Convegno Lerici, 30 novembre 2018

“L’attuazione degli strumenti di deflazione anche alla luce del Decreto n. 119/18, c.d. Pace Fiscale”

L’art. 6 del D. Legge 119/2018 dispone:
“1. Le controversie attribuite alla giurisdizione tributaria in cui e’ parte l’Agenzia delle entrate, aventi ad oggetto atti impositivi, pendenti in ogni stato e grado del giudizio, compreso quello in Cassazione e anche a seguito di rinvio, possono essere definite, a domanda del soggetto che ha proposto l’atto introduttivo del giudizio o di chi vi e’ subentrato o ne ha la legittimazione, con il pagamento di un importo pari al valore della controversia. Il valore della controversia e’ stabilito ai sensi del comma 2 dell’articolo 12 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546.
2. In deroga a quanto previsto dal comma 1, in caso di soccombenza dell’Agenzia delle entrate nell’ultima o unica pronuncia giurisdizionale non cautelare depositata alla data di entrata in vigore del presente decreto, le controversie possono essere definite con il pagamento:
a) della meta’ del valore della controversia in caso di soccombenza nella pronuncia di primo grado;
b) di un quinto del valore della controversia in caso di soccombenza nella pronuncia di secondo grado.
3. Le controversie relative esclusivamente alle sanzioni non collegate al tributo possono essere definite con il pagamento del quindici per cento del valore della controversia in caso di soccombenza dell’Agenzia delle entrate nell’ultima o unica pronuncia giurisdizionale non cautelare, sul merito o sull’ ammissibilita’ dell’atto introduttivo del giudizio, depositata alla data di entrata in vigore del presente decreto, e con il pagamento del quaranta per cento negli altri casi. In caso di controversia relativa esclusivamente alle sanzioni collegate ai tributi cui si riferiscono, per la definizione non e’ dovuto alcun importo relativo alle sanzioni qualora il rapporto relativo ai tributi sia stato definito anche con modalita’ diverse dalla presente definizione.
4. Il presente articolo si applica alle controversie in cui il ricorso in primo grado e’ stato notificato alla controparte entro la data di entrata in vigore del presente decreto e per le quali alla data della presentazione della domanda di cui al comma 1 il processo non si sia concluso con pronuncia definitiva.
5. Sono escluse dalla definizione le controversie concernenti anche solo in parte:
a) le risorse proprie tradizionali previste dall’articolo 2, paragrafo 1, lettera a), delle decisioni 2007/436/CE, Euratom del Consiglio, del 7 giugno 2007, e 2014/335/UE, Euratom del Consiglio, del 26 maggio 2014, e l’imposta sul valore aggiunto riscossa all’importazione;
b) le somme dovute a titolo di recupero di aiuti di Stato ai sensi dell’articolo 16 del regolamento (UE) 2015/1589 del Consiglio,del 13 luglio 2015.
6. La definizione si perfeziona con la presentazione della domanda di cui al comma 8 e con il pagamento degli importi dovuti ai sensi del presente articolo o della prima rata entro il 31 maggio 2019; nel caso in cui gli importi dovuti superano mille euro e’ ammesso il pagamento rateale, con applicazione delle disposizioni dell’articolo 8 del decreto legislativo 19 giugno 1997, n. 218, in un massimo di venti rate trimestrali. Il termine di pagamento delle rate successive alla prima scade il 31 agosto, 30 novembre, 28 febbraio e 31 maggio di ciascun anno a partire dal 2019. Sulle rate successive alla prima,si applicano gli interessi legali calcolati dal 1° giugno 2019 alla data del versamento. E’ esclusa la compensazione prevista dall’articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241. Qualora non ci siano importi da versare, la definizione si perfeziona con la sola presentazione della domanda.
7. Nel caso in cui le somme interessate dalle controversie definibili a norma del presente articolo sono oggetto di definizione agevolata dei carichi affidati all’agente della riscossione ai sensi dell’articolo 1, comma 4, del decreto-legge 16 ottobre 2017, n. 148, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 dicembre 2017, n. 172, il perfezionamento della definizione della controversia e’ in ogni caso subordinato al versamento entro il 7 dicembre 2018 delle somme di cui al comma 21 dell’articolo 3 del presente decreto.
8. Entro il 31 maggio 2019, per ciascuna controversia autonoma e’ presentata una distinta domanda di definizione esente dall’imposta di bollo ed effettuato un distinto versamento. Per controversia autonoma si intende quella relativa a ciascun atto impugnato.
9. Dagli importi dovuti ai sensi del presente articolo si scomputano quelli gia’ versati a qualsiasi titolo in pendenza di giudizio. La definizione non da’ comunque luogo alla restituzione delle somme gia’ versate ancorche’ eccedenti rispetto a quanto dovuto per la definizione. Gli effetti della definizione perfezionata prevalgono su quelli delle eventuali pronunce giurisdizionali non passate in giudicato anteriormente alla data di entrata in vigore del presente decreto.
10. Le controversie definibili non sono sospese, salvo che il contribuente faccia apposita richiesta al giudice, dichiarando di volersi avvalere delle disposizioni del presente articolo. In tal caso il processo e’ sospeso fino al 10 giugno 2019. Se entro tale data il contribuente deposita presso l’organo giurisdizionale innanzi al quale pende la controversia copia della domanda di definizione e del versamento degli importi dovuti o della prima rata, il processo resta sospeso fino al 31 dicembre 2020.
11. Per le controversie definibili sono sospesi per nove mesi i termini di impugnazione, anche incidentale, delle pronunce giurisdizionali e di riassunzione, nonche’ per la proposizione del controricorso in Cassazione che scadono tra la data di entrata in vigore del presente decreto e il 31 luglio 2019.
12. L’eventuale diniego della definizione va notificato entro il 31 luglio 2020 con le modalita’ previste per la notificazione degli atti processuali. Il diniego e’ impugnabile entro sessanta giorni dinanzi all’organo giurisdizionale presso il quale pende la controversia. Nel caso in cui la definizione della controversia e’ richiesta in pendenza del termine per impugnare, la pronuncia giurisdizionale puo ‘essere impugnata dal contribuente unitamente al diniego della definizione entro sessanta giorni dalla notifica di quest’ultimo ovvero dalla controparte nel medesimo termine.
13. In mancanza di istanza di trattazione presentata entro il 31 dicembre 2020 dalla parte interessata, il processo e’ dichiarato estinto, con decreto del Presidente. L’impugnazione della pronuncia giurisdizionale e del diniego, qualora la controversia risulti non definibile, valgono anche come istanza di trattazione. Le spese del processo estinto restano a carico della parte che le ha anticipate.
14. La definizione perfezionata dal coobbligato giova in favore degli altri, inclusi quelli per i quali la controversia non sia piu’ pendente, fatte salve le disposizioni del secondo periodo del comma 8.
15. Con uno o piu’ provvedimenti del direttore dell’Agenzia delle entrate sono stabilite le modalita’ di attuazione del presente articolo.
16. Ciascun ente territoriale puo’ stabilire, entro il 31 marzo 2019, con le forme previste dalla legislazione vigente per l’adozione dei propri atti, l’applicazione delle disposizioni di cui al presente articolo alle controversie attribuite alla giurisdizione tributaria in cui e’ parte il medesimo ente, o un suo ente strumentale.

PRIMO COMMENTO

Le controversie tributarie pendenti
L’articolo 6, al comma 1, consente di definire con modalità agevolate le controversie tributarie pendenti, anche in cassazione e a seguito di rinvio, in cui è parte l’agenzia delle entrate, aventi ad oggetto atti impositivi avvisi di accertamento, provvedimenti di irrogazione delle sanzioni e ogni altro atto di imposizione.
Si considerano, a tal fine, pendenti tutte le controversie originate da atti impositivi, provvedimenti di irrogazione delle sanzioni e ogni altro atto di imposizione per le quali:
1) alla data del 24 ottobre 2018 sia stato proposto l’atto introduttivo del giudizio in primo grado.
In tal senso, deve farsi riferimento alla data in cui è stato notificato il ricorso all’Ufficio, non essendo necessario che, alla data del 24 ottobre 2018 il ricorrente abbia provveduto a costituirsi in giudizio.
Nello stesso senso deve essere considerata “lite pendente”, la controversia generata, dalla notificazione all’ufficio, del ricorso/reclamo, per importi inferiori a cinquantamila euro, ai sensi dell’art. 17 bis, D.Lgs. 546/92, sempre alla data del 24 ottobre 2018, ancorchè sia ancora pendente, nei 90 giorni, il procedimento di mediazione, e, qualora qualora non abbia avuto esito compositivo tale procedimento, non sia ancora sfumato l’ulteriore termine di 30 giorni per la iscrizione a ruolo della causa.
2) Sono altresì definibili le controversie per le quali non sia intervenuta pronuncia giurisdizionale definitiva, e così le liti interessate da una pronuncia in primo o in secondo grado i cui termini di impugnazione non siano ancora scaduti.
3) Non possono ritenersi definibili quelle controversie per cui alla data di entrata in vigore del decreto, ovvero del 24 ottobre 2018, non erano ancora scaduti i termini per la proposizione del ricorso, che, tuttavia, per quella data non risultava notificato.
Il comma 11 dell’art. 6 in commento, dispone che per le controversie definibili, di cui ai punti 1) e 2) sopra indicati, sono sospesi per nove mesi i termini di impugnazione, anche incidentale, delle pronunce giurisdizionali e di riassunzione, nonche’ per la proposizione del controricorso in Cassazione che scadono tra la data di entrata in vigore del presente decreto (24 ottobre 2018) e quella del 31 luglio 2019.

Liti pendenti oggetto di rinvio
Possono essere definite anche le liti fiscali pendenti in ogni stato e grado del giudizio, compreso quello in Cassazione e a seguito di rinvio innanzi alle Commissioni tributarie.
Considerato che ai sensi del comma 11 dell’artico 6 in commento per le controversie definibili sono sospesi per nove mesi i termini non solo di impugnazione, anche incidentale, delle pronunce giurisdizionali ma anche quelli per la riassunzione, che scadono tra la data di entrata in vigore del presente decreto e il 31 luglio 2019.
Si deve ritenere consentita la composizione delle cause nelle ipotesi in cui sia stato disposto il rinvio, a condizione che alla data del 24 ottobre 2018 non fossero ancora spirati i termini per la riassunzione.

Pronunce di inammissibilità
Devono considerarsi pendenti anche le controversie per le quali, sia intervenuta una pronuncia giurisdizionale, anche di inammissibilità, e alla data del 24 ottobre 2018 non fossero ancora decorsi i termini per impugnarla.
Sono ammesse, pertanto, alla definizione anche le liti instaurate mediante ricorsi dichiarati inammissibili (ad esempio proposti oltre i termini prescritti dalla legge ovvero privi dei requisiti di forma e di contenuto previsti dall’articolo 18 del d.lgs. n. 546 del 1992, purché anteriormente al 24 ottobre 2018 non sia intervenuta pronuncia definitiva di inammissibilità.

L’Agenzia delle entrate quale parte processuale.
L’ambito applicativo della norma, impone la possibilità di definizione esclusivamente delle controversie nelle quali sia parte l’Agenzia delle entrate: viene conseguentemente esclusa la definizione delle liti che vedono come parti legittimate passive in primo grado altre Amministrazioni pubbliche, quali le altre Agenzie fiscali, le Regioni, e gli Enti locali.
Tuttavia se appare innegabile che l’agenzia delle entrate, in quanto ente impositore che ha emesso l’atto impositivo che ha originato la controversia, detenga la titolarità del credito oggetto del giudizio, resta indubbio che qualora il carico sia stato affidato all’agente della riscossione, si pone la necessità di porre il “soggetto che ha proposto l’atto introduttivo del giudizio (o chi vi è subentrato o ne ha la legittimazione”) nei confronti sia dell’agenzia delle entrate, sia dell’Agenzia delle Entrate Riscossione, agente della riscossione, nella certezza di poter individuare il soggetto cui rivolgere l’istanza di definizione agevolata ed il successivo pagamento.
Non è peraltro rara la circostanza in cui il ricorrente abbia convenuto in giudizio il solo agente della riscossione formulando eccezioni legate al merito della pretesa impositiva, per cui il predetto agente della riscossione abbia chiamato in giudizio l’Agenzia delle entrate.
Nella specie dovranno ritenersi escluse dalla definizione le controversie, che non riguardino atti privi di natura impositiva, originati dall’attività dell’Agente della riscossione (quali ad esempio le controversie relative all’impugnazione di fermo amministrativo di veicoli, di iscrizione di ipoteca, di risposta ad istanze di rateazione), ancorché parte formale in giudizio risulti l’Agenzia delle entrate.
Sono, invece, definibili le liti relative ad atti impositivi emessi dall’Agenzia delle entrate che vedono come parte in giudizio, con l’Agenzia delle entrate, anche l’Agente della riscossione.
Pertanto il procedimento di definizione della controversia tributaria come rappresentata dal comma 1 dell’art. 6 in commento dovrà trovare applicazione anche nelle ipotesi in cui l’Agenzia delle entrate non risulti quale unico contradditore convenuto in giudizio dal ricorrente.

I soggetti processualmente “subentranti” al ricorrente o che “ne hanno la legittimazione”.
La definizione avviene a domanda del soggetto che ha proposto l’atto introduttivo del giudizio o di chi vi è subentrato o ne ha la legittimazione, con il pagamento delle maggiori imposte che hanno formato oggetto di contestazione in primo grado, esclusi gli interessi, le sanzioni e gli altri accessori.
Appare quindi necessario individuare, i soggetti processualmente definiti “subentranti” o che “ ne hanno la legittimazione (a subentrare)” al soggetto che ha proposto l’atto introduttivo del giudizio, attraverso una breve analisi sugli istituti processuali della successione nel processo, e della successione nel diritto controverso.
a) La successione nel processo si realizza quando la parte viene meno per morte o altra causa equiparabile (per la persona fisica: dichiarazione di morte presunta; per la persona giuridica: estinzione, fallimento, fusione o scissione con creazione di un nuovo ente, estinzione dell’ente pubblico, ecc.).
In tal caso, il successore a titolo universale subentra alla parte nel rapporto processuale e il processo è proseguito da lui o contro di lui (art. 110 c.p.c.).
In sostanza, quindi, al successore a titolo universale viene trasferita la legittimazione attiva o passiva, che già faceva capo alla parte originaria venuta meno per morte o altra causa equiparabile.
Se i successori universali sono più d’uno (es.: più eredi che succedono ad un unico de cuius), essi entrano nel giudizio in qualità di litisconsorti necessari.
b) La successione nel diritto controverso si verifica invece, quando il diritto controverso venga trasferito a titolo particolare, mentre è pendente il processo.
In tal caso:
– se il trasferimento avviene per atto tra vivi a titolo particolare (es.: per compravendita, donazione o altri contratti traslativi), il processo prosegue tra le parti originarie (art. 111, comma 1, c.p.c.);
– se il trasferimento a titolo particolare avviene per causa di morte (ossia necessariamente mediante legato, unica fattispecie di successione mortis causa a titolo particolare riconosciuta dall’ordinamento italiano), il processo prosegue dal o nei confronti del successore a titolo universale, ossia dell’erede (art. 111, comma 2, c.p.c.).
In entrambi i casi, la parte (alienante o successore universale) non è più titolare del diritto (o preteso diritto), che difende nel processo: egli, pertanto, è un sostituto processuale del vero interessato (successore a titolo particolare).
Quest’ultimo, essendo titolare di un proprio interesse qualificato a partecipare al processo, può intervenire o essere chiamato in causa (mediante un intervento adesivo autonomo o litisconsortile) e, se le altre parti vi consentono, l’alienante o il successore a titolo universale possono essere estromessi (art. 111, comma 3, c.p.c.).
In ogni caso, la sentenza pronunciata nei confronti dell’alienante o del successore a titolo universale dispiega i propri effetti anche contro il successore a titolo particolare ed è impugnabile da costui, salve le norme sull’acquisto in buona fede dei beni mobili e sulla trascrizione (art. 111, comma 4, c.p.c.).

La determinazione del valore della controversia
L’art. 6, comma 1 dispone che le controversie attribuite alla giurisdizione tributaria aventi ad oggetto atti impositivi, pendenti in ogni stato e grado del giudizio, possono essere definite, con il pagamento di un importo pari al valore della controversia.
Per la determinazione del valore della controversia, viene fatto riferimento ai criteri dettati dall’art. 12, comma 2, D.Lgs. 31.12.1992 n. 546, in materia di assistenza tecnica nell’ambito del processo tributario.
Tale norma, stabilisce due criteri, tra loro subordinati nell’applicazione, per determinare il valore della lite.
Secondo il criterio di applicazione principale, “per valore della lite si intende l’importo del tributo al netto degli interessi e delle eventuali sanzioni irrogate”.
Pertanto, quando l’atto tributario venga impugnato relativamente sia all’importo-capitale del tributo, sia agli interessi e alle eventuali sanzioni, questi ultimi due elementi non vengono considerati ai fini della determinazione del valore della lite, ed il solo elemento a tal fine rilevante è costituito dall’importo-capitale del tributo.
Può accadere, tuttavia, che oggetto di contestazione siano unicamente le sanzioni irrogate.
Questa costituisce l’unica ipotesi possibile quando venga impugnato “il provvedimento che irroga le sanzioni” (art. 19, comma 1, lettera c), D.Lgs. 31.12.1992 n. 546), ma può verificarsi anche nel caso di ricorso contro atti diversi, quando il contribuente intenda rivolgere le proprie contestazioni unicamente all’aspetto sanzionatorio dell’atto impugnato.
In tal caso, viene in rilievo il criterio suppletivo di determinazione del valore della lite previsto dall’art. 12, comma 2, D.Lgs. 546/1992, secondo cui “in caso di controversie relative esclusivamente all’irrogazione di sanzioni, il valore è costituito dalla somma di queste”.
Il secondo comma della norma in commento, recita che in deroga a quanto previsto dal comma 1, in caso di soccombenza dell’Agenzia delle entrate nell’ultima o unica pronuncia giurisdizionale non cautelare depositata alla data di entrata in vigore del presente decreto, le controversie possono essere definite con il pagamento:
a) della meta’ del valore della controversia in caso di soccombenza nella pronuncia di primo grado;
b) di un quinto del valore della controversia in caso di soccombenza nella pronuncia di secondo grado.
La finalità della norma in oggetto appare tesa a modulare l’entità del versamento in funzione del grado di avanzamento del giudizio e del suo esito provvisorio, prevedendo una misura più lieve, a seconda del grado di giudizio, primo o secondo, nel quale sia stata emessa la pronuncia favorevole al contribuente.

Le controversie relative esclusivamente alle sanzioni non collegate al tributo.
Il comma 3 dell’art. 6 dispone che “Le controversie relative esclusivamente alle sanzioni non collegate al tributo possono essere definite con il pagamento del quindici per cento del valore della controversia in caso di soccombenza dell’Agenzia delle entrate nell’ultima o unica pronuncia giurisdizionale non cautelare, sul merito o sull’ ammissibilita’ dell’atto introduttivo del giudizio, depositata alla data di entrata in vigore del presente decreto, e con il pagamento del quaranta per cento negli altri casi.”
Il contenzioso definibile in questo caso, ha ad oggetto il provvedimento di irrogazione delle sanzioni, il quale costituisce un provvedimento emesso a seguito del procedimento previsto dall’art. 16 D.lgs. 18 dicembre 1997 n. 472. Tale norma, dopo aver stabilito la competenza ad irrogare la sanzione amministrativa e le sanzioni accessorie da parte dell’ufficio o dell’ente competenti all’accertamento del tributo, cui le violazioni si riferiscono, disciplina un particolare procedimento per l’irrogazione delle sanzioni stesse. L’ufficio o l’ente competenti devono notificare un atto di contestazione “con indicazione, a pena di nullità, dei fatti attribuiti al trasgressore, degli elementi probatori, delle norme applicate, dei criteri che ritiene di seguire per la determinazione delle sanzioni e della loro entità nonché dei minimi edittali previsti dalla legge per le singole violazioni”.
Se la motivazione fa riferimento ad un altro atto non conosciuto, né ricevuto dal trasgressore, è previsto uno specifico obbligo di allegazione di esso all’atto che lo richiama, salvo che quest’ultimo non ne riproduca il contenuto essenziale.
Il destinatario di un atto di contestazione, una volta ricevuto quest’ultimo, può assumere tre diversi comportamenti.
In primo luogo, entro il termine previsto per la proposizione del ricorso tributario (pari a sessanta giorni dalla notifica del provvedimento), può definire la controversia con il pagamento di un importo pari ad un terzo della sanzione indicata, e comunque non inferiore ad un terzo dei minimi edittali previsti per le violazioni più gravi relative a ciascun tributo.
Si tratta della cd. “definizione agevolata”, che impedisce l’irrogazione delle sanzioni accessorie.
In alternativa, entro lo stesso termine di sessanta giorni dalla notifica del provvedimento, può produrre deduzioni difensive all’Ente che ha emesso il provvedimento di contestazione.
Quando sono state proposte le deduzioni, nel termine di decadenza di un anno dalla loro presentazione, al ricorrere dei presupposti, l’ufficio irroga, con atto motivato a pena di nullità, le sanzioni che saranno rideterminate anche sulla scorta del contenuto delle deduzioni presentate dal contribuente.
In tal caso le sanzioni irrogate, rideterminate a seguito dell’accoglimento delle deduzioni prodotte, sono a loro volta definibili, entro il termine previsto per la proposizione del ricorso, con il pagamento
dell’importo ridotto.
Come ulteriore alternativa, il destinatario può impugnare mediante ricorso tributario l’atto di contestazione che, in mancanza sia della definizione agevolata, sia della produzione di deduzioni difensive, si considera provvedimento di irrogazione delle sanzioni.
L’impugnazione immediata non è ammessa e, se già proposta, diviene improcedibile, quando vengano presentate deduzioni difensive in ordine alla contestazione.
Ai sensi dell’art. 6, comma 2 del decreto 119/2018 tali controversie possono essere definite con il pagamento del quindici per cento del valore della controversia in caso di soccombenza dell’Agenzia delle entrate nell’ultima o unica pronuncia giurisdizionale non cautelare, sul merito o sull’ammissibilita’ dell’atto introduttivo del giudizio, (in tal caso deve intendersi il ricorso in appello proposto dall’Agenzia delle entrate, che non può ovviamente dare impulso al giudizio di primo grado), depositato alla data di entrata in vigore del presente decreto, e con il pagamento del quaranta per cento negli altri casi.
L’esclusione delle ipotesi di soccombenza, (quindi con liquidazione delle spese) dell’Agenzia delle entrate, a seguito di pronuncia “non cautelare” si riferisce alle ipotesi in cui tale circostanza si sia verificata a seguito di ordinanza che decida, accogliendola, sull’ istanza di sospensione cautelare ex art. 47 D.lgs. 546/92 avanzata dalla parte ricorrente.
In tal caso la liquidazione delle spese infatti, conserva efficacia anche dopo la sentenza che definisce il merito del processo, salvo diversa statuizione espressa nella sentenza.
In tal modo, potrebbe ipotizzarsi la fattispecie in cui l’Agenzia delle entrate, seppure risultata vittoriosa nel merito, con conseguente liquidazione delle spese in suo favore da parte della sentenza, sia però condannata alla refusione delle spese della fase cautelare.
Non sono considerate definibili anche le controversie per le quali, alla data del 24 ottobre 2018 sia intervenuta una pronuncia giurisdizionale di inammissibilità, anche nelle ipotesi in cui non fossero ancora decorsi i termini per impugnarla.
Non sono ammesse, pertanto, alla definizione le liti instaurate mediante ricorsi dichiarati inammissibili, in quanto, ad esempio, proposti oltre i termini prescritti dalla legge ovvero privi dei requisiti di forma e di contenuto previsti dall’articolo 18 del d.lgs. n. 546 del 1992.
Controversie relative alle sanzioni collegate al tributo.
Per tali sanzioni, a seguito della emanazione del D.L. 6 luglio 2011, n. 98, è venuta meno la discrezionalità per l’Amministrazione finanziaria di ricorrere al procedimento autonomo di irrogazione, regolato dall’art. 16 del D.Lgs 472/1997, qualora la sanzione sia collegata al tributo cui la violazione si riferisce, per cui le sanzioni collegate al tributo cui si riferiscono sono irrogate con atto contestuale all’avviso di accertamento o di rettifica, a pena di nullità, ai sensi dell’art. 17 del d.lgs. 472/1997, non permanendo la possibilità alternativa di attribuzione all’Ufficio della facoltà di emissione di un separato atto di contestazione (superamento del c.d. doppio binario).
Il procedimento di cui all’art. 16 del d.lgs. 472/1997, sopra descritto, continua ad essere utilizzato, nei casi di sanzioni collegate al tributo contestate nei confronti di soggetti (ad es. il coobbligato) non destinatari dell’atto di accertamento, ed alle sanzioni per omesso o ritardato pagamento dei tributi ai sensi dell’art. 13 del d.lgs. 471/1997.
Pertanto per tutti gli atti emessi a decorrere dal 1 ottobre 2011, la modalità di irrogazione delle suddette sanzioni disciplinata dall’articolo 17 è diventato il procedimento ordinario e obbligatorio, per cui le sanzioni collegate ai tributi cui si riferiscono sono sempre irrogate, senza previa contestazione, nell’avviso di accertamento o di rettifica.
Sempre secondo il disposto del citato art. 17,comma 2, è ammessa definizione agevolata con il pagamento di un importo pari ad un terzo della sanzione irrogata e comunque non inferiore ad un terzo dei minimi edittali previsti per le violazioni più gravi relative a ciascun tributo, entro il termine previsto per la proposizione del ricorso.
In caso di controversia relativa esclusivamente alle sanzioni collegate ai tributi cui si riferiscono, l’art. 6, comma 3, secondo capoverso, dispone per la definizione non è dovuto alcun importo relativo alle sanzioni qualora il rapporto relativo ai tributi sia stato definito anche con modalità diverse dalla presente definizione.

Controversie per le quali è esclusa la definizione.
A) Le controversie concernenti le c.d. risorse proprie tradizionali.
Sono escluse dalla definizione, ai sensi del comma 5, del citato art. 6, lett. a), le controversie concernenti anche solo in parte, le risorse proprie tradizionali previste dall’articolo 2, paragrafo 1, lettera a), delle decisioni 2007/436/CE, Euratom del Consiglio, del 7 giugno 2007, e 2014/335/UE, Euratom del Consiglio, del 26 maggio 2014, e l’imposta sul valore aggiunto riscossa all’importazione. Si tratta delle risorse proprie iscritte nel bilancio dell’Unione, delle entrate provenienti dalle risorse proprie tradizionali costituite da prelievi, premi, importi supplementari o compensativi, importi o elementi aggiuntivi, dazi della tariffa doganale comune e altri dazi fissati o da fissare da parte delle istituzioni dell’Unione sugli scambi con paesi terzi, dazi doganali sui prodotti che rientrano nell’ambito di applicazione del trattato, ormai scaduto, che istituisce la Comunità europea del carbone e dell’acciaio, nonché contributi e altri dazi previsti nell’ambito dell’organizzazione comune dei mercati nel settore dello zucchero.

Costituiscono inoltre risorse proprie iscritte nel bilancio dell’Unione le entrate provenienti da nuove imposte eventualmente istituite, nell’ambito di una politica comune.
Sempre ai sensi del comma 5, non possono essere definite le controversie concernenti, anche solo in parte, le somme dovute a titolo di recupero di aiuti di Stato.

B) Le controversie relative alle le somme dovute a titolo di recupero di aiuti di Stato.
Sono altresì escluse dalla definizione, ai sensi del comma 5, del citato art. 6, lett. b), le controversie relative alle le somme dovute a titolo di recupero di aiuti di Stato, la cui definizione è ricavabile dall’articolo 107, paragrafo 1 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), versione consolidata, da ultimo modificato dall’articolo 2 del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 e ratificato dalla legge 2 agosto 2008, n.130 ed entrato in vigore l’1 dicembre 2009.
Secondo questa disposizione, salvo quanto disposto nei trattati, qualsiasi aiuto concesso da uno Stato membro o da risorse statali in qualsiasi forma che distorce o minaccia di falsare la concorrenza favorendo talune imprese o la produzione di determinate merci, sarà, nella misura in cui interessa gli scambi tra stati membri, incompatibile con il mercato interno.
La non definibilità delle cause avente ad oggetto silenzio-rifiuto o diniego di rimborso
Anche le controversie concernenti il rifiuto espresso o tacito alla restituzione di tributi, non possono essere oggetto di definizione in quanto le somme ripetibili (ed eventualmente rimborsabili) per effetto della definizione, sarebbero esclusivamente quelle versate in base alle norme sulla riscossione provvisoria in pendenza di giudizio, conseguente alla notifica del provvedimento di imposizione o di irrogazione delle sanzioni, dovute anche se lo stesso
provvedimento non è divenuto definitivo.
Al contrario, le somme richieste in restituzione, in quanto ritenute non dovute, sono state pagate mediante versamento diretto e non già in esecuzione di un provvedimento di imposizione impugnato.
Altro elemento ostativo alla definizione in materia di rimborsi, è quello per cui l’obbligo di restituzione a carico dell’Agenzia delle entrate sorge solo in caso di soccombenza disposta con provvedimento giudiziale definitivo.
In tale ipotesi non si ravvede l’interesse del contribuente a definire una lite pendente concernente un’istanza di rimborso, considerato che la sentenza favorevole definitiva costituisce titolo per la restituzione.
Infine, le controversie per il rimborso non presuppongono la impugnazione di un atto impositivo e quindi la pretesa dell’Agenzia delle entrate per il pagamento di maggiori tributi o sanzioni amministrative, ma un’istanza di restituzione di somme assunte come indebitamente versate dal contribuente.

Le modalità di definizione della controversia
L’art. 6, comma 6 del decreto in commento, dispone che:” La definizione si perfeziona con la presentazione della domanda di cui al comma 8 e con il pagamento degli importi dovuti ai sensi del presente articolo o della prima rata entro il 31 maggio 2019; nel caso in cui gli importi dovuti superano mille euro e’ ammesso il pagamento rateale, con applicazione delle disposizioni dell’articolo 8 del decreto legislativo 19 giugno 1997, n. 218, in un massimo di venti rate trimestrali. Il termine di pagamento delle rate successive alla prima scade il 31 agosto, 30 novembre, 28 febbraio e 31 maggio di ciascun anno a partire dal 2019. Sulle rate successive alla prima,si applicano gli interessi legali calcolati dal 1° giugno 2019 alla data del versamento. E’ esclusa la compensazione prevista dall’articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241.
Qualora non ci siano importi da versare, la definizione si perfeziona con la sola presentazione della domanda.”.
Pertanto, secondo la richiamata disposizione del comma 8 del presente articolo 6, entro il 31 maggio 2019, il contribuente /ricorrente dovrà presentare la domanda per accedere alla definizione della controversia.
Costituiscono “liti autonome” definibili, le controversie pendenti relative a ciascuno degli atti impositivi (avvisi di accertamento, provvedimenti di irrogazione di sanzioni ed ogni altro atto di imposizione) oggetto di impugnazione. Ne discende che, quando con il medesimo atto introduttivo del giudizio siano stati impugnati più atti impositivi, (ad esempio più avvisi di accertamento), le liti autonome corrisponderanno a quanti sono gli atti impositivi (nell’esempio avvisi di accertamento) impugnati, con riferimento a ciascuno dei quali deve essere calcolato il valore della lite.
Ne consegue che la non definibilità di una o più liti autonome non esclude la possibilità di definizione delle altre “liti autonome” per le quali sussistano i requisiti richiesti dalla normativa in esame.
Per la definizione, in sintesi, non rileva la circostanza che avverso una pluralità di atti impugnabili siano stati presentati uno o più ricorsi.

Calcolo per il valore della lite per gli atti impugnati parzialmente
Nelle ipotesi in cui, con un unico provvedimento o con provvedimenti separati, l’Ufficio abbia richiesto in pagamento il tributo e le sanzioni amministrative ad esso collegate e il contribuente/ricorrente abbia proposto impugnazione in primo grado limitatamente alle sanzioni (prestando acquiescenza al tributo), per il calcolo dell’importo dovuto ai fini della definizione occorre fare riferimento esclusivamente alle sanzioni contestate.
Anche in tal caso, sembra corretto, invero, ammettere il contribuente alla definizione della lite, estendendo alla fattispecie in esame il trattamento proprio delle controversie riguardanti i provvedimenti di irrogazione di sanzioni non collegate al tributo.
Nel caso in cui il ricorso contesti solamente una parte dei tributi chiesti in pagamento con l’atto impugnato, la definizione può ammettersi assumendo come valore della lite l’ammontare del tributo in contestazione in primo grado, senza tener conto né dell’importo dei tributi non contestati né delle sanzioni e dei relativi interessi.

Le modalità di pagamento
Per gli importi inferiori a mille euro, la definizione si perfeziona con il pagamento dell’importo dovuto entro il 31 maggio 2019. Nelle ipotesi in cui gli importi dovuti superino mille euro e’ ammesso il pagamento rateale, in un massimo di venti rate trimestrali. Il termine di pagamento delle rate successive alla prima scade il 31 agosto, 30 novembre, 28 febbraio e 31 maggio di ciascun anno a partire dal 2019, sulle quali si applicano gli interessi legali calcolati dal 1° giugno 2019 alla data del versamento. L’ applicazione delle disposizioni dell’articolo 8 del decreto legislativo 19 giugno 1997, n. 218, comporta che entro dieci giorni dal versamento dell’intero importo o di quello della prima rata il contribuente faccia pervenire all’ufficio la quietanza dell’avvenuto pagamento. Il pagamento delle somme dovute si esegue mediante versamento unitario.

Inadempimenti nei pagamenti delle somme dovute
Il mancato pagamento di una delle rate diverse dalla prima entro il termine di pagamento della rata successiva comporta la decadenza dal beneficio della rateazione e l’iscrizione a ruolo dei residui importi dovuti a titolo di imposta, interessi e sanzioni, nonche’ della sanzione amministrativa applicata sul residuo importo dovuto a titolo di imposta, pari al trenta per cento di ogni importo non versato.
Per i versamenti effettuati con un ritardo non superiore a novanta giorni, la sanzione di cui al primo periodo e’ ridotta alla meta’. Per i versamenti effettuati con un ritardo non superiore a quindici giorni, la sanzione di cui al secondo periodo e’ ulteriormente ridotta a un importo pari a un quindicesimo per ciascun giorno di ritardo.
E’ esclusa la decadenza in caso di lieve inadempimento dovuto a:
a) insufficiente versamento della rata, per una frazione non superiore al 3 per cento e, in ogni caso, a diecimila euro;
b) tardivo versamento della prima rata, non superiore a sette giorni.
Per gli importi dovuti è esclusa la compensazione.
In ipotesi di non corretto pagamento, l’Ufficio dovrebbe ricorrere all’applicazione del principio dell’errore scusabile, enunciato all’articolo 16, comma9, legge n. 289/2002, secondo cui “in caso di pagamento in misura inferiore a quella dovuta, qualora sia riconosciuta la scusabilità dell’errore, è consentita la regolarizzazione del pagamento medesimo entro trenta giorni dalla data di ricevimento della relativa comunicazione dell’ufficio”
L’errore potrà ritenersi scusabile nelle ipotesi in cui il soggetto abbia osservato una normale diligenza nella determinazione del valore della lite e nel calcolo degli importi dovuti.
La scusabilità dell’errore presuppone, di norma, condizioni di obiettiva incertezza o di particolare complessità del calcolo che debbono potersi accompagnare alla normale diligenza usata dal contribuente.
Nelle ipotesi in cui le somme interessate dalle controversie definibili siano oggetto di definizione agevolata dei carichi affidati all’agente della riscossione il perfezionamento della definizione della controversia e’ in ogni caso subordinato al versamento entro il 7 dicembre 2018 delle somme di cui al comma 21 dell’articolo 3. (per cui si rimanda al commento della norma).
In mancanza di importi da versare, la definizione si perfeziona con la sola presentazione della domanda.

Sospensione dei giudizi.
Le liti fiscali suscettibili di definizione non sono sospese ex lege, salvo che il contribuente non presenti apposita istanza, unitamente alla dichiarazione di volersi avvalere della possibilità di definire la controversia pendente secondo le disposizioni del decreto in commento.
L’istanza di sospensione deve essere notificata alle altre parti e depositata in segreteria entro 30 giorni dalla notifica. Il giudice tributario adito, dovrebbe comunque sospendere il processo anche nell’eventualità che il contribuente produca (anche in sede di discussione) copia della domanda di definizione presentata.
Il processo,a seguito di presentazione dell’istanza e’ sospeso fino al 10 giugno 2019.
Entro tale data, il contribuente deve altresì presentare entro il 31 maggio 2019 una distinta domanda di definizione, esente dall’imposta di bollo, ed effettuare un distinto versamento, per ciascuna controversia autonoma, e depositare presso l’organo giurisdizionale innanzi al quale pende la controversia copia della domanda di definizione e del versamento degli importi dovuti o della prima rata. All’esito dell’adempimento degli incombenti descritti, il processo resta sospeso fino al 31 dicembre 2020.
La sospensione del giudizio non equivale a sospensione dell’efficacia esecutiva dell’atto impugnato, per cui permane la facoltà della Commissione tributaria di disporre la sospensione cautelare degli effetti dell’atto, ai sensi dell’articolo 47 del d.lgs. n. 546 del 1992, quando ne ricorrano i presupposti.

Sospensione dei termini d’impugnazione.
Il comma 11 dell’art. 6 in commento dispone che per le controversie definibili definite in primo o secondo grado di giudizio, sono sospesi, a favore di tutte le parti processuali, per nove mesi i termini di impugnazione, anche incidentale, delle pronunce giurisdizionali e di riassunzione, nonché per la proposizione del controricorso in Cassazione che scadono tra la data di entrata in vigore del presente decreto, ovvero il 24 ottobre 2018 e quella del 31 luglio 2019.
La sospensione dei termini d’impugnazione riguarda anche i reclami contro i provvedimenti presidenziali di cui all’articolo 28 del d.lgs. n. 546 del 1992.

Giudicato interno, somme dovute e rimborso delle eccedenze
Il valore della controversia stabilito ai sensi del comma 2 dell’articolo 12 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 deve essere assunto a base del calcolo per la definizione.
Il tributo rilevante ai fini della determinazione del valore della lite dovrebbe essere solo quello riferibile all’atto o a quella parte dell’atto che, alla data di presentazione della domanda di definizione, costituisca ancora oggetto di controversia, in quanto non coperto da giudicato.
In particolare, in caso di giudicato interno formatosi anteriormente alla data della presentazione della domanda, il valore della lite deve essere calcolato tenendo conto del tributo e/o delle sanzioni non collegate al tributo limitatamente alla parte ancora in contestazione e non coperta da giudicato.
Analogamente, qualora il giudicato interno si sia formato sull’intero tributo e la lite sia pendente in ordine alle sole sanzioni originariamente collegate al tributo, il valore della lite è dato dalle sanzioni in contestazione, così come avviene nei casi di impugnazione parziale dell’atto impugnato.
In tal caso l’eventuale definizione e la conseguente dichiarazione di estinzione del giudizio interesserà la sola parte della controversia ancora in contestazione.
La chiusura della lite lascia impregiudicata la necessità di dare esecuzione al giudicato interno con conseguente recupero di tributi, sanzioni ed interessi dovuti per effetto dell’intervenuta sentenza definitiva.
Considerazioni analoghe valgono in caso di annullamento parziale dell’atto in contestazione in via di autotutela. In particolare, qualora in pendenza di lite l’Agenzia delle entrate abbia annullato parzialmente il provvedimento impugnato, il contribuente può avere interesse a definire la controversia ancora pendente limitatamente alla residua parte della pretesa erariale non interessata dal provvedimento di annullamento dell’Ufficio.
Anche in tal caso la quota parte di atto impugnato interessata dall’annullamento non concorre alla determinazione del valore della lite, essendo stata rimossa al riguardo ogni motivo di controversia.
Dovrebbe ritenersi comunque che a seguito della comunicazione di regolarità della definizione da parte dell’Ufficio, la dichiarazione di estinzione del giudizio per chiusura della lite riguarderà l’intero oggetto della controversia, compresa la parte del provvedimento impugnato annullato in via di autotutela.
Dalle somme dovute per effetto della definizione possono essere scomputate quelle già versate sulla base di iscrizioni a ruolo provvisorie effettuate in pendenza di giudizio o in pendenza del termine di impugnazione dell’atto o della pronuncia giurisdizionale.
Sono scomputabili le somme iscritte a ruolo provvisorio, pagate a titolo di tributo, sanzioni amministrative, interessi ed indennità di mora di spettanza dell’Agenzia delle entrate, limitatamente alla parte commisurata alla pretesa impositiva ancora in contestazione nella lite che si intende chiudere.
Qualora le somme versate in sede di riscossione provvisoria siano di ammontare superiore rispetto all’importo dovuto per la chiusura della lite, non
occorrerà effettuare alcun versamento.
Qualora risulti che le somme versate provvisoriamente in pendenza di giudizio siano superiori all’importo dovuto per la definizione, il contribuente non potrà ottenere il rimborso della parte eccedente, ai sensi del comma 9 dell’art. 6 in commento.

Il provvedimento di diniego della definizione della lite fiscale
Qualora rilevi l’irregolarità della definizione oppure l’omesso o insufficiente pagamento di quanto dovuto, l’Ufficio notificherà al ricorrente il provvedimento di diniego della definizione della lite fiscale pendente.
Il disposto del comma 12 del citato art. 6 prevede che: “L’eventuale diniego della definizione va notificato entro il 31 luglio 2020 con le modalita’ previste per la notificazione degli atti processuali. Il diniego e’ impugnabile entro sessanta giorni dinanzi all’organo giurisdizionale presso il quale pende la controversia. Nel caso in cui la definizione della controversia e’ richiesta in pendenza del termine per impugnare, la pronuncia giurisdizionale puo’ essere impugnata dal contribuente unitamente al diniego della definizione entro sessanta giorni dalla notifica di quest’ultimo ovvero dalla controparte nel medesimo termine.”.
La norma pone alcune problematiche inerenti la “tempistica” di tre fasi procedurali:
a)provvedimento di diniego della definizione;
b)impugnazione del provvedimento di diniego della definizione;
c)impugnazione della sentenza.
Ciò avviene poiché “..L’eventuale diniego della definizione va notificato entro il 31 luglio 2020”; l’impugnazione del predetto provvedimento di diniego della definizione deve essere proposta entro sessanta giorni ed infine sono sospesi, per nove mesi i termini di impugnazione delle pronunce giurisdizionali e di riassunzione, nonché per la proposizione del controricorso in Cassazione che scadono tra la data di entrata in vigore del presente decreto, ovvero il 24 ottobre 2018 e quella del 31 luglio 2019.
Poiché il termine ultimo di scadenza dei termini di impugnazione è individuabile nella data del 31 luglio 2019, ne consegue che computando nove mesi (dieci mesi se sia incluso il periodo dall’1 al 31 agosto di sospensione feriale), il termine ultimo per proporre impugnazione della sentenza sfavorevole da parte del contribuente, sarebbe coincidente con il decorso del periodo di sospensione oltre ai sessanta giorni utili per la proposizione dell’atto di impugnazione. In ogni caso l’ultimo termine sarebbe sfumato precedentemente alla data del 31 luglio 2020.
Questa eventualità comporterebbe che il contribuente, che ancora non avesse visto accolta la propria domanda di definizione, nel timore di vedersi notificare il provvedimento di diniego, ed onde evitare di decadere dalla possibilità di impugnare la sentenza sfavorevole, dovrebbe comunque promuovere il processo davanti al giudice di grado superiore, in quanto l’ultimo capoverso del comma 12 in commento precisa che “..nel caso in cui la definizione della controversia e’ richiesta in pendenza del termine per impugnare, la pronuncia giurisdizionale puo’ essere impugnata dal contribuente unitamente al diniego della definizione entro sessanta giorni dalla notifica di quest’ultimo ovvero dalla controparte nel medesimo termine.”.
Già in passato, (con riferimento all’articolo 16 legge n. 289/2002), era sorta questione se, in considerazione del venir meno del presupposto del versamento e, quindi, del mancato perfezionamento della definizione, le somme pagate dovessero essere rimborsate al contribuente. Al riguardo, si ritiene che tali somme possano essere rimborsate, a condizione che il provvedimento di diniego non sia stato impugnato e che non pendano più i termini per impugnarlo. Invero, solo il decorso del termine per l’impugnazione del diniego ovvero il passaggio in giudicato della sentenza che statuisce in merito alla sua legittimità rendono certo il mancato perfezionamento della definizione. Le somme devono essere trattenute in attesa della definitività del diniego.

L’istanza di trattazione
Come visto il disposto del comma 10 del presente art. 6 dispone che qualora. il contribuente depositi presso l’organo giurisdizionale innanzi al quale pende la controversia entro la data del 10 giugno 2019, copia della domanda di definizione e del versamento degli importi dovuti o della prima rata, il processo resta sospeso fino al 31 dicembre 2020. Entro tale data il contribuente che ne abbia interesse, dovrà presentare al presidente di sezione, depositando presso la segreteria della commissione competente, istanza di trattazione che contenga i dati identificativi del processo (Commissione Tributaria, Sezione, parti e numero di registro generale); l’indicazione dell’evento interruttivo o sospensivo; – l’indicazione del fatto che consente la ripresa del processo; la sottoscrizione del difensore o della parte che sta in giudizio personalmente. L’impugnazione della pronuncia giurisdizionale e del diniego, qualora la controversia risulti non definibile, valgono anche come istanza di trattazione.
Il presidente di sezione provvederà alla la fissazione della data dell’udienza di trattazione e la nomina del giudice relatore.
La mancata presentazione dell’istanza di trattazione entro la data del 31 dicembre 2020 determinerà l’estinzione del processo. Trattandosi di ipotesi di estinzione prevista dalla legge, non si fa luogo al pagamento di eventuali spese di lite che, ai sensi dell’articolo 46, comma 3, del d.lgs. 546 del 1992, “… restano a carico della parte che le ha anticipate.”

Definizione delle controversie e coobbligazione.
In presenza di più coobbligati, la definizione effettuata da parte di uno di essi esplica efficacia anche a favore degli altri.
Relativamente alle controversie che riguardano una pluralità di soggetti (ad esempio, alienante e acquirente, coeredi, coniugi che hanno presentato
dichiarazione congiunta) interessati dallo stesso atto impugnato o dalla stessa lite autonomamente definibile, possono configurarsi i seguenti casi:
a) pendenza di un’unica lite nella quale siano costituiti tutti gli interessati;
b) pendenza di distinte liti aventi ad oggetto lo stesso atto, instaurate separatamente da ciascuno degli interessati;
c) presentazione di ricorso solo da parte di alcuni degli interessati.
Nell’ipotesi sub a) si configura un’unica lite e, pertanto, la regolare definizione da parte di uno degli interessati determina automaticamente l’estinzione della controversia anche nei confronti degli altri soggetti.
Nell’ipotesi sub b), pur in presenza di più liti fiscali, la definizione fatta valere da uno degli interessati estende gli effetti anche sulle altre controversie.
Ciò può accadere, ad esempio, in materia di imposta di registro, nell’ipotesi in cui l’avviso di rettifica avente ad oggetto lo stesso contratto di cessione di azienda sia stato impugnato separatamente da acquirente e venditore, con l’instaurazione di separati giudizi pendenti.
Una volta verificata la regolarità della chiusura della lite, si ritiene debba essere richiesta
l’estinzione del giudizio per cessazione della materia del contendere anche con riguardo alle altre controversie, instaurate dai coobbligati, interessate dalla medesima definizione.
Trattandosi anche in questo caso di estinzione prevista dalla legge, non si fa luogo al pagamento di eventuali spese di lite che, ai sensi dell’articolo 46, comma 3, del d.lgs. 546 del 1992, “… restano a carico della parte che le ha anticipate.”
Nell’ipotesi sub c) la pretesa impositiva si è resa definitiva soltanto nei confronti di alcuni dei soggetti interessati dall’atto impugnato. In tal caso, l’effetto definitorio dell’iniziativa assunta dal ricorrente impedisce all’Agenzia di esercitare ulteriori azioni nei confronti degli altri soggetti interessati, per i quali la lite non sia più pendente, fermo restando che non si farà comunque luogo a rimborso di somme già versate.
L’eventuale rimborso di eccedenze spettanti ai sensi del comma 5 dell’articolo 16 legge n. 289/2002, potrà avvenire, in forza della definizione ottenuta da uno dei coobbligati, anche a favore di altri coobbligati che in precedenza avessero effettuato i versamenti a titolo provvisorio, ma che poi non si siano avvalsi personalmente della definizione. In proposito, occorre precisare che ciascun coobbligato solidale che decide di avvalersi della definizione non potrà scomputare dalle somme dovute per la definizione i versamenti già effettuati a titolo provvisorio dagli altri coobbligati che non si siano avvalsi personalmente della definizione.

Modalità di attuazione
Il comma 15, stabilisce che “con uno o piu’ provvedimenti del direttore dell’Agenzia delle entrate sono stabilite le modalita’ di attuazione del presente articolo”.

Applicabilità della normativa per gli enti locali
Di notevole rilievo appare il disposto dell’ultimo comma secondo ciascun ente territoriale puo’ stabilire, entro il 31 marzo 2019, con le forme previste dalla legislazione vigente per l’adozione dei propri atti, l’applicazione delle disposizioni di cui al presente articolo alle controversie attribuite alla giurisdizione tributaria in cui e’ parte il medesimo ente.

Prof. Avv. Bruno Cucchi
(Unicusano – Roma)