Le modifiche apportate all’art. 48 D.Lgs. 31.12.1992 n. 546, dall’art. 9, comma 1, lettera s), D.Lgs. 24.09.2015 n. 156
L’istituto deflattivo della Conciliazione rappresenta uno dei settori più significativamente innovati dal D.Lgs. 24.09.2015 n. 156.
Anteriormente alla Riforma l’istituto era disciplinato in un’unica norma, ossia l’art. 48 del D. Lgs. 546/92; l’art. 9 comma 1, lettera s), D.Lgs. 24.09.2015 n. 156 ha distinto due fattispecie della conciliazione fuori udienze e della conciliazione in udienza
Il successivo art. 48-bis D.Lgs. 31.12.1992 n. 546 (come aggiunto dall’art. 9, comma 1, lettera t), D.Lgs. 24.09.2015 n. 156), rubricato “Conciliazione in udienza” dispone che:
“1. Ciascuna parte entro il termine di cui all’art. 32, comma 2, può presentare istanza per la conciliazione totale o parziale della controversia.
- All’udienza la commissione, se sussistono le condizioni di ammissibilità, invita le parti alla conciliazione rinviando eventualmente la causa alla successiva udienza per il perfezionamento dell’accordo conciliativo.
- La conciliazione si perfeziona con la redazione del processo verbale nel quale sono indicate le somme dovute con i termini e le modalità di pagamento. Il processo verbale costituisce titolo per la riscossione delle somme dovute all’ente impositore e per il pagamento delle somme dovute al contribuente.
- La commissione dichiara con sentenza l’estinzione del giudizio per cessazione della materia del contendere”.
Rispetto al “vecchio” testo dell’art. 48, commi 1 e 3 D.Lgs. 546/1992 (ante Riforma del 2015), viene meno la limitazione della conciliazione giudiziale al solo primo grado del processo.
Tale circostanza risulta peraltro espressamente confermata dal successivo art. 48-terD.Lgs. 546/1992, che differenzia la misura delle sanzioni amministrative dovute a seconda che la conciliazione sia raggiunta nel primo oppure nel secondo grado del processo.
Di tale significativa innovazione ha già preso atto una parte della giurisprudenza di merito.
In tal senso, si richiama una recente ordinanza della Commissione Tributaria Regionale di Firenze, Sezione 9, ord. N. 610/2015 del 13.11.2015, la quale ha espressamente invitato le parti processuali all’utilizzo della “nuova conciliazione”, applicabile anche in secondo grado.
La Commissione Tributaria Regionale argomenta che “vista la tipologia e la complessità della vicenda, e considerato che l’art. 1 (i.e.: 9) del D.Lgs. 24.09.2015 n. 156 ha novellato l’art. 48 D.Lgs. 546/1992 ed introdotto il nuovo art. 48 bis, ammettendo la conciliazione giudiziale e stragiudiziale in qualsiasi fase del procedimento davanti alle Commissioni Tributarie e non più soltanto nel giudizio di primo grado, invita le parti ad utilizzare tale normativa che entra in vigore in data 01.01.2016”.
Tale pronuncia sembra confermare quell’indirizzo dottrinario secondo cui, per i giudizi pendenti in grado di appello, risulterà esperibile la conciliazione dinanzi alla Commissione Tributaria Regionale, anche quando la conciliazione sia già stata inutilmente tentata in primo grado, secondo la normativa previgente.
Rispetto alla normativa previgente, viene inoltre meno il riferimento letterale all’obbligo di presentazione di istanza di trattazione in pubblica udienzaex art. 33, comma 1, D.Lgs. 546/1992.
Sotto il profilo pratico, però, appare non certo agevole immaginare come possa essere redatto e sottoscritto un processo verbale di conciliazione tra le parti in un’udienza tenuta nelle forme della camera di consiglio, che si caratterizza appunto per l’assenza delle parti stesse.
Ciò induce a ritenere che, nonostante la “nuova” normativa non faccia più riferimento espresso all’istanza di pubblica udienza, di fatto quest’ultima sia sempre operativamente necessaria.
Resta invariato il limite temporale della presentazione dell’istanza di conciliazione almeno 10 giorni liberi anteriori all’udienza di trattazione.
Tale termine viene fissato non più attraverso l’istituto dell’istanza di trattazione in pubblica udienza, ma direttamente attraverso il richiamo all’art. 32, comma 2, D.Lgs. 546/1992, che autorizza le parti al deposito di memorie illustrative fino a 10 giorni liberi prima della data di trattazione.
La norma prevede dunque un termine più rigido rispetto a quanto contemplato per la conciliazione fuori udienza: l’intento è quello di tutelare il principio del contraddittorio, evitando che una delle parti possa trovarsi “impreparata” rispetto ad un’istanza conciliativa presentata dalla controparte.
Nel procedimento fuori udienza, l’accordo conciliativo è già presente e l’istanza di conciliazione deve necessariamente essere sottoscritta da entrambe le parti, e può quindi essere depositata fino al giorno dell’udienza, non sussistendo l’esigenza di tutela del contraddittorio.
Al contrario, nella conciliazione in udienza, l’istanza di conciliazione può essere presentata anche unilateralmente da una sola delle parti, e non deve neppure essere motivata, poiché l’accordo conciliativo non è ancora formato. Ciò fa sorgere la necessità di tutela del contraddittorio e giustifica il termine di presentazione più rigido (almeno 10 giorni liberi anteriori all’udienza di trattazione, ex art. 32, comma 2, D.Lgs. 546/1992), a garanzia della parte diversa da quella che ha presentato l’istanza di conciliazione.
D’altro canto, anche in presenza di un’istanza di conciliazione in udienza presentata “fuori termine”, qualora la controparte intendesse aderire alla stessa, senza lamentare la lesione del contraddittorio in suo danno, non paiono esservi ragioni ostative per ritenere che le parti possano comunque raggiungere validamente una conciliazione in udienza.
Tale soluzione, oltre ad apparire maggiormente conforme al generale favor conciliationis che ha ispirato l’intera Riforma del 2015, si giustifica anche in considerazione del fatto che, pur volendo interpretare in senso “rigido” il limite temporale dei dieci giorni liberi anteriori all’udienza, le parti potrebbero comunque pervenire ad un identico risultato conciliativo, chiedendo un rinvio dell’udienza e pervenendo ad un accordo “fuori udienza” ex art. 48 D.Lgs. 546/1992.
Resta inoltre ferma la previsione secondo cui la conciliazione in udienza possa essere totale o parziale e possa venire presentata da “ciascuna parte” (e quindi, ad iniziativa tanto del contribuente, quanto della parte resistente del processo tributario).
Viene invece meno il riferimento, contenuto nel testo del previgente art. 48 D.Lgs. 546/1992, al tentativo di conciliazione esperito d’ufficio dalla Commissione.
La dottrina, tuttavia, non sembra aver finora attribuito eccessivo “peso” a tale modifica, stante la rilevanza, ai fini del perfezionamento della conciliazione, del solo momento del consenso finale delle parti, e non di quello dell’avvio.
Si ritiene pertanto che, nonostante sia venuto meno il riferimento testuale al tentativo di conciliazione d’ufficio, la Commissione, sia in primo che in secondo grado, possa ancora provare a sollecitare le parti in tal senso.
Si evidenzia peraltro una discrasia tra la conciliazione fuori udienza (attuale art. 48 D.Lgs. 546/1992) e quella in udienza (attuale art. 48-bisD.Lgs. 546/1992).
La prima di tali norme dispone che la conciliazione totale della controversia conduce ad una sentenza di cessazione della materia del contendere, tale da definire interamente il giudizio, mentre la conciliazione parziale conduce ad un’ordinanza di parziale cessazione della materia del contendere, contenente anche le disposizioni sull’ulteriore corso del giudizio, per la parte di controversia non conciliata.
L’art. 48-bis, comma 4, D.Lgs. 546/1992 sembra invece lasciar intendere che, in caso di conciliazione in udienza, la commissione pronunci sempre sentenza di estinzione del giudizio per cessata materia del contendere.
Ciò non crea problemi in caso di conciliazione totale della controversia.
In questo caso, sarà de plano applicabile l’art. 15, comma 2-octies, secondo periodo D.Lgs. 546/1992, che pone come regola generale la compensazione delle spese, facendo però salva l’ipotesi di un diverso accordo tra le parti contenuto nel processo verbale di conciliazione.
Crea invece notevoli difficoltà in caso di conciliazione parziale della controversia, considerato che il processo tributario, a differenza quello civile, non conosce l’istituto delle sentenze non definitive.
Pertanto, nel caso in cui la commissione pronunci sentenza di estinzione del giudizio per cessazione della materia del contendere, e consumi quindi il proprio potere decisionale, non si vede in quale modo il giudizio potrà proseguire per la parte della controversia tributaria non conciliata, né come potranno essere dati i provvedimenti sull’ulteriore corso del giudizio.
Appare quindi senza dubbio preferibile ritenere che, nonostante la “lettera” dell’art. 48-bis, comma 4, D.Lgs. 546/1992, in caso di conciliazione solo parziale della controversia avvenuta in udienza, la Commissione debba pronunciare ordinanza di parziale cessazione della materia del contendere, nella quale saranno contenuti anche gli ulteriori provvedimenti istruttori per la prosecuzione del giudizio, relativamente alla parte della controversia tributaria non conciliata in udienza.
Analogamente alla disciplina previgente, è prevista la possibilità che la conciliazione non si perfezioni in prima udienza.
Diverse sono tuttavia le conseguenze: in base al “vecchio” art. 48, comma 4, D.Lgs. 546/1992 ciò comportava un rinvio dell’udienza, per un periodo non superiore a sessanta giorni, affinché le parti raggiungessero un accordo stragiudiziale, ai sensi del successivo comma 5; in base al “nuovo” art. 48-bisD.Lgs. 546/1992 la commissione, previa delibazione delle condizioni di ammissibilità dell’istanza di conciliazione (anche in questo caso, limitata ad un controllo formale, e non di merito o di opportunità), rinvia la causa alla successiva udienza (senza previsione di un limite temporale massimo del rinvio) e l’accordo conciliativo si perfeziona comunque in udienza.
Il momento perfezionativo della conciliazione coincide con la redazione (e sottoscrizione) del processo verbale (e non più con il pagamento dell’importo dovuto o della prima rata, da effettuarsi entro 20 giorni dalla sottoscrizione del processo verbale).
La previsione del “nuovo” art. 48-bis D.Lgs. 546/1992 (perfezionamento della conciliazione con la redazione del processo verbale) appare analoga a quella del “nuovo” art. 48 D.Lgs. 546/1992 (perfezionamento della conciliazione con la sottoscrizione dell’accordo stragiudiziale).
Il processo verbale, analogamente all’“accordo” di cui all’art. 48 D.Lgs. 546/1992, costituisce “titolo” sia per la riscossione delle somme dovute all’ente impositore, sia per il pagamento delle somme dovute al contribuente (a titolo di rimborso).
Anche in questo caso, così come nel precedente art. 48 D.Lgs. 546/1992, la norma definisce il processo verbale come “titolo” e non come “titolo esecutivo” e lascia anche in questo caso aperta la problematica dell’ammissibilità dell’apposizione della formula esecutiva sul processo verbale stesso (anche in considerazione della differenza con le previsioni dell’art. 185 e 420 c.p.c., che definiscono il processo verbale di conciliazione, rispettivamente nel rito ordinario di cognizione e nel rito del lavoro, come “titolo esecutivo”; con l’art. 5 D.L. 132/2014 convertito in Legge 162/2014, che definisce “titolo esecutivo” l’accordo raggiunto in sede di negoziazione assistita; con l’art. 12 D.Lgs. 28/2010 che, al ricorrere di determinate condizioni, definisce quale “titolo esecutivo” l’accodo sottoscritto in sede di mediazione).