava le Sezioni Unite n. 28162/2008. 

La ratio del suddetto divieto, in effetti, che è ravvisabile all’interno del principio secondo cui la compensazione in ambito tributario è consentita solo tra debiti e crediti in essere tra i medesimi soggetti e non tra soggetti distinti; richiama, immediatamente, i principi di soggettività e oggettività dell’obbligazione tributaria. 

Ora, viene, naturalmente, da chiedersi, quale sia la natura dello Statuto dei diritti del Contribuente, in quanto solo così è possibile comprenderne la reale portata. 

Al riguardo, l’art. 1, comma 1, della L. 212/2000 afferma che “Le disposizioni della presente legge, in attuazione degli articoli 3, 23, 53 e 97 della Costituzione, costituiscono principi generali dell’ordinamento tributario e possono essere derogate o modificate solo espressamente e mai da leggi speciali”. La Suprema Corte di Cassazione ha, costantemente, interpretato la norma nel senso che le disposizioni dello Statuto dei diritti del Contribuente sono meri criteri guida per il Giudice in sede di applicazione e di interpretazione delle norme dell’ordinamento tributario per risolvere eventuali dubbi ermeneutici ma non hanno, nella gerarchia delle fonti, rango superiore alla legge ordinaria (Ex multis: Cort. Cass. Sez. Trib. del 28 febbraio 2014 n. 4815, 14 aprile 2004 n. 7080). 

Tuttavia, il fatto che le disposizioni dello Statuto del Contribuente siano ritenute dei criteri di interpretazione non né riduce la portata, laddove le disposizioni dell’ordinamento tributario entrino in “collisione” con l’autonomia privata. Infatti, molte delle disposizioni della L. 212/2000 non sono altro che la trasposizione di principi di diritto affermati a livello giurisprudenziale, i quali, come si ricava dal primo comma dall’art. 1 dello Statuto dei diritti del Contribuente, trovano, di regola, diretto riconoscimento nella Nostra Costituzione. 

L’autonomia privata, invece, trova riconoscimento costituzionale solo indiretto nell’art. 41 Cost., il quale afferma che la l’iniziativa economica privata è libera, a condizione che non si svolga in contrasto con l’utilità sociale. Ciò significa che laddove l’autonomia privata contrasti con diritti costituzionali direttamente riconosciuti, i quali sono il primo baluardo dell’utilità sociale, la prima deve sempre recedere nel rispetto dei secondi.

Al riguardo, giova evidenziare come l’art. 8 dello Statuto dei diritti del Contribuente abbia recepito un principio di diritto che la Corte di Cassazione aveva già elaborato dal 1985, ancora oggi confermato, per cui l’art. 53 Cost., quindi il principio di soggettività tributaria, fosse una norma di carattere imperativo, in quanto a protezione di un pubblico interesse direttamente riconosciuto in Costituzione. A tal proposito, la Corte di Cassazione ha affermato che “tenendo ben in conto l’art. 53 Cost. -la cui natura è stata da tempo riconosciuta come imperativa, e quindi come direttamente precettiva”. (Ex multis: Sez. Un. Cort. Cass. Civ. 8 marzo 2019 n. 6882 – 6445/1985).

Ammettere la natura imperativa di tale norma ha importanti risvolti pratici. 

In particolare, le clausole adottate in violazione di norme imperative non determinano la nullità del contratto; infatti, l’art. 1419 c.c. afferma “La nullità di singole clausole non importa la nullità del contratto, quando le clausole nulle sono sostituite di diritto (da norme imperative)”. Quest’ultima disposizione deve essere letta unitamente all’art. 1339 c.c. a mente del quale “le clausole, i prezzi di beni o di servizi, imposti dalla legge (o da norme corporative) sono di diritto inseriti nel contratto, anche in sostituzione delle clausole difformi apposte dalle parti.”.

Le norme imperative, in sostanza, sono c.d. norme di interpretazione cogente, poiché laddove non siano inserite nel regolamento di interessi o siano adottate clausole ad esse difformi, intervengono automaticamente ad integrare il contratto. 

Di conseguenza, affermare la natura imperativa dell’art. 53 Cost. e dell’art. 8 dello Statuto dei diritti del Contribuente significa estendere l’applicazione delle sostituzione automatica di clausole difformi al contratto di accollo del debito di imposta. Quindi, laddove le parti stipulino un contratto di accollo del debito di imposta diverso dal modello aderente alla legge, non né deve essere, necessariamente, dichiara la nullità ma il patto difforme potrebbe ritenersi sostituito di diritto con quello legalmente valido. Tale lettura parrebbe essere avvallata anche dalla Suprema Corte laddove afferma che “il carattere di centralità che il dovere tributario è venuto assumendo nella Costituzione repubblicana”, il cui art. 53, “si pone come fonte immediata ed imperativa la cui violazione può (e non deve) comportare la sanzione della nullità delle manifestazioni di autonomia negoziale con esso confliggenti“. (Cort. Cass. Sez. Un. 8 marzo 2019 n. 6882 – 18 dicembre 1985 n. 6445 – 5 gennaio 1985 n. 5)

Nella specie, dunque, qualora due parti stipulino un contratto di accollo in cui inseriscano una condizione sospensiva consistente nella adesione del Fisco all’accordo con conseguente liberazione del debitore accollato; il contratto non deve essere dichiarato nullo. Infatti, l’art. 1354, comma 3, c.c. statuisce che “Se la condizione illecita o impossibile è apposta a un patto singolo del contratto, si osservano, riguardo all’efficacia del patto, le disposizioni dei commi precedenti, fermo quanto è disposto dall’articolo 1419”. La forma difforme di accollo, dunque, potrebbe essere considerata quale singolo patto, di conseguenza, il contratto sarebbe salvo e, di diritto, integrato con la forma di accollo ammessa dall’art. 8, comma 2, dello statuto dei diritti del Contribuente. 

Gian Maria Marletti

Dottore in Giurisprudenza