Cass. civ., Sez. 5, Ord. 29 settembre 2021, n. 26347


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BALSAMO Milena – Presidente –

Dott. RUSSO Rita – Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

Dott. MELE Francesco – rel. Consigliere –

Dott. MARTORELLI Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 14863/2017 R.G. proposto da:

Z.L., rappresentata e difesa dall’Avv. …, con domicilio eletto in …, presso lo studio dell’Avv…; – ricorrente –

contro

COMUNE DI SALO’, in persona del sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avv. …, con domicilio eletto in …, presso lo studio dell’Avv. …a; – controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia, sez. 24, n. 6663/24/2016, depositata il 13 dicembre 2016.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 19 maggio 2021 dal Consigliere Maria Elena Mele.

Svolgimento del processo

che:

Z.L. ha impugnato avanti alla Commissione tributaria provinciale di Brescia due avvisi di accertamento emessi dal Comune di Salò relativi a due immobili di proprietà della contribuente, con cui accertava per gli anni 2010 e 2011 una maggiore ICI, oltre sanzioni ed interessi. La ricorrente deduceva di aver proceduto alla divisione dei due immobili nel corso del 2009 e, conseguentemente, di aver presentato dichiarazione DOCFA nello stesso anno con la quale dichiarava l’esistenza di due unità immobiliari e proponeva l’attribuzione ai medesimi della categoria A/7 e della relativa rendita catastale. Tale dichiarazione era rimasta invariata fino al 20.6.2012 quando l’Agenzia del territorio aveva modificato la rendita proposta sulla cui base il Comune aveva calcolato l’ICI relativa alle annualità 2010 e 2011 oggetto degli avvisi di accertamento impugnati. La Z. contestava la legittimità di tali atti in quanto non erano stati preceduti dalla notifica della variazione della rendita catastale effettuata dall’Agenzia. Deduceva, inoltre, che, poichè la variazione era avvenuta nel 2012, essa produceva effetti solo dal 1 gennaio dell’anno successivo.

Riuniti i ricorsi, la CTP li accoglieva annullando gli atti impositivi impugnati.

Il Comune di Salò proponeva appello alla Commissione tributaria regionale della Lombardia che lo accoglieva rilevando che il mutamento della rendita catastale era avvenuto senza che fosse stata fatta alcuna variazione dell’immobile, come comprovato dalla mancanza di pratiche edilizie e senza che, in giudizio, la contribuente avesse dimostrato il contrario. Affermava che, pertanto, quanto posto in essere dalla contribuente, dovesse assimilarsi ad un errore materiale.

La Z. ha proposto ricorso per la cassazione di tale decisione affidato a tre motivi.

Il Comune di Salò ha resistito con controricorso.

Motivi della decisione

che:

Con il primo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art.5, comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

La ricorrente afferma di aver proposto la nuova classificazione catastale con DOCFA in data 1.9.2009 a seguito della divisione e della diversa distribuzione degli spazi interni e variazione toponomastica dei due immobili di sua proprietà; per effetto di tali interventi erano state create due unità immobiliari accatastate in categoria A/7, anzichè A/8 come la precedente. Solo in data 1.9.2012, a seguito di segnalazione del Comune di Salò, l’Agenzia del territorio aveva effettuato un accertamento in autotutela con cui aveva annullato la variazione operata dalla contribuente mediante DOCFA e aveva riclassificato le due unità immobiliari in cat. A/8, modificandone altresì la classe e la rendita. Secondo la ricorrente, tale atto di autotutela dell’Agenzia avrebbe confermato l’esistenza delle due unità immobiliari indicate nella DOCFA, nonchè della divisione e diversa distribuzione degli spazi interni. Sicchè la sentenza impugnata sarebbe illegittima avendo ritenuto la contribuente tenuta al pagamento della maggiore ICI per gli anni 2010-2011 sul presupposto che la rettifica della rendita avesse efficacia ex tunc. Con il secondo motivo si denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

La CTR ha ritenuto che l’assenza di pratiche edilizie dimostrava che non era stata realizzata alcuna variazione dell’immobile della contribuente e che, pertanto, la rettifica operata dal Comune era legittima. In tal modo il giudice d’appello non avrebbe considerato la circostanza che l’Agenzia, pur modificando classe e rendita proposte, aveva confermato l’esistenza della variazione come indicato dalla DOCFA presentata dalla contribuente.

Con il terzo motivo si deduce la violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato ex art. 112 c.p.c. in relazione al D.Lgs. n. 472 del 1997, art.5, comma 1; omessa pronuncia ex art.360 c.p.c., n. 4. La sentenza impugnata non avrebbe esaminato il motivo di censura dedotto in primo grado e riproposto nelle difese in appello con cui la contribuente aveva denunciato l’illegittimità delle sanzioni irrogate per mancanza dei presupposti e in difetto di motivazione.

Il primo motivo è infondato.

In tema di catasto dei fabbricati, il D.M. 19 aprile 1994, n. 701 ha introdotto una procedura – cd. DOCFA – per l’accertamento delle unità immobiliari, che consente al dichiarante, titolare di diritti reali sui beni, di proporre la rendita degli immobili stessi. Trattasi di una procedura collaborativa che ha il solo scopo di rendere più rapida la formazione del catasto ed il suo aggiornamento, attribuendo alle dichiarazioni presentate ai sensi del D.P.R. 1 dicembre 1949, n. 1142, art. 56 la funzione di “rendita proposta”, fino a quando l’ufficio finanziario non provveda alla determinazione della rendita definitiva. Il termine a tal fine assegnato all’Ufficio è stabilito dal D.M. citato, art. 1, comma 3, in un anno dalla presentazione della dichiarazione.

Questa Corte ha precisato che la dichiarazione del contribuente costituisce soltanto l’atto iniziale del procedimento amministrativo, che è di tipo cooperativo e non una istanza tendente ad ottenere un’autorizzazione, licenza, abilitazione o altro atto di consenso, il cui rilascio costituisce condizione per l’esercizio di un’attività.

Conseguentemente si è esclusa la formazione di un silenzio-assenso sulla dichiarazione contenente l’attribuzione di una rendita catastale. “Il contribuente, infatti, non ha alcuna facoltà da accrescere nè diritto da acquisire; l’Amministrazione non ha alcuna posizione da riconoscere. L’esito del procedimento di classamento, infatti, è di tipo accertativo, mira a fornire chiarezza sul valore economico del bene, attraverso il sistema del catasto, in vista di una congrua tassazione secondo le varie e diverse leggi d’imposta. Tale caso, in conclusione, esula dal piano della tecnica dell’attribuzione di posizioni di vantaggio ai privati (dove si colloca il principio del silenzio assenso) perchè attiene a quello, ben diverso, della cognizione amministrativa, la quale non tollera – pena la sua negazione – limitazioni di ordine temporale, se non nei sensi anzidetti. Ossia, attraverso la provvisoria esecutività del titolo formatosi solo sulla base della proposta del privato contribuente”. In definitiva, ove l’amministrazione non provveda a definire la rendita del bene oggetto di classamento, saranno le dichiarazioni presentate dai contribuenti ai sensi del D.P.R. n. 1142 del 1949, art. 56 a valere come “rendita proposta” fino a che l’ufficio non provvederà alla determinazione della rendita definitiva. (Sez. 5, Sentenza n. 16824 del 21/07/2006, Rv. 593923 – 01; Sez. 5, n. 11844 del 12/05/02017).

In applicazione di tali principi deve escludersi che il provvedimento con cui nella specie l’Agenzia del territorio ha rideterminato la classe e la rendita degli immobili possa qualificarsi come atto di autotutela come affermato dalla ricorrente -, trattandosi piuttosto del provvedimento conclusivo della procedura con il quale l’Amministrazione determina la rendita catastale definitiva.

Con riguardo alla efficacia temporale degli atti attributivi di tale rendita, la L. n. 342 del 2000, art. 74 dispone che “a decorrere dal 1 gennaio 2000, gli atti comunque attributivi o modificativi delle rendite catastali per terreni e fabbricati sono efficaci solo a decorrere dalla loro notificazione, a cura dell’ufficio del territorio competente, ai soggetti intestatari della partita. Dall’avvenuta notificazione decorre il termine di cui al D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, e successive modificazioni, art. 21 per proporre il ricorso di cui allo stesso D.Lgs., art. 2, comma 3. Dell’avvenuta notificazione gli uffici competenti danno tempestiva comunicazione ai comuni interessati”. Come chiarito da questa Corte tale disposizione “si interpreta nel senso che dalla notifica decorre il termine per l’impugnazione, ma ciò non esclude affatto l’utilizzabilità della rendita medesima, una volta notificata, a fini impositivi anche per annualità d’imposta “sospese”, ovverosia suscettibili di accertamento e/o di liquidazione e/o di rimborso, stante la natura dichiarativa e non costitutiva dell’atto attributivo della rendita”” (Cass. n. 4613 del 2018; n. 2017 n. 14402; Cass. 2016 n. 18056; 2016 n. 12330; Cass. 2012 n. 12753; Sez. U, Sentenza n. 3160/11; Cass. n. 23600 del 2011). La notificazione della rendita attribuita, ln definitiva, costituisce il presupposto per l’utilizzo della stessa da parte dell’amministrazione comunale che agisca per il pagamento dell’ICI. Ciò vale anche con riguardo anche alle annualità pregresse (ed a maggior ragione per quella ancora in corso al momento della notificazione) in ordine alle quali la posizione ICI non risulti essere stata definita proprio in attesa dell’attribuzione della rendita notificata. Si è infatti affermato che “in tema di imposta comunale sugli immobili (ICI), ai fini del computo della base imponibile, il provvedimento di modifica della rendita catastale, emesso dopo il primo gennaio 2000 a seguito della denuncia di variazione dell’immobile presentata dal contribuente, è utilizzabile, a norma della L. 21 novembre 2000, n. 342, art.74 anche con riferimento ai periodi di imposta anteriori a quello in cui ha avuto luogo la notificazione del provvedimento, purchè successivi alla denuncia di variazione. Stabilendo, infatti, con il citato art. 74, che dal primo gennaio 2000 gli atti attributivi o modificativi delle rendite catastali sono efficaci solo a decorrere dalla loro notificazione, il legislatore non ha voluto restringere il potere di accertamento tributario al periodo successivo alla notificazione del classamento, ma piuttosto segnare il momento a partire dal quale l’amministrazione comunale può richiedere l’applicazione della nuova rendita ed il contribuente può tutelare le sue ragioni contro di essa, non potendosi confondere l’efficacia della modifica della rendita catastale – coincidente con la notificazione dell’atto – con la sua applicabilità, che va riferita invece all’epoca della variazione materiale che ha portato alla modifica” (Cass. 13443 del 2012; così Cass. 20775/05).

Questa Corte ha, altresì specificato che a detta interpretazione consegue che “la determinazione della base imponibile, tanto per i fabbricati non iscritti in catasto, quanto per quelli in relazione ai quali siano intervenute variazioni permanenti, va sempre effettuata, anche per le annualità pregresse, in base alla rendita catastale, a prescindere dall’epoca di notificazione o di definitiva attribuzione”, e ciò in quanto gli atti attributivi della rendita sono privi di forza costitutiva, ma hanno funzione meramente accertativa della concreta situazione catastale dell’immobile (cfr. 12029 del 2009; n. 16031/2009; Cass. n. 4335 del 2015 Cass. ord. n. 14773 del 2011; Cass. n. 23600 del 2011; 12753 del 2014; Cass., Sez. 5, Sentenza n. 23600 del 11/11/2011; Cass. S.U. n. 3160/2011; Cass. n. 18056/2016; n. 12320/2016; n. 12753/2014; n. 9203/2007; Cass., Sez. 5, Sentenza n. 18056 del 14/09/2016; Cass. n. 14402 del 2017).

Nel caso in esame, la contribuente non ha impugnato il provvedimento con cui l’Agenzia del territorio ha rideterminato la rendita catastale, ma ha contestato l’omessa notifica di tale provvedimento al solo fine di ottenere l’annullamento dell’avviso di accertamento emesso dall’amministrazione comunale.

Tuttavia, la L. n. 342 del 2000, art.74, comma 3, stabilisce che la notifica dell’atto impositivo ai fini ICI vale anche come atto di notificazione della rendita attribuita, comportando l’obbligo di impugnazione autonoma dell’atto modificativo della rendita catastale nei 60 giorni dalla data della notifica, stante l’autonomia tra i giudizi di impugnazione dell’atto di attribuzione della rendita catastale e dell’atto impositivo emanato dall’ente locale (Cass., Sez. 5, n. 4613 del 2018; n. 25550 del 2014; n. 2010, n. 10571 e n. 2007, n. 9203). Pertanto, ricevuta la notifica dell’avviso di accertamento, la contribuente avrebbe dovuto impugnare l’atto di rideterminazione della rendita. Non avendovi provveduto, essa è divenuta definitiva.

Ciò posto, occorre considerare che il D.Lgs. 30 dicembre 1997, n. 504, art.5, comma 2 stabilisce la regola generale secondo la quale le risultanze catastali divenute definitive per mancata impugnazione hanno efficacia a decorrere dall’anno di imposta successivo a quello nel corso del quale sono state annotate negli atti catastali (cd. messa in atti).

Si è in proposito affermato che tale regola “si applica anche quando il contribuente si avvalga della procedura DOCFA ai fini della determinazione della rendita catastale, ai sensi del d. m. finanze 19 aprile 1994 n. 701, non avendo tale procedura caratteristiche dissimili da qualsiasi altra istanza di attribuzione di rendita ed essendo il termine di efficacia, previsto dall’art. 5, comma 2, cit., ispirato a ragioni di uniformità delle dichiarazioni e degli accertamenti. Tale interpretazione non solo non comporta alcuna violazione dell’art. 53 Cost., in quanto l’esigenza di tener conto della capacità contributiva non esclude il potere discrezionale dellegislatore di fissare un termine di efficacia uguale per tutti i contribuenti, ma è essa stessa espressione del principio di uguaglianza, in quanto l’applicazione di un termine differenziato nell’ipotesi di ricorso alla procedura DOCFA, comporterebbe una discriminazione fra contribuenti” (Cass. 21310/10; in termini Cass. 3168/15; Cass. n. 17824 del 2017; Cass. n. 11846/2017).

Per quanto attiene alla determinazione della base imponibile ICI, questa Corte ha precisato che le risultanze catastali definitive, non dovute a mutamenti dello stato e della destinazione dei beni, individuati quali circostanze storicamente sopravvenute, o a correzioni di errori materiali di fatto, ancorchè sollecitate all’ufficio dal contribuente, conseguendo all’originaria acquiescenza del contribuente alle operazioni catastali sono soggette alla regola di carattere generale, funzionale alla natura della rendita catastale di presupposto per la determinazione e la riscossione dei redditi tassabili nei singoli periodi d’imposta, della loro efficacia a decorrere dall’anno d’imposta successivo a quello nel corso del quale le modifiche medesime sono state annotate negli atti catastali (cosiddetta messa in atti). Tale regola si desume dal D.Lgs. n.504 del 1992, art.5, comma 2 in forza del quale, per ciascun atto d’imposizione, devono assumersi le rendite quali risultanti in catasto al primo gennaio dell’anno di imposizione (Cass., 7 settembre 2004, n. 18023; Cass., 30 luglio 2010, n. 17863; Cass., 27 ottobre 2004, n. 20854).

Tuttavia, si è anche precisato che in talune ipotesi tale regola subisce eccezione. Ciò avviene:

– nel caso in cui la modificazione della rendita catastale derivi dalla rilevazione di errori materiali di fatto compiuti dall’ufficio nell’accertamento o nella valutazione delle caratteristiche dell’immobile esistenti alla data in cui è stata attribuita la rendita, in quanto il riesame di dette caratteristiche da parte del medesimo ufficio comporta, previa correzione degli errori materiali, l’attribuzione di una diversa rendita a decorrere dal momento dell’originario classamento, rivelatosi erroneo o illegittimo (Cass., 29 settembre 2005, n. 19066 cui adde, ex plurimis, Cass., 20 marzo 2019, n. 7745; Cass., 28 agosto 2017, n. 20463; Cass., 31 luglio 2015, n. 16241; Cass., 5 maggio 2010, n. 10815; Cass., 30 dicembre 2009, n. 27906); laddove la riconducibilità dell’errore di fatto all’Ufficio deve risultare “evidente ed incontestabile, avendolo riconosciuto lo stesso Ufficio” (Cass., 20 marzo 2019, n. 7745; Cass., 28 agosto 2017, n. 20463; Cass., 18 febbraio 2015, n. 3168; Cass., 12 maggio 2017, n. 11844; Cass., 24 luglio 2012, n. 13018);

– nel caso di variazioni catastali conseguenti a modificazioni della consistenza o della destinazione dell’immobile denunciate dallo stesso contribuente. Esse, infatti, devono trovare applicazione dalla data della denuncia, in quanto il fatto che la situazione materiale denunciata risalga a data anteriore non ne giustifica un’applicazione retroattiva rispetto alla comunicazione effettuata all’Amministrazione; ciò in quanto il riesame delle caratteristiche dell’immobile da parte del medesimo ufficio comporta, previa correzione degli errori materiali, l’attribuzione di una diversa rendita con decorrenza dall’originario classamento rivelatosi erroneo o illegittimo (Cass. n. 2771 del 2021, in motiv; n. 1215 del 2021, in motiv; nn. 29683 e 29078 del 2020; n. 29888 del 2020; n. 7745 del 2019; n. 10126 del 2019; n. 11844 del 2017; n. 27024 del 2017; n. 13018 del 2012).

In definitiva, dunque la rettifica della rendita operata dall’Agenzia opera dal momento della richiesta di attribuzione della rendita catastale attraverso la DOCFA per i periodi successivi alla denuncia di variazione, a prescindere dall’epoca di notificazione del provvedimento di definitiva attribuzione.

Venendo al caso in esame, la DOCFA è stata presentata dalla contribuente in data 1 settembre 2009 e il provvedimento di rettifica è stato notificato in data 20 giugno 2012.

Correttamente l’Amministrazione comunale ha determinato la base imponibile per le annualità 2010-2011 sulla base di tale provvedimento, dal momento che l’efficacia della variazione decorre dalla data di presentazione della DOCFA. Infatti, “in tema di ICI, a seguito di rettifica del classamento operato dal contribuente con procedura DOCFA, la successiva attribuzione, da parte dell’ente impositore, della rendita catastale costituisce, una volta notificata, la base imponibile anche per le annualità “sospese” suscettibili di accertamento ovvero di liquidazione e rimborso” (Cass., Sez. 5, n. 10126 del 2019, Rv. 653366 – 01; 1472/2018; n. 4613/2018; n. 7652/2018; n. 2918/2017; Sez. un., n. 3160 del 2011).

Benchè la sentenza impugnata abbia deciso in difformità da tali principi, tuttavia ha correttamente respinto il gravame della contribuente, sicchè essa per tale profilo deve essere confermata, previa correzione ex art.384 c.p.c., della motivazione assunta.

Il secondo motivo è infondato.

Secondo il consolidato indirizzo di questa Corte, l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo, censurabile ex art.360 c.p.c., comma 1, n. 5, qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie. Il vizio in parola si sostanzia nel mero omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti, e deve pertanto riguardare un fatto inteso nella sua accezione storico-fenomenica, e non anche, come nella specie, nell’omesso esame o nell’erronea valutazione di determinate emergenze probatorie (Cass., Sez. Un., n. 8053 del 7/4/2014; n. 19312 del 29/9/2016). Il predetto vizio sussiste solo se nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o deficiente esame di punti decisivi della controversia e non può, invece, consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, dal momento che l’art.360 c.p.c., n. 5 non conferisce alla Corte di legittimità il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice del merito, al quale soltanto spetta di individuare le fonti idei proprio convincimento e, a tale scopo, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, e scegliere tra le risultanze probatorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (Cass., n. 5643 del 2020; n. 14161 del 24/5/2019; n. 6288 del 18/03/2011).

Ne deriva che non sussiste il dedotto vizio motivazionale avendo la CTR ha illustrato le ragioni per cui ha disatteso la censura prospettata dalla contribuente ritenendo dirimente la circostanza che non risultasse presentata alcuna pratica edilizia relativa ai lavori di divisione dell’immobile e che in giudizio la contribuente non avesse dimostrato l’effettiva realizzazione dei medesimi.

Il terzo motivo è fondato.

Premesso che ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, essendo necessaria la totale pretermissione del provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto, nella specie dal ricorso introduttivo del presente giudizio risulta che, tanto avanti alla CTP, quanto nell’atto di appello la contribuente aveva denunciato l’illegittimità delle sanzioni irrogate per carenza dei relativi presupposti. La CTR, tuttavia, non si è pronunciata sul punto.

Nel merito, la censura è meritevole di accoglimento. In effetti, anteriormente alla notifica del provvedimento di rettifica della rendita proposta, la contribuente non era a conoscenza della diversa rendita attribuita dall’Ufficio, sicchè nessun rimprovero può esserle mosso in ordine alla quantificazione dell’imposta dalla stessa operata e versata, di tal che non ricorrevano i presupposti per l’irrogazione delle sanzioni.

In definitiva, il primo e il secondo motivo di ricorso devono essere rigettati, mentre deve essere accolto il terzo. Non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, il ricorso può essere deciso nel merito ex art.384 c.p.c. accogliendo il ricorso originario proposto dalla contribuente limitatamente alla irrogazione delle sanzioni.

Sussistono i presupposti per compensare le spese dell’intero giudizio, considerata la controvertibilità delle questioni sottoposte al vaglio della Corte.

P.Q.M. 

La Corte rigetta il primo e il secondo motivo, accoglie il terzo.

Accoglie il ricorso originario della contribuente limitatamente al terzo motivo e per l’effetto annulla l’atto impugnato in relazione alla irrogazione delle sanzioni. Compensa le spese dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale effettuata da remoto, il 19 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 29 settembre 2021


Commento: In tema di ICI, il metodo di determinazione della base imponibile collegato alle iscrizioni contabili, previsto dal D.Lgs. 504/1992, art. 5 comma 3, per i fabbricati classificabili nel gruppo catastale D, non iscritti in catasto, interamente posseduti da imprese e distintamente contabilizzati, fino all’anno nel quale i medesimi sono iscritti in catasto con attribuzione di rendita, vale sino a che la richiesta di attribuzione della rendita non venga formulata; mentre, dal momento in cui fa la richiesta, il proprietario, pur applicando ormai in via precaria il metodo contabile, diventa titolare di una situazione giuridica nuova, derivante dall’adesione al sistema generale della rendita catastale, sicché può essere tenuto a pagare una somma maggiore (ove intervenga un accertamento in tali sensi), o avere diritto di pagare una somma minore, potendo, quindi, chiedere il relativo rimborso nei termini di legge.

L’espressione “sono efficaci solo a decorrere dalla loro notificazione” deve essere intesa nel senso che la notifica degli atti attributivi è soltanto condizione della loro efficacia (“indica”, cioè, “inequivocabilmente l’impossibilità giuridica di utilizzare una rendita se non notificata”) senza che vi sia alcuna volontà legislativa di attribuire alla notifica “ai soggetti intestatari della partita” del provvedimento attributivo della rendita una qualche forza costitutiva e non meramente accertativa della concreta “situazione catastale” dell’immobile. 

Non si esclude, quindi, l’utilizzabilità della rendita (una volta) notificata a fini impositivi anche per annualità d’imposta per così dire “sospese”, ovverosia suscettibili di accertamento e/o di liquidazione e/o di rimborso.

La giurisprudenza di legittimità (cfr. tra le tante Cass. n. 11472/2018; n. 4613/2018; n. 7652/2018; n. 2918/2017; Cass. n. 14402/2017), ha ribadito, in particolare, in base al citato D.Lgs. 504/1992, art. 5 comma 3, che, per i “fabbricati classificabili nel gruppo catastale D”, il criterio “contabile” (ovvero quello subordinato di cui al n. 4) deve essere applicato “fino all’anno nel quale i medesimi sono iscritti in catasto con attribuzione di rendita”: per la norma, quindi, l’iscrizione in catasto di detti “fabbricati” determina, ipso iure, il passaggio dal criterio (di determinazione del valore) “contabile” a quello “catastale”.

L’attribuzione della rendita, pertanto, fa sorgere (in capo ad entrambi i soggetti del rapporto obbligazionario) il diritto-dovere di determinare (e, quindi, corrispondere) l’imposta sulla (sola) “base imponibile” individuata, come per tutti i “fabbricati iscritti in catasto”, ai sensi dell’art. 5, comma 2. Stabilendo, infatti, con il citato art. 74, che, dal primo gennaio 2000, gli atti attributivi o modificativi delle rendite catastali sono efficaci solo a decorrere dalla loro notificazione, il Legislatore non ha voluto restringere il potere di accertamento tributario al periodo successivo alla notificazione del classamento, ma, piuttosto, segnare il momento a partire dal quale l’amministrazione comunale può richiedere l’applicazione della nuova rendita ed il contribuente può tutelare le sue ragioni contro di essa, non potendosi confondere l’efficacia della modifica della rendita catastale – coincidente con la notificazione dell’atto – con la sua applicabilità, che va riferita, invece, all’epoca della dichiarazione.

In conclusione, la comunicazione di attribuzione della rendita impone alle parti del rapporto tributario concernente l’ICI di determinare l’imposta effettivamente dovuta, anche per le annualità pregresse, in base alla “rendita attribuita”.

Dott.ssa Eleonora Cucchi

Unicusano Roma