Tribunale di Parma, sentenza del 03 ottobre 2018, n. 1391


Con atto di citazione ritualmente notificato il 12.6.2014 XXXX conveniva in giudizio innanzi al Giudice di Pace  di PARMA, XXX S.P.A. e il XXX di Parma, proponendo opposizione all’ingiunzione di pagamento emessa per la somma di euro 1.120,00 per il mancato pagamento di sanzioni amministrative irrogate per violazione delle norme del codice della strada, notificata all’opponente il 16.5.2014.

A sostegno dell’opposizione l’attore allegava: 1) la carenza di legittimazione attiva di XXX S.P.A. a svolgere attività di riscossione per il XXX di Parma, non essendo l’ente riscossore iscritto all’albo di cui al D. Lgs. 446/1997; 2) la nullità dell’ingiunzione per l’errata indicazione dell’autorità innanzi alla quale proporre opposizione e per l’omessa indicazione del foro competente; 3) l’incostituzionalità dell’art. 3 del RD 14 aprile 1910 n. 639 per violazione del diritto di difesa; 4) la nullità dell’ingiunzione per mancata indicazione della possibilità di promuovere un riesame in autotutela; 5) la nullità dell’ingiunzione per mancanza dei requisiti di certezza, liquidità ed esigibilità del credito; 6) la nullità dell’ingiunzione per mancato invio dell’avviso di mora e per l’illegittima applicazione del calcolo dell’importo asseritamente dovuto; 7) la nullità dell’ingiunzione per mancata indicazione del criterio di calcolo relativamente agli interessi applicati; 8) l’illegittimo addebito delle spese di notifica; 9) “l’ingiustizia oggettiva del male prospettato” con l’ingiunzione fiscale; 10) l’illegittimità e/o nullità degli alti presupposti all’ingiunzione; 11) l’illegittimità e/o nullità delle sanzioni amministrative oggetto di ingiunzione.

In base a tali premesse, l’attore concludeva perché fosse dichiarata la carenza di legittimazione attiva di XXX S.P.A. e, nel merito, perché fosse annullato l’atto impugnato c tutti gli atti presupposti comunque collegati e perché fosse dichiarata l’illiceità dei comportamenti posti in essere dai convenuti, con richiesta di condanna degli stessi al risarcimento dei danni ex art. 96 epe

La convenuta XXX S.P.A. si costituiva personalmente in giudizio innanzi al Giudice di Pace, chiedendo il rigetto dell’opposizione.

Il XXX di Parma non si costituiva in giudizio e pertanto il procedimento di primo grado veniva celebrato nella sua dichiarata contumacia.

Con atto depositato il 2.12.2014 XXX S.P.A. si costituiva in giudizio con il patrocìnio degli avv.ti Enrico PROST, Maurizio PALLADINI e Simona COMELLI, facendo proprie le conclusioni rassegnate nella originaria comparsa di costituzione e risposta redatta in proprio da XXX S.P.A.

Faceva intervento il MOVIMENTO XXX, che concludeva per l’accoglimento delle conclusioni proposte dall’attore.

Nelle note conclusive depositate in primo grado entrambe le parti XXX e XXX S.P.A. chiedevano la condanna della controparte al risarcimento dei danni ex art. 96 comma 3 epe.

Il Giudice di pace adito, dott. S. GAIBA definiva il procedimento con sentenza n. 1237/15, con la quale, dichiarato inammissibile l’intervento del MOVIMENTO XXX, in parziale accoglimento dell’opposizione, annullava l’ingiunzione fiscale notificata da XXX S.P.A., in quanto ritenuta quest’ultima carente del potere di procedere alla riscossione: dichiarava “inammissibile la domanda dell’opponente volta a dichiarare l’illegittimità dei verbali di contestazione della Polizia Municipale di Parma” e accertava e dichiarava che il XXX  di Parma era creditore nei confronti di XXX della somma di euro 1.077.30, oltre interessi legali dal 5.S.2013″, compensando integralmente tra le parti le spese di giudizio.

XXX S.P.A. ha proposto appello avverso la sentenza del Giudice di Pace, lamentandone l’erroneità in relazione: I) alla affermata carenza di legittimazione di XXX S.P.A. a svolgere il servizio di riscossione, con conseguente annullamento dell’ingiunzione; 2} al rigetto della domanda di condanna dell’opponente al pagamento in favore di XXX S.P.A. dell’importo ingiunto. 3) al rigetto della domanda di condanna dell’opponente ex art. 96, comma 3 epe per lite temeraria; 4) alla compensazione integrale fra le parti delle spese di giudizio.

L’appellato XXX si è costituito in giudizio con comparsa di costituzione risposta, con la quale, oltre a contestare nel merito l’appello, ha eccepito in via preliminare: a) l’inammissibilità dell’impugnazione per la mancata enunciazione delle parti del provvedimento impugnato e delle modifiche richieste in violazione dell’articolo 342 c.p.c c b) l’inammissibilità dell’appello ex art. 348 bis epe per palese infondatezza dell’impugnazione.

Il XXX di PARMA si è costituito in giudizio, aderendo all’impugnazione proposta da XXX s.p.a. e ha concluso come in epigrafe. Il MOVIMENTO XXX non si è costituito nel grado di appello ed è stato pertanto dichiarato contumace.

Concessi i termini di cui all’art. 190 cpc, la causa è stata trattenuta in decisione.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Sulle eccezioni preliminari in ordine all’inammissibilità dell’appello

Deve essere preliminarmente rigettata l’eccezione dell’appellato XXX di inammissibilità dell’appello per la mancata enunciazione, in violazione dell’art. 342 c.p.c., delle parti del provvedimento impugnato e delle modifiche richieste.

L’atto di citazione in appello contiene, infatti, i requisiti formali prescritti dall’art. 342 c.p.c. Invero, l’atto di appello contiene un’articolata disamina dei capi della sentenza impugnata avverso i quali sono formulate analitiche censure, con specifica esposizione delle istanze di riforma del provvedimento appellato.

Ancora in via preliminare deve essere rigettata l’eccezione del convenuto XXX di inammissibilità dell’appello ex art. 348 bis cpc per palese infondatezza dell’impugnazione, alla luce delle motivazioni che si vengono più oltre ad esplicitare e dei numerosi conformi precedenti di questo Tribunale.

Va poi preliminarmente precisato che nel giudizio di primo grado, diversamente da quanto allegato dall’appellato XXX, non è stata sollevata da XXX S.P.A. eccezione di incompetenza per valore del Giudice di Pace.

Sul capo della sentenza che ha affermato il difetto delle condizioni legittimanti l’esercizio da parte di XXX S.P.A. del servizio di riscossione.

In ordine a tale motivo di appello si è già espresso questo Tribunale con diversi precedenti favorevoli all’appellante (v. a titolo esemplificativo, le sentenze n. 692/I6; nn. 114, 115, 116, 117, 118, 119, 120, 121, 122 e 567 del 2017).

A tali precedenti questo giudice si richiama e rileva quanto segue.

Il giudice di prime cure, benché la costituzione della società XXX sia avvenuta il 23.1.2006 e l’affidamento a tale società del servizio di riscossione sia avvenuto (correttamente) nel vigore dell’art. 52, comma 5 lett. b) del D.Lvo n. 446/97 nella formulazione ratione temporis vigente (che non prevedeva la necessità dell’iscrizione all’albo di cui al successivo art. 53 per le società a capitale prevalentemente pubblico, i cui soci privati fossero scelti tra i soggetti iscritti all’albo di cui di cui al menzionato art. 53), ha ritenuto che la modifica apportata a tale norma dalla L. n. 244/2007 (c.d. Finanziaria 2008), la quale prescrive l’iscrizione all’albo anche della società mista e non più del solo socio privato, non fosse più facoltizzata ad esercitare il servizio di riscossione con conseguente nullità dell’ingiunzione opposta, notificata nel 2014.

Secondo il giudice a quo XXX S.P.A. avrebbe perduto il potere di riscossione (conferitogli in base ad una legittima procedura espletata in conformità alla normativa ratione temporis vigente), in conseguenza di una norma di legge (sopravvenuta) che pone nuovi requisiti per l’individuazione dei soggetti che possono essere prescelti per l’affidamento del servizio di riscossione.

Più specificamente, il Giudice di Pace ha affermato che la norma regolamentare di cui all’art. 2 comma 2 del Decreto del Ministero delle Finanze 11 settembre 2000, n. 289 che esonera dall’iscrizione nell’albo dei riscossori le società miste costituite a norma dell’articolo 22, comma 3. lettera e) della legge 8 giugno 1990, n. 142, con prevalente capitale pubblico locale, il cui socio privato sia prescelto con procedura ad evidenza pubblica tra i soggetti iscritti all’albo (quale è il caso di XXX S.P.A.) sarebbe stato “implicitamente abrogato’’’ a seguito della modifica dell’art. 52 D.Lvo n. 446/97 operata dalla legge finanziaria 2008.

Come rilevato dalla sent. 567/2017 del Tribunale di Parma (est. Dott. Vittoria) “per il Giudice di Pace, tale modifica avrebbe avuto un effetto deflagrante: le sanzioni applicate sarebbero tutte da invalidare, siccome irrogate e riscosse da un soggetto privo dei requisiti obbligatoriamente richiesti ex lege: argomentando dall’art. 15 delle disp. prel. c.c, il Giudice di Pace ha ritenuto che l’art. 2. comma 11, del D.M. n. 289 del 2000 (concernente la non obbligatorietà dell’iscrizione all’albo dei riscossori delle società miste a prevalente capitale pubblico con socio minoritario iscritto all’albo) fosse norma superata e/o implicitamente abrogata per effetto della nuova formulazione del gerarchicamente sovraordinato art. 52, comma V, lett. b), del d.lgs. n. 4-16 del 1997, come modificato dall’art. 1, comma 224, lett. a), della Finanziaria del 200:S. Di qui, la conclusione che ‘la nuova normativa abolisce la società mista non iscritta all’albo”

La modifica legislativa dell’art. 52 D.Lvo n. 446/97 (operata dalla legge finanziaria 2008), tuttavia, non conforta la tesi del giudice a quo, atteso che si limita a prevedere che i regolamenti degli enti locali dovranno prevedere “qualora sia deliberato di affidare a terzi, anche disgiuntamente, l’accertamento e la riscossione dei tributi e di tutte le entrate” che le relative attività siano affidate “nel rispetto della normativa dell’Unione europea e delle procedure vigenti in materia di affidamento della gestione dei servizi pubblici locali” ai soggetti elencati nel medesimo articolo, ovvero “1) ai soggetti iscritti nell’albo dì cui all’articolo 53, comma l, 2) agli operatori degli Stati membri stabiliti in un Paese dell’Unione europea che esercitano le menzionate attività dei quali sia attestata con certificazione rilasciata dalla competente autorità del loro Stato di stabilimento la sussistenza di requisiti equivalenti a quelli previsti dalla normativa italiana di settore; 3) la società a capitale interamente pubblico, di cui all’articolo 113, comma 5, lettera c), del testo unico enti locali “mediante convenzione, a condizione: che l’ente titolare del capitale sociale eserciti sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi; che la società realizzi la parte più importante della propria attività con l’ente che la controlla; che svolga la propria attività solo nell’ambito territoriale di pertinenza dell’ente che la controlla”; 4) alle società di cui all’articolo 113, comma 5. lettera h), testo unico enti locali, iscritte nell’albo di cui all’articolo 53, comma I, i cui soci privati siano scelti, nel rispetto della disciplina e dei princìpi comunitari, tra i soggetti di cui ai numeri 1) e 2), a condizione che l’affidamento dei servizi di accertamento e dì riscossione dei tributi e delle entrate avvenga sulla base di procedure ad evidenza pubblica”

In altri termini, la legge finanziaria del 2008 ha modificato i requisiti necessari per i nuovi affidamenti (“qualora sia deliberato di affidare a terzi), prescrivendo la necessità dell’iscrizione all’albo non solo del socio privato delle società a capitale misto pubblico – privato, ma anche della stessa società a capitale misto pubblico – privato.

Senonché l’innovazione legislativa che, in forza del principio di irretroattività, non può disporre che per l’avvenire, non vale certamente a travolgere, come assume la sentenza impugnata, in assenza di una specifica previsione in tal senso, gli affidamenti già concessi in base alle previgenti disposizioni normative.

Tale è la conclusione anche del Consiglio di Stato che, in una fattispecie analoga (per successione di leggi nel tempo) con sent. n. 4371/2013 ha così precisato: “I commi 77 e 78 dell’art. 1 L. 13 dicembre 2010 n. 220 introducono una nuova disciplina per l’individuazione dei soggetti concessionari dei giochi e dei conseguenti futuri rapporti con gli stessi, ma non contengono alcuna indicazione in ordine alla contemporanea abrogazione di discipline previgenti (d.l. 28 aprile 2009 n. 39 e d.l. 1 luglio 2009 n. 78), né della cessazione “per factum principisdell’efficacia delle concessioni/convenzioni in essere o anche solo di determinate clausole di queste ultime, ovvero ancora delle facoltà attribuite ai concessionari per effetto delle obbligazioni convenzionalmente assunte con l’Amministrazione sulla base di un quadro normativo che, a tutta evidenza, si suppone persistente; conferma di tale conclusione è nei comma 3 del cit. art. 1 che, nel prevedere la necessità di sottoscrizione di un “alto aggiuntivo alla convenzione ” per chi è già concessionario, per un verso presuppone la persistenza di concessioni/convenzioni in essere e, per altro verso, conferma l’applicazione solo per l’avvenire, in coerenza con l’art. 11 disp. prel. c.c., delle disposizioni introdotte dalla cit. L. n. 220 del 2010″ (Consiglio di Stato sent. n. 4371/2013).

Della pronuncia conseguentemente conclude per la “persistenza di concessioni/convenzioni in essere e […] l’applicazione solo per l’avvenire (in coerenza con l’art. 11 disp. prel. c.c.), delle disposizioni introdotte” con la novella successiva alla conclusione del rapporto concessorio.

In assenza di una norma che preveda la cessazione “per factum principis” dell’efficacia delle concessioni/convenzioni in essere non appare sostenibile la conclusione tratta dal Giudice di pace in ordine alla ipotizzata decadenza di XXX S.P.A. dall’affidamento, legittimamente conferitogli dall’ente locale in base alle norme ratione temporis vigenti.

L’interpretazione del Giudice di Pace è in contrasto con l’art. 11 delle preleggi, come evidenziato dalla sentenza del Tribunale Parma n. 276/2017 (est. Dott. Sinisi), la quale sottolinea come la fonte abrogante, salva diversa disciplina, non estende i suoi effetti ai fatti antecedenti alla sua entrata in vigore.

In altri termini, in mancanza di una specifica previsione normativa che faccia venir meno le concessioni (e, dunque, gli affidamenti) in corso, deve escludersi che la normativa in esame comporti gli effetti ritenuti dal giudice di prime cure.

Neppure è ravvisabile una incompatibilità tra le nuove disposizioni e le precedenti (e dunque il presupposto della abrogazione implicita ritenuta dal giudice di pace). La nuova disciplina infatti si limita a richiedere che le società miste e non solo il socio privato siano iscritte all’albo per il caso di partecipazione a nuove gare (“qualora sia deliberato dì affidare a terzi l’accertamento e la riscossione dei tributi e di tutte le entrate”).

Del resto, come rilevato dal Tribunale di Parma con sent. n. 567/2017, anche nel caso degli agenti della riscossione, il legislatore si è premurato di prevedere per le società già affidatarie una disciplina di adeguamento, accompagnata da apposita sanzione, che esaurisce le misure sanzionatorie applicabili e si oppone logicamente alla possibilità di affermare la decadenza degli affidamenti in corso.

Infatti, l’art. 32 del d. l. n. 185 del 2008, al c. 7-bis (introdotto in sede di conversione con la L. n. 2 del 2009) introduce per l’iscrizione all’albo il requisito di un capitale minimo, prescrivendo che per le società già iscritte l’adeguamento alla misura minima di capitale dovesse avvenire entro tre mesi dall’entrata in vigore della legge di conversione, pena la cancellazione dall’albo e la decadenza dagli affidamenti in corso.

Da tale obbligo di adeguamento risultavano comunque escluse le società a prevalente capitale pubblico (quale è XXX S.P.A.), dal momento che il requisito del capitale minimo era per le stesse espressamente escluso già ab origine per l’iscrizione.

Successivamente, prima con l’art. 42, c. 7-septies, del D.L. n. 207 del 2008, convertito con modificazioni dalla L. n. 14 del 2009 (in vigore dal 01.03.2009), poi con il c. 3 dell’art. 3-bis del D.L. n. 40 del 2010, convertito con modificazioni dalla L. n. 73 del 2010, è stato abrogato l’intero comma 7-bis dell’art. 32 citato.

Pertanto, la sanzione della decadenza (dalle concessioni in atto) è stata espressamente eliminata, residuando solo l’obbligo di adeguamento per le società a ciò tenute e tra le quali non va annoverata XX S.P.A. perché società a prevalente partecipazione pubblica (la quale ha invero medio tempore ottenuto l’iscrizione all’albo dei riscossori con delibera n. 4 prot. n. 50770 del 06.11.2015 del Ministero dell’Economia e delle Finanze senza alcun previo “‘adeguamento’’ del proprio capitale minimo).

Come testualmente evidenziato dalla citata sentenza del Tribunale di Parma n. 567/2017 dunque “A seguito della modifica ultima citata, il legislatore ha, quindi, voluto rimuovere la logica punitiva della decadenza dai rapporti in corso rimediando la sanzione nella meno rigida inibizione dalla possibilità, fino all’iscrizione, di ricevere nuovi affidamenti o partecipare a gare indette a tale fine. Tale dato testuale induce due distinti ordini di considerazioni. In primo luogo, esso esclude che la norma abbia effetto risolutivo (v. sul punto sentenza CdS cit.) degli affidamenti già operati, nel senso suggerito dal GdP la modifica prevede una specifica sanzione che non travolge (più) i rapporti in corso di esecuzione. In secondo luogo, la previsione di una normativa dì dettaglio e di una sanzione espressa per i soggetti che non si adeguino esclude un meccanismo sanzionatorio indiretto desunto in via interpretativa dalla disapplicazione della norma contraria al difforme principio comunitario sopravvenuto: il rispetto della normativa comunitaria è appunto garantito proprio dalla sanzione, che blocca la partecipazione a futuri bandi. Ne consegue che la modifica dei ‘nuovi ’ parametri di per sé sola non impatta – alla stregua dei factum principis – sui rapporti già costituiti con effetto risolutorio, anche alla luce di un banalissimo principio di continuità del servizio, ai sensi dell’art. 97 Cost.

Si precisa per completezza che non è oggetto di contenzioso tra le parti la questione relativa alla legittimità dello strumento di esazione prescelto.

In ogni caso si evidenzia che la possibilità per i Comuni di avvalersi, per la riscossione dei tributi e delle altre entrate, della procedura di riscossione coattiva tramite l’ingiunzione di cui al R.D. n. 639 del 1910 trova fondamento nell’art. 36 comma 2 del D.L., n. 248 del 2007, a norma del quale, “la riscossione coattiva dei tributi e di tutte le altre entrate degli enti locali continua a potere essere effettuata con a) la procedura dell’ingiunzione dì cui al R.D. 14 aprile 1910, n. 639, seguendo anche le disposizioni contenute nel titolo II del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, in quanto compatibili, nei caso in cui la riscossione coattiva è svolta in proprio dall’ente locale o è affidata ai soggetti di cui al D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 52, comma 5. lett. b); b) la procedura del ruolo di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, se la riscossione coattiva è affidata agli agenti della riscossione di cui al D.L. 30 settembre 2005, n. 203, art. 3, convertito, con modificazioni, dalla L. 2 dicembre 2005, n. 248” (sulla perdurante vigenza di tale norma si richiama il preciso percorso argomentativo di Cassazione civile sez. Il, 28/09/2017, n. 22710).

Per quanto esposto il motivo di appello in esame è fondato.

Consegue la necessità di esaminare le originarie contestazioni dell’opponente XXX, ritenute assorbite dal giudice di prime care.

Sulla eccezione di nullità dell’ingiunzione per mancata indicazione dell’autorità competente e per mancata indicazione del foro competente

L’ingiunto XXX ha eccepito la nullità dell’ingiunzione per mancata/errata indicazione dell’autorità competente e per l’omessa indicazione del foro competente in violazione dell’art. 3, comma 4 della legge 241/1990.

L’eccezione risulta infondata.

L’art. 3, quarto comma, della legge sul procedimento amministrativo (1, n. 241 del 1990), prescrive che “In ogni atto notificato al destinatario devono essere indicati il termine e l’autorità cui è possibile ricorrere”

Nel caso di specie nell’ingiunzione è previsto che “contro il presente atto è possibile proporre opposizione …dinanzi al Giudice Ordinario Competente entro 30 giorni dalla sua notificazione ex art. 3 del R.D. 14 aprile 1910, n. 639 cit. e modifiche successive“.

Tale indicazione appare sufficientemente chiara, atteso che indica come competente l’autorità giudiziaria ordinaria (così da escludere la giurisdizione di qualsivoglia Giudice speciale).

Inoltre, la norma di cui all’art. 3 della legge sul procedimento richiede solo l’indicazione della “autorità cui è possibile ricorrere”, ma non richiede altresì l’individuazione del foro territorialmente competente.

In ogni caso, anche a volere ritenere insufficiente l’indicazione contenuta nella ingiunzione opposta, non potrebbe comunque ravvisarsi un vizio di nullità dell’ingiunzione come invocato dall’opponente (attuale parte appellata). Invero, come affermato più volte dalla giurisprudenza, la mancata indicazione nell’atto amministrativo del termine di impugnazione e dell’organo dinanzi al quale può essere proposto ricorso, prevista dall’articolo 3, comma 4, della legge n. 241 del 1990 non inficia la validità dell’atto, ma comporta sul piano processuale il riconoscimento della scusabilità dell’errore in cui sia eventualmente incorso il ricorrente (tra le tante, si veda, ad esempio, Cass. Sez. Il, 21.01.2013, n. 1372, Cass. Sez. III, 08.02.2012, n. 1766. Cass. n. 1401/2004 n. 1401, Cass. Sez. Il, 16 marzo 2010, n. 06388/2010, Cassazione Sez. Un. Civili, 29 aprile 2009, n. 9947; Cons. Stato sez. 5, 3 marzo 2001, n. 1231, Cons. Stato Adunanza Plenaria n. 1/2001).

Nel caso di specie l’opponente ingiunto ha correttamente adito il Giudice di Pace territorialmente competente nei termini di legge, sicché non vi è stato neppure alcun errore nell’individuazione dall’autorità giudiziaria competente per il giudizio di opposizione.

Sulla asserita incostituzionalità dell’art. 3 del RD 14 aprile 1910 n. 639 per violazione del diritto di difesa.

L’ingiunto XXX ha sollevato questione di illegittimità costituzionale per violazione del diritto di difesa dell’art. 3 RD 14.4.1910 n. 639 perché individua, quale foro competente a conoscere dell’opposizione all’ingiunzione fiscale, il giudice in cui ha sede l’ufficio emittente e, dunque, un foro diverso da quello previsto per il consumatore dall’art. 33, comma 11, lett. u) del Codice del Consumo (D.Lgs. 6 settembre 2005, n. 206).

La censura (a prescindere da ogni vaglio sulla sua non manifesta infondatezza) è priva di qualsivoglia rilevanza nel presente giudizio, atteso che l’opponente attuale appellato risiede in Traversetolo (PR), sicché il Foro del consumatore coincide con il Foro (adito) competente ex art.3 R.D. n. 639/1910.

La Corte Costituzionale peraltro è già intervenuta con sentenza n. 452 del 30.12.1997, dichiarando non fondata con riferimento agli artt. 3 e 25 cost., la q.l.c. dell’art. 3 R.D. 14 aprile 1910, n. 639.

Il richiamo poi al Codice del Consumo di cui al D.Lgs. 6 settembre 2005. n. 206, quale norma di comparazione, non riveste alcuna pertinenza logica, atteso che nel presente procedimento non si fa questione di rapporto di consumo, non potendosi certamente assimilare alla nozione di “prodotto”, ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. e) del Codice del Consumo, né l’ingiunzione di pagamento, né l’avviso di accertamento sottostante.

Sulla nullità dell’ingiunzione per mancata indicazione della possibilità di promuovere un riesame in autotutela

Infondata è altresì l’eccezione proposta dalla opponente XXX di nullità dell’ingiunzione per mancata indicazione nel provvedimento opposto della possibilità di promuovere un riesame in autotutela.

Secondo l’art. 7 della legge 212/2000 (Statuto del contribuente), “gli atti dell’amministrazione finanziaria e dei concessionari della riscossione devono tassativamente indicare”, tra l’altro, “‘l’organo o l’autorità amministrativa presso i quali è possibile promuovere un riesame anche nel merito dell’atto in sede di autotutela”.

Tale indicazione non è tuttavia prevista a pena di nullità dell’atto.

Invero, la giurisprudenza, come già rilevato, è concorde nel ritenere che la violazione degli obblighi di indicazione comportino non la nullità dell’atto in assenza di una specifica previsione della sanzione della nullità, ma eventualmente la rimessione in

termini (v., oltre alla giurisprudenza già citata, Cass. 14482/2003 e Cass. 1207/2004). Tale conclusione, affermata per l’erronea o omessa indicazione della autorità giudiziaria a cui ricorrere, va vieppiù affermata per l’erronea o omessa indicazione della l’autorità amministrativa presso la quale è possibile promuovere un riesame in autotutela, tenuto conto peraltro che la richiesta di revoca o di annullamento in autotutela, a differenza dell’impugnazione dell’atto in via amministrativa o in via giudiziale, non è soggetta per definizione a termini decadenziali.

Sulla contestata nullità dell’ingiunzione per mancanza dei requisiti di certezza, liquidità ed esigibilità  

Parte opponente (attuale appellata) ha lamentato la nullità dell’ingiunzione perchè asserisce che la stessa mancherebbe dei requisiti di certezza, liquidità ed esigibilità. L’ingiunto non ha tuttavia nulla precisato in ordine al perché l’ingiunzione sarebbe, a suo avviso, priva di tali caratteri.

Il rilievo appare dunque del tutto generico.

Si aggiunga che l’ingiunzione indica precisamente i verbali di contestazione a cui fa riferimento (specificatamente indicati con numero di protocollo, data di emissione e data di notifica), accertati in via definitiva per mancata impugnazione nei termini di legge e per omesso pagamento in misura ridotta.

Considerato che l’accertamento, costituente l’atto presupposto dell’ingiunzione, non è più suscettibile di impugnazione, il credito ha senz’altro acquisito carattere di definitività ed immodificabilità (certezza), determinatezza (liquidità) ed esigibilità.

Ne consegue l’infondatezza della censura.

Sulla contestata nullità dell’ingiunzione per mancato invio di avviso di mora e del calcolo dell’importo dovuto.

Parte opponente (attuale appellata) lamenta ulteriormente la nullità della ingiunzione per mancato invio dell’avviso di mora

L’eccezione va rigettata posto che nessuna norma impone l’invio dell’avviso di mora prima della notifica dell’ingiunzione fiscale, la quale segue il verbale di accertamento divenuto definitivo che, come tale, costituisce titolo esecutivo (v. art. 203, comma 3, C.d.S., il quale dispone: “Qualora nei termini previsti non sia stato proposto ricorso e non sia avvenuto il pagamento in misura ridotta, il verbale, in deroga alle disposizioni di cui all’art. 17 della L. 24 novembre 1981, n. 689, costituisce titolo esecutivo per una somma pari alla metà del massimo della sanzione amministrativa edittale e per le spese di procedimento“).

Sulla contestata nullità dell’ingiunzione per mancata indicazione del criterio di calcolo relativamente agli interessi applicati

L’opponente XXX afferma la nullità dell’ingiunzione per la mancata indicazione del criterio di calcolo relativamente agli interessi applicati, pari a 27,58 euro.

Si precisa che nessuna contestazione è stata svolta dall’opponente nell’atto di citazione in opposizione, diversamente da quanto pare evincersi da quanto argomentato da XXX S.P.A. nell’atto di appello, in ordine ai compensi della riscossione.

La contestazione in esame (relativa ai soli interessi) è infondata.

Nell’ingiunzione sono infatti indicati il dies a quo ed il dies ad quem del calcolo degli interessi, quantificati in applicazione dell’art. 24-bis, primo comma. Regolamento Generale delle Entrate del XXX di Parma, adottato dall’ente locale in conformità al comma 165 dell’art. 1 della legge 27 dicembre 2006, n, 296 recante disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (finanziaria 2007), in base al quale “La misura annua degli interessi è determinata, da ciascun ente impositore, nei limiti di tre punti percentuali dì differenza rispetto al tasso di interesse legale. Gli interessi sono calcolati con maturazione giorno per giorno con decorrenza dal giorno in cui sono divenuti esigibili”.

Il regolamento in esame, che essendo atto normativo e conoscibile d’ufficio dal giudice, prevede che “in ogni caso la misura annua degli interessi è determinata dal Comune nei limiti di 1,5 punti percentuali di differenza rispetto al tasso di interesse legale”.

Gli interessi risultano pertanto ex ante determinabili e la specificazione nell’ingiunzione del dies a quo ed il dies ad quem del calcolo rende verificabile la quantificazione delle somme applicate a titolo di interessi.

Si aggiunga che, a fronte delle deduzioni di XXX S.P.A. nel giudizio di primo grado in punto a criteri applicati per il calcolo degli interessi, l’opponente neppure ha sollevato alcuna contestazione sull’esattezza del calcolo, limitandosi a lamentare la inintellegibilità della quantificazione degli interessi.

Non appare, peraltro, pertinente il richiamo dell’ingiunto opponente alla sentenza della Cass. Sez. trib. 21.03.2012, n. 4516. La fattispecie oggetto della pronuncia della Cassazione aveva infatti ad oggetto una cartella esattoriale (e non un’ingiunzione fiscale) nella quale era indicata solo la cifra globale degli interessi dovuti, senza alcuna distinzione per anni di imputazione, relativi a ben 23 annualità, in tal modo effettivamente pregiudicando il diritto di difesa del contribuente, stante l’indubbia complessità dei conteggi (“venendo in rilievo non la spettanza degli interessi, ma, proprio, il modo con cui è stato calcolato il totale riportato nella cartella”).

Ben diversa si palesa la fattispecie in esame nella quale sono espressamente indicati – nel corpo dell’ingiunzione opposta – il dies a quo ed il dies ad quem, degli interessi, calcolati in relazione a pochi mesi e con conteggio riferito alle singole sanzioni amministrative.

Sulla contestata illegittimità della quantificazione delle spese di notifica addebitate

Parte opponente assume l’arbitrarietà dei criteri di quantificazione delle spese di notifica dei verbali di accertamento e dell’ingiunzione.

Per quanto attiene alle spese di notifica dei verbali di accertamento delle violazioni, la censura risulta inammissibile atteso che tale profilo avrebbe dovuto essere fatto valere con l’impugnazione dei verbali medesimi, divenuti incontestabili a seguito della sua mancata impugnazione nei termini. Quanto alle spese di notifica dell’ingiunzione, pari a 15 euro, le stesse risultano certamente dovute dal contribuente.

Dette spese devono ritenersi conformi ai costi di notifica fissati con delibera di Giunta n. 248/16 del 24.03.2011, richiamata da XXX S.P.A. nella comparsa di costituzione e risposta in primo grado. Parte opponente invero, a seguito di tale allegazione, non ha contestato la conformità dei costi di notifica applicati a quelli fissati con la fissati con la delibera dì Giunta richiamata dall’opposta.

Gli importi indicati sono, peraltro ampiamente giustificati, dal momento che essi coprono tutti i costi connessi all’attività di notificazione.

Invero, nel caso di riscossione coattiva a mezzo ingiunzione di pagamento di cui al RD 639/1910: a) sono poste a carico del debitore le spese per la formazione dell’ingiunzione, nonché tutte le spese di procedura secondo l’entità fissata con il D.M. 21 novembre 2000 o altro successivo decreto ministeriale, in quanto compatibile, b) le spese non rientranti nel D.M. 21 novembre 2000 sono approvate dalla giunta comunale in ragione della congruità e proporzionalità rispetto alla spesa effettiva.

Del resto, la circolare del MEF del 31 gennaio 2001 n. 11/E ha riconosciuto l’onerosità del servizio di notificazione e ha stabilito il recupero dei relativi importi nei confronti dei destinatari per gli atti ad essi notificati.

La citata circolare n. 11/E del 2001 ha inoltre precisato che ”l’addebito in capo ai destinatari delle spese di notifica non può essere perfettamente corrispondente all’effettivo costo del servizio reso. Essa infatti deve ricomprendere forfettariamente le varie spese connesse agli adempimenti necessari al perfezionamento della notificazione”.

Non appare infine pertinente, trattandosi di tutt’altra materia, il richiamo che l’ingiunto fa alle spese di notifica degli atti giudiziari (disciplinati dalla delibera AGCOM 640/12/CONS) e/o degli atti del l’Amministrazione delle Finanze indirizzati ai contribuenti (D.M. 12 settembre 2012).

Sulla contestata “ingiustizia oggettiva del male prospettato” con l’ingiunzione fiscale

Le considerazioni svolte in premessa escludono ogni profilo di ‘’ingiustizia oggettiva del male prospettato”.

Sulla illegittimità e/o nullità degli atti presupposti all’ingiunzione e sulla illegittimità e/o nullità delle sanzioni amministrative presupposte.

Il capo di sentenza che ha dichiarato inammissibile la domanda dell’opponente di annullamento del verbale di contestazione non ha formato oggetto di impugnazione incidentale da parte dell’ingiunto, pertanto, non devono essere prese in esame le questioni evidenziate dall’appellante.

In ogni caso deve rilevarsi che l’ingiunto non ha tempestivamente impugnato i verbali di accertamento regolarmente notificati, come già rilevato dal giudice di primo grado, il quale sulla base di tale circostanza ha appunto dichiarato inammissibile la domanda di annullamento dei verbali dì contestazione proposta da XXX.

Invero, “l’ingiunzione fiscale, qualora non sia conseguenzialmente correlata a una previa attività formale di accertamento, cumula in sé stessa la duplice natura e funzione di titolo esecutivo e di alto (equipollente al precetto) prodromico al procedimento di riscossione coattiva, mentre, ove sia preceduta dalla emissione e notificazione di un atto di accertamento o di liquidazione, nei quali – se ed in quanto divenuti definitivi e incontestabili – va identificato il titolo esecutivo, conserva l’efficacia di mero atto riproduttivo destinato a esplicare incidenza soltanto sul piano dell’esigibilità della pretesa tributaria, e, come tale, resta suscettibile di impugnazione solo per vizi propri e non anche per motivi attinenti a fatti e momenti della vicenda tributaria anteriori alla formazione del titolo esecutivo, deducibili ma non dedotti in sede di impugnazione dell’atto presupposto” (Cass. Sez. 1, n. 8764 del 07/10/1996).

Sulla contestazione sollevata da parte ingiunta in comparsa conclusionale in ordine alla inesistenza giuridica dell’ingiunzione fiscale per mancata attestazione della conformità della copia notificata all’originale

In comparsa conclusionale l’ingiunto ha contestato l’inesistenza giuridica dell’ingiunzione fiscale per mancata attestazione da parte dell’Ufficiale Giudiziario della conformità della copia notificata all’originale.

Detto motivo di opposizione risulta nuovo e pertanto inammissibile in appello.

Invero, “l’opposizione all’ingiunzione fiscale integra una domanda diretta all’accertamento dell’illegittimità della pretesa fatta valere con l’ingiunzione stessa, rispetto alla quale l’opponente assume la veste di attore; con la conseguenza che il mutamento, in grado di appello, della ragione addotta a sostegno dell’indicata illegittimità configura, non un’eccezione nuova – proponibile a norma dell’art. 345, secondo comma, cod. proc. civ. – bensì una modificazione della causa petendi e, quindi, della originaria domanda, soggetta alla preclusione di cui al primo comma del citato art. 345” (Cass. Sez. 1, n. 9230 del 23/10/1996).

In ogni caso si rileva che “l’ingiunzione fiscale è valida ed efficace indipendentemente dalla notifica e la mancanza di questa non costituisce ostacolo alla proposizione di una domanda volta ad accertare la illegittimità o l’infondatezza della pretesa tributaria in essa contenuta, una volta che il provvedimento sia stato esternato (come nel caso di specie) e il soggetto interessato ne abbia avuto conoscenza piena, tanto da essere in grado di spiegare una dettagliata opposizione. Infatti, l’inesistenza della notifica può impedire di dar corso agli atti esecutivi (impedendo il decorso del termine assegnato per il pagamento e facendo, quindi, venir meno nell’ingiunzione la sua funzione di precetto), ma non si riflette sulla consistenza della pretesa tributaria, la quale va, perciò, verificata nel giudizio intrapreso con l’atto di opposizione” (Cass. Sez. 1, n. 3880 del 24/04/1996).

Nel caso di specie peraltro la notifica è stata effettuata a mezzo posta ai sensi dell’art. 26 del d.p.r. 602/73, il quale prevede che “in tal caso, la cartella è notificata in plico chiuso”.

In ordine a tale forma di notifica Cass. Civ., sez. VI, 14.06.2017, n. 14834, ha precisato che “la seconda parte del comma 1 dell’art. 26 del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 602 prevede una modalità di notifica, integralmente affidata al concessionario stesso ed all’ufficiale postale, alternativa rispetto a quella della prima parte della medesima disposizione e di competenza esclusiva dei soggetti ivi indicati. In tal caso, la notifica si perfeziona con la ricezione del destinatario, alla data risultante dall’avviso di ricevimento, senza necessità di un’apposita relata, visto che è l’ufficiale postale a garantirne, nel menzionato avviso, l’esecuzione effettuata su istanza del soggetto legittimato e l’effettiva coincidenza tra destinatario e consegnatario della cartella”.

Sulla domanda di XXX S.P.A. di condanna dell’appellata al risarcimento del danno per lite temeraria.

La condanna al pagamento della somma equitativamente determinata, ai sensi dell’art. 96 c.p.c.. comma 3, aggiunto dalla L. 18 giugno 2009, n. 69. presuppone l’accertamento della mala fede o colpa grave della parte soccombente, non solo perché la relativa previsione è inserita nella disciplina della responsabilità aggravata, ma anche perché agire in giudizio per far valere una pretesa che si rivela infondata non è condotta di per sé rimproverabile (tra le varie, Cass. n. 21570 del 30/1 1/2012; Cass. Sez. 3, n. 27534 del 30/12/2014).

Ciò premesso, l’indiscutibile complessità della ricostruzione normativa in materia esclude la temerarietà della lite, con conseguente rigetto della domanda di XXX S.P.A. formulata ai sensi dell’art. 96 comma 3 epe.

Né peraltro la mala fede e la colpa grave che giustificano la condanna di cui all’art. 96 c.p.c. può essere desunta unicamente dal mero dissenso mostrato dalla parte rispetto all’orientamento di un unico ufficio giudiziario di merito, cioè lo stesso Tribunale di Parma, che in sede di appello ha riformato con plurime pronunce le sentenze del giudice di pace adesive alla tesi dell’appellata (cfr. sul punto Cassazione civile sez. II. 28/09/2017 n. 22710, che ha cassato il capo della sentenza contenente condanna ex art, 96 c.p.c. fondata sostanzialmente sul solo dissenso da un orientamento di un ufficio giudiziario di merito).

Sulle spese di lite.

La novità (al momento della proposizione della domanda in primo grado) e la complessità delle questioni trattate giustifica la compensazione integrale tra le parti delle spese del primo grado di giudizio, sicché deve confermarsi sul punto la decisione del giudice di pace, tenuto conto che l’opposizione innanzi al Giudice di Pace è stata introdotta prima della modifica dell’art. 92 cpc operata dal D.L. 12 settembre 2014, n. 132, convertito, con modificazioni, dalla legge 10 novembre 2014. n. 162.

Per contro, le spese del giudizio di appello seguono la soccombenza tra le parti costituite. Non può invero disporsi la compensazione delle spese relative al secondo grado, come statuito in alcune delle prime sentenze di questo Tribunale (anche di questo giudice: la presente controversia si inserisce infatti in un ben più ampio contenzioso avente il medesimo oggetto), atteso che sono ormai numerosissime le pronunce conformi rese da questo Tribunale, quale giudice d’appello, in casi del tutto speculari.

Nulla per le spese del giudizio di appello tra XXX S.P.A. e il MOVIMENTO XXX, tenuto conto che non è stata oggetto di appello incidentale da parte del MOVIMENTO, rimasto contumace, la dichiarazione di inammissibilità del suo intervento, contenuta nella sentenza censurata, sicché non è ravvisabile in appello soccombenza dell’una o dell’altra parte.

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P.Q.M.

Il Tribunale di Parma, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando nella causa civile iscritta al n. 6397 del Ruolo Generale dell’anno 2015, ogni altra domanda, istanza, eccezione disattesa così decide, in parziale accoglimento dell’appello proposto da XXX S.P.A.

RIGETTA l’opposizione spiegata da XXX e, per l’effetto, dichiara il diritto di XXX S.P.A. di procedere ad esecuzione forzata in base all’ingiunzione opposta

CONFERMA nel resto la sentenza impugnata

CONDANNA l’appellato XXX alla rifusione in favore di XXX delle spese del presente giudizio, liquidate in euro 150,00 per anticipazioni e in euro 450,00 per compensi di avvocato, oltre 15% spese generali, Iva se dovuta e Cpa come per legge;

CONDANNA l’appellato XXX alla rifusione in favore del XXX di Parma delle spese del presente giudizio, liquidate in euro 250,00 per compensi di avvocato, oltre 15% spese generali, Iva se dovuta e Cpa come per legge.

Così deciso il 2 Agosto 2018

Il Giudice

Dott.ssa Angela Chiari


 

COMMENTO

Interessante sentenza emessa dal Tribunale di Parma, che sulla scia di un corposo  filone di pronunce consolidate (sentenze n. 692/16, n. 114/2017, n. 115/2017, n. 116/2017, n. 117/2017, n. 118/2017, n. 119/2017, , n. 120/2017, n. 121/2017, n. 122/2017, n. 567/2017)  su alcuni principi cardine importanti, svolge un interessante excursus storico della evoluzione normativa in materia di concessionarie private della riscossione.

Si segnalano in particolare due passaggi significativi:

-il primo riguarda l’introduzione con la Legge 244/2007 (Finanziaria 2008) dell’obbligo  della iscrizione all’albo dei concessionari previsto solo per le concessionarie costituite dopo l’entrata in vigore della legge e per quelle già costituite che vogliano partecipare a nuove procedure ad evidenza pubblica;

La legge finanziaria del 2008 ha modificato i requisiti necessari per i nuovi affidamenti (“qualora sia deliberato di affidare a terzi”), prescrivendo la necessità dell’iscrizione all’albo non solo del socio privato della società a capitale misto pubblico – privato, ma anche della stessa società a capitale misto pubblico – privato.

Sicchè l’innovazione legislativa che, in forza del principio di irretroattività, non può disporre che per l’avvenire, non vale certamente a travolgere, in assenza di una specifica previsione in tal senso, gli affidamenti già concessi in base alle previgenti disposizioni normative.

– il secondo riguarda la possibilità di riscuotere tramite l’ingiunzione di pagamento (fiscale) in alternativa alla tradizionale riscossione tramite i ruoli , prerogativa esclusiva del concessionario nazionale.

La possibilità per i Comuni di avvalersi, per la riscossione dei tributi e delle altre entrate, della procedura di riscossione coattiva tramite l’ingiunzione di cui al R.D. n. 639 del 1910 trova fondamento nell’art. 36 comma 2 del D.L., n. 248 del 2007, a norma del quale, “la riscossione coattiva dei tributi e di tutte le altre entrate degli enti locali continua a potere essere effettuata con a) la procedura dell’ingiunzione dì cui al R.D. 14 aprile 1910, n. 639, seguendo anche le disposizioni contenute nel titolo II del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, in quanto compatibili, nei caso in cui la riscossione coattiva è svolta in proprio dall’ente locale o è affidata ai soggetti di cui al D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 52, comma 5. lett. b); b) la procedura del ruolo di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, se la riscossione coattiva è affidata agli agenti della riscossione di cui al D.L. 30 settembre 2005, n. 203, art. 3, convertito, con modificazioni, dalla L. 2 dicembre 2005, n. 248

Giulia Fava

(Coordinatore Operativo – Parma Gestione Entrate)