Cass. civ., sez. VI-5, ord., 04 maggio 2021 n. 11658


Svolgimento del processo

Che:

Con sentenza in data 21 giugno 2019 la Commissione tributaria regionale della Campania dichiarava inammissibile l’appello proposto dalla R. T. s.a.s. e dai soci A.F., A.C. e R.P. contro l’avviso di accertamento relativo ad IVA per l’anno d’imposta 2011. Rilevava la CTR che l’appello risultava tardivo in quanto il dispositivo della sentenza di primo grado era stato regolarmente comunicato al difensore della società ed era decorso il termine di cui all’art. 327 c.p.c.. Nel merito aderiva alle argomentazioni svolte dal primo giudice.

Avverso la suddetta sentenza la società contribuente e i soci hanno proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi.

Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.

Sulla proposta del relatore ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c. risulta regolarmente costituito il contraddittorio camerale.

Motivi della decisione

Che:

Con il primo motivo i ricorrenti denunciano, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 153 c.p.c., comma 2, e del D.Lgs. n. 546 del 1992, per non avere la CTR considerato che era stata fornita prova documentale del cattivo funzionamento della casella pec del difensore costituito in giudizio, il quale non aveva avuto conoscenza della comunicazione del dispositivo della sentenza di primo grado, circostanza che giustificava la rimessione in termini richiesta con l’atto di appello.

La censura è infondata.

Secondo l’orientamento espresso da questa Corte, la decadenza da un termine processuale, ivi compreso quello per impugnare, non può ritenersi incolpevole e giustificare, quindi, la rimessione in termini, ove sia avvenuta per errore di diritto; tale errore sussiste, in particolare, allorché la parte decaduta dall’impugnazione per l’avvenuto decorso del termine di cui all’art. 327 c.p.c. si dolga della non tempestiva comunicazione della sentenza da parte della cancelleria, posto che il termine di cui all’art. 327 c.p.c. decorre dalla pubblicazione della sentenza mediante deposito in cancelleria, e non dall’omessa comunicazione da parte del cancelliere (Cass. n. 17704 del 2010; conf. Cass. n. 5946 del 2017).

Consegue che, indipendentemente dalla regolare comunicazione del dispositivo della sentenza di primo grado al difensore costituito, il decorso del termine lungo semestrale di impugnazione comporta l’inammissibilità per tardività dell’appello.

Stante l’inammissibilità dell’appello resta assorbito il secondo motivo di ricorso, con il quale si deduce che la motivazione della sentenza impugnata si pone al di sotto del “minimo costituzionale” e si censura, altresì, il merito della decisione.

Il ricorso va dunque rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna i ricorrenti al pagamento, in favore dell’Agenzia delle entrate, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.600,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 10 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 4 maggio 2021


COMMENTO REDAZIONALE– L’ordinanza in commento conferma la declaratoria di inammissibilità dell’appello proposto oltre il termine di cui all’art. 327 c.p.c.

Non viene ritenuta rilevante, in contrario, la prova documentale di un cattivo funzionamento della casella pec del difensore costituito in primo grado, che aveva impedito a quest’ultimo di ricevere la comunicazione telematica contenente il dispositivo della sentenza impugnata, dal momento che il termine cd. “lungo” per l’impugnazione della sentenza tributaria decorre dalla sua pubblicazione mediante deposito in Segreteria, e non già dal diverso e successivo momento della comunicazione. Tale ultima attività potrebbe addirittura essere pretermessa, senza con ciò impedire la decorrenza del termine di impugnazione di cui all’art. 327 c.p.c.

Infatti, la decadenza di un termine processuale, incluso quello per impugnare, non può ritenersi incolpevole e giustificare la rimessione in termini, ove sia avvenuta per errore di diritto, quale quello della parte che si dolga della mancata tempestiva comunicazione della sentenza da parte della Cancelleria – o, nell’ambito del processo tributario, da parte della Segreteria (si vedano, in tal senso, Cass. civ., sez. V, 07 maggio 2008 n. 1114; Cass. civ., sez. VI, 29 luglio 2010 n. 17704; Cass. civ., sez. V, 08 marzo 2017 n. 5946 e Cass. civ., sez. V, ord., 09 dicembre 2020 n. 28045).

Tale principio è stato ritenuto compatibile con gli artt. 3 e 24 Costituzione, posto che sulla parte costituita in giudizio, alla quale non può per definizione ritenersi ignoto il processo, grava sempre e comunque un onere di vigilanza sull’andamento e sugli eventi dello stesso, ed in particolare sull’eventuale pubblicazione della sentenza.

Risulta invece ad oggi del tutto superato l’orientamento minoritario secondo cui, per la parte costituita cui non fossero stati debitamente comunicati né l’avviso di trattazione, né il dispositivo della sentenza, il cd. “termine lungo” per l’impugnazione ex art. 327 c.p.c. sarebbe potuto decorrere solo dalla data di effettiva conoscenza della sentenza, e non già da quella della sua pubblicazione (in tal senso Cass. civ., sez. VI-5, 11 marzo 2013 n. 6048).

Per tali motivi, il ricorso per Cassazione della società contribuente viene respinto, con conseguente conferma della declaratoria di inammissibilità dell’appello per tardività rispetto al termine di cui all’art. 327 c.p.c., già sancita dalla Commissione Tributaria Regionale.