Convegno Pontremoli, 14 settembre 2018

“Il processo tributario tra strumenti di deflazione ed esecuzione forzata”

Per quanto riguarda l’efficacia ingiuntiva della cartella di pagamento, l’art. 50, co 2, D.P.R. 602/73, stabilisce che, se l’espropriazione non è iniziata entro un anno dalla notifica della cartella di pagamento, l’Agente della Riscossione, per poter procedere all’esecuzione, deve notificare un’intimazione di pagamento o cd. “avviso di mora”, contenente l’intimazione ad adempiere l’obbligo risultante dal ruolo (titolo esecutivo) nel termine di 5 giorni.

In sostanza, decorso un anno dalla notifica della cartella, quest’ultima mantiene l’efficacia comunicativa del ruolo (titolo esecutivo), ma perde l’effetto ingiuntivo del pagamento, che deve essere rinnovato, prima di procedere ad esecuzione forzata, mediante la notifica dell’intimazione di pagamento.

Secondo il disposto dell’art. 50, co. 3, D.P.R. 602/73, con la notifica dell’avviso, redatto in conformità al modello ministeriale, l’Agente della riscossione ha un termine di 180 giorni dalla data della notifica per procedere ad espropriazione.

La durata dell’efficacia dell’ingiunzione fiscale appare più incerta, in quanto non esiste alcuna norma specifica, né per ciò che riguarda il titolo, né per ciò che riguarda la funzione ingiuntiva.

E’ noto, come detto, che l’ingiunzione fiscale, nella configurazione attribuitale dalla giurisprudenza e dalla dottrina, cumula in sé la duplice natura e funzione di titolo esecutivo unilateralmente formato dalla pubblica amministrazione nell’esercizio del suo peculiare potere di autoaccertamento e autotutela, e di atto prodromico all’inizio dell’esecuzione coattiva equipollente a quello che nel processo esecutivo civile ordinario è l’atto di precetto.

Sulla base di tale premessa, risulta corretta in linea di principio (ed appare sostanzialmente accertata dalle parti ricorrenti) l’affermazione secondo cui, protraendosi l’inattività dell’Amministrazione nel procedere agli atti esecutivi fino alla scadenza del termine stabilito nell’art. 481 c.p.c., l’ingiunzione perde efficacia relativamente e limitatamente alla sua equivalenza al precetto (onde, ai fini del promovimento dell’esecuzione, si rende necessaria un reiterazione della notificazione della stessa), ma non viene meno in essa la valenza del titolo esecutivo.

Sotto il primo aspetto (ingiunzione come titolo), la giurisprudenza tende ad escludere che la notifica dell’ingiunzione sia idonea a far decorrere la prescrizione decennale dell’actio judicati, stante la ricordata natura di titolo stragiudiziale a formazione amministrativa di tale atto (Cass. Civ., sez. V, sent. 25 maggio 2007, n. 12263), e stante il fatto che un atto amministrativo non può mai passare in giudicato.

Inoltre, a differenza di quanto avviene per la cartella, neppure l’efficacia ingiuntiva (ingiunzione come precetto) risulta sottoposta ad un chiaro termine finale, non potendosi ritenere automaticamente applicabile l’art. 50 D.P.R. 602/1973.

A fronte di ciò, alcune pronunce giurisprudenziali hanno addirittura escluso che l’espropriazione debba essere iniziata entro un determinato termine dalla notificazione dell’ingiunzione (Ex plurimis si veda Cass. Civ., sent. 23 aprile 2003, n. 6448: “Nell’espropriazione esattoriale, decorso il termine di 30 giorni dalla notificazione dell’ingiunzione senza che il debitore abbia adempiuto spontaneamente, l’ente pubblico può procedere all’espropriazione forzata senza che all’ingiunzione debba seguire altro atto con la funzione del precetto, né che l’espropriazione debba essere iniziata entro un dato termine dalla notificazione dell’ingiunzione”. In giurisprudenza è opportuno ricordare la sentenza n. 10958 del 25 maggio 2005 delle Sezioni Unite che statuendo che “in tema di riscossione dei tributi locali, è devoluta alla giurisdizione delle commissioni tributarie la controversia concernente l’impugnazione di un’ingiunzione emessa (nella fattispecie, in materia di tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche) ai sensi del R.D. 10 aprile 1910, n. 639, poichè l’ingiunzione non è un atto dell’espropriazione forzata, ma ha la stessa funzione, di atto prodromico dell’esecuzione forzata, che svolge la cartella di pagamento, e deve, pertanto, poter essere impugnata come una cartella di pagamento, ai sensi dell’art. 19 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546”).

Si tratta, tuttavia, di un orientamento assolutamente minoritario, poiché un’efficacia ingiuntiva del pagamento “perpetua” e non sottoposta ad alcun limite temporale costituirebbe un’anomalia nell’ordinamento.

Una parte della dottrina, favorevole alla completa assimilazione tra cartella di pagamento ed ingiunzione fiscale, ritiene che anche quest’ultima perda la propria efficacia ingiuntiva del pagamento decorso un anno dalla notifica.

Tuttavia questo orientamento, non è suffragato da una specifica normativa, ma solo da una assimilazione effettuata, in forza dell’art. 4, c. 2 sexies, D.L. n. 209/2002 che, per la riscossione delle somme di cui all’ingiunzione ex R.D. n. 639/1910, richiama in quanto compatibili le norme di cui al titolo II D.P.R. n. 603/1972.

Continuando su questo ragionamento le Sezioni Unite ribadiscono che nel processo esecutivo ordinario vige il principio contenuto nell’articolo 479 c.p.c. secondo il quale “Se la legge non dispone altrimenti, l’esecuzione forzata deve essere preceduta dalla notificazione del titolo in forma esecutiva e del precetto”, e statuiscono che il medesimo principio è contenuto anche nell’articolo 50 del D.P.R. n. 602/73 secondo il quale “Il concessionario procede a espropriazione forzata quando è inutilmente decorso il termine di sessanta giorni dalla notificazione della cartella di pagamento, salve le disposizioni relative alla dilazione e alla sospensione. Se l’espropriazione non è iniziata entro un anno dalla notifica della cartella di pagamento, l’espropriazione stessa deve essere preceduta dalla notifica, da effettuarsi con le modalità previste dall’articolo 26, di un avviso che contiene l’intimazione ad adempiere l’obbligo risultante dal ruolo entro cinque giorni“.

L’articolo 5 del R.D. 639/1910 presuppone che prima dell’espropriazione forzata venga notificata l’ingiunzione. Quindi per i giudici di legittimità tali norme confermano che l’ingiunzione fiscale svolge la stessa funzione che svolge la cartella di pagamento in quanto atto prodromico per l’esecuzione forzata.

La stessa funzione tuttavia non significa anche stessa efficacia ingiuntiva.

Infatti la dottrina maggioritaria ritiene che l’efficacia ingiuntiva della ingiunzione sia limitata a 90 giorni (analogamente a quanto previsto, per l’atto di precetto, dall’art. 481 c.p.c. che statuisce “il precetto diviene inefficace se nel termine di novanta giorni dalla sua notificazione non è iniziata l’esecuzione”).

L’ art. 481 Cod. proc. civ., si riferisce però specificatamente al solo atto di precetto (e non al titolo esecutivo) nel prevederne l’inefficacia in caso di mancato inizio dell’esecuzione nel termine di novanta giorni dalla notifica. Ciò, induce a ritenere che la perenzione dell’ingiunzione attenga esclusivamente alla sua “funzione” di precetto e non di titolo esecutivo, rilevante ai fini di instaurare correttamente e legittimamente una procedura esecutiva. In tal senso si è espressa la Corte Suprema (Cass. Civ., sez. I, sent. 9 settembre 1996, n. 3880): “ ..l’ingiunzione (…) presenta natura di atto amministrativo complesso, avente le funzioni non soltanto di titolo esecutivo ma anche di precetto, perché contiene l’avvertimento al debitore che lo Stato o l’ente pubblico procederà ad esecuzione forzata, ove il debito non sia estinto entro il termine di trenta giorni. In quanto atto amministrativo con funzioni di titolo esecutivo, peraltro, la sua validità e la sua efficacia non sono condizionate dalla notificazione. L’ingiunzione – se emessa dal competente ufficio dell’ente creditore, sottoscritta da soggetto abilitato, rivestita dai requisiti formali essenziali e recante l’ordine di pagare una somma certa, liquida ed esigibile – è valida ed efficace ancorché non notificata all’intimato (è stato anzi ritenuto che la stessa mancanza del visto del pretore non incide sulla validità ed efficacia dell’ingiunzione fiscale, per gli effetti che si ricollegano alla sua qualità di atto amministrativo contenente l’ordine di pagare una determinata somma)”.

Si è, infatti, autorevolmente precisato sempre da parte della Cassazione che l’ingiunzione perde efficacia relativamente e limitatamente alla sua equivalenza al precetto (onde, ai fini del promovimento dell’esecuzione, si rende necessaria una reiterazione della notificazione della stessa), ma non viene meno in essa la valenza del titolo esecutivo. In questo è irrevocabilmente consacrato l’accertamento del credito dell’Amministrazione: con la conseguenza che, ove l’ingiunzione non sia stata tempestivamente impugnata, tale accertamento non può più essere revocato in discussione, con l’opposizione proponibile in seguito alla eventuale ulteriore notificazione la cui causa petendi resta circoscritta a ipotetici vizi propri di quest’ultima e non si estende a quanto era originariamente deducibile e, non dedotto, risulta assorbito nel giudicato: salva restando soltanto, in conformità ai principi generali, la possibile rilevanza del venir meno delle condizioni dell’azione esecutiva per cause sopravvenute alla formazione del titolo. Così Cass. Civ., sez. I, 3 aprile 1997, n. 2894:L’ingiunzione fiscale cumula in sè la duplice natura e funzione di titolo esecutivo unilateralmente formato dalla P.A. nell’esercizio del suo peculiare potere di auto accertamento e autotutela e di atto prodromico all’inizio dell’esecuzione coattiva equipollente a quello che nel processo Civile ordinario è l’atto di precetto. Qualora l’inattività dell’amministrazione nel procedere agli atti esecutivi si protragga fino alla scadenza del termine stabilito nell’art. 481 c.p.c., l’ingiunzione perde efficacia relativamente e limitatamente alla sua equivalenza al precetto (onde, ai fini del promovimento dell’esecuzione, si rende necessaria una reiterazione della notificazione della stessa), ma non viene meno in essa la valenza del titolo esecutivo, in cui è irrevocabilmente consacrato l’accertamento del credito dell’amministrazione. Pertanto, ove l’ingiunzione non sia tempestivamente impugnata. (Nella specie l’opposizione alla ingiunzione era stata dichiarata inammissibile perchè tardiva), tale accertamento non può più essere revocato in discussione con l’opposizione proponibile in seguito alla eventuale ulteriore notificazione, restando la causa petendi circoscritta a ipotetici vizi propri di quest’ultima, senza che possa estendersi a quanto era originariamente deducibile e non è stato dedotto, risultando questo assorbito nel giudicato”.

Secondo l’interpretazione offerta da questa sentenza, i giudici della Cassazione ritengono che, una volta decorso inutilmente il termine per procedere esecutivamente (sia esso novanta giorni o un anno) l’Amministrazione potrà rinotificare la medesima ingiunzione, con l’aggiunta delle successive spese maturate, senza bisogno di emettere un nuovo atto.

Pochi mesi dopo tale pronuncia, la Cassazione (Cass. Civ., sez.I, 8 agosto 1997, n. 7384) si occupa nuovamente della problematica della valenza della funzione esecutiva del titolo confermando che l’ingiunzione fiscale, pur cumulando in sè le caratteristiche del titolo esecutivo e del precetto, non può essere scissa e distinta in un titolo esecutivo e in un atto di precetto, ciascuno regolato dalle norme del codice di rito che lo riguardano, sicchè alla stessa non può essere riferito ed applicato l’art. 481 c.p.c. sulla cessazione di efficacia del precetto per il decorso del termine di novanta giorni dalla notifica, senza che sia stata iniziata l’esecuzione.

Consegue che l’ingiunzione fiscale, una volta notificata al contribuente e non tempestivamente impugnata, determina l’incontestabilità dell’accertamento tributario, senza perdere il valore di titolo esecutivo, ancorchè sia venuta meno l’efficacia del precetto per decorrenza del termine di cui all’art. 481 c.p.c. Pertanto, ove l’amministrazione finanziaria provveda a notificare altra ingiunzione precettiva, riproduttiva della prima, l’opposizione proposta contro la nuova ingiunzione, la quale equivale alla rinnovata notificazione del precetto, non può più porre in discussione il titolo originario, in base al quale si procede all’esecuzione”.

In tema di riscossione coattiva urge un intervento modificativo, soprattutto chiarificatore, relativamente ad alcuni importanti caratteri operativi della riscossione mediante ingiunzione, soprattutto nella prospettiva di coordinamento con la normativa ordinaria e con quella speciale del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602.

In ordine alla durata dell’efficacia del precetto contenuto nella ingiunzione, la Suprema Corte (Cass. Civ. Sez. I, 3 aprile 1997, n. 2894) intervenne per chiarire che “… l’ingiunzione fiscale, nella configurazione attribuitale dalla giurisprudenza e dalla dottrina, cumula in sé la duplice natura e funzione di titolo esecutivo unilateralmente formato dalla pubblica amministrazione nell’esercizio del suo peculiare potere di autoaccertamento e autotutela, e di atto prodromico all’inizio dell’esecuzione coattiva equipollente a quello che nel processo esecutivo civile ordinario è l’atto di precetto. Sulla base di tale premessa, risulta corretta in linea di principio, l’affermazione secondo cui, protraendosi l’inattività dell’Amministrazione nel procedere agli atti esecutivi fino alla scadenza del termine stabilito nell’art. 481 c.p.c., l’ingiunzione perde efficacia relativamente e limitatamente alla sua equivalenza al precetto (onde, ai fini del promovimento dell’esecuzione, si rende necessaria un reiterazione della notificazione della stessa), ma non viene meno in essa la valenza del titolo esecutivo.”

Ne deriva che: per gli enti locali ed i concessionari della riscossione il mancato allineamento dei termini di efficacia della parte precettizia dell’ingiunzione (90 giorni) con quelli della cartella di pagamento (1 anno) comportino una ricaduta negativa sui bilanci per:

  1. a) un incremento di spesa (reiterazione della notifica);
  2. b) rallentamento dell’esecuzione, se non perdita del credito azionato;
  3. c) impiego di risorse per una attività superflua ed evitabile.

Quindi mentre il procedimento esecutivo ordinario determina che l’Amministrazione provveda a notificare altra ingiunzione precettiva, riproduttiva della prima, con le conseguenze di cui sopra, si evidenzia la improrogabile necessità della omogenizzazione dei termini qualora i comuni e i concessionari iscritti all’albo di cui all’articolo 53 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446 procedano all’esecuzione secondo le disposizioni contenute nel titolo II del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602.

In tal caso, una volta notificata l’ingiunzione, e non azionata l’esecuzione, lo scadere del 90° giorno, e quindi la perdita di efficacia del precetto ingiunzionale, comporterà la paralisi esecutiva di oltre nove mesi, poiché la notifica dell’avviso d’intimazione ex art. 50 del decreto del Presidente della Repubblica 29 4 settembre 1973, n. 602, potrà effettuarsi soltanto trascorso un anno dalla notificazione dell’ingiunzione sulla base della quale si procede.

Un ulteriore punto da esaminare concerne la diversa previsione del termine per l’impugnazione dell’ingiunzione fiscale avente ad oggetto crediti tributari con quello per l’adempimento.

Si deve rilevare come nessuna norma di legge imponga ai Concessionari di prevedere, per le ingiunzioni relative ad entrate tributarie comunali (ICI/IMU, TOSAP, ICP, TARSU/TARES/TARI, DPA), un termine per l’adempimento pari a 60, anziché 30 giorni, dalla notifica dell’ingiunzione stessa.

Al contrario, l’art. 2 R.D. 639/1910 prevede espressamente un termine di adempimento pari a trenta giorni, a prescindere dalla natura (tributaria o extra-tributaria) dell’ingiunzione fiscale.

L’obbligo di prevedere un termine di 60 giorni non appare ricavabile neppure dall’utilizzo della cd. “ingiunzione fiscale rafforzata”, ossia dalla facoltà per il Concessionario di utilizzare gli strumenti messi a disposizione dal Titolo II DPR 602/1973.

Sia l’art. 4, comma 2-sexies, D.L. 24.09.2002 n. 209, convertito con modificazioni in Legge 22.11.2002 n. 265, sia l’art. 36, comma 2, lettera a), D.L. 31.12.2007 n. 248, convertito con modificazioni in Legge 28.02.2008 n. 31, prevedono infatti che i Concessionari procedano alla riscossione coattiva delle somme risultanti dall’ingiunzione di cui al R.D. 639/1910, secondo le disposizioni contenute nel Titolo II DPR 602/1973, in quanto compatibili”.

Il richiamo alle disposizioni di cui al Titolo II DPR 602/1973 “in quanto compatibili” implica che l’ingiunzione continui ad essere disciplinata, in primis, dalle norme del R.D. 639/1910, anche per ciò che concerne la durata della propria efficacia. Pertanto, essa continua ad autorizzare a procedere all’esecuzione decorsi 30 giorni dalla sua notifica (a differenza della cartella di pagamento, che richiede invece il decorso di 60 giorni) e, per contro, perde efficacia una volta decorsi 90 giorni dalla sua notifica (secondo la norma generale stabilita per qualsiasi atto di precetto dall’art. 481 c.p.c., ed a differenza di quanto avviene per la cartella di pagamento, la quale perde efficacia decorso un anno dalla sua notifica).

Del resto, se l’utilizzo dell’ingiunzione fiscale “rafforzata” comportasse un’automatica assimilazione dell’ingiunzione alla cartella di pagamento (anche per ciò che attiene il termine di efficacia), ciò dovrebbe valere per qualsiasi ingiunzione, a prescindere dalla sua natura tributaria o extra-tributaria (posto che la cartella di pagamento prevede un termine dilatorio di 60 giorni per l’adempimento, anche quando è emessa per il recupero di entrate extra-tributarie).

Anche l’uniformazione del termine ad adempiere rispetto al termine per impugnare, seppure certamente opportuna sotto il profilo pratico, non appare costituire un obbligo di legge, come si desume proprio dalla disciplina della cartella di pagamento. Quest’ultima, infatti, prevede sempre un termine per l’adempimento pari a 60 giorni dalla sua notificazione (a prescindere dalla natura del credito riscosso), mentre pacificamente prevede termini di impugnazione differenziati a seconda della natura del credito e della tipologia di contestazioni sollevate dal contribuente (60 giorni per il ricorso tributario, qualunque sia la contestazione sollevata, ex art. 21 D.lgs. 546/1992; 20 giorni per l’opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c. volta a contestare vizi formali di una cartella extra-tributaria; 30 giorni per l’opposizione a sanzione amministrativa ex art. 7 D.lgs. 01.09.2011 n. 150; 40 giorni per l’opposizione a cartella relativa a crediti previdenziali ex art. 24, comma 5, D.lgs. 26.02.1999 n. 46).

Prof. Avv. Federica Simonelli

(Unicusano – Roma)