Cass. civ., sez. V, ord., 18 gennaio 2024 n. 1955


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

L’Agenzia delle entrate, Direzione provinciale di Teramo, sulla base di un verbale della Guardia di finanza provvedeva a recuperare alcuni debiti d’imposta della G. Srl, per l’anno 2019, compensati con crediti che l’Amministrazione finanziaria assumeva essere inesistenti. Impugnato tale provvedimento, sulla base dell’esistenza di un regolare contratto di accollo, la Corte di giustizia di primo grado di Teramo, con sentenza n. 183/2022 pubblicata il 28 settembre 2022, rigettava l’appello con condanna alla refusione delle spese di lite. In particolare la Corte teramana rilevava che “E’ assorbente il rilievo che, a differenza di quanto assume il ricorrente, l’onere della prova dell’esistenza dei crediti eccepiti in compensazione, trattandosi di fatti estintivi della incontestata pretesa fiscale, grava sul contribuente

RILEVATO CHE

********. S.r.L. (di seguito la Società), propone ricorso, affidato ad unico motivo, per la cassazione della sentenza indicata in epigrafe, con cui la Commissione tributaria regionale del Lazio aveva respinto l’appello della Società avverso la sentenza n. della Commissione tributaria provinciale di Roma, in rigetto del ricorso proposto dal contribuente avverso avviso di accertamento IMU 2013 emesso da Roma Capitale; l’Ente impositore resiste con controricorso

CONSIDERATO CHE

1.1. con il primo motivo la Società denuncia ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., violazione di norme di diritto («art. 8, I comma, del d.lgs. 504/1992 afferente alla riduzione del 50% del tributo IMU per l’anno 2013, relativamente ad immobili invenduti ex artt. 2, I comma, lett. A) del d.lgs. 504/1992, 2, V comma-bis, del d.l. 102/2013, … art. 1, comma 747, lettera B) della l. 160/2019, … art. 13, III comma, lett. B) del d.l. 201/2011») per avere la Commissione tributaria regionale erroneamente escluso la sussistenza dei presupposti per l’applicazione della riduzione d’imposta prevista dalle citate disposizioni, secondo cui «la base imponibile è ridotta del 50% per i fabbricati dichiarati inagibili o inabitabili e di fatto non utilizzati», sebbene Roma Capitale fosse già a conoscenza, con riguardo agli immobili tassati del mancato rilascio, da parte del medesimo Ente territoriale, delle concessioni edilizie in sanatoria, il che aveva impedito di ottenere il relativo certificato di agibilità/abitabilità ed aveva precluso alla Società, impresa di costruzioni per la vendita, la vendita dei suddetti immobili;

1.2. la doglianza è infondata;

1.3. va premesso che l’art. 13 del d.l. n. 201/2011 prevede, per quanto qui di interesse, quanto segue: «3. La base imponibile dell’imposta municipale propria è costituita dal valore dell’immobile determinato ai sensi dell’articolo 5, commi 1, 3, 5 e 6 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, e dei commi 4 e 5 del presente articolo. La base imponibile è ridotta del 50 per cento: … b) per i fabbricati dichiarati inagibili o inabitabili e di fatto non utilizzati, limitatamente al periodo dell’anno durante il quale sussistono dette condizioni. L’inagibilità o inabitabilità è accertata dall’ufficio tecnico comunale con perizia a carico del proprietario, che allega idonea documentazione alla dichiarazione. In alternativa, il contribuente ha facoltà di presentare una dichiarazione sostitutiva ai sensi del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, rispetto a quanto previsto dal periodo precedente. Agli effetti dell’applicazione della riduzione alla metà della base imponibile, i comuni possono disciplinare le caratteristiche di fatiscenza sopravvenuta del fabbricato, non superabile con interventi di manutenzione»;

1.4. come già affermato, anche recentemente, da questa Corte (cfr. Cass. n. 5804 del 24/02/2023; Cass. n. 29966 del 19/11/2019 in motiv. anche se con riferimento all’ICI) ai fini dell’applicazione della riduzione de qua devono considerarsi inagibili o inabitabili, e di fatto non utilizzati, i fabbricati per i quali vengano a mancare i requisiti di cui all’articolo 24, comma 1, del d.P.R. n. 380/2001 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia) e quindi nello specifico gli immobili che presentino un degrado fisico sopravvenuto (fabbricato diroccato, pericolante, fatiscente) o un’obsolescenza funzionale, strutturale e tecnologica (cfr. in tal senso, Cass. n. 29966/2019 cit. in motiv., che definisce condizione di inagibilità e inabitabilità in cui versi l’immobile l’«obiettiva inidoneità alla sua utilizzazione a causa dell’obsolescenza o cattiva manutenzione dello stesso o della presenza di carenze intrinseche»), non superabile con interventi di manutenzione, ordinaria o straordinaria;

1.5. tale interpretazione della norma non solo risulta aderente alla lettera della norma ma trova conferma nel costante indirizzo giurisprudenziale (cfr. Cass. nn. 15407/2017, 4333/2016, 2925/2013, 5933/2013) in materia fiscale secondo il quale le norme che stabiliscono esenzioni o agevolazioni sono di stretta interpretazione ai sensi dell’art 14 preleggi sicché non vi è spazio per ricorrere al criterio analogico o all’interpretazione estensiva della norma oltre i casi e le condizioni dalle stesse espressamente considerati;

1.6. va peraltro evidenziato, con riguardo alla lamentata mancanza del certificato di abitabilità degli immobili, che tale certificato non attesta alcuna agibilità dello stesso, ma la sola idoneità igienico—sanitaria del manufatto atta a consentirne l’uso, che non incide, però, sulla sua esistenza (in particolare, ai fini fiscali);

1.7. pertanto, da una parte, l’iscrizione nel catasto edilizio dell’unità immobiliare costituisce di per sé presupposto sufficiente perché l’unità sia considerata fabbricato e, di conseguenza, assoggettabile all’imposta prevista, laddove per i fabbricati di nuova costruzione, come nel caso in esame, i criteri alternativi dell’ultimazione dei lavori o di utilizzazione del fabbricato assumono rilievo solo per l’ipotesi in cui il fabbricato di nuova costruzione non sia ancora iscritto in catasto (cfr. Cass. n. 24924/2008), mentre, d’altra parte, l’inagibilità (che consente la riduzione d’imposta) è correlata alla temporanea impossibilità di utilizzo dell’immobile, intesa come situazione intrinseca di degrado dello stesso, superabile con interventi di manutenzione straordinaria, e non come qualità giuridica superabile con il rilascio del certificato di abitabilità (secondo Cass. n. 5372/2009 «…il rilascio del certificato di abitabilità non costituisce presupposto per l’applicazione dell’imposta, non potendosi desumere il contrario dal tenore dell’art. 8, comma 1, del citato decreto, che si riferisce esclusivamente all’ipotesi di fabbricati dichiarati inagibili e inabitabili a seguito di perizia dell’ufficio tecnico comunale, e di fatto non utilizzati»; conf. Cass. n. 12936/2019);

1.8. la Commissione tributaria regionale, nell’affermare che non era «applicabile la invocata disposizione di cui all’articolo 8 d.lgs. 504/1992, poiché, in disparte la mancanza di accertamenti tecnici che comprovino lo stato di fatiscenza dedotto, in realtà non vengono in considerazione immobili inagibili o inabitabili, ma piuttosto unità immobiliari di fatto ultimate per le quali devono ancora essere messi i titoli abilitanti in sanatoria e il certificato di abitabilità» , ha correttamente escluso l’applicazione al caso concreto della disciplina agevolatrice prevista dalle norme dianzi citate;

1.8. per quanto poi riguarda il dedotto richiamo della ricorrente alle esenzioni previste dai d.l. n. 102/2013 e n. 201/2011 e dalla legge n. 160/2019, va rilevato che la censura, sebbene indicata nella rubrica del motivo di ricorso, non è stata poi in alcun modo sviluppata nel contesto della successiva esposizione, con conseguente inammissibilità della stessa;

1.9. da ultimo, vanno anche respinte le censure della sentenza impugnata per preteso «difetto di … motivazione che consenta di comprendere le ragioni dell’enunciato rispetto al preciso caso di specie», avendo la Commissione tributaria regionale, come dianzi illustrato, adeguatamente motivato circa le ragioni della mancata applicazione della richiesta riduzione d’imposta;

  1. per quanto fin qui osservato il ricorso va integralmente rigettato;
  2. le spese della presente fase di giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente a pagare le spese del giudizio in favore della controricorrente, liquidandole in Euro 3.000,00 per compensi, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, nonché spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge, se dovuti.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, ove dovuto.


COMMENTO –Come noto l’articolo 1 della Legge n. 160/2019, a partire dal comma 738, introduce le disposizioni per l’attuazione della “nuova IMU, stabilendo i casi in cui il contribuente può godere di una riduzione del 50% della base imponibile, analogamente a quanto previsto per l’ICI e l’IMU dall’articolo 13 del Decreto Legge n. 201/2011. Il comma 747 della norma delinea le situazioni in cui è ammissibile applicare tale riduzione, includendo “i fabbricati dichiarati inagibili o inabitabili e di fatto non utilizzati, solo per il periodo dell’anno in cui persistono tali condizioni”. La stessa disposizione prevede poi che le condizioni richieste siano certificate dall’ufficio tecnico comunale oppure, in alternativa, il contribuente può presentare una dichiarazione sostitutiva che attesti tali circostanze. Tuttavia, è essenziale che si tratti di edifici colpiti da deterioramento non riparabile mediante interventi di manutenzione.

Con la recente sentenza n. 1955 del 18 gennaio 2024, la Corte di Cassazione ha trattato la richiesta di una società di costruzioni tendente ad ottenere l’abbattimento del 50% della base imponibile riguardante alcuni fabbricati dichiarati inagibili o inabitabili e di fatto non utilizzati, alla luce di quanto stabilito dall’art. 8 del D.Lgs. n. 504/1992.

La società ricorrente ha sottolineato che il Comune era consapevole di non aver rilasciato le concessioni edilizie in sanatoria, il che aveva impedito all’impresa di ottenere il certificato di agibilità/abitabilità e di conseguenza di vendere gli immobili.

La Corte di Cassazione ha però risposto alle contestazioni sollevate dalla società ricorrente sostenendo che la sola registrazione nel catasto fabbricati dell’unità immobiliare è sufficiente per qualificare il bene come fabbricato soggetto all’IMU, in virtù della definizione fornita dalla normativa. Tanto per l’ICI/IMU tradizionale quanto per la “nuova” IMU, il legislatore ha stabilito la stessa norma riguardante i fabbricati di nuova costruzione. Questa disposizione stabilisce che “il fabbricato di nuova costruzione è soggetto all’imposta a partire dalla data di ultimazione dei lavori di costruzione ovvero, se antecedente, dalla data in cui è comunque utilizzato”. La Cassazione ha precisato che questi criteri alternativi riguardanti il completamento dei lavori o l’utilizzo del fabbricato sono rilevanti solo per le unità immobiliari non ancora registrate in catasto, proprio perché di nuova costruzione.

La condizione di inagibilità dipende dall’impossibilità di utilizzo del fabbricato e dal suo degrado fisico, il quale non può essere risolto con interventi di manutenzione. Pertanto, la dichiarazione di inagibilità fatta dalla società ricorrente non può essere considerata una qualità giuridica che può essere sanata mediante il rilascio del certificato di abitabilità.

In coerenza con questo principio, la Corte di Cassazione ha ritenuto legittima la decisione dei giudici di secondo grado che hanno correttamente escluso il diritto alla riduzione richiesta. Nel caso in esame, gli immobili non potevano essere considerati inagibili o inabitabili, ma erano piuttosto fabbricati ultimati per i quali non era ancora stato rilasciato il titolo abilitante in sanatoria ed il certificato di abitabilità.

Le unità immobiliari che devono ancora ottenere i titoli abilitanti in sanatoria e il certificato di agibilità/abitabilità sono escluse dal beneficio della riduzione del 50% della base imponibile IMU, come stabilito dall’ordinanza della Cassazione civile n. 1955/2024.

In base all’articolo 8 del decreto legislativo n. 504 del 30 dicembre 1992, i nuovi fabbricati senza agibilità non rientrano nella categoria di fabbricati “inagibili o inabitabili e di fatto non utilizzati” e pertanto non possono godere della riduzione prevista.

L’agevolazione si applica infatti solo agli immobili che presentano un degrado fisico sopravvenuto o un’obsolescenza funzionale, strutturale e tecnologica, non suscettibili di riparazione tramite interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria, come stabilito dall’articolo 24, comma 1, del d.P.R. n. 380/2001.

La sentenza della Corte di Cassazione del 18 gennaio 2024, n. 1955, conferma questo principio, chiarendo che le unità abitative di nuova costruzione, prive ancora dei necessari titoli e certificazioni, sono escluse dal beneficio della riduzione IMU.

La vicenda portata davanti alla Corte Suprema ha origine dal ricorso presentato da una società di costruzioni contro un avviso di accertamento IMU.

Secondo la società ricorrente, il Comune aveva erroneamente escluso la possibilità di beneficiare della riduzione del 50% dell’imposta per i fabbricati dichiarati inagibili o inabitabili e di fatto non utilizzati, come previsto dall’articolo 8, comma 1, del Decreto legislativo n. 504/1992. Questo, nonostante fosse noto al Comune il mancato rilascio delle concessioni edilizie in sanatoria, circostanza che aveva impedito di ottenere il certificato di agibilità/abitabilità e aveva quindi ostacolato la vendita degli immobili da parte della società.

Tuttavia, il ricorso è stato respinto sia dalle commissioni tributarie di primo e secondo grado, sia dalla Corte di Cassazione con la sentenza in questione.

In premessa, la Corte Suprema richiama l’articolo 8 del Decreto Legislativo n. 504/1992, il quale prevede che la base imponibile dell’Imposta Municipale Propria, costituita dal valore dell’immobile, sia ridotta del 50% in determinati casi, tra cui “… per i fabbricati dichiarati inagibili o inabitabili e di fatto non utilizzati, limitatamente al periodo dell’anno durante il quale sussistono dette condizioni”. Per beneficiare di questa riduzione, l’inagibilità o inabitabilità deve essere accertata dall’ufficio tecnico comunale attraverso una perizia a carico del proprietario, il quale deve allegare documentazione idonea alla dichiarazione. In alternativa, il contribuente ha la possibilità di presentare una dichiarazione sostitutiva conformemente al d.P.R. n. 445/2000.

La Corte di Cassazione ha confermato che, per poter beneficiare della riduzione dell’imposta in questione, i fabbricati devono essere considerati inagibili o inabitabili e di fatto non utilizzati solo se mancano dei requisiti stabiliti dall’articolo 24, comma 1, del d.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico dell’Edilizia). In particolare, devono essere inclusi gli immobili che presentano un degrado fisico improvviso (come un edificio in rovina, pericolante o fatiscente) o un’obsolescenza funzionale, strutturale e tecnologica (ovvero una “inidoneità oggettiva alla sua utilizzazione a causa dell’obsolescenza o della manutenzione inadeguata dello stesso o della presenza di difetti intrinseci”), e che non possono essere riparati con interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria.

Partendo dal principio che le norme fiscali che stabiliscono esenzioni o agevolazioni devono essere interpretate in modo rigoroso, senza possibilità di estensione oltre i casi espressamente previsti, la Corte ha chiarito quanto segue:

  1. Il certificato di abitabilità di un immobile non attesta la sua agibilità, ma conferma unicamente la sua idoneità igienico-sanitaria per l’uso. Di conseguenza, la mancanza del certificato di abitabilità non incide sulla qualificazione dell’immobile ai fini fiscali.
  2. L’iscrizione nel catasto edilizio di un’unità immobiliare è sufficiente per considerarla un fabbricato e, quindi, soggetta all’imposta corrispondente. Questo vale soprattutto per i fabbricati di nuova costruzione, nei quali i criteri alternativi di completamento dei lavori o di utilizzo diventano rilevanti solo se l’immobile non è ancora stato registrato nel catasto.
  3. L’inagibilità, che giustifica la riduzione dell’imposta, è legata a una temporanea impossibilità di utilizzo dell’immobile a causa del suo degrado intrinseco, che può essere risolto solo con interventi di manutenzione straordinaria. Questa condizione non è correlata al certificato di abitabilità, che non è un requisito per l’applicazione dell’imposta.

Nel caso specifico, come detto in precedenza, si trattava di unità immobiliari di nuova costruzione per le quali non erano stati ancora rilasciati i titoli abilitanti in sanatoria e il certificato di abitabilità. Di conseguenza, è stata correttamente esclusa l’applicazione della riduzione del 50% dell’imponibile IMU, come previsto dall’articolo 8 del Decreto Legislativo n. 504/1992. Questo perché tali immobili non potevano in alcun modo soddisfare i requisiti per beneficiare dell’agevolazione, non trovandosi in uno stato di inagibilità o inabitabilità, ma piuttosto risultando in attesa delle regolari autorizzazioni e certificazioni necessarie per la loro completa fruibilità.

Al di là della mancanza di accertamenti tecnici che comprovino lo stato di fatiscenza affermato dalla società ricorrente, la Cassazione sottolinea come, nella vicenda in esame, “non vengono in considerazione immobili inagibili o inabitabili, ma piuttosto unità immobiliari di fatto ultimate per le quali devono ancora essere messi i titoli abilitanti in sanatoria e il certificato di abitabilità”.

La Corte ha ribadito che la riduzione dell’imponibile IMU, come stabilita dall’articolo 8 del Decreto Legislativo n. 504/1992, può essere applicata solo agli immobili che manifestano un degrado fisico improvviso (come un edificio in rovina, pericolante o fatiscente) o un’obsolescenza funzionale, strutturale e tecnologica (vale a dire una inidoneità oggettiva alla sua utilizzazione a causa dell’obsolescenza o della manutenzione inadeguata dello stesso o della presenza di difetti intrinseci), che non può essere risolto con interventi di manutenzione, ordinaria o straordinaria.

Volendo riassumere, la sentenza in commento fornisce importanti linee guida per determinare i requisiti necessari per ottenere l’abbattimento del 50% per i fabbricati inagibili e inabitabili. Come chiarito dai giudici di legittimità, seguendo un orientamento già delineato in precedenza (si veda anche le pronunce della Cassazione n. 5804 del 24/02/2023 e n. 29966 del 19/11/2019), ai fini dell’applicazione di questa riduzione, i fabbricati devono essere considerati inagibili o inabitabili solo se mancano dei requisiti stabiliti dall’articolo 24, comma 1, del d.P.R. n. 380/2001 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia).

In particolare, gli immobili devono presentare un degrado fisico improvviso (come un edificio in rovina, pericolante o fatiscente) o un’obsolescenza funzionale, strutturale e tecnologica (come definito nella sentenza della Cassazione n. 29966/2019, che parla di “obiettiva inidoneità alla sua utilizzazione a causa dell’obsolescenza o cattiva manutenzione dello stesso o della presenza di carenze intrinseche”), che non può essere risolto con interventi di manutenzione, ordinaria o straordinaria.

Gli Ermellini hanno sottolineato che questa interpretazione è conforme alla normativa vigente e consolidata dalla giurisprudenza.

I Giudici della Suprema Magistratura hanno sottolineato infine come le norme che regolano esenzioni o agevolazioni sono soggette a un’interpretazione rigorosa in conformità all’articolo 14 delle leggi di interpretazione. Questo significa che non è possibile estendere o applicare analogicamente le disposizioni al di là delle condizioni specificamente indicate dal legislatore. In altre parole, non c’è spazio per interpretazioni estensive o analogiche rispetto alle condizioni stabilite dalla legge.

Dott. Francesco Foglia