Sommario: §.1 Premessa. §.2 Danno erariale diretto, indiretto, obliquo. §.3 Presupposti oggettivi e soggettivi del danno erariale. §.4 Le modifiche apportate dal cd. “Decreto semplificazioni” al concetto di dolo erariale. §.5 La gravità della colpa. §.6 Le limitazioni della responsabilità erariale alle sole fattispecie dolose: raffronto tra il D.L. 76/2020 e le altre fattispecie. §.7 La nuova tipologia di controllo concomitante introdotta dal “Decreto semplificazioni”. §.8 Le modifiche apportate dal “Decreto semplificazioni” al delitto di abuso d’ufficio.

§. 1 Premessa.

Novità di rilievo in materia di danno erariale sono state introdotte con gli artt. 21 e 22 D.L. 16 luglio 2020 n. 76 (cd. “Decreto semplificazioni”), convertito con modificazioni in Legge 11 settembre 2020 n. 120.

Per comprendere la portata di tali innovazioni, occorre preliminarmente definire il concetto stesso di “danno erariale”, inteso come danno subito dalla Pubblica Amministrazione per effetto della condotta di un proprio dipendente o di un soggetto ad essa legato da un rapporto di servizio, che abbia violato i propri obblighi di impiego o di servizio.

In termini di imputazione del danno, e di conseguente radicamento della giurisdizione contabile, negli ultimi anni la giurisprudenza ha mostrato la tendenza a spostare l’attenzione dalla qualità del soggetto che procura il danno alla natura obiettiva di quest’ultimo e allo sviamento dagli scopi istituzionali perseguiti dalla Pubblica Amministrazione, che si verifica in conseguenza della condotta antigiuridica di chi è in qualsiasi modo tenuto a cooperare alla loro realizzazione.

In tal modo, il soggetto che causa il danno erariale non è più soltanto il pubblico dipendente, ossia il soggetto legato alla Pubblica Amministrazione da un rapporto di impiego di natura stabile, ma può essere anche il privato ad essa legato da un rapporto di servizio meramente occasionale.

Tipica ad esempio è la fattispecie di danno erariale causata da un soggetto, che abbia ricevuto un contributo pubblico, e che lo abbia impiegato per finalità diverse da quelle per le quali il contributo era stato concesso. Tale soggetto realizza uno sviamento dalle finalità pubbliche, alle quali era chiamato a cooperare mediante la concessione del contributo, e dunque realizza un danno erariale, pur non essendo legato alla Pubblica Amministrazione da un rapporto di impiego di natura stabile.

In tal senso si è espressa Cass. civ., Sezioni Unite, ord., 1° marzo 2006 n. 4511: “il criterio per discriminare la giurisdizione ordinaria da quella contabile non va ravvisato nella qualità del soggetto (che può ben essere un privato o un ente pubblico non economico), ma nella natura del danno e degli scopi perseguiti, cosicché ove il privato, per sua scelta, incida negativamente sul modo d’essere del programma imposto dalla pubblica amministrazione, alla cui realizzazione egli è chiamato a partecipare con l’atto di concessione del contributo e l’incidenza sia tale da poter determinare uno sviamento dalle finalità perseguite, realizza un danno per l’ente pubblico”.

Nel medesimo senso, in epoca più recente, Cass. civ., Sezioni Unite, 13 febbraio 2014 n. 3310 e Cass. civ., Sezioni Unite, 31 luglio 2017 n. 18991, che hanno ritenuto configurabile un rapporto di servizio tra la Pubblica Amministrazione erogatrice di un contributo ed i legali rappresentanti della società che lo aveva percepito. 

Questi ultimi, disponendo della somma erogata in modo diverso da quello preventivato o ponendo in essere i presupposti per la sua illegittima percezione, avevano infatti frustrato lo scopo perseguito dalla Pubblica Amministrazione, distogliendo le risorse conseguite dalle finalità alle quali le stesse erano preordinate. 

La seconda delle predette pronunce ha ulteriormente chiarito che l’eventuale responsabilità della società (come soggetto giuridico autonomo) o di altri soggetti non fosse sufficiente, di per sé, a far venir meno la responsabilità dei legali rappresentanti, potendo tutt’al più operare il concorso di cui all’art. 2055 c.c. 

Alla responsabilità per danno erariale dei legali rappresentanti della società non potevano infine essere di ostacolo neppure gli artt. 75, comma 3, c.p.p. e 538 c.p.p. in materia di azione civile nel processo penale, posto che la prima di tali norme non si applica al giudizio contabile e la seconda può essere interpretata nel senso che al giudice contabile è riservata in via esclusiva la giurisdizione in punto di condanna specifica al risarcimento del danno.

Anche l’erogazione di contributi comunitari, che sia avvenuta sulla base di dichiarazioni non veritiere del percettore in merito alla sussistenza dei requisiti richiesti, configura un’ipotesi di danno erariale soggetto alla giurisdizione contabile (Cass. civ., Sezioni Unite, 27 gennaio 2016 n. 1515).

Sempre nel medesimo senso estensivo della giurisdizione contabile, la Suprema Corte ha concluso per la sussistenza di quest’ultima in presenza di un rapporto concessorio tra struttura ospedaliera privata ed ente pubblico, non essendo a ciò di ostacolo il regime dell’accreditamento: per effetto di quest’ultimo, infatti, la prima viene inserita in modo continuativo e sistematico nell’organizzazione della Pubblica Amministrazione ed assume la qualifica di soggetto erogatore di un servizio pubblico, con la conseguenza che la domanda di risarcimento del danno erariale cagionato dall’accreditato in seguito alla violazione delle regole stabilite dal predetto regime è devoluta alla giurisdizione della Corte dei Conti (Cass. civ., Sezioni Unite, 19 giugno 2019 n. 16336).

§. 2 Danno erariale diretto, indiretto, obliquo.

Il danno erariale può derivare dal comportamento di un pubblico dipendente o di un soggetto legato alla Pubblica Amministrazione da un rapporto di servizio, che cagioni in maniera  immediata e diretta alla Pubblica Amministrazione una perdita di beni o denaro (danno emergente) o un mancato conseguimento di incrementi patrimoniali (lucro cessante): si parla, in tal caso, danno diretto.

In alternativa, esso può dipendere dalla condanna che la Pubblica Amministrazione abbia riportato in un’altra sede, civile o penale, in conseguenza della condotta del dipendente pubblico: si parla, in tal caso, di danno indiretto

Quest’ultima tipologia di danno trova fondamento nell’art. 28 Costituzione, il quale prevede, da un lato, la responsabilità diretta dei funzionari e dei dipendenti dello Stato e degli enti pubblici per gli atti compiuti in violazione dei diritti, secondo le leggi penali, civili e amministrative e, dall’altro, dispone che in tali casi la responsabilità civile si estenda allo Stato e agli enti pubblici. 

In tali fattispecie, dunque, la Pubblica Amministrazione è chiamata a risarcire in sede civile il terzo, che sia stato danneggiato dal proprio dipendente, e dunque subisce un “danno indiretto” dalla condotta antigiuridica di quest’ultimo. 

Tipica fattispecie di danno erariale indiretto è costituita dal cd. “danno da mobbing. Infatti, in ambito civilistico, tale comportamento determina a carico della Pubblica Amministrazione (datrice di lavoro) una responsabilità verso il dipendente sottoutilizzato o marginalizzato, ai sensi dell’art. 2087 c.c. (che impone a qualsiasi datore di lavoro, incluso quello pubblico, di adottare tutte le misure necessarie per tutelare l’integrità fisica e la personalità morale del lavoratore). La Pubblica Amministrazione, che sia stata condannata ex art. 2087 c.c. a risarcire il danno al dipendente marginalizzato o sottoutilizzato, può quindi rivalersi mediante azione per danno erariale indiretto nei confronti del funzionario, dirigente o altro dipendente cui tale sottoutilizzazione o marginalizzazione sia imputabile.

Il danno erariale ha inoltre subito un’ulteriore estensione in base al disposto dell’art. 1, comma 4, Legge 14 gennaio 1994 n. 20, che ha introdotto l’ipotesi del cd. danno obliquo, prevedendo la risarcibilità del danno erariale anche quando quest’ultimo sia stato cagionato ad amministrazioni o ad enti pubblici diversi da quelli di appartenenza del dipendente che lo ha cagionato. 

Non si tratta, quindi, di un tertium genus rispetto al danno erariale diretto e indiretto, ma piuttosto di una modalità secondo la quale entrambi questi ultimi possono conformarsi, qualora siano cagionati ad amministrazioni o ad enti pubblici diversi da quelli nei quali il dipendente incolpato è incardinato.

§. 3 Presupposti oggettivi e soggettivi del danno erariale.

Sotto il profilo oggettivo, il danno erariale deve presentare i requisiti della:

  • certezza, nel senso che il danno è realizzato solo nel momento in cui la sottrazione patrimoniale si sia realizzata in tutte le proprie componenti;
  • attualità, nel senso che il danno deve sussistere sia al momento della proposizione della domanda, sia al momento della decisione della controversia;
  • concretezza, nel senso che la perdita economica o il mancato guadagno non devono risultare meramente presupposti, ma devono essersi effettivamente tradotti in realtà. Non rileva, quindi, il danno meramente presunto.

Sotto il profilo soggettivo, l’art. 1, comma 1, Legge 14 gennaio 1994 n. 20 definisce la responsabilità erariale personale e limitata ai fatti commessi con dolo (ossia con coscienza e volontà della condotta) o con colpa grave (intesa come macroscopica trascuratezza dei propri doveri istituzionali, che si estrinsechi in condotte negligenti, imprudenti o imperite, superficiali in modo percepibile per chiunque, senza necessità di particolari specifiche cognizioni). 

Tale limitazione di responsabilità trova peraltro diretto riscontro nell’art. 23 D.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3 (“Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato”), secondo cui costituisce danno ingiusto, suscettibile di dare luogo alla responsabilità dell’impiegato civile, quello derivante da ogni violazione dei diritti dei terzi che l’impiegato abbia commesso per dolo o colpa grave.

§. 4 Le modifiche apportate dal cd. “Decreto semplificazioni” al concetto di dolo erariale.

E’ proprio in materia di condotte dolose che si registra la prima significativa “novità” introdotta dall’art. 21, comma 1, D.L. 16 luglio 2020 n. 76, convertito con modificazioni in Legge 11 settembre 2020 n. 120.

Tale norma ha infatti aggiunto all’art. 1, comma 1, Legge 14 gennaio 1994 n. 20 la previsione secondo cui “la prova del dolo richiede la dimostrazione della volontà dell’evento dannoso”.

Come si legge nella Relazione illustrativa al Decreto Legge, “la norma chiarisce che il dolo va riferito all’evento dannoso in chiave penalistica e non in chiave civilistica, come invece risulta da alcuni orientamenti della giurisprudenza contabile che hanno ritenuto raggiunta la prova del dolo inteso come dolo del singolo atto compiuto“.

Il riferimento è quindi operato alla definizione di dolo contenuta all’art. 43 c.p., secondo cui il delitto è doloso, o secondo l’intenzione, “quando l’evento dannoso o pericoloso, che è il risultato dell’azione od omissione da cui la legge fa dipendere l’esistenza del delitto, è dall’agente preveduto e voluto come conseguenza della propria azione od omissione”.

Il dolo in chiave penalistica è quindi costituito dalle due componenti, entrambe imprescindibili, della rappresentazione (che consiste nella pianificazione dell’azione o dell’omissione volta a creare l’evento dannoso) e della  risoluzione (che consiste nella decisione di realizzare effettivamente lo sforzo esecutivo del piano per giungere alla realizzazione del fatto dannoso o pericoloso).

Pertanto, a seguito della Novella, per provare il “dolo erariale” non sarà più sufficiente dimostrare la consapevole e voluta violazione degli obblighi di servizio, ma sarà necessario provare anche la volontà dell’incolpato di produrre l’evento dannoso. 

In altri termini, per poter ritenere provata la responsabilità contabile a titolo di dolo, l’organo requirente contabile dovrà fornire una duplice prova di volontarietà, riguardante non solo la condotta antigiuridica, ma anche l’evento dannoso.

Controverso è se tale norma abbia oppure no carattere retroattivo.

In base all’art. 11 preleggi, “la legge non dispone che per l’avvenire”: quindi, in assenza di una specifica previsione di retroattività della norma, quest’ultima dovrebbe di regola essere considerata irretroattiva.

D’altra parte, il carattere favorevole all’incolpato della riforma (che aggrava l’onere probatorio per l’accusa contabile) potrebbe far propendere per la retroattività della norma, in applicazione del principio del favor rei

Tale soluzione, peraltro, può finire per creare problemi di legittimità costituzionale per immotivata disparità di trattamento tra fatti commessi anteriormente all’entrata in vigore della riforma, a seconda che gli stessi vengano giudicati prima o dopo quest’ultima.

§. 5 La gravità della colpa. 

Nessuna particolare innovazione viene invece introdotta dal “Decreto semplificazioni” con riguardo alla colpa grave.

Resta quindi fermo il principi, già sancito dall’art. 1, comma 1, Legge 20/1994, secondo cui è esclusa la gravità della colpa quando il fatto dannoso tragga origine dall’emanazione di un atto vistato e registrato in sede di controllo preventivo di legittimità, limitatamente ai profili presi in considerazione nell’esercizio del controllo

Con l’art. 4, comma 12-ter, D.L. 18 aprile 2019 n. 32 (cd. “Decreto Sblocca-cantieri”), convertito con modificazioni in Legge 14 giugno 2019 n. 55, è stata inoltre aggiunta, all’interno dell’art. 1, comma 1, Legge 20/1994, la previsione secondo cui la gravità della colpa e ogni conseguente responsabilità sono in ogni caso escluse per ogni profilo se il fatto dannoso trae origine da decreti che determinano la cessazione anticipata, per qualsiasi ragione, di rapporti di concessione autostradale, allorché detti decreti siano stati vistati e registrati dalla Corte dei conti in sede di controllo preventivo di legittimità svolto su richiesta dell’amministrazione procedente

L’art. 1, comma 1-ter, Legge 20/1994 prevede ancora limitazioni di responsabilità nel caso di deliberazioni di organi collegiali (nell’ambito delle quali la responsabilità si imputa esclusivamente a coloro che hanno espresso voto favorevole) e nel caso di atti che rientrano nella competenza propria degli uffici tecnici o amministrativi (nel cui ambito la responsabilità non si estende ai titolari degli organi politici che in buona fede li abbiano approvati ovvero ne abbiano autorizzato o consentito l’esecuzione).

§. 6 Le limitazioni della responsabilità erariale alle sole fattispecie dolose: raffronto tra il D.L. 76/2020 e le altre fattispecie. 

Sempre in materia di limitazioni di responsabilità, troviamo l’ulteriore innovazione normativa, introdotta dall’art. 21, comma 2, D.L. 16 luglio 2020 n. 76.

Si tratta di una limitazione di responsabilità destinata ad operare solo nell’ambito di un arco di tempo limitato, circoscritto ai fatti commessi dalla data di entrata in vigore del predetto Decreto legge (avvenuta il 17 luglio 2020) e fino al 31 dicembre 2021.

Il termine finale, inizialmente fissato dal D.L. 76/2020 alla data del 31 luglio 2021, è stato prorogato al 31 dicembre 2021 da parte della relativa Legge di conversione.

Limitatamente a tale periodo, infatti, la responsabilità dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti in materia di contabilità pubblica, per l’azione di responsabilità erariale ex art. 1 Legge 20/1994, è limitata ai casi in cui la produzione del danno, conseguente alla condotta del soggetto agente, è da lui dolosamente voluta

La predetta limitazione di responsabilità non si applica invece per i danni cagionati da omissione o inerzia del soggetto agente.

In altri termini, per il periodo transitorio individuato dalla norma (compreso tra il 17 luglio 2020 ed il 31 dicembre 2021), la responsabilità erariale viene limitata alle sole fattispecie di dolo, in caso di azione, mentre resta estesa anche alla colpa grave, in caso di omissione o inerzia da parte del funzionario o dipendente pubblico.

Dichiarato scopo della norma – secondo quanto risultante dalla stessa Relazione illustrativa- è quello di far sì che “i pubblici dipendenti abbiano maggiori rischi di incorrere in responsabilità in caso di non fare (omissioni o inerzie) rispetto al fare, dove la responsabilità viene limitata al dolo”.

La suddetta norma è risultata peraltro non esente da critiche in dottrina, da parte di chi ha rilevato il rischio che essa finisca per esentare da responsabilità i funzionari e gli amministratori pubblici, che agiscano con grave superficialità, sanzionando invece più gravemente coloro che siano rimasti semplicemente inerti.

La norma dell’art. 21, comma 2, D.L. 76/2020 non è peraltro la sola ad introdurre limitazioni della responsabilità contabile alle sole fattispecie dolose.

Altre limitazioni soggettive di responsabilità sono previste in favore di funzionari pubblici che adottino particolari misure deflative del contenzioso tributario o fallimentare. 

Si tratta di limitazioni di responsabilità che, a differenza di quelle ex art. 21, comma 2, D.L. 76/2020, presentano carattere generale, e quindi non eccezionale e non temporalmente circoscritto.

In particolare, l’art. 29, comma 7, D.L. 31 maggio 2010 n. 78, convertito con modificazioni in Legge 30 luglio 2010 n. 122, stabilisce che “Con riguardo alle valutazioni di diritto e di fatto operate ai fini della definizione del contesto mediante gli istituti previsti dall’articolo 182-ter del Regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (concordato preventivo e accordi di ristrutturazione del debito), dal decreto legislativo 19 giugno 1997, n. 218 (accertamento con adesione), dall’articolo 48 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, e successive modificazioni (conciliazione tributaria), dall’articolo 8 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, e successive modificazioni (ruling internazionale, oggi abrogato), dagli articoli 16 e 17 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, e successive modificazioni (procedimento di irrogazione delle sanzioni amministrative), nonché al fine della definizione delle procedure amichevoli relative a contribuenti individuati previste dalle vigenti convenzioni contro le doppie imposizioni sui redditi e dalla convenzione 90/436/CEE, resa esecutiva con legge 22 marzo 1993, n. 99, la responsabilità di cui all’articolo 1, comma 1, della legge 14 gennaio 1994, n. 20, e successive modificazioni, è limitata alle ipotesi di dolo”. 

Analogo regime è previsto anche per i funzionari dell’Ente o dell’Agente della Riscossione che concludano accordi di reclamo-mediazione, in forza della previsione di cui all’art. 39, comma 10, D.L. 06 luglio 2011 n. 98, convertito in Legge 15 luglio 2011 n. 111 (“Ai rappresentanti dell’ente e dell’agente della riscossione che concludono la mediazione o accolgono il reclamo si applicano le disposizioni di cui all’articolo 29, comma 7, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122”). 

Tale limitazione di responsabilità, che nella versione originaria della norma era riferita solo ai rappresentanti dell’ente, è stata espressamente estesa anche ai rappresentanti dell’Agente della riscossione da parte dell’art. 10, comma 3, D.L. 24 aprile 2017 n. 50, convertito con modificazioni in Legge 21 giugno 2017 n. 96

Come chiarito dalla Circolare Agenzia delle Entrate 22 dicembre 2017 n. 30/E, la predetta aggiunta normativa “appare coerente con l’estensione dell’ambito di applicazione del reclamo/mediazione agli atti emessi dall’agente della riscossione, operata dall’art. 9, comma 1, lettera l) del decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 156 e risponde alla necessità di evitare una ingiustificata disparità di trattamento, rispetto agli enti impositori, dell’agente della riscossione”.

L’attuale testo dell’art. 39, comma 10, D.L. 98/2011, ancora oggi, non menziona invece i rappresentanti dei soggetti iscritti all’albo di cui all’art. 53 D.lgs. 446/1997 che accolgano un reclamo o concludano una mediazione. 

La norma appare quindi ad oggi ancora lacunosa; tuttavia, l’estensione anche a tali soggetti della limitazione di responsabilità alle sole fattispecie di dolo, qualora accolgano un reclamo o concludano una mediazione ex art. 17-bis D.lgs. 546/1992, appare una soluzione imposta da ragioni di uniformità di trattamento, tanto più considerando che gli atti suscettibili di reclamo-mediazione appaiono identici sia per l’Agente della Riscossione, sia per i Concessionari privati.

Oltre che nell’an, l’ordinamento prevede infine alcune limitazioni nel quantum del risarcimento per danno erariale

In particolare, in caso di decesso di colui che ha causato il danno erariale, il relativo debito si trasmette agli eredi secondo le leggi vigenti nei soli casi di illecito arricchimento del dante causa e di conseguente indebito arricchimento degli eredi stessi (art. 1, comma 1, Legge 20/1994).

Ancora, nel giudizio di responsabilità, fermo restando il potere di riduzione, deve tenersi conto dei vantaggi comunque conseguiti dall’amministrazione di appartenenza, o da altra amministrazione, o dalla comunità amministrata in relazione al comportamento degli amministratori o dei dipendenti pubblici soggetti al giudizio di responsabilità (art. 1, comma 1-bis, Legge 14 gennaio 1994 n. 20, che prevede quindi espressamente una fattispecie di compensatio lucri cum damno).

Infine, se il fatto dannoso è causato da più persone, la Corte dei conti, valutate le singole responsabilità, condanna ciascuno per la parte che vi ha preso. In tal caso, la responsabilità solidale è limitata ai soli concorrenti che abbiano conseguito un illecito arricchimento o che abbiano agito con dolo. Tale disposizione si applica anche per i fatti accertati con sentenza passata in giudicato pronunciata in un giudizio pendente alla data di entrata in vigore del D.L. 28 giugno 1995 n. 248 (“Disposizioni urgenti in materia di ordinamento della Corte dei Conti”). In tali casi, l’individuazione dei soggetti ai quali non si estende la responsabilità solidale è effettuata  in sede di ricorso per revocazione (art. 1, comma 1-quater e comma 1-quinquies, Legge 20/1994).

§. 7 La nuova tipologia di controllo concomitante introdotta dal “Decreto semplificazioni”. 

Per concludere il panorama delle novità normative, introdotte dal “Decreto semplificazioni” in materia di responsabilità erariale, deve ricordarsi la norma di cui all’art. 22 D.L. 16 luglio 2020 n. 76.

Essa, al primo comma, stabilisce che “la Corte dei conti, anche a richiesta del Governo o delle competenti Commissioni parlamentari, svolge il controllo concomitante di cui all’art. 11, comma 2, Legge 04 marzo 2009 n. 15, sui principali piani, programmi e progetti relativi agli interventi di sostegno e di rilancio dell’economia nazionale. L’eventuale accertamento di gravi irregolarità gestionali, ovvero di rilevanti e ingiustificati ritardi nell’erogazione di contributi secondo le vigenti procedure amministrative e contabili, è immediatamente trasmesso all’amministrazione competente ai fini della responsabilità dirigenziale, ai sensi e per gli effetti dell’art. 21, comma 1, D.lgs. 30 marzo 2001 n. 165” (con conseguente possibile revoca o esclusione del rinnovo dello stesso incarico dirigenziale).

La norma introduce quindi una nuova forma di controllo concomitante.

Quest’ultimo, in base all’art. 11, comma 2, Legge 04 marzo 2009 n. 15, costituisce un controllo che i giudici contabili effettuano sulle gestioni pubbliche statali nel corso dello svolgimento dell’attività delle Pubbliche Amministrazioni.

L’istituto previsto dall’art. 22 D.L. 76/2020 è in particolare diretto a porre rimedio alle disfunzioni e alle inerzie che spesso si riscontrano nei procedimenti volti all’erogazione dei contributi o al trasferimento di risorse a soggetti pubblici e privati, destinati al finanziamento di spese di investimento. 

Il controllo concomitante in questione presenta quindi alcune particolarità rispetto all’istituto generale di cui all’art. 11, comma 2, Legge 04 marzo 2009 n. 15. 

Infatti, per ciò che concerne l’impulso, esso può essere attivato non solo su iniziativa delle competenti Commissioni parlamentari, ma anche su iniziativa del Governo.

Inoltre, costituisce per la Corte dei Conti non già una mera facoltà (come previsto dall’art. 11, comma 2, Legge 15/2009 con l’espressione “può effettuare”), bensì un vero e proprio obbligo.

Ancora, mentre il controllo concomitante di cui all’art. 11, comma 2, Legge 15/2009 è diretto a riscontrare irregolarità rispetto ad atti normativi, nazionali e comunitari, e a direttive del Governo, quello di cui all’art. 22 D.L. 76/2020 è diretto a riscontrare irregolarità nella realizzazione di soli atti amministrativi (i.e.: “piani, programmi e progetti”).

Anche l’oggetto del controllo risulta maggiormente circoscritto rispetto a quello dell’istituto generale, includendo solo i piani, programmi o progetti relativi agli interventi di sostegno e di rilancio dell’economia nazionale.

Infine, mentre il controllo concomitante di cui all’art. 11, comma 2, Legge 15/2009 riguarda solo le gestioni pubbliche statali, si ritiene che quello di cui all’art. 22 D.L. 76/2020 possa essere indirizzato alle gestioni sia delle Amministrazioni statali, sia degli Enti locali.

Sotto il profilo operativo, l’art. 22, comma 2, D.L. 16 luglio 2020 n. 76 stabilisce che “il Consiglio di presidenza della Corte dei conti, nell’esercizio della potestà regolamentare autonoma di cui alla vigente normativa, provvede all’individuazione degli uffici competenti e adotta le misure organizzative necessarie per l’attuazione del presente articolo senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica e nell’ambito della vigente dotazione organica del personale amministrativo e della magistratura contabile”.

§. 8 Le modifiche apportate dal “Decreto semplificazioni” al delitto di abuso d’ufficio.

Il Titolo II, Capo IV D.L. 76/2020 convertito in Legge 120/2020, dedicato al tema della “Responsabilità”, termina infine con la norma di cui all’art. 23, la quale modifica il testo dell’art. 323 c.p. (relativo al reato di abuso d’ufficio), sostituendo alle parole “in violazione di norme di legge o di regolamento” le parole “in violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità”.

A seguito di tale riforma, dunque, l’ambito di applicazione oggettivo della fattispecie penale viene circoscritto.

Infatti, la sanzione penale viene esclusa per i comportamenti di trasgressione di norme regolamentari (di rango secondario) e viene invece riservata alla violazione di “specifiche regole di condotta” previste da norme di rango primario (i.e.: legge o atto avente forza di legge).

Ulteriore condizione per la configurabilità del delitto è inoltre che le norme violate non contemplino margini di discrezionalità in sede applicativa.

In proposito, la Relazione illustrativa precisa che la finalità dell’intervento è quella di definire in maniera più compiuta la condotta rilevante ai fini del reato di abuso d’ufficio”.

In particolare, il riferimento alla necessaria assenza di margini di discrezionalità è rivolto a rendere punibili solo le condotte caratterizzate da un forte contenuto di trasgressione e ad escludere invece il rilievo penale delle fattispecie prive di tale contenuto, incentivando così il funzionario pubblico all’azione, piuttosto che ad un comportamento omissivo.

Anche a seguito della riforma, rimangono invece inalterati gli ulteriori tratti salienti della fattispecie penale di cui all’art. 323 c.p., che resta pertanto:

  • un reato proprio del pubblico ufficiale  o dell’incaricato di pubblico servizio nello svolgimento della propria funzione o del proprio servizio (posto che la riforma dei delitti contro la Pubblica Amministrazione, attuata con legge 26 aprile 1990 n. 86, ha previsto che soggetto attivo del reato possa essere non solo il pubblico ufficiale, ma anche l’incaricato di pubblico servizio);
  • un reato di evento, consistente nell’ingiusto vantaggio patrimoniale per sé o per altri o nell’ingiusto danno per altri (posto che la riforma attuata con Legge 16 luglio 1997 n. 234 ha trasformato la previgente fattispecie di reato di mera condotta nell’attuale fattispecie di reato di evento);
  • un reato a carattere residuale (come si evince dalla clausola di riserva “salvo che il fatto non costituisca un più grave reato”);
  • un reato per il quale è richiesto l’elemento soggettivo del dolo generico, inteso come “intenzionalità”, con conseguente esclusione del dolo eventuale.

Restano inoltre invariate sia la cornice edittale della pena (che la Legge 06 novembre 2012 n. 190 ha innalzato da sei mesi ad un anno nel minimo e da tre a quattro anni nel massimo) e la circostanza aggravante speciale ad effetto comune, connessa ad una rilevante gravità dell’evento (di vantaggio o di danno).

 

Dott.ssa Cecilia Domenichini

Unicusano- Roma