Convegno Pontremoli, 14 settembre 2018

“Il processo tributario tra strumenti di deflazione ed esecuzione forzata”

SOMMARIO: PARTE I §. 1 La natura giuridica dell’obbligazione tributaria; §. 2 Il concetto di indisponibilità dell’obbligazione tributaria; §. 3 L’art. 53 Cost. e l’indisponibilità del credito tributario; §. 4 Il principio di legalità e la riserva di legge ex art. 23 Cost.; §. 5 Il principio d’imparzialità dell’azione amministrativa ex art. 97 Cost.; §. 6 L’indisponibilità del tributo nella giurisprudenza e nella dottrina; PARTE II §. 7 Conciliazione tributaria ed indisponibilità della obbligazione tributaria; §. 8 La disciplina attuale della conciliazione tributaria ed il principio di indisponibilità dell’obbligazione tributaria; §. 9 Il reclamo-mediazione nel processo tributario: i criteri oggettivi che regolano l’attività di mediazione; §. 10 La proposta di mediazione

  • . 1 La natura giuridica dell’obbligazione tributaria.

L’esame del principio d‟indisponibilità dell‟obbligazione tributaria, e dei problemi interpretativi che esso solleva in ordine alla sua esistenza e al fondamento dogmatico, deve essere preceduto necessariamente da una breve ricognizione delle caratteristiche essenziali dell‟obbligazione tributaria.

Come avremo modo di vedere, infatti, la natura sui generis del rapporto tributario costituisce una delle argomentazioni tradizionalmente addotte a sostegno della pretesa indisponibilità del credito tributario.

L’obbligazione tributaria, seguendo lo schema tipico che riconduce il debito d’imposta al paradigma dell’obbligazione di matrice privatistica, può essere definita come obbligazione avente ad oggetto una prestazione, di regola pecuniaria, a titolo definitivo e, pertanto, strutturalmente affine alle comuni obbligazioni civilistiche, ma da essa profondamente distinta sul piano funzionale.

Infatti, l’imposta, quale categoria giuridica, risponde alla funzione tipica finalizzata al riparto della spesa pubblica.

Pararellamente al normale rapporto verticale di dare e avere tra l’ente impositore creditore, ed il contribuente-debitore, esiste, parallelamente ad esso, un rapporto orizzontale tra contribuenti, tra i quali il carico impositivo deve essere ripartito in ragione della capacità contributiva, secondo il fondamentale principio scolpito dall’art. 53 Cost., norma che, nel sancire la doverosità della contribuzione alla spesa pubblica da parte dei cittadini, ne limita al tempo stesso la portata, secondo il grado di espressione della rispettiva capacità contributiva, espressione del principio di equità del sistema fiscale, che si traduce nella pretesa di ciascun contribuente ad un giusto riparto del carico pubblico complessivo.

La contrapposizione tra l’interesse dell’ente impositore alla massimizzazione del gettito e quello del contribuente alla riduzione del carico fiscale è da sempre considerata immanente al diritto tributario, e investe gli elementi costitutivi del tributo, ovvero la sua stessa istituzione, la base imponibile, il presupposto, l’aliquota.

Ne discende l’operatività dei parametri indicati dall’art. 53 Cost. che si traduce nei limiti qualitativi e quantitativi imposti al legislatore ordinario in sede d’istituzione di nuove imposte, e nella privazione per l’Amministrazione Finanziaria del potere di disporre del credito tributario. In quest’ottica, infatti, qualsiasi atto dispositivo finirebbe per alterare i meccanismi di ripartizione del carico tributario fissati dal legislatore, vanificando sul piano concreto il principio di capacità contributiva.

  • . 2 Il concetto di indisponibilità dell’obbligazione tributaria.

Appare preliminarmente necessario rilevare la carenza di una solida base normativa che consentirebbe all’ interprete di definire il contenuto ed i limiti dell’indisponibilità del credito tributario, vista anche l’introduzione nel contesto normativo dei nuovi strumenti di deflazione e di composizione extragiudiziale (e giudiziale) del debito fiscale.

Anteriormente alla emanazione della Costituzione Repubblicana, la norma di riferimento per definire il carattere indisponibile dell’obbligazione tributaria si individuava nell’art. 13 R.D. 3269/1923, il cui dettato vietava al Ministero delle Finanze, dei funzionari da esso dipendenti, e di qualsiasi altra pubblica autorità di concedere “alcuna diminuzione delle tasse e sovrattasse stabilite da questa legge, né sospendere dalla riscossione senza divenirne personalmente responsabili”, così introducendo la distinzione tra potestà d’imposizione, e singolo credito d’imposta, secondo la quale, deve essere considerato indisponibile il potere impositivo, attribuito allo Stato o agli Enti locali, inteso come potestà astratta di imporre prestazioni patrimoniali ai consociati, nel rispetto dei principi costituzionali, in vista del perseguimento dell’interesse pubblico alla percezione dei tributi e al finanziamento della spesa pubblica, che si traduce non solo nell’obbligo per l’amministrazione di esercitare esclusivamente i poteri espressamente attribuiti dal legislatore, non esistendo potestà innate in capo allo Stato, ma anche nel divieto di abdicare, o trasferire a terzi, le prerogative di cui sia stata investita da una norma primaria, al fine di svolgere le funzioni rientranti nei suoi compiti istituzionali. Da ciò discendeva la conclusione, unanimemente condivisa, per cui dovrebbe qualificarsi invalido ed inefficace l’atto col quale un’amministrazione pubblica rinunciasse, ex ante, ad applicare un tributo i cui presupposti si verificassero in futuro, ovvero accordasse al singolo contribuente esenzioni non previste, derogando illegittimamente al regime ordinario di riparto del carico tributario.  

L’avvento della Costituzione del 1948 ha ancorato il principio d’ indisponibilità a tre articoli: l’art. 53, l’art. 23 e l’art. 97 Cost..

  • . 3 L’art. 53 Cost. e l’indisponibilità del credito tributario

Il riferimento all’art. 53 Cost. quale primo fondamento dell’indisponibilità del credito tributario risiederebbe nell’esigenza di assicurare il giusto e perequato riparto dei carichi pubblici tra i contribuenti, in ragione della rispettiva capacità contributiva: pertanto non potrebbero mai essere ammessi atti dispositivi o di rinuncia del credito tributario da parte dell’Amministrazione Finanziaria che in tal modo potrebbe ingiustamente attribuire singoli vantaggi.

In altre parole, la mancata riscossione di una frazione della totalità del gettito comporterebbe un pregiudizio per gli interessi dell’ente impositore, ripercuotendosi indirettamente sulla posizione del singolo contribuente.

Benché la teoria sia stata apprezzata per la ricchezza delle argomentazioni e per la linearità del ragionamento, le obiezioni, tese a smontare l’impianto complessivo della tesi poggiava sulla circostanza che l’art. 53 Cost., collegando il dovere astratto di contribuzione all’esistenza di una capacità contributiva, non trattava i singoli rapporti d’imposta e delle loro vicende modificative-estintive, e quindi non era in grado di assurgere a fondamento del divieto d‟indisponibilità di un debito d’imposta già sorto e definito nell‟an e nel quantum.

Ne discende l‟impossibilità di ricavare dall’art. 53 un’ incompatibilità assoluta e aprioristica tra il dovere di contribuzione secondo capacità contributiva e la discrezionalità dispositiva del credito tributario, azionabile nell’effettiva presenza di vantaggi legati a tale opzione rispetto ai pregiudizi che si possano concretare per la mancata composizione della controversia in via di accordo.

  • . 4 Il principio di legalità e la riserva di legge ex art. 23 Cost.

Il disposto dell’art. 23 Cost. riserva alle fonti normative di rango primario il potere di definire i presupposti fondamentali delle singole fattispecie d’imposta, demandando poi a fonti subordinate il compito d’integrare la disciplina legislativa con norme di dettaglio.

Disponendo dell’obbligazione tributaria, in realtà, l’Amministrazione non si troverebbe ad imporre prestazioni impositive, sul piano astratto e generalizzato, sostituendosi alla fonte legislativa, e quindi violando la portata precettizia dell’art. 23 Cost., ma piuttosto a contraddire ed eventualmente riesaminare, il contenuto della pretesa che, ab origine, trova comunque integrale disciplinata nella legge.

Dimostrata in tal senso l’osservanza del precetto costituzionale ne consegue l’inidoneità  dell’art. 23 a fondare il principio d‟indisponibilità su tale criterio, per cui l’analisi deve spostarsi sul secondo criterio di collegamento con l’art. 23 Cost., desumibile dal principio della riserva legislativa, per cui si rileva l’incompatibilità tra potere di disposizione del credito tributario e carattere vincolato dell’azione amministrativa, per cui il provvedimento amministrativo non può che avere un unico contenuto, già predeterminato al ricorrere di determinati presupposti.

In altre parole, il potere dispositivo potrebbe prospettarsi ammissibile, qualora sia demandata all’Amministrazione la facoltà di scegliere, la soluzione maggiormente idonea ad integrare l’interesse pubblico nella fattispecie concreta.

Tale prospettazione non si concilierebbe con una potestà rigidamente vincolata, qual è quella di imposizione tributaria, e sarebbe ribadito il criterio dell’indisponibilità del credito quale riflesso diretto del carattere vincolato dell‟azione amministrativa.

Il fondamento costituzionale del principio espresso, non può albergare nel disposto normativo del citato art. 23 Cost..

La pretesa di considerare vincolato ogni aspetto della funzione impositiva poggia su interpretazione puramente astratta del fenomeno tributario che, in primo luogo, non valorizza la distinzione tra la pluralità di attività svolte dall’amministrazione finanziaria, che vanno dall’accertamento del presupposto impositivo alla riscossione del tributo, attraverso una eventuale fase di riesame.

  • . 5 Il principio d’imparzialità dell’azione amministrativa ex art. 97 Cost.

L’art. 97 Cost. che detta i principi d’imparzialità e buon andamento dell’azione amministrativa rappresenterebbe uno dei cardini relativi al principio di indisponibilità del credito tributario il quale deriverebbe dalla astratta difficoltà, di poter garantire l’imparzialità e la correttezza della P.A. nel momento di esercizio dei poteri di disposizione.

Tale assunto non appare condivisibile, poiché non può essere ritenuto a priori, e sulla base di un concetto patologico puramente astratto, invalido un atto dispositivo dell’obbligazione tributaria: l’eventuale patologia dovrà essere valutata per ogni caso singolo, onde evidenziare le situazioni in cui l‟esercizio del potere dispositivo sia avvenuto in assenza di valida ed effettiva giustificazione.

L’analisi delle norme costituzionali poste a fondamento del principio dell’indisponibilità dell’obbligazione tributaria, non appaiono rappresentare un fondamento normativo chiaro e univoco del principio, di importante attualità, conseguente all’introduzione degli strumenti deflattivi e di risoluzione delle controversie tributarie.

  • . 6 L’indisponibilità del tributo nella giurisprudenza e nella dottrina.

L’analisi giurisprudenziale delle pronunce giurisprudenziali in tema di indisponibilità dell’obbligazione tributaria offre un quadro eterogeneo e controvertibile, con ripetuta espressione dei concetti generali senza dare, nella maggior parte dei casi, contezza della fattispecie concreta.

Alla fine degli anni settanta, la giurisprudenza ravvisò gli elementi tipici della transazione, (c.d. aliquid datum e aliquid retentum) nell’accordo concluso (vero e proprio contratto a carattere sinalagamatico) tra l’ente impositore ed il contribuente, dove, al fine di prevenire l’avvio del contenzioso, l’ente si obbligava a ridurre l’entità della pretesa fiscale in cambio della rinuncia, da parte del contribuente, a procedere giudizialmente.

L’impostazione fu integralmente disattesa dalla Corte di Cassazione, con la sentenza del 27 febbraio 1979, n. 1276 rilevò la nullità dell’atto concluso, per violazione di norma imperativa, costituita dall‟art. 1966, 2 comma, c.c. che, vieta la transazione avente ad oggetto diritti sottratti alla disponibilità giuridica delle parti, in quanto “..la potestà tributaria è una potestà vincolata, e non discrezionale; tale vincolatività, con l’indisponibilità e l’irrinunciabilità che vi si correlano, sta a dimostrare che l’amministrazione, cui è certamente vietato disporre, con proprio regolamento e con circolari, agevolazioni ed esenzioni non previste dalla legge, a maggior ragione non potrebbe, nel caso concreto con provvedimento specifico transattivo, ridurre l’ammontare del tributo”.

Inoltre, la transazione conclusa con il contribuente non potrebbe rivestire i caratteri della “definitività” in quanto, all’Amministrazione Finanziaria non può essere preclusa la facoltà di riesaminare la valutazione del proprio operato e quindi, qualora emergessero elementi di “illegittimità”, l’ente impositore (quale P.A.) avrebbe l’obbligo della rinuncia a tutela del credito erariale e dell’interesse pubblico alla riscossione delle imposte.

Anche la rinuncia maturata nelle more dell fase contenziosa non può considerarsi irretrattabile, alla stregua di un ordinario atto di acquiescenza, fino a quando non intervenga un giudicato idoneo a cristallizzare il rapporto oggetto della controversia.

Era chiaro che la portata precettiva di tale orientamento giurisprudenziale, mortificava in modo pregnante le ordinarie regole processuali, per cui fu inevitabile, pur a fine anni ottanta, l’intervento dei giudici di legittimità (Corte Cass., sent. 6 luglio 1988, n. 4429) che ebbero modo di precisare che “..il principio dell’indisponibilità dell‟obbligazione tributaria non può sottrarre l’amministrazione alle ordinarie regole del processo, frustrando così l’affidamento ingenerato nel contribuente dal contegno processuale tenuto dalla parte pubblica e alterando il fondamentale principio di parità delle armi tra le parti in giudizio.”.

Negli anni novanta, l’introduzione del concordato e, soprattutto dell’accertamento con adesione, portò a superare il dogma dell’indisponibilità dell’obbligazione tributaria, con la rigida predeterminazione normativa degli elementi essenziali del tributo, per cui, la valutazione relativa all’ampiezza della discrezionalità attribuibile alla Amministrazione Finanziaria, andava ad incentrarsi sul caso concreto, fino ad arrivare all’esame delle problematiche connesse agli istituti deflattivi del contenzioso, che comportano per la P.A. la necessaria valutazione e ricostruzione in concreto dell’obbligazione tributaria, e comportando per l’operatore l’onere di ridefinire l’ambito di operatività del principio di indisponibilità.

La finalità interpretativa della conciliazione ripropone la divergenza tra i due orientamenti: quello pubblicistico-ricognitivo e quello contrattuale- transattivo.

Come detto, ponendo alla base della prima impostazione il principio della indisponibilità della obbligazione tributaria, l’operatività della conciliazione tributaria risultava limitata alle sole questioni di fatto o estimative, che di fatto non infrangevano il dogma dell’indisponibilità.

Per gli assertori di tale tesi, che la conciliazione tributaria si differenzia dall’omonimo istituto di diritto processuale civile che si connota principalmente proprio per il potere delle parti di disporre dei diritti dedotti in lite, (a differenza di quanto avviene nelle controversie tributarie che, per definizione, hanno ad oggetto rapporti indisponibili).

La finalità comporre la controversia, si attua attraverso tramite un percorso collaborativo, tra ufficio e contribuente che giunga a definire con sufficiente grado di attendibilità, gli aspetti controversi del rapporto oggetto del giudizio senza che si sostanzi il principio delle “reciproche concessioni”, tipico della transazione. Ciò avviene nelle fattispecie in cui l’opinabilità delle questioni controverse non consenta di accertare la fattispecie in termini rigorosamente oggettivi.

La conclusione cui perviene la conciliazione tributaria non produce un effetto dispositivo di diritti, ma meramente accertativo, portando alla formulazione della tesi c.d. “del doppio atto”, secondo la quale la definizione conciliativa non costituisce il risultato di un accordo transattivo, ma si formalizza attraverso la combinazione di due distinti atti unilaterali, rispettivamente provenienti l’uno dall’Amministrazione finanziaria, “revisione in autotutela dell’accertamento”, l’altro dal contribuente consistente nella rinuncia agli atti del procedimento  pendente.

La Corte Costituzionale, con sentenza 12-24 ottobre 2000 n. 433, ha avuto modo di precisare che il potere di controllo riconosciuto al giudice tributario deve ritenersi limitato alla sola verifica delle condizioni e dei presupposti di ammissibilità dell’istituto, reputando illegittima qualsiasi forma di ingerenza nel merito della conciliazione che possa sfociare in un sindacato sull’opportunità dell’accordo e sulla congruità della somma concordata. La funzione del giudice tributario permane comunque decisiva ed indeffettibilmente necessaria ai fini del perfezionamento della procedura conciliativa e dell’estinzione del giudizio. Riconoscere al giudice il potere di valutare nel merito l’opportunità dell’accordo significherebbe ammettere che gli effetti dell‟accordo conciliativo non dipendono esclusivamente dalla volontà delle parti, ma anche dalla cooperazione di un soggetto terzo, elemento che appare incompatibile con la struttura della conciliazione giudiziale, la cui caratteristica principale consiste, proprio nella capacità delle parti di disporre dei diritti oggetto della controversia.

Prof. Avv. Bruno Cucchi