Tribunale di Pavia, sez. III, sent. 11 novembre 2021, n.1418
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE ORDINARIO DI PAVIA
III Sezione Civile
Il Tribunale in composizione monocratica, nella persona del Giudice dott. Giacomo Rocchetti
ha pronunciato ex art. 429 c.p.c la seguente
SENTENZA
nella causa civile di I Grado iscritta al n. R.G. 1487/2021 promossa da:
A.P.S. (C. F: (…)), in proprio e nella qualità di legale rappresentante di … S. R. L. (P. I: (…)), rappresentati e difesi dall’Avv. …;
RICORRENTE
contro
… (C. F: (…)), in persona del Presidente e l.r.p.t., rappresentata e difesa dall’Avv. …; RESISTENTE
Oggetto: Altre controversie di diritto amministrativo.
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
Giova premettere che l’opposizione ad ordinanza-ingiunzione, ai sensi dell’art. 22 L. n. 689 del 1981 e art. 6 D.Lgs. n. 150 del 2011, non si struttura come un’impugnazione del provvedimento amministrativo sanzionatorio, ma introduce un ordinario giudizio – trattato con il rito del lavoro – avente ad oggetto il fondamento, esteso al merito, della pretesa fatta valere dall’Autorità amministrativa opposta.
Rimangono perciò ferme le regole civilistiche sul riparto dell’onere della prova (art. 2697 c.c.), spettando all’Autorità che ha emesso l’ordinanza-ingiunzione, in veste di attore in senso sostanziale, dimostrare gli elementi costitutivi della pretesa avanzata nei confronti dell’intimato, mentre è carico di quest’ultimo (convenuto in senso sostanziale) provare la sussistenza di eventuali fatti impeditivi o estintivi, restando una mera facoltà e non un obbligo l’assunzione ex officio delle prove (art. 23 comma 6 L. n. 689 del 1981), il cui esercizio è affidato alla discrezionalità del giudice, in funzione di giudice del lavoro (così già Cass. 26.05.1999, n. 5095).
In dottrina si è evidenziato che proprio le regole in tema di riparto dell’onere della prova nel giudizio di opposizione alle sanzioni amministrative confermano che lo stesso non ha ad oggetto l’illegittimità del provvedimento sanzionatorio, bensì la fattispecie costitutiva dell’effetto di un tale atto. Anche per la giurisprudenza di legittimità, pienamente condivisibile: “l’onere di allegazione è a carico dell’opponente, mentre quello probatorio soggiace alla regola ordinaria di cui all’ art. 2697 c.c. ; pertanto, grava sulla P.A., quale attore sostanziale, la prova dei fatti costitutivi posti a fondamento della sua pretesa e non sull’opponente, che li abbia contestati, quella della loro inesistenza, dovendo, invece, quest’ultimo dimostrare, qualora abbia dedotto fatti specifici incidenti o sulla regolarità formale del procedimento o sulla esclusione della sua responsabilità nella commissione dell’illecito, le sole circostanze negative contrapposte a quelle allegate dall’amministrazione” (cfr. Cass. 24.01.2019, n. 1921; v. ex multis: Cass. n. 3837/2001; Cass. n. 2363/2005; Cass. n. 5277/2007; Cass. n. 12231/2007; Cass. n. 27596/2008; Cass. S.U. n. 20930/2009; Cass. n. 5122/2011; Cass. n. 4898/2015).
Quanto detto trova conferma, infine, nel dettato legislativo di cui al co. 11 dell’art. 6 D.Lgs. n. 150 del 2011 (riproduttivo dell’art. 23, co. 12 della L. n. 689 del 1981), a norma del quale: “il giudice accoglie l’opposizione quando non vi sono prove sufficienti della responsabilità dell’opponente” (in tal senso, già Cass., sez. III, 15.4.1999, n. 3741).
Calando tali principi nella fattispecie controversa, questo Giudice non ritiene raggiunta una prova sufficiente dell’illecito amministrativo contestato agli opponenti, non emergendo ex actis una condotta materiale qualificabile come “trasformazione del bosco”, vietata, in assenza di autorizzazione della competente Autorità (Comunità montana), ai sensi dell’art. 43, co. 2 L.R. n. 31 del 2008 e punita con la sanzione pecuniaria comminata ex art. 61, co. 2 L.R. n. 31 del 2008 cit.
1. La contestazione dell’illecito muove, infatti, da un presupposto tutt’altro che oggettivo, come è dato desumere dal processo verbale di accertamento n. (…) (doc. 6 fasc.ricor.), richiamato quale parte integrante della motivazione dell’ordinanza-ingiunzione ivi opposta (doc.1 fasc.ricor.): dalla lettura degli atti si evince che gli agenti accertatori, dopo una breve premessa descrittiva sullo stato dei luoghi alla data del primo intervento (10.02.2020), si affidarono alle “valutazioni” di un tecnico, ing. B.G., nominato ausiliario di p.g. “in funzione delle sue competenze tecniche in materia di ingegneria civile idraulica”, per “valutare principalmente se le operazioni eseguite fino a quella data 18.02.2020 potessero potenzialmente avere aumentato il grado di rischio idraulico” (v. rel. ing. B., doc. 9 pag. 1). Dalle concise osservazioni tecniche e dalle conclusioni rassegnate nella relazione tecnica di parte non si evincono elementi dirimenti che giustificano il “salto logico” (operato dagli organi accertatori e mutuato dall’autorità locale nella motivazione del provvedimento sanzionatorio) della classificazione dei lavori eseguiti alla data del sopralluogo (peraltro descritti “sommariamente”, vale a dire: “taglio della vegetazione arbustiva e arborea ed eliminazione delle ceppaio delle essenze più minuti, avendo lasciato le ceppaie delle piante di più alto fusto, rimozione di materiale solido depositato nell’alveo del fosso ripristinando una sezione più ampia per il deflusso della portata di piena; il materiale è stato accantonato sulle sponde dell’alveo, ripristino della funzionalità di due briglie e interventi di movimento terra per ricondurre la corrente all’interno dell’alveo inciso del torrente”; doc. 9, pag. 1 e 2) come una effettiva “trasformazione del bosco”, che l’ingegnere idraulico ha finito per ipotizzare in maniera piuttosto affrettata, sulla base di pochi dati oggettivi a disposizione, se non attraverso un mero “raffronto satellitare” tramite l’applicativo web Google Earth dell’ottobre 2018 e da “due foto da drone riprese in questi giorni” (fotografie che, per la risoluzione ottenuta dalla conversione in copia informatica della relazione, prodotta sub. doc. (…) da entrambe le parti, risultano completamente oscure).
2. L’asserita “trasformazione del bosco e la riduzione drastica della superficie boscata, anche nella zona di confluenza del torrente Begna nel torrente Nizza” (doc. 9, pag. 5 4), pedissequamente richiamata nel verbale di accertamento dei Carabinieri forestali e “per relationem” nelle motivazioni dell’ordinanza-ingiunzione dell’Autorità montana, dipende principalmente da considerazioni soggettive espresse da un tecnico non avente una specifica competenza in materia di boschi e foreste. Anzi, nel rassegnare le sue “conclusioni e suggerimenti” (3), l’ing. B. ha dichiaratamente escluso “dall’esame del fatto le problematiche più strettamente ambientali e paesaggistiche” e si è concentrato sul rischio idrogeologico, ritenendo i lavori sino a quel momento compiuti dalla società incaricata come parzialmente risolutivi di alcune criticità (“aumentando la sezione d’alveo, riportando alla loro funzione le briglie danneggiate e ridotto la vegetazione in alveo favorendo un migliore deflusso nel corso d’acqua come nelle intenzioni dell’ordinanza sindacale”), seppur dubitando della loro esecuzione “a regola d’arte” e suggerendone, addirittura, il completamento per rimuovere i potenziali rischi ancora in atto (“forte movimentazione e trasporto di materiale solido in alveo”). Già sotto tale profilo, contraddittorio quanto a premesse (escluse dall’indagine le problematiche strettamente ambientali e paesaggistiche) e conclusioni (per la “evidente” trasformazione del bosco e riduzione drastica della superficie boscata) e in assenza di ulteriori pareri su ben più consistenti dati oggettivi e topografici, l’Autorità amministrativa avrebbe dovuto astenersi dall’irrogare la sanzione.
3. È noto, infatti, che in base alla normativa che regola le attività professionali, la materia dei boschi e foreste è di competenza esclusiva dei dottori forestali e dei dottori agronomi.
In tal senso depongono gli stessi “Criteri per la trasformazione del bosco e per i relativi interventi compensativi” – approvati con d.g.r. Lombardia n. 8/675/2005, nel testo coordinato con d.g.r. nn. 8/2024/2005, 8/3002/2006, 9/2848/2011 e 10/6090/2016 – che unicamente a tali figure professionali si richiamano per accertare se sussista o meno una “trasformazione del bosco”, ai fini autorizzativi, richiedendo una relazione tecnico forestale “obbligatoriamente redatta da un dottore forestale o dottore agronomo”, per avere un parere di compatibilità degli interventi richiesti col Piano di Indirizzo Forestale (se presente) ovvero (se assente) di compatibilità con la conservazione della biodiversità, con la stabilità dei terreni, con il regime delle acque, con la difesa dalle valanghe e dalla caduta dei massi, con la tutela del paesaggio, con l’azione frangivento e di igiene ambientale locale. Ed è prevista anche l’eventualità che “gli enti forestali che fossero provvisoriamente privi delle necessarie qualifiche professionali indicate in questo paragrafo, possono affidare la redazione della relazione tecnico forestale anche a periti agrari o agrotecnici, purché dipendenti dell’ente forestale in cui ricade la trasformazione e purché questi siano in possesso di un’adeguata esperienza nel settore forestale di almeno cinque anni” (6.1 e 7.6 della d.g.r. 675/2005 e ss. integr.).
4. Dunque, la Comunità Montana dell’Oltrepò Pavese non avrebbe potuto concludere, confidando nella perizia dell’ingegnere idraulico incaricato dalla p.g., che “la fattispecie quale accertata e descritta nel processo verbale de quo integri l’illecito amministrativo contestato” (in motivazione, lett. a, doc. 1) sia perché l’oggetto dell’accertamento demandato al tecnico verteva principalmente sulla “funzionalità idraulica” dei lavori, sia perché era quantomai opportuno ottenere un altro specialistico e più approfondito parere di un professionista agronomo o forestale competente in materia.
Stante l’evidente debolezza delle allegazioni tecniche di parte resistente, sarebbe stato inammissibile procedere con una consulenza tecnica d’ufficio (peraltro ritenuta non necessaria proprio da parte resistente), in quanto la stessa avrebbe avuto il risultato di eludere l’onere della prova in vista di un’indagine “esplorativa” alla ricerca di elementi, fatti o circostanze non provati.
5. Anche per tali motivi e per il principio della “ragione più liquida” si è soprasseduto, in questa sede, dal demandare d’ufficio l’accertamento ad un tecnico volto a qualificare come “boschi”, ai sensi dell’art. 42 L.R. n. 31 del 2008, le aree che accompagnano il bacino imbrifero del Torrente Begna e che insistono sul territorio comunale di Ponte Nizza. Benché oggetto di discussione tra le parti, la classificazione come superficie boschiva delle aree oggetto di intervento si dà per presupposta, in quanto è verosimile ritenere – per l’estensione e la conformazione del territorio, per la presenza di formazioni vegetali e di vegetazione arborea o arbustiva caratterizzante il suo lungo tratto – che esse rientrino in una delle definizioni di cui all’art. 42, co. 1 (bosco) e 2 (aree assimilate) della L.R. n. 31 del 2008.
6. Non sopperisce all’insufficienza probatoria circa l’asserita realizzazione di un “disboscamento” o “trasformazione del bosco” nemmeno il richiamo ai rilievi degli organi accertatori che, nel verbale di sopralluogo congiunto del 5.3.2020, attestano: “E’ stato accertato che lungo le sponde del tratto compreso tra la foce ed il ponte di Moglie erano presenti segni evidenti dello sradicamento di ceppaie sulle sponde e sulla fascia di rispetto. Parte della legna prodotta dal lavoro e le ramaglie sono ancora presenti lungo il torrente e sono evidenti i riporti di materiale lapideo di grosse dimensioni sulle sponde.
A riguardo è emerso che e aree dove appare più evidente la trasformazione del bosco sono costituite da tre segmenti, uno alla foce, uno al centro ed uno in prossimità del ponte di Moglia” (doc. 8 fasc. resist.), richiamandosi – per il resto, oltre ai limiti del loro campo visivo – ad una raccolta di rappresentazioni fotografiche dello stato dei luoghi scattate nelle date del 3.5.2020, 7.3.2020 e 1.4.2020 (sub. all. 3, 4 e 5 fasc. resist.).
È noto che, nel giudizio di opposizione ad ordinanza-ingiunzione irrogativa di una sanzione amministrativa pecuniaria, il verbale di accertamento può assumere un valore probatorio disomogeneo, che si risolve in un triplice livello di attendibilità: a) il verbale fa piena prova fino a querela di falso relativamente ai fatti attestati dal pubblico ufficiale come da lui compiuti o avvenuti in sua presenza, o che abbia potuto conoscere senza alcun margine di apprezzamento o di percezione sensoriale, nonché quanto alla provenienza del documento dallo stesso pubblico ufficiale ed alle dichiarazioni a lui rese; b) quanto alla veridicità sostanziale delle dichiarazioni a lui rese dalle parti o da terzi, fa fede fino a prova contraria, che può essere fornita qualora la specifica indicazione delle fonti di conoscenza consenta al giudice ed alle parti l’eventuale controllo e valutazione del contenuto delle dichiarazioni; c)in mancanza della indicazione specifica dei soggetti le cui dichiarazioni vengono riportate nel verbale, esso costituisce comunque elemento di prova, che il giudice deve in ogni caso valutare, in concorso con gli altri elementi, ai fini della decisione dell’opposizione proposta dal trasgressore, e può essere disatteso solo in caso di sua motivata intrinseca inattendibilità, o di contrasto con altri elementi acquisiti nel giudizio, attesa la certezza, fino a querela di falso, che quelle dichiarazioni siano comunque state ricevute dall’ufficiale giudiziario (cfr. Cass.civ, sez. II, 20.03.2007, n. 6565).
7. Orbene, i “rilievi visivi” dei verbalizzanti, risolvendosi in apprezzamenti personali mediati attraverso la percezione sensoriale, non godono di fede privilegiata, così come non partecipano del valore di piena prova, fino a querela di falso, le valutazioni o i fatti di cui i pubblici ufficiali hanno avuto notizia da altre persone, ovvero i fatti della cui verità si siano convinti in virtù di presunzioni o di personali considerazioni logiche (Cass., sez. L., n. 23800/2014; Cass. n. 11012/2013; Cass. n. 3705/2013; Cass. n. 25842/2008; Cass. n. 20441/2006; Cass. n. 11751/2004; Cass. n. 17106/2002; Cass. n. 3350/2001).
Né una conferma da parte degli agenti, in veste di testimoni (v. prove testimoniali di parte resistente, non ammesse in quanto superflue), di quanto percepito e verbalizzato avrebbe potuto condurre ad una diversa valutazione delle prove documentali raccolte.
8. Quanto alla produzione fotografica, limitatamente a quella utilizzabile (all. 3, 4, 5 fasc. resist.), essa non conduce all’inequivoca conclusione di essere dinanzi ad una “trasformazione del bosco”, non essendo capace ex sé di escludere la riconducibilità altri interventi, assimilabili o materialmente sovrapponibili, che, per l’incapacità di “eliminazione” del bosco, non necessitano della preventiva autorizzazione paesaggistica ex art. 42 e 43 L.R. n. 31 del 2008, in quanto funzionalmente collegate non al cambio di destinazione d’uso bensì a “ripuliture”, “diradamenti” e/o “tagli fitosanitari” (secondo le definizioni ricavabili dal dizionario forestale e dal glossario della Regione Lombardia – Allegati A, B e C al R.R. 5/2007 “Norme Forestali Regionali”, versione aggiornata e mod. dal gennaio 2010).
Dunque, ai sensi dell’art. 43, co. 1 L.R. n. 31 del 2008 per “trasformazione del bosco” si intende “ogni intervento artificiale che comporta l’eliminazione della vegetazione esistente oppure l’asportazione o la modifica del suolo forestale finalizzato a una utilizzazione diversa da quella forestale”.
La disposizione – che non brilla per chiarezza – non può essere letta isolatamente, ma va coordinata con la spiegazione data dal 1.3) della d.g.r. n. 675/2005 e s.m.i. (richiamata da parte ricorrente e dal perito agronomo nella rel. sub. doc. (…)), in cui l’organo di governo regionale chiarisce che “la trasformazione del bosco non è legata al taglio di alberi, quanto alla destinazione diversa da quella forestale dell’area soggetta ad intervento”.
Tale interpretazione, chiamata a spiegare il discrimen tra gli interventi di mera “eliminazione della vegetazione esistente” o “asportazione” o “modifica del suolo forestale” da quelli che implicano una vera e propria “trasformazione del bosco”, ricalca la definizione già dettata a livello nazionale dall’art. 4 del D.Lgs. 18 maggio 2001, n. 227 (art. 4: “Costituisce trasformazione del bosco in altra destinazione d’uso del suolo, ogni intervento che comporti l’eliminazione della vegetazione esistente finalizzata a un’utilizzazione del terreno diversa da quella forestale”), recentemente abrogata dall’art. 18 D.Lgs. 3 aprile 2018, n. 34 e sostituita dall’art. 8 del vigente “Testo Unico in materia di foreste e filiere forestali”, ai sensi del quale: “Ogni intervento che comporti l’eliminazione della vegetazione arborea e arbustiva esistente, finalizzato ad attività diverse dalla gestione forestale come definita all’articolo 7, comma 1, costituisce trasformazione del bosco”.
1. Nel concetto di “trasformazione”, inteso come sinonimo di “disboscamento” (così anche l’ultima alinea del 1.3 della d.g.r. Lombardia n. 675/2005 cit.), deve sempre ricorrere l’elemento della idoneità dell’intervento alla modifica della destinazione o cambio d’uso del suolo (da bosco a terreno urbanizzato, agricolo o altro) poiché è solo in relazione a tale capacità eliminativa – che si presume assente nelle altre pratiche libere di “gestione forestale”, incluse le opere di sistemazione idraulico-forestale (v. art. 50 L.R. n. 31 del 2008 e art. 7 co. 1, D.Lgs. n. 34 del 2018) – che si manifesta la necessità della preventiva valutazione da parte delle competenti Autorità regionali e locali sull’incidenza della prospettata trasformazione alla conservazione della biodiversità, alla stabilità dei terreni, al regime delle acque, alla difesa dalle valanghe e dalla caduta di massi e alla tutela del paesaggio. Valutazioni che devono accompagnare la redazione del Piano di Indirizzo Forestale o, qualora i PIF non siano ancora stati approvati o siano scaduti, l’iter del singolo procedimento amministrativo a seguito di istanza di trasformazione del bosco.
2. Proprio in vista del contemperamento con la tutela del paesaggio, l’autorizzazione alla trasformazione boschiva dev’essere coerente con le prescrizioni e le proposte dei piani paesistici di cui all’art. 143 del D.Lgs. n. 42 del 2004 e dell’autorizzazione paesaggistica di cui all’art. 146 del D.Lgs. n. 42 del 2004, la quale costituisce “atto autonomo e presupposto rispetto al permesso di costruire o agli altri titoli legittimanti l’intervento urbanistico-edilizio”, come tale implicante un mutamento della destinazione d’uso.
La concreta capacità dell’intervento di incidere in maniera definitiva (ancorché non irreversibile) sulla naturale vocazione “a bosco” del suolo trasformato spiega, ancora, perché il Legislatore, anche regionale, abbia sottoposto il rilascio dell’autorizzazione ex art. 43, co. 1 L.R. n. 31 del 2008 ad oneri “compensativi”, finalizzati – nelle aree con “insufficiente coefficiente di boscosità” (dove l’eliminazione del bosco sarebbe di più elevato impatto, rispetto alle aree con “elevato coefficiente di boscosità”) – a “rimboschimenti e imboschimenti con specie autoctone, preferibilmente di provenienza locale, su superfici non boscate di estensione almeno doppia di quella trasformata” (art. 43, co. 3).
3. Si comprende, allora, che il taglio di alberi o arbusti e l’estirpazione non costituiscono di per sé un disboscamento e, viceversa, si ha trasformazione del bosco anche in assenza di taglio, come nel caso in cui in una radura si costruisse una villetta, una pista da sci, un impianto di risalita, una discarica o se una porzione del bosco fosse destinata a giardino, in quanto ciò che conta ai fini dell’autorizzazione ex art. 43 e dell’integrazione dell’illecito ex art. 61, co. 2 L.R. n. 31 del 2008 è la capacità concreta di mutare la vocazione naturale boschiva dell’area oggetto di intervento.
4. Quanto ai movimenti di terra ravvisati dai verbalizzanti (all. 6 fasc. ricorr.), essi sono stati correttamente esclusi dal conteggio dell’area asseritamente trasformata, specificamente per le sezioni n. 4, 5, e 6 in sponda destra all’alveo del torrente Begna, in quanto “finalizzati alla realizzazione di una pista di cantiere” (come tale temporanea e rimuovibile) e non certo ad un mutamento della destinazione d’uso del bosco; ma non avrebbe potuto essere diversamente, in quanto, anche secondo normativa di raccordo dettata dagli art. 7 R.D. 30 dicembre 1923, n. 3267e 20 R.D. 16 maggio 1926, n. 1126 che disciplinano la materia dei vincoli per scopi idrogeologici, i movimenti di terreno che non comportano trasformazione del bosco in altra qualità di coltura possono essere eseguiti in base a una semplice dichiarazione e non necessitano di autorizzazione (così già T.A.R. Trento, 31.12.1987, n. 403).
Occorre anche evidenziare, giacché rilevante nel caso di specie, che rientrano nella “manutenzione degli alvei di un torrente” tutti quegli interventi programmatici facenti capo alla Regione, di concerto con gli enti locali territorialmente interessati, che, ai sensi dell’art. 20 L.R. Lomb. 15 marzo 2016, n. 4 (in materia difesa del suolo, prevenzione e mitigazione del rischio idrogeologico e di gestione dei corsi d’acqua) ben possono consistere: “nell’asportazione della vegetazione erbacea, arbustiva e arborea, quando ostacola il regolare deflusso delle acque, la pulizia e le riparazioni delle opere esistenti, nonché la demolizione di argini e difese spondali laddove ciò consenta di ripristinare condizioni più naturali di divagazione dell’alveo, l’asportazione dei sedimenti esclusivamente su tratti di corpo idrico dove l’accumulo costituisca un elemento di rischio per abitanti, infrastrutture o impianti industriali”.
1. A ben vedere, si tratta di interventi pienamente sovrapponibili alla materiale “eliminazione della vegetazione esistente” o “asportazione” (art. 43 L.R. n. 31 del 2008), ma che non implicano una “trasformazione” in senso proprio del bosco o delle aree ad esso assimilate, tant’è che lo stesso Legislatore regionale, nella consapevolezza della diversità dei concetti, ha espressamente stabilito all’art. 20, co. 4 L.R. n. 4 del 2016 che: “Le attività di manutenzione della sezione incisa degli alvei, delle fasce di rispetto lungo le sponde dei corsi d’acqua e delle relative opere idrauliche sul reticolo idrico principale, minore e consortile, anche se consistenti in taglio della vegetazione, in quanto rivolte alla conservazione del paesaggio tradizionale e al rafforzamento dell’assetto idrogeologico del territorio e sempre che non comportino alterazione permanente dello stato dei luoghi con costruzioni edilizie e altre opere civili, non richiedono né l’autorizzazione paesaggistica ai sensi dell’art. 149, comma 1 lett. b) del D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42(Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’art. 10 della L. 6 luglio 2002, n. 137), né l’autorizzazione alla trasformazione del suolo di cui all’art. 44 della L.R. n. 31 del 2008″.
2. All’interno di tale quadro normativo, l’amministrazione comunale di Ponte Nizza aveva già predisposto – su invito della Direzione Generale Enti Locali del 6 agosto 2019 n. 11739 – un progetto definitivo ed esecutivo di intervento per la regimazione idraulica e di difesa del suolo del Rio Begna (doc. 3 e 4 fasc.ricorr.) ed è nella consapevole esistenza dei rischi e pericoli di straripamenti ed esondazioni con innesco di fenomeni di possibile dissesto e/o di erosione, specialmente in occasione di eventi meteorici avversi e consistenti, che la F.T. s.r.l. è stata chiamata al “pronto intervento” che, pur implicando tagli, asportazioni, ecc., non può essere – in assenza di altri validi elementi, non portati alla cognizione di questo Giudice – considerata una trasformazione boschiva, in quanto l’area non appare essere stata destinata ad una utilizzazione diversa da quella immanente e naturalmente esercitata dal suolo.
3. Ciò anche a prescindere dalla valutazione incidenter tantum di legittimità dell’ordinanza extra ordinem n. 5/2019 e della sussistenza o meno dei presupposti di necessità ed urgenza per l’esercizio dei poteri di cui all’art. 54 T.U.E.L da parte dell’ufficiale di governo, a livello locale, del Comune di Ponte Nizza.
4. L’Autorità opposta non ha adeguatamente motivato, né ha convinto in sede giudiziale, della sussistenza dell’illecito contestato sotto il profilo materiale della condotta, non potendo ragionevolmente escludere, ad esempio, che i lavori eseguiti dalla … s.r.l. possano essere ricondotti ad altre attività che non necessitano di autorizzazione paesaggistica, come quelle di “gestione forestale” (art. 50 L.R. n. 31 del 2008) ovvero di “sistemazione idraulico-forestali” (art. 52, co. 1 L.R. n. 31 del 2008 cit.) o ancora di attività “connesse” alla gestione del bosco. Significativo è il dettato dell’art. 52 L.R. n. 31 del 2008, che considera di “pronto intervento” le opere e i lavori necessari:
a) per fronteggiare situazioni di effettivo pericolo a cose o persone causate da eventi calamitosi nel settore idraulico-agrario-forestale;
b) per ripristinare sistemazioni idraulico-agrario-forestali rese necessarie da eventi di natura eccezionale;
c) per interventi in aree montane finalizzati al recupero di alberi danneggiati da eventi eccezionali o da evenienze fitosanitarie.
E l’art. 9 del T.U. Forestale (D.Lgs. n. 34 del 2018) include tra le attività connesse alla gestione del bosco, diverse dalla trasformazione, proprio il “pronto intervento contro eventi calamitosi di origine naturale e antropica”.
Peraltro, proprio le condotte addebitate (“tagli piante, estirpo ceppaie, piste forestali temporanee, ecc.”), se eseguite in conformità alle disposizioni forestali, sono considerate dalla normativa regionale di “irrilevante impatto sulla stabilità idrogeologica dei suoli e quindi possono esser realizzati anche senza autorizzazione paesaggistica” (art. 2 R.R. n. 5/2007, Norme Forestali Regionali Lombardia).
5. La permanenza della naturale vocazione boschiva (o assimilata) delle aree oggetto di intervento è data, infine, dalle rappresentazioni fotografiche (doc. 13 e 14) e cinematografiche su supporto fisico DVD (doc. 16) sopravvenute in corso di giudizio, datate 9 settembre 2021 (non contestata), le cui immagini – che portano all’evidenza una rigogliosa ricrescita della boscaglia – convincono della bontà delle osservazioni tecniche rassegnate dal perito agrario di parte ricorrente (doc. 8) e della insussistenza, a monte, della “trasformazione” contestata.
L’utilizzazione di tale ulteriori documenti costituisce esplicazione di una legittima facoltà del giudice (art. 420 c.p.c.), in quanto giova ricordare che, nel rito del lavoro, l’omessa indicazione dei documenti nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado e l’omesso deposito degli stessi contestualmente a tale atto, determinano la decadenza del diritto alla produzione degli stessi, “a meno che la produzione non sia giustificata dal tempo della loro formazione o dall’evolversi della vicenda processuale successivamente al ricorso ed alla memoria di costituzione; tale rigoroso sistema di preclusioni trova un contemperamento nei poteri d’ufficio del giudice in materia di ammissione di nuovi mezzi di prova” (Cass.civ., sez. L., 7.07.2020, n. 14081; conf. Cass. n. 28439/2019; Cass. S.U. n. 11353/2004).
Nei limiti di compatibilità con la disciplina speciale dettata dal D.Lgs. n. 150 del 2011, trova applicazione l’art. 416 c.p.c., non richiamato nell’elenco delle norme “escluse” dall’art. 2, co. 1 D.lgs cit.., che impone al convenuto, tra l’altro, di indicare, con la memoria difensiva di costituzione in giudizio tempestivamente depositata almeno dieci giorni prima dell’udienza, i documenti probatori dei quali intende avvalersi, con la conseguenza che l’omesso deposito degli stessi contestualmente a tale atto determina la decadenza dal diritto di produrli, salvo che i documenti si siano formati successivamente ovvero la loro produzione sia giustificata dallo sviluppo del processo (art. 420 c.p.c., co. 5).
Dunque, diversamente dall’ordinanza-ingiunzione emessa dall’Autorità, dalla copia del rapporto o dal verbale di accertamento e dalla prova documentale delle notifiche ex art. 6, co. 8 D.Lgs. n. 150 del 2011 (per i quali il termine di produzione nei dieci giorni antecedenti l’udienza non è perentorio; v. Cass. civ. n. 9545/2018), l’indicazione dei mezzi di prova o la produzione di tutti gli altri documenti a supporto delle ragioni dell’Autorità soggiacciono ai termini di decadenza e di onere della prova del rito del lavoro, ferma rimanendo l’ammissibilità dei mezzi di prova “che le parti non abbiano potuto produrre prima” (art. 420, co. 5 c.p.c.).
È nell’esercizio di tali poteri che, autorizzata la produzione della documentazione sopravvenuta di parte ricorrente (decreto del 15.09.2021), è stata concessa analoga facoltà alla parte resistente, avendo potuto prendere posizione sugli stessi, avanzare nuovi mezzi di prova o produrre altri documenti successivamente formati ovvero preesistenti ma, prima di tale momento, ritenuti non rilevanti.
Invece, l’Autorità resistente avrebbe voluto avvalersi di tale facoltà per introdurre, del tutto tardivamente, documenti preesistenti (in particolare i doc. 12-16, aventi ad oggetto n. 32 fotografie e fotogrammi della zona boschiva, scattate attraverso l’uso di un drone durante il sopralluogo del 5.03.2020), che per la loro centralità e rilevanza probatoria ex art. 2697, co. 1 c.c., avrebbero dovuto (e potuto) essere introdotti entro i termini di legge, non potendo considerarsi sorto l’interesse alla loro produzione in conseguenza della documentazione sopravvenuta.
- In definitiva, non essendovi prove sufficienti della responsabilità dei ricorrenti, l’opposizione è fondata e merita accoglimento.
L’assoluta peculiarità della materia trattata giustifica la compensazione tra le parti delle spese del giudizio nella misura di un terzo (1/3). Per il resto, le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo, ai sensi del D.M. n. 55 del 2014 come mod. dal D.M. n. 37 del 2018 (scaglione di valore da Euro 26.001 ad Euro 52.000, fasi di studio, introduttiva, trattazione/istruttoria e decisionale, parametri medi).
P.Q.M.
Il Tribunale in composizione monocratica, definitivamente pronunciando, ogni altra istanza disattesa o assorbita, così dispone:
– Accoglie l’opposizione promossa da S.A.P., in proprio e in qualità di l.r.p.t. di F.T. s.r.l, e per l’effetto annulla l’ordinanza-ingiunzione prot. n. (…) emessa dal Responsabile dell’Area 4 Agricoltura, Foreste ed Attività produttive della Comunità Montana dell’Oltrepò Pavese in data 30/11/2020;
– Condanna la parte soccombente, Comunità Montana dell’Oltrepò Pavese, al rimborso in favore della parte vittoriosa, S.A. e F.T. s.r.l., delle spese di lite, che si liquidano in Euro 4.836,00 per onorari (già compensati per un terzo ex art. 92 c.p.c.), oltre 15% rimb.forf. per spese generali, IVA e CPA come per legge.
Fissa il termine di giorni 1 per il deposito della sentenza.
Sentenza resa ex art. 429 c.p.c., pubblicata mediante lettura del dispositivo.
Così deciso in Pavia, il 10 novembre 2021.
Depositata in Cancelleria il 11 novembre 2021.
COMMENTO – Con la sentenza dell’11 novembre 2021, il Tribunale di Pavia si è pronunciato in materia di opposizione ad ordinanza-ingiunzione, e, in particolare, sull’onere della prova in tale giudizio.
L’opposizione ad ordinanza-ingiunzione introduce un ordinario giudizio, trattato con il rito del lavoro, ai sensi dell’art. 22 L. n. 689 del 1981 e art. 6 D.Lgs. n. 150 del 2011, avente ad oggetto il fondamento, esteso al merito, della pretesa fatta valere dall’Autorità amministrativa opposta.
Quindi, relativamente al riparto dell’onere della prova, si applicano le regole civilistiche ex art. 2697 c.c., secondo cui “chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento. Chi eccepisce l’inefficacia di tali fatti ovvero eccepisce che il diritto si è modificato o estinto deve provare i fatti su cui l’eccezione si fonda”.
Il tribunale, infatti, ribadisce quanto affermato dalla giurisprudenza di legittimità, ossia che “l’onere di allegazione è a carico dell’opponente, mentre quello probatorio soggiace alla regola ordinaria di cui all’ art. 2697 c.c. ; pertanto, grava sulla P.A., quale attore sostanziale, la prova dei fatti costitutivi posti a fondamento della sua pretesa e non sull’opponente, che li abbia contestati, quella della loro inesistenza, dovendo, invece, quest’ultimo dimostrare, qualora abbia dedotto fatti specifici incidenti o sulla regolarità formale del procedimento o sulla esclusione della sua responsabilità nella commissione dell’illecito, le sole circostanze negative contrapposte a quelle allegate dall’amministrazione” (cfr. Cass. 24.01.2019, n. 1921; v. ex multis: Cass. n. 3837/2001; Cass. n. 2363/2005; Cass. n. 5277/2007; Cass. n. 12231/2007; Cass. n. 27596/2008; Cass. S.U. n. 20930/2009; Cass. n. 5122/2011; Cass. n. 4898/2015).
Quindi, l’Autorità che ha emesso l’ordinanza-ingiunzione, quale attore in senso sostanziale, deve dimostrare gli elementi costitutivi della pretesa avanzata nei confronti dell’intimato; quest’ultimo (convenuto in senso sostanziale) deve provare la sussistenza di eventuali fatti impeditivi o estintivi, restando una mera facoltà e non un obbligo l’assunzione ex officio delle prove (art. 23 comma 6 L. n. 689 del 1981), il cui esercizio è affidato alla discrezionalità del giudice, in funzione di giudice del lavoro (così già Cass. 26.05.1999, n. 5095).
A sostegno di tale principio, è riportato dal Giudice di merito il dettato legislativo dell’art. 6, comma 11, D.Lgs. n. 150 del 2011 (riproduttivo dell’art. 23, co. 12 della L. n. 689 del 1981), a norma del quale “il giudice accoglie l’opposizione quando non vi sono prove sufficienti della responsabilità dell’opponente” (in tal senso, già Cass., sez. III, 15.4.1999, n. 3741).
Nel caso di specie, era, quindi, onere dell’Autorità (Comunità montana) provare l’illecito amministrativo, ossia che era stata posta in essere dagli opponenti una condotta qualificabile come “trasformazione del bosco”, vietata in assenza di autorizzazione della competente Autorità, ai sensi dell’art. 43, co. 2 L.R. n. 31 del 2008 e punita con la sanzione pecuniaria comminata ex art. 61, co. 2 L.R. n. 31 del 2008 cit..
Gli elementi di prova erano, tuttavia, rappresentatati dalle sole considerazioni soggettive espresse da un tecnico non avente una specifica competenza in materia di boschi e foreste; e, in base alla normativa che regola le attività professionali, la materia dei boschi e foreste è di competenza esclusiva dei dottori forestali e dei dottori agronomi.
Ciò è disposto dagli stessi “Criteri per la trasformazione del bosco e per i relativi interventi compensativi” approvati con d.g.r. Lombardia n. 8/675/2005, nel testo coordinato con d.g.r. nn. 8/2024/2005, 8/3002/2006, 9/2848/2011 e 10/6090/2016, che si richiamano unicamente a tali figure professionali per accertare se sussista o meno una “trasformazione del bosco”, ai fini autorizzativi, richiedendo una relazione tecnico forestale “obbligatoriamente redatta da un dottore forestale o dottore agronomo”, per avere un parere di compatibilità degli interventi richiesti col Piano di Indirizzo Forestale (se presente) ovvero (se assente) di compatibilità con la conservazione della biodiversità, con la stabilità dei terreni, con il regime delle acque, con la difesa dalle valanghe e dalla caduta dei massi, con la tutela del paesaggio, con l’azione frangivento e di igiene ambientale locale.
Inoltre, è prevista anche l’eventualità che “gli enti forestali che fossero provvisoriamente privi delle necessarie qualifiche professionali […], possono affidare la redazione della relazione tecnico forestale anche a periti agrari o agrotecnici, purché dipendenti dell’ente forestale in cui ricade la trasformazione e purché questi siano in possesso di un’adeguata esperienza nel settore forestale di almeno cinque anni” (6.1 e 7.6 della d.g.r. 675/2005 e ss. integr.).
Non sopperiva, inoltre, all’insufficienza probatoria circa l’asserita realizzazione dell’illecito amministrativo nemmeno il richiamo ai rilievi degli organi accertatori, né i “rilievi visivi” dei verbalizzanti, risolvendosi in apprezzamenti personali mediati attraverso la percezione sensoriale, che non godono di fede privilegiata, così come non partecipano del valore di piena prova, fino a querela di falso, le valutazioni o i fatti di cui i pubblici ufficiali hanno avuto notizia da altre persone, ovvero i fatti della cui verità si siano convinti in virtù di presunzioni o di personali considerazioni logiche (Cass., sez. L., n. 23800/2014; Cass. n. 11012/2013; Cass. n. 3705/2013; Cass. n. 25842/2008; Cass. n. 20441/2006; Cass. n. 11751/2004; Cass. n. 17106/2002; Cass. n. 3350/2001).
Infatti, il verbale di accertamento può assumere un triplice livello di attendibilità in ambito probatorio:
- a) il verbale fa piena prova fino a querela di falso relativamente ai fatti attestati dal pubblico ufficiale come da lui compiuti o avvenuti in sua presenza, o che abbia potuto conoscere senza alcun margine di apprezzamento o di percezione sensoriale, nonché quanto alla provenienza del documento dallo stesso pubblico ufficiale ed alle dichiarazioni a lui rese;
- b) quanto alla veridicità sostanziale delle dichiarazioni a lui rese dalle parti o da terzi, fa fede fino a prova contraria, che può essere fornita qualora la specifica indicazione delle fonti di conoscenza consenta al giudice ed alle parti l’eventuale controllo e valutazione del contenuto delle dichiarazioni;
c)in mancanza della indicazione specifica dei soggetti le cui dichiarazioni vengono riportate nel verbale, esso costituisce comunque elemento di prova, che il giudice deve in ogni caso valutare, in concorso con gli altri elementi, ai fini della decisione dell’opposizione proposta dal trasgressore, e può essere disatteso solo in caso di sua motivata intrinseca inattendibilità, o di contrasto con altri elementi acquisiti nel giudizio, attesa la certezza, fino a querela di falso, che quelle dichiarazioni siano comunque state ricevute dall’ufficiale giudiziario (cfr. Cass.civ, sez. II, 20.03.2007, n. 6565).
A soddisfare l’onere probatorio non sono state sufficienti, inoltre, né una conferma da parte degli agenti, in veste di testimoni di quanto percepito e verbalizzato avrebbe potuto condurre ad una diversa valutazione delle prove documentali raccolte, né la produzione fotografica.
Il Tribunale ha, quindi, accolto l’opposizione, basandosi sul fatto che l’Autorità opposta non abbia adeguatamente motivato, né convinto in sede giudiziale, della sussistenza dell’illecito contestato sotto il profilo materiale della condotta. Non era, infatti, possibile escludere che gli interventi eseguiti dagli opponenti potessero essere ricondotti ad altre attività che non necessitano di autorizzazione paesaggistica (ad esempio “gestione forestale”, “sistemazione idraulico-forestali”, attività “connesse” alla gestione del bosco).
Dott.ssa Eleonora Cucchi
Unicusano Roma