Cass. ci. sez. V ord. 31-07-2023, n. 23137
(Omissis)
Svolgimento del processo
- oggetto di controversia è il credito di 4.600,12 Euro, richiesto da (Omissis) Spa nella qualità di concessionaria del servizio di gestione e raccolta rifiuti nel Comune di (Omissis), alla suindicata società, esercente attività di logistica integrata per conto terzi, a titolo di Tari per l’anno di imposta 2015 e con riguardo all’occupazione di “un’area in parte destinata a magazzini per deposito merci e, per l’altra maggiore porzione, alla produzione di rifiuti che poi la ricorrente avrebbe smaltito in proprio” (così nella sentenza impugnata, priva di numerazione);
- con l’impugnata sentenza la Commissione tributaria regionale dell’Emilia-Romagna rigettava l’appello proposto dalla predetta concessionaria contro la sentenza n. 1180/1/2016 della Commissione tributaria provinciale di Bologna, ritenendo – per quanto ora occupa in relazione ai motivi di impugnazione – che:
– fosse “emerso con sufficiente chiarezza che l’appellata ha dimostrato che le superfici oggetto della richiesta di pagamento erano in realtà destinate alla produzione di rifiuti costituiti da imballaggi (anche prodotti da terzi) che venivano poi smaltiti a cure e spese della stessa (Omissis) Srl “;
– per tale ragione, l’ente impositore non avesse “alcun titolo per sorreggere la propria richiesta di pagamento”;
– la contribuente avesse “posto in essere correttamente tutte le procedure richieste dalla legge per ottenere l’esclusione dell’area in questione dal pagamento delle tasse per i rifiuti urbani con l’effetto che nella specie difetterebbe addirittura la causa in senso tecnico che potrebbe giustificare il pagamento” (così nella sentenza impugnata, come detto, priva di numerazione);
- con ricorso notificato tramite posta elettronica certificata in data 19 novembre 2020 (Omissis) Spa proponeva ricorso per cassazione, articolando due motivi di censura, successivamente depositando, in data 6 marzo 2023, memoria ex art. 380-bis.1. c.p.c.;
- (Omissis) Srl notificava controricorso in data 22 dicembre 2020, concludendo per la declaratoria di inammissibilità o di rigetto dell’impugnazione. Il Comune di (Omissis) restava intimato.
Motivi della decisione
- con il primo motivo di impugnazione (Omissis) Spa ha lamentato, in relazione all’art. 360, comma 1, num. 3, c.p.c., “la violazione e falsa applicazione dell’art. 1, comma 641, 642 e 649 della l. 147 del 2013 ” (v. pagina n. 8 del ricorso), assumendo che, risultando pacifiche le circostanze concernenti il fatto che le superfici oggetto della richiesta di pagamento erano destinate alla produzione di rifiuti costituiti da imballaggi (anche prodotti da terzi) e che tali rifiuti erano stati smaltiti a cure spese della stessa società, doveva, invece, considerarsi del tutto erronea, sul piano giuridico, la valutazione del Giudice regionale secondo cui lo smaltimento di imballaggi tout court in proprio costituisce circostanza idonea, di per sè sola, ad escludere l’obbligo del pagamento, avendo, invece, la giurisprudenza di legittimità chiarito che va esente da tassazione solo l’area in cui si producono imballaggi terziari, i.e. non suscettibili di essere assimilati ai rifiuti, laddove nessuna specificazione della natura dell’imballaggio emergeva dalla sentenza impugnata;
1.1. l’istante ha, quindi, concluso sul punto, osservando che, in mancanza di prova sulla natura speciale dei rifiuti (imballaggi terziari) formati sull’area occupata dalla società, il Giudice dell’appello non poteva ritenere la contribuente esente dal pagamento della TARI su dette superfici;
- con la seconda censura la concessionaria ha dedotto, sempre in relazione all’art. 360, comma 1, num. 3, c.p.c., “la violazione e falsa applicazione dell’art. 1, comma 649, l. 147 del 2013 e degli artt. 1 e 3 D.P.R. n. 159 del 1999” (v. pagine n. 10 ed 11 del ricorso), ritenendo che, anche a voler considerare che la società avesse prodotto nell’anno di imposta rifiuti speciali (imballaggi terziari), l’esenzione dal pagamento non poteva essere comunque riconosciuta, in quanto, da un lato, postula la dimostrazione – non fornita dalla contribuente – che i predetti rifiuti si formino sulla predetta area in via continuativa e prevalente, come previsto dall’art. 1, comma 649, 27 dicembre 2013, n. 147, mentre, sotto altro profilo, l’esenzione riguarderebbe la sola quota variabile (diretta, cioè, a coprire i costi di gestione del servizio in relazione alla quantità dei rifiuti conferiti) e non la quota fissa del tributo (volta, invece, a coprire le componenti essenziali del costo del servizio e dunque le spese per i servizi generali, nonchè gli investimenti ed i relativi ammortamenti), comunque dovuta dalla società, siccome tenuta a concorrere alle spese per i servizi generali ai sensi degli artt. 1 e 3 D.P.R. n. 27 aprile 1999, n. 158;
- il ricorso va accolto per le ragioni che seguono, non senza aver prima disatteso l’eccezione di inammissibilità dei motivi di ricorso avanzata dalla controricorrente, giacchè, sul piano dell’autosufficienza, l’impugnazione in esame ha ricostruito i contenuti della vicenda controversa tramite l’indicazione della pretesa impositiva, le ragioni dell’impugnazione proposte dalla contribuente avverso l’atto impositivo, i contenuti delle difese svolte dalle parti nei due gradi di giudizio e della sentenza impugnata, consentendo, quindi, di far comprendere compiutamente, attraverso la sola lettura del ricorso, l’oggetto del contendere, che non predicava la necessità di ritrascrivere l’atto impositivo, che aveva tassato i locali pacificamente occupati dalla società contribuente;
3.1 peraltro, le erronee valutazioni giuridiche dedotte dalla ricorrente non implicano affatto la rivisitazione nella presente sede di legittimità di aspetti fattuali e/o di merito, quanto questioni di stretta rilevanza tecnico-giuridica, che rendono inconferente nella specie il richiamo al requisito di specificità ed autosufficienza, giacchè proprio la natura squisitamente giuridica delle doglianze trasversalmente contenuta nei motivi di impugnazione esclude che la loro illustrazione richiedesse l’inserimento, la trascrizione o lo specifico richiamo di elementi diversi ed ulteriori dalla normativa asseritamente violata in rapporto alle domande ed eccezioni di parte, il cui sviluppo nel corso dei vari gradi del processo è stato riassunto in termini pacifici tra le parti;
3.2. allo stesso modo, risulta non pertinente il rilievo della novità della questione coinvolta nel secondo motivo di impugnazione, concernente il dedotto ambito applicativo dell’esenzione alla sola quota variabile del tributo e non anche alla sua parte fissa, trattandosi di profilo insito, implicato nell’avviso impugnato, avente ad oggetto la richiesta di pagamento dell’imposta nella sua integralità (come tale concernente anche la relativa quota fissa), rispetto alla quale l’esame della portata applicativa della rivendicata esenzione e, segnatamente, la sua riferibilità o meno anche a detta quota, integra una questione giuridica immanente nell’oggetto del contendere, per cui il predetto motivo di impugnazione non ha introdotto nessuna nuova questione e/o domanda/eccezione;
- come ben noto alle parti, per aver partecipato ai relativi giudizi concernenti anche la medesima o analoga (Tares e Tia 1) pretesa, sia pure per diversi anni di imposta (2013/2014 e 2003/2010), questa Corte ha avuto modo di pronunciarsi sui temi in questione, con le due sentenze nn. 8205 e 8222 del 14 marzo 2022, i cui contenuti, in assenza di convincenti argomenti contrari, vanno in tale sede ribaditi;
4.1. non va, del resto, trascurato di segnalare che sulle tematiche in rassegna la Corte ha assunto un orientamento consolidato attraverso una serie di altre, recenti, pronunce (cfr., tra le tante, Cass., Sez. T., 23 febbraio 2023, n. 5580; Cass., Sez. T., 23 febbraio 2023, n. 5579; Cass., Sez. T., 23 febbraio 2023, n. 5578; Cass., Sez. T, 16 febbraio 2023, n. 4902; Cass., Sez. T, 5 aprile 2022, n. 10899; Cass., Sez. T., 29 marzo 2022, n. 10829; Cass., Sez. T., 7 luglio 2022, n. 21490; Cass., Sez. T, 27 gennaio 2022, n. 2373, Cass., Sez. T., 23 aprile 2020, nn. 8088 e 8089 ed ancora Cass., Sez. T, 28 marzo 2023, nn. 8753 e 8754; Cass., Sez. T, 30 marzo 2023, n. 9032), in talune delle quali è stata parte la suindicata controricorrente, che hanno sancito i principi che di seguito si riassumono nei loro passaggi argomentativi principali, rinviando ai più estesi contenuti di dette pronunce;
- senza necessità, quindi, di riepilogare funditus i principi di diritto (ben noti alle parti per le ragioni sopra esposte) elaborati dalla Corte in relazione alla tassazione, ai fini TARSU, TIA1 e TARES, degli imballaggi terziari, va evidenziato che nella fattispecie in rassegna riceve applicazione l’art. 1, comma 641, 642 e 649, della L. 27 dicembre 2013, n. 147, il quale dispone che:
– “Il presupposto della TARI è il possesso o la detenzione a qualsiasi titolo di locali o di aree scoperte, a qualsiasi uso adibiti, suscettibili di produrre rifiuti urbani. Sono escluse dalla TARI le aree scoperte pertinenziali o accessorie a locali tassabili, non operative, e le aree comuni condominiali di cui all’art. 1117 del codice civile che non siano detenute o occupate in via esclusiva” (c. 641);
– “La TARI è dovuta da chiunque possieda o detenga a qualsiasi titolo locali o aree scoperte, a qualsiasi uso adibiti, suscettibili di produrre rifiuti urbani (…)” (comma 642);
– “Nella determinazione della superficie assoggettabile alla TARI non si tiene conto di quella parte di essa ove si formano, in via continuativa e prevalente, rifiuti speciali, al cui smaltimento sono tenuti a provvedere a proprie spese i relativi produttori, a condizione che ne dimostrino l’avvenuto trattamento in conformità alla normativa vigente. Per i produttori di rifiuti speciali assimilati agli urbani, nella determinazione della TARI, il comune disciplina con proprio regolamento riduzioni della quota variabile del tributo proporzionali alle quantità di rifiuti speciali assimilati che il produttore dimostra di aver avviato al riciclo, direttamente o tramite soggetti autorizzati. Con il medesimo regolamento il comune individua le aree di produzione di rifiuti speciali non assimilabili e i magazzini di materie prime e di merci funzionalmente ed esclusivamente collegati all’esercizio di dette attività produttive, ai quali si estende il divieto di assimilazione (…)” (comma 649);
5.1. al regolamento, adottato dall’Ente locale, viene, poi, demandato di articolare riduzioni ed esenzioni tariffarie (art. 1, commi 659 e 682) mentre a carico del contribuente è posto l’obbligo procedurale della dichiarazione (originaria o di variazione; art. 1, comma 684 e ss.);
- la Corte ha già avuto modo di esaminare (cfr., da ultimo, Cass., Sez. V, 7 luglio 2022, n. 21490 ed anche Cass., Sez. T, 28 marzo 2023, nn. 8753 e 8754; Cass., Sez. T, 30 marzo 2023, n. 9032) il suindicato complesso normativo, reputandolo sostanzialmente omogeneo a quello che (già) connotava la disciplina della TARSU ed ha, in particolare, posto in rilievo che il presupposto impositivo della TARI rimane, pur sempre, correlato alla occupazione o alla conduzione di locali ed aree scoperte, adibiti a qualsiasi uso privato, così come, pur valendo il principio secondo cui è l’Amministrazione a dover fornire la prova della fonte dell’obbligazione tributaria, è onere del contribuente dimostrare la sussistenza delle condizioni per beneficiare della riduzione della superficie tassabile ovvero dell’esenzione, trattandosi di eccezione rispetto alla regola generale del pagamento dell’imposta sui rifiuti urbani nelle zone del territorio comunale (cfr. Cass., 15 maggio 2019, n. 12979; Cass., 22 settembre 2017, n. 22130), giacchè la disponibilità dell’area produttrice di rifiuti determina una presunzione iuris tantum di produttività degli stessi, che può essere superata solo dalla prova contraria del detentore dell’area (cfr. Cass., 9 marzo 2020, n. 6551; Cass., 23 maggio 2019, 14037; Cass., 14 settembre 2016, n. 18054; Cass., 23 settembre 2004, n. 19173; Cass., 18 dicembre 2003, n. 19459, tutte citate da Cass., Sez. V, 7 luglio 2022, n. 21490);
- va, poi, posto in rilievo che, in tema di TARI, l’esenzione dal pagamento dell’imposta, a differenza del previgente regime (art. 62, comma 3, d. lgs. 15 novembre 1993, n. 507) che lo correlava a “quella parte di essa ove per specifiche caratteristiche strutturali e per destinazione si formano, di regola, rifiuti speciali, tossici o nocivi, allo smaltimento dei quali sono tenuti a provvedere a proprie spese i produttori stessi in base alle norme vigenti” (v. Cass., 13 settembre 2017, n. 21250; Cass., 24 luglio 2014, n. 16858; Cass.” 4 aprile 2012, n. 5377), è ora prevista per quella parte di superficie ove i rifiuti speciali si formino “in via continuativa e prevalente” ed a condizione che i produttori (tenuti a provvedere a proprie spese) “ne dimostrino l’avvenuto trattamento in conformità alla normativa vigente”;
7.1. quanto ai magazzini questa Corte ha poi chiarito che “per i produttori di rifiuti speciali non assimilabili agli urbani non si tiene altresì conto della parte dell’area dei magazzini, funzionalmente ed esclusivamente collegata all’esercizio dell’attività produttiva, occupata da materie prime e/o merci, merceologicamente rientranti nella categoria dei rifiuti speciali non assimilabili, la cui lavorazione genera comunque rifiuti speciali non assimilabili, fermo restando l’assoggettamento dei magazzini destinati allo stoccaggio di semilavorati e/o prodotti finiti connessi a lavorazioni produttive di rifiuti assimilati, dei magazzini di attività commerciali, dei magazzini relativi alla logistica, dei magazzini di deposito di merci e/o mezzi di terzi” (così, anche da ultimo, in giudizio in cui era parte la medesima contribuente, Cass., Sez. T, 28 marzo 2023, nn. 8753 e 8754; Cass., Sez. T, 30 marzo 2023, n. 9032);
7.2. resta confermato che l’esenzione dal pagamento integra sempre l’oggetto di un’allegazione, il cui onere della prova grava sul contribuente che intende ottenerla, in quanto, se è vero che l’onere della prova dei fatti costituenti fonte dell’obbligazione tributaria grava sull’amministrazione, il diritto all’esenzione va provato dal contribuente, costituendo le esenzioni, anche parziali, eccezione alla regola generale di pagamento del tributo da parte di tutti coloro che occupano o detengono immobili nelle zone del territorio comunale (v. in termini Cass., Sez. V, 7 luglio 2022,n. 21490, che cita Cass., 16 aprile 2019, 10634; Cass., 5 settembre 2016, n. 17622; Cass., 24 luglio 2014, n. 16858; Cass., 6 luglio 2012, n. 11351; Cass., 9 marzo 2012, n. 3756; Cass., 14 gennaio 2011, n. 775), per cui tanto le deroghe alla tassazione, quanto le riduzioni delle superfici e tariffarie, non operano in via automatica, in base alla mera sussistenza delle previste situazioni di fatto, dovendo, invece, i relativi presupposti essere di volta in volta dedotti nella denuncia originaria o in quella di variazione (ancora, in termini, Cass., Sez. V, 7 luglio 2022,n. 21490, che richiama Cass., 13 agosto 2004, n. 15867, cui adde Cass., 17 settembre 2019, n. 23059; Cass., 3 marzo 2010, n. 5036; Cass., 15 aprile 2005, n. 7915; v., altresì, Cass., 23 febbraio 2018, n. 4602; Cass., 13 settembre 2017, n. 21250; Cass., 31 luglio 2015, n. 16235; nonchè, tra le stesse parti, Cass., 12 dicembre 2019, n. 32741, cit.);
- è stato chiarito, anche nelle citate pronunce del 14 marzo 2022 n. 8205 e 8222, rese tra le parti in causa, che la “riduzione della superficie tassabile, in ragione della dimostrata produzione su di essa di rifiuti speciali, opera anche per quei particolari ‘rifiuti specialì costituiti dagli imballaggi terziari (…) non assimilati nè ex lege assimilabili ai rifiuti urbani ordinari”, affermandosi che “agli imballaggi terziari (nonchè agli imballaggi secondari ove non sia attivata la raccolta differenziata) si applica appunto la disciplina di cui all’art. 62, comma 3 cit., il quale rapporta la tassa alle superfici dei locali occupati o detenuti, stabilendo l’esclusione della sola parte di esse in cui, per struttura e destinazione, si formino i rifiuti speciali; per questa loro natura, gli imballaggi terziari non possono essere immessi nel normale circuito di raccolta dei rifiuti urbani (oggetto di privativa comunale) e devono essere comprovatamente conferiti ed avviati al recupero presso operatori autorizzati ex art. 21 comma 7 D.Lgs. n. 22 del 1997”, precisandosi che “La giurisprudenza di legittimità è costante nell’affermare sia l’inclusione degli imballaggi terziari in questo tipo di disciplina (Cass. nn. 10010/19; 703/19; 4960/18; 4793/16 ed altre), sia l’accollo in capo al contribuente dell’onere di provare tutti i presupposti della riduzione di superficie (natura speciale dei rifiuti; entità della superficie di loro produzione; autosmaltimento)” (così Cass., Sez. T., 14 marzo 2022, n, 8205 e nello stesso senso, Cass. Sez. T, 14 marzo 2022, n. 8222);
- si è inoltre precisato che la tassa in questione è doppiamente strutturata:
- in una parte variabile, non dovuta allorquando il contribuente provi di produrre esclusivamente rifiuti speciali non assimilabili o comunque non assimilati e smaltiti autonomamente a mezzo di ditte esterne autorizzate;
- in una parte fissa, sempre dovuta invece per intero, sulla base del mero presupposto del possesso o detenzione di superfici nel territorio comunale astrattamente idonee alla produzione di rifiuti, in quanto potenzialmente idonee ad ospitare attività antropiche inquinanti e, dunque, a costituire un carico per il gestore del servizio, essendo essa destinata detta quota a finanziare i costi essenziali e generali di investimento e del servizio nell’interesse dell’intera collettività e, dunque, indipendentemente dalla qualità e quantità dei rifiuti prodotti, così come dall’oggettiva fruizione del servizio comunale, purchè effettivamente apprestato e messo a disposizione della collettività (v. Cass., Sez. T., 14 marzo 2022, nn. 8205 e 8222, che richiama Cass. 15 marzo 2021, n. 7187; Cass. 23 maggio 2019, n. 14038 e Cass., Sez. T., 27 febbraio 2020, n. 5360);
9.1. per tale via, è stato sottolineato e ribadito che “in presenza di locali destinati alla produzione di rifiuti speciali non assimilati, per lo smaltimento dei quali il contribuente deve necessariamente provvedere in proprio tramite un operatore qualificato, l’esenzione dal pagamento della quota variabile della tariffa è totale, fermo restando, tuttavia, l’obbligo del pagamento della quota fissa, che non è parametrata alla quantità dei rifiuti gestiti dal servizio pubblico e ai costi di erogazione di tale servizio, ma è destinata per legge alla “copertura” dei costi di investimento ai quali debbono partecipare tutti i possessori di locali all’interno del territorio comunale, in quanto astrattamente idonei ad ospitare attività antropiche inquinanti e, dunque, a costituire un carico per il gestore del servizio (Cass., Sez. 5″, 23 maggio 2019, n. 14038; Cass., Sez. 5″, 13 agosto 2020, nn. 16994 e 16995; Cass., Sez. 5″, 27 febbraio 2020, n. 5360; Cass., Sez. 5″, 12 agosto 2021, nn. 22772 e 22773; Cass., Sez. 6″-5, 22 ottobre 2021, n. 29542; Cass., Sez. 5″, 9 novembre 2021, nn. 32603 e 32604; Cass., Sez. 5″, 22 aprile 2022, n. 12850)” (così Cass., Sez. T., 21 febbraio 2023, n. 5429);
- in tale contesto, la Corte ha ritenuto – per quanto più direttamente occupa – che la pertinente disposizione di cui all’art. 1, comma 649, della L. 27 dicembre 2013, n. 147 esprime sulla questione dirimente “una sostanziale continuità regolativa” rispetto alla disciplina della TARSU, come affermato, in modo espresso, dalla pronuncia di questa Corte del 7 luglio 2022, n. 21490 e come già ritenuto nelle menzionate due pronunce del 23 aprile 2020, n. 8088 e 8089, che hanno esteso “alla T.A.R.I. l’interpretazione offerta dalla giurisprudenza di legittimità in tema di T.A.R.S.U. con riguardo all’art. 62, comma 3, del D.Lgs. n. 15 novembre 1993, n. 507” (così alle pagine n. 7 delle citate sentenze);
10.1. analogamente, ancor più di recente, la pronuncia della Corte di cassazione dell’8 febbraio 2023, n. 3818 ha ribadito che “questa Corte ha più volte già ritenuto che alla TARI sono estensibili gli orientamenti di legittimità formatisi per i tributi omologhi che l’hanno preceduta, quali la TARSU e la TIA (cfr. Cass. n. 22130 del 2017; n. 1963 del 2018; n. 12979 del 2019)”;
- in siffatti termini, resta allora applicabile il principio elaborato da questa Corte, secondo cui l’esclusione della tassa opera per “la sola parte della superfice in cui (ndr. a regime Tarsu), per struttura e destinazione, si formano esclusivamente rifiuti speciali (Cass., Sez. 5, 15 dicembre 2015, n. 4793; Cass., Sez. 5, 11 marzo 2016, nn. 4792 e 4793)” (così Cass., Sez. T. 23 aprile 2020, nn. 8088 e 8089 e, nello stesso senso, Cass., Sez. T., 14 marzo 2022, nn. 8205 e 8022) e ora, in tema di TARI, per la sola “parte di essa ove si formano, in via continuativa e prevalente, rifiuti speciali”, come stabilito dall’art. 1, comma 649, della L. 27 dicembre 2013, n. 147;
11.2. come sopra esposto, inoltre, “per i produttori di rifiuti speciali non assimilabili agli urbani non si tiene altresì conto della parte dell’area dei magazzini, funzionalmente ed esclusivamente collegata all’esercizio dell’attività produttiva, occupata da materie prime e/o merci, merceologicamente rientranti nella categoria dei rifiuti speciali non assimilabili, la cui lavorazione genera comunque rifiuti speciali non assimilabili, fermo restando l’assoggettamento dei magazzini destinati allo stoccaggio di semilavorati e/o prodotti finiti connessi a lavorazioni produttive di rifiuti assimilati, dei magazzini di attività commerciali, dei magazzini relativi alla logistica, dei magazzini di deposito di merci e/o mezzi di terzi” (così, Cass., Sez. T, 28 marzo 2023, nn. 8753 e 8754; Cass., Sez. T, 30 marzo 2023, n. 9032);
- alla luce di tali ricapitolati criteri interpretativi, esaminando congiuntamente i due motivi di ricorso, va osservato che la Commissione regionale non si è attenuta a tali principi, ma sbrigativamente e quindi erroneamente, ha desunto la totale illegittimità degli atti impositivi opposti e la conseguente non debenza del tributo, in ragione del fatto che la società aveva provato che “le superfici oggetto della richiesta di pagamento erano in realtà destinate alla produzione di rifiuti costituiti da imballaggi che venivano poi smaltiti a cura e spese della stessa (Omissis) Srl “, così incorrendo nel giuridico errore di:
- aver riconosciuto la legittimità della rivendicata detassazione, omettendo di considerare e di qualificare puntualmente la tipologia dei rifiuti prodotti, limitandosi riduttivamente a configurali come “imballaggi” senza ulteriore specificazione (e cioè se primari, secondari, considerando in tale seconda ipotesi, se era stata o meno attivata la raccolta differenziata, o terziari);
- non aver determinato l’area in cui essi i rifiuti speciali non assimilabili (o non assimilati) si erano formati, in via continuativa e prevalente, in rapporto a quelle complessivamente detenute dalla società e normalmente produttive di rifiuti urbani ricompresi nell’ordinario ciclo di privativa comunale;
- di non essersi avveduta che, in ogni caso, tanto l’area non assoggettabile a tassazione (la sola parte in cui si sono formati, in via continuativa e prevalente, rifiuti speciali non assimilabili o non assimilati), che la restante parte erano comunque sottoposte al pagamento della quota fissa della tassa;
- i predetti profili dovevano (e dovranno) essere accertati dal Giudice regionale, tenuto conto della natura (di impugnazione – merito) del giudizio tributario (cfr. le tante le citate Cass., Sez. T., 14 marzo 2022, n. 8205 e 8222), il che giustifica l’accoglimento del ricorso e la cassazione dell’impugnata sentenza, con rinvio alla Corte di Giustizia tributaria di secondo grado dell’Emilia-Romagna, in diversa composizione, la quale, uniformandosi ai principi di diritto sopra esposti, procederà, sulla base dei documenti prodotti, a valutare la natura degli imballaggi prodotti dalla società nell’anno di imposta di riferimento, la natura funzionale o meno dei locali magazzini all’attività commerciale svolta dalla società, la sussistenza delle condizioni per l’ottenimento dell’esenzione parziale sulla parte dell’area in cui si producevano, in via continuativa e prevalente, rifiuti speciali (imballaggi terziari o secondari non destinati alla raccolta differenziata), fermo restando il pagamento della quota fissa dell’imposta sull’intera area occupata, provvedendo, infine, anche a regolare le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
la Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di Giustizia tributaria di secondo grado dell’Emilia-Romagna, in diversa composizione, per gli accertamenti indicati in parte motiva ed anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
(Omissis)
COMMENTO: La Corte di Cassazione si è recentemente espressa sul tema dell’esenzione dal pagamento TARI relativamente ai locali ove vengono prodotti rifiuti speciali. Con la Sentenza n. 23137 del 31.07.23, infatti gli ermellini hanno tentato di delineare in maniera dettagliata i confini di tale esenzione. Nel caso di specie, la concessionaria del servizio di gestione e raccolta rifiuti del comune aveva richiesto ad una società, esercente attività di logistica integrata per conto terzi, il pagamento della Tari, per l’anno di imposta 2015. Oggetto di tale richiesta era l’occupazione di “un’area in parte destinata a magazzini per deposito merci e, per l’altra maggiore porzione, alla produzione di rifiuti che poi la ricorrente avrebbe smaltito in proprio”.
Nel merito la Corte di Giustizia Tributaria di II grado dell’Emilia Romagna aveva rigettato l’appello proposto dalla predetta concessionaria contro la sentenza di primo grado, ritenendo che fosse “emerso con sufficiente chiarezza che l’appellata aveva dimostrato che le superfici oggetto della richiesta di pagamento erano in realtà destinate alla produzione di rifiuti costituiti da imballaggi (anche prodotti da terzi), che venivano poi smaltiti a cure e spese della stessa”. Per tale ragione, a detta dei giudici regionali l’ente impositore non aveva titolo per sorreggere la propria richiesta di pagamento.
La concessionaria del comune proponeva quindi ricorso per Cassazione, assumendo che, risultando pacifiche le circostanze concernenti il fatto che le superfici oggetto della richiesta di pagamento erano destinate alla produzione di rifiuti costituiti da imballaggi (anche prodotti da terzi) e che tali rifiuti erano stati smaltiti a cure spese della stessa società, doveva, invece, considerarsi del tutto erronea, sul piano giuridico, la valutazione del Giudice di merito secondo cui lo smaltimento di imballaggi tout court in proprio costituisse circostanza idonea, di per sè sola, ad escludere l’obbligo del pagamento, avendo, invece, la giurisprudenza di legittimità chiarito che va esente da tassazione solo l’area in cui si producono imballaggi terziari, cioè non suscettibili di essere assimilati ai rifiuti, laddove nessuna specificazione della natura dell’imballaggio emergeva invece dalla sentenza impugnata.
Secondo la concessionaria ricorrente, quindi, in mancanza di prova sulla natura speciale dei rifiuti (imballaggi terziari) formati sull’area occupata dalla società non si poteva ritenere la contribuente esente dal pagamento della TARI su dette superfici.
Del resto, veniva rilevato dalla medesima ricorrente, anche a voler considerare che la società avesse prodotto nell’anno di imposta rifiuti speciali (imballaggi terziari), l’esenzione dal pagamento non poteva essere comunque riconosciuta, in quanto, da un lato, era necessaria la dimostrazione – non fornita dalla contribuente – che i predetti rifiuti si fossero formati sulla predetta area in via continuativa e prevalente, come previsto dall’art. 1, comma 649, 27 dicembre 2013, n. 147, e, dall’altro, l’esenzione avrebbe riguardato in ogni caso la sola quota variabile (diretta, cioè, a coprire i costi di gestione del servizio in relazione alla quantità dei rifiuti conferiti) e non la quota fissa del tributo (volta, invece, a coprire le componenti essenziali del costo del servizio e dunque le spese per i servizi generali, nonchè gli investimenti ed i relativi ammortamenti), comunque dovuta dalla società.
A detta della Suprema Corte il ricorso in questione è da accogliere. I giudici di legittimità ricordano infatti che sulle tematiche in esame la Corte ha assunto un orientamento consolidato attraverso una serie di recenti pronunce (cfr., Cass., Sez. T., 23 febbraio 2023, n. 5580; Cass., Sez. T., 23 febbraio 2023, n. 5579; Cass., Sez. T., 23 febbraio 2023, n. 5578; Cass., Sez. T, 16 febbraio 2023, n. 4902; Cass., Sez. T, 28 marzo 2023, nn. 8753 e 8754; Cass., Sez. T, 30 marzo 2023, n. 9032).
Attraverso tali pronunce gli ermellini hanno affermato in particolare che il presupposto impositivo della TARI rimane pur sempre correlato alla occupazione o alla conduzione di locali ed aree scoperte, adibiti a qualsiasi uso privato, così come, pur valendo il principio secondo cui è l’Amministrazione a dover fornire la prova della fonte dell’obbligazione tributaria, è onere del contribuente dimostrare la sussistenza delle condizioni per beneficiare della riduzione della superficie tassabile, ovvero dell’esenzione, trattandosi di eccezione rispetto alla regola generale del pagamento dell’imposta sui rifiuti urbani nelle zone del territorio comunale (cfr., Cass., 15 maggio 2019, n. 12979; Cass., 22 settembre 2017, n. 22130). In merito a tale aspetto va rilevato come la semplice disponibilità dell’area produttrice di rifiuti determina una presunzione iuris tantum di produttività degli stessi, che può essere superata solo dalla prova contraria del detentore dell’area stessa (cfr., Cass., 9 marzo 2020, n. 6551; Cass., 23 maggio 2019, 14037; Cass., 14 settembre 2016, n. 18054).
La Cassazione rileva di conseguenza che, in tema di TARI, a differenza del previgente regime (art. 62, comma 3, Dlgs. 15 novembre 1993, n. 507), che correlava l’esenzione dal pagamento dell’imposta a quella parte di superficie ove, per specifiche caratteristiche strutturali e per destinazione, si formassero rifiuti speciali, tossici o nocivi, allo smaltimento dei quali fossero tenuti a provvedere a proprie spese i produttori; l’esenzione è ora invece prevista (solo) per quella parte di superficie ove i rifiuti speciali si formino “in via continuativa e prevalente” ed a condizione che i produttori (tenuti a provvedere a proprie spese) “ne dimostrino l’avvenuto trattamento in conformità alla normativa vigente”.
Quanto poi ai magazzini la Corte ha chiarito che “per i produttori di rifiuti speciali non assimilabili agli urbani non si tiene altresì conto della parte dell’area dei magazzini, funzionalmente ed esclusivamente collegata all’esercizio dell’attività produttiva, occupata da materie prime e/o merci merceologicamente rientranti nella categoria dei rifiuti speciali non assimilabili, la cui lavorazione genera comunque rifiuti speciali non assimilabili, fermo restando l’assoggettamento dei magazzini destinati allo stoccaggio di semilavorati e/o prodotti finiti connessi a lavorazioni produttive di rifiuti assimilati, dei magazzini di attività commerciali, dei magazzini relativi alla logistica, dei magazzini di deposito di merci e/o mezzi di terzi” (così, Cass., Sez. T, 28 marzo 2023, nn. 8753 e 8754; Cass., Sez. T, 30 marzo 2023, n. 9032).
L’onere della prova per far valere il diritto all’esenzione dal tributo TARI grava peraltro sempre sul contribuente che intende ottenerla, per cui tanto le deroghe alla tassazione, quanto le riduzioni delle superfici e tariffarie, non operano in via automatica, in base alla mera sussistenza delle previste situazioni di fatto, dovendo, invece, i relativi presupposti essere di volta in volta dedotti nella denuncia originaria o in quella di variazione (cfr., Cass., 17 settembre 2019, n. 23059; Cass., 23 febbraio 2018, n. 4602; Cass., 12 dicembre 2019, n. 32741).
La Suprema Corte evidenzia infine che la riduzione della superficie tassabile, in ragione della dimostrata produzione su di essa di rifiuti speciali, opera anche per quei particolari rifiuti speciali costituiti dagli imballaggi terziari, non assimilati nè ex lege assimilabili ai rifiuti urbani ordinari.
Agli imballaggi terziari (nonchè agli imballaggi secondari ove non sia attivata la raccolta differenziata) si applica quindi la disciplina di cui all’art. 62, comma 3 del D.Lgs. n. 15 novembre 1993, n. 507, in base al quale la tassa è commisurata alle superfici dei locali occupati o detenuti, stabilendo l’esclusione della sola parte di esse in cui, per struttura e destinazione, si formino i rifiuti speciali.
Ed è proprio per questa loro natura, che gli imballaggi terziari non possono essere pertanto immessi nel normale circuito di raccolta dei rifiuti urbani (oggetto di privativa comunale) ma devono al contrario essere comprovatamente conferiti ed avviati al recupero presso operatori autorizzati, ex art. 21 comma 7 Dlgs. n. 22 del 1997, laddove la giurisprudenza di legittimità è comunque costante nell’affermare l’onere in capo al contribuente di provare tutti i presupposti della riduzione di superficie (natura speciale dei rifiuti; entità della superficie di loro produzione; autosmaltimento) (così Cass., Sez. T., 14 marzo 2022, n, 8205 e nello stesso senso, Cass., Sez. T, 14 marzo 2022, n. 8222).
La Suprema Corte inoltre ricorda che la tassa in questione è doppiamente strutturata:
- in una parte variabile, non dovuta allorquando il contribuente provi di produrre esclusivamente rifiuti speciali non assimilabili, o comunque non assimilati e smaltiti autonomamente a mezzo di ditte esterne autorizzate;
- in una parte fissa, sempre dovuta invece per intero, sulla base del mero presupposto del possesso o detenzione di superfici nel territorio comunale astrattamente idonee alla produzione di rifiuti, destinata a finanziare i costi essenziali e generali di investimento e del servizio nell’interesse dell’intera collettività e, dunque, indipendentemente dalla qualità e quantità dei rifiuti prodotti, così come dall’oggettiva fruizione del servizio comunale, purchè effettivamente apprestato e messo a disposizione della collettività (v. Cass., Sez. T., 14 marzo 2022, nn. 8205 e 8222, Cass. 15 marzo 2021, n. 7187; Cass. 23 maggio 2019, n. 14038 e Cass., Sez. T., 27 febbraio 2020, n. 5360).
Pertanto, in presenza di locali destinati alla produzione di rifiuti speciali non assimilati, per lo smaltimento dei quali il contribuente deve necessariamente provvedere in proprio tramite un operatore qualificato, l’esenzione dal pagamento della quota variabile della tariffa è totale, fermo restando, tuttavia, l’obbligo del pagamento della quota fissa, che, come detto, non è parametrata alla quantità dei rifiuti gestiti dal servizio pubblico e ai costi di erogazione di tale servizio, ma è destinata per legge alla “copertura” dei costi di investimento ai quali debbono partecipare tutti i possessori di locali all’interno del territorio comunale (cfr., Cass., Sez. T., 21 febbraio 2023, n. 5429).
Per tale via, sottolinea la Cassazione “in presenza di locali destinati alla produzione di rifiuti speciali non assimilati, per lo smaltimento dei quali il contribuente deve necessariamente provvedere in proprio tramite un operatore qualificato, l’esenzione dal pagamento della quota variabile della tariffa è totale, fermo restando, tuttavia, l’obbligo del pagamento della quota fissa, che non è parametrata alla quantità dei rifiuti gestiti dal servizio pubblico e ai costi di erogazione di tale servizio, ma è destinata per legge alla “copertura” dei costi di investimento ai quali debbono partecipare tutti i possessori di locali all’interno del territorio comunale, in quanto astrattamente idonei ad ospitare attività antropiche inquinanti e, dunque, a costituire un carico per il gestore del servizio”, e su tale punto appare dello stesso tenore anche la precedente Sentenza Cass., Sez. T., 21 febbraio 2023, n. 5429.
In tale contesto, la Corte ha ritenuto che la pertinente disposizione di cui all’art. 1, comma 649, della L. 27 dicembre 2013, n. 147 esprime sulla questione dirimente “una sostanziale continuità regolativa” rispetto alla disciplina della TARSU, come affermato, in modo espresso, dalla pronuncia di questa Corte del 7 luglio 2022, n. 21490 e come già ritenuto nelle menzionate due pronunce del 23 aprile 2020, n. 8088 e 8089, che hanno esteso “alla T.A.R.I. l’interpretazione offerta dalla giurisprudenza di legittimità in tema di T.A.R.S.U. con riguardo all’art. 62, comma 3, del D.Lgs. n. 15 novembre 1993, n. 507”. Dello stesso tenore del resto è anche la recente pronuncia della Corte di Cassazione dell’8 febbraio 2023, n. 3818 con la quale “questa Corte ha più volte già ritenuto che alla TARI sono estensibili gli orientamenti di legittimità formatisi per i tributi omologhi che l’hanno preceduta, quali la TARSU e la TIA (cfr. Cass. n. 22130 del 2017; n. 1963 del 2018; n. 12979 del 2019)”.
In definitiva merito alla questione la Suprema Corte ha ribadito il principio secondo cui l’esclusione della tassa opera per “la sola parte della superfice in cui (a regime Tarsu), per struttura e destinazione, si formano esclusivamente rifiuti speciali e ora, in tema di TARI, per la sola parte di essa ove si formano, in via continuativa e prevalente, rifiuti speciali, come stabilito dall’art. 1, comma 649, della L. 27 dicembre 2013, n. 147”.
Come sopra esposto, inoltre, “per i produttori di rifiuti speciali non assimilabili agli urbani non si tiene altresì conto della parte dell’area dei magazzini, funzionalmente ed esclusivamente collegata all’esercizio dell’attività produttiva, occupata da materie prime e/o merci, merceologicamente rientranti nella categoria dei rifiuti speciali non assimilabili, la cui lavorazione genera comunque rifiuti speciali non assimilabili, fermo restando l’assoggettamento dei magazzini destinati allo stoccaggio di semilavorati e/o prodotti finiti connessi a lavorazioni produttive di rifiuti assimilati, dei magazzini di attività commerciali, dei magazzini relativi alla logistica, dei magazzini di deposito di merci e/o mezzi di terzi”.
In conclusione, alla luce del fatto che la società contribuente aveva provato che le superfici oggetto della richiesta di pagamento erano in realtà destinate alla produzione di rifiuti costituiti da imballaggi che venivano poi smaltiti a cura e spese della stessa, in base ai principi interpretativi dettati dalla Cassazione il giudice di merito sarebbe incorso in errore dichiarando l’illegittimità degli atti impositivi opposti e la conseguente non debenza del tributo.
Tale errore a detta dei giudici di Piazza Cavour, si configura in dettaglio relativamente a tre distinti aspetti:
- L’aver riconosciuto la legittimità della rivendicata detassazione, omettendo di considerare e di qualificare puntualmente la tipologia dei rifiuti prodotti, limitandosi riduttivamente a configurali come “imballaggi” senza ulteriore specificazione (e cioè se primari, secondari, considerando in tale seconda ipotesi, se era stata o meno attivata la raccolta differenziata, o terziari).
- Il non aver determinato l’area in cui essi i rifiuti speciali non assimilabili (o non assimilati) si erano formati, in via continuativa e prevalente, in rapporto a quelle complessivamente detenute dalla società e normalmente produttive di rifiuti urbani ricompresi nell’ordinario ciclo di privativa comunale.
- La commissione regionale infine non si è avveduta che in ogni caso, tanto l’area non assoggettabile a tassazione (la sola parte in cui si sono formati, in via continuativa e prevalente, rifiuti speciali non assimilabili o non assimilati), che la restante parte erano comunque sottoposte al pagamento della quota fissa della tassa.
In conseguenza di tale assunto, la Cassazione rinviava quindi la causa in secondo grado, affinchè si procedesse a valutare la natura degli imballaggi prodotti dalla società nell’anno di imposta di riferimento, la natura funzionale o meno dei locali magazzini all’attività commerciale svolta dalla società, la sussistenza delle condizioni per l’ottenimento dell’esenzione parziale sulla parte dell’area in cui si producevano, in via continuativa e prevalente, rifiuti speciali (imballaggi terziari o secondari non destinati alla raccolta differenziata), fermo restando il pagamento della quota fissa dell’imposta sull’intera area occupata.
Dott. Francesco Foglia