Cass. civ., sez. V, ord., 20 novembre 2024 n. 29845


Fatti di causa

L’A. della Provincia di Omissis ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza depositata dalla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio il 3 ottobre 2022, n. 4231/14/2022, notificata a mezzo Pec il 18 ottobre 2022, la quale, in controversia avente ad oggetto l’impugnazione di avviso di accertamento n. 347/2019 per il parziale versamento dell’IMU relativa all’anno 2018, per l’importo complessivo di € 738.548,00, in relazione ad alloggi di edilizia residenziale pubblica, a causa del disconoscimento dell’esenzione prevista dall’art. 13, comma 2, del D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, ha rigettato l’appello proposto dalla medesima nei confronti del Comune di Omissis avverso la sentenza depositata dalla Commissione tributaria provinciale di Omissis il 30 ottobre 2020, n. 99/02/2020, con condanna alla rifusione delle spese giudiziali.

Il giudice di appello ha confermato la decisione di prime cure – che aveva rigettato il ricorso originario – in ragione della carenza di prova circa la sussistenza delle caratteristiche individuate dal d. interm. 22 aprile 2008 per l’invocata esenzione.

Il Comune di Omissis ha resistito con controricorso.

La ricorrente ha depositato memoria illustrativa.

Considerato che

Il ricorso è affidato a sei motivi.

Con il primo motivo, si denuncia violazione dell’art. 7 della legge 27 luglio 2000, n. 212, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per essere stato erroneamente ritenuto dal giudice di secondo grado che l’avviso di accertamento fosse munito di adeguata motivazione con riguardo al disconoscimento dell’esenzione prevista dall’art. 13, comma 2, del D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214.

Il motivo è infondato. 

Secondo il tenore della censura, “la sentenza impugnata ha violato il dettato dell’articolo 7, primo comma, della legge n. 212 del 2000 sotto un duplice aspetto. Da un lato invero, ritenendo necessario, ai fini violazione dell’obbligo motivazionale dell’avviso di accertamento, che l’A. desse la prova della dedotta esenzione IMU, ha richiesto una prova non menzionata dalla norma dato che la stessa non prevede alcun onere probatorio a carico del contribuente, ma solo l’obbligo di indicazione da parte dell’ente impositore dei presupposti di fatto e delle ragioni di diritto che hanno portato all’emissione dell’avviso, e dato che il richiamo agli oneri probatori del contribuente attiene all’onere della prova in fase processuale ed è perciò del tutto estraneo alla fase procedimentale che ha portato all’emissione dell’avviso di accertamento.

Dall’altro lato poi ha erroneamente disatteso il disposto della norma medesima dato che, a fronte della dichiarazione fatta dall’A. nella dichiarazione di imposta IMU circa l’esistenza dell’esenzione di cui al 2 comma dell’articolo 13 D.L. 201/2011 per ciascuno degli immobili oggetto di causa, il Comune avrebbe dovuto indicare nell’avviso di accertamento le ragioni per cui la dichiarazione stessa era da disattendere e gli immobili venivano quindi sottoposti a tassazione”.

Premesso che, a dispetto di quanto eccepito dal controricorrente, la formulazione del mezzo soddisfa il requisito dell’autosufficienza (tra le tante: Cass., Sez. 5 , 13 agosto 2004, n. 15867; Cass., Sez. 5, 4 aprile 2013, n. 8312; Cass., Sez. 5, 19 aprile 2013, n. 9536; Cass., Sez. 5, 28 giugno 2017, n. 16147; Cass., Sez. 5, 13 aprile 2021, n. 9630; Cass., Sez. 5, 8 luglio 2021, n. 19395; Cass., Sez. 6-5, 8 settembre 2021, n. 24247; Cass., Sez. 6-5, 27 ottobre 2021, n. 30215; Cass., Sez. 5, 4 gennaio 2022, n. 29; Cass., Sez. 5, 11 agosto 2023, n. 24547; Cass., Sez. 5, 12 marzo 2024, n. 6501), essendo stato trascritto il contenuto essenziale dell”impugnato avviso di accertamento nel corpo del ricorso (segnatamente, nella nota 2 alla pagina 13: «”IL PRESENTE AVVISO PER L’ANNO 2018 VIENE EMESSO PER I SEGUENTI MOTIVI: Parziale versamento dell’imposta dovuta. Alla differenza d’imposta devono essere sommate le sanzioni, in conformità a quanto previsto dall’art. 13 del D.Lgs. n. 471/1997 (Vedere Allegato) e gli interessi che, in base all’art. 1, comma 161 della L. n. 296/2006 (Vedere Allegato), sono calcolati con maturazione giorno per giorno con decorrenza dal giorno in cui sono divenuti esigibili.

Sulla base degli elementi che precedono, si procede alla liquidazione dovuta per l’anno 2018: Totale imposta dovuta Euro – in ogni caso, l’avviso di accertamento è stato allegato in copia nel fascicolo di parte nel presente procedimento), la censura deve essere disattesa, alla luce della statuizione della sentenza di appello, a tenore della quale “è il contribuente a dover provare l’esistenza di una causa di esclusione, mentre l’Amministrazione, contrariamente a quanto affermato dall’A., non ha affatto l’obbligo di indicare le ragioni giuridiche che impediscano il riconoscimento di ogni possibile esenzione».

Invero, tale argomentazione è conforme all’orientamento consolidato di questa Corte, secondo cui l’obbligo motivazionale dell’accertamento in materia di ICI (ma le stesse argomentazioni possono valere anche per l’IMU) deve ritenersi adempiuto tutte le volte in cui il contribuente sia stato posto in grado di conoscere la pretesa tributaria nei suoi elementi essenziali e, quindi, di contestare l’an e il quantum dell’imposta; in particolare, il requisito motivazionale esige, oltre alla puntualizzazione degli estremi soggettivi ed oggettivi della posizione creditoria dedotta, soltanto l’indicazione dei fatti astrattamente giustificativi di essa, che consentano di delimitare l’ambito delle ragioni adducibili dall’ente impositore nell’eventuale successiva fase contenziosa, restando, poi, affidate al giudizio di impugnazione dell’atto le questioni riguardanti l’effettivo verificarsi dei fatti stessi e la loro idoneità a dare sostegno alla pretesa impositiva (tra le tante: Cass., Sez. 5, 8 novembre 2017, n. 26431; Cass., Sez. 5, 26 gennaio 2021, n. 1569; Cass., Sez. 6-5, 3 febbraio 2021, n. 2348; Cass., Sez. 5, 11 giugno 2021, n. 16681; Cass., Sez. 5, 24 agosto 2021, n. 23386; Cass., Sez. 5, 18 novembre 2022, n. 34014; Cass., Sez. 5, 17 ottobre 2023, n. 28758; Cass., Sez. 5, 31 gennaio 2024, n. 2929; Cass., Sez. 5, 12 marzo 2024, n. 6501); né detto onere di motivazione comporta l’obbligo di indicare anche l’esposizione delle ragioni giuridiche relative al mancato riconoscimento di ogni possibile esenzione prevista dalla legge ed astrattamente applicabile, poiché è onere del contribuente dedurre e provare l’eventuale ricorrenza di una causa di esclusione dell’imposta (tra le tante: Cass., Sez. 5, 24 gennaio 2018, n. 1694; Cass., Sez. 5, 24 agosto 2021, n. 23386; Cass., Sez. 5, 7 dicembre 2022, nn. 36028 e 36032; Cass., Sez. 5, 5 agosto 2024, n. 22031).

Emerge quindi dalle considerazioni spese in sentenza che il giudice di appello ha correttamente ritenuto che l’atto impositivo, con la contestazione dell’omesso versamento del tributo per l’anno di riferimento, contenesse un implicito rigetto della pretesa esenzione.

Con il secondo motivo, si denuncia violazione degli artt. 111 Cost., 36, comma 2, n. 4, del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, 132 e 156 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., per essere stato deciso l’appello dal giudice di secondo grado con motivazione carente, illogica o incoerente con riguardo alla prova della qualità di alloggio sociale per ciascun immobile.

Il motivo è fondato.

In particolare, la censura attinge il passaggio motivazionale della sentenza impugnata, secondo cui: Da quanto precisato deriva la conseguenza che incombeva sulla ricorrente l’onere, da essa non assolto, di dimostrare che gli immobili assoggettati a tassazione da parte del Comune di Omissis avessero la caratteristica di alloggi sociali e fossero quindi esenti dall’imposta.

Infatti, è il contribuente a dover provare l’esistenza di una causa di esclusione, mentre l’Amministrazione, contrariamente a quanto affermato dall’A., non ha affatto l’obbligo di indicare le ragioni giuridiche che impediscano il riconoscimento di ogni possibile esenzione (cfr. Cass. Civ., sez. trib., 24/01/2018 n. 1694).

Ma l’A. non ha fornito prova dell’asserito carattere di alloggio sociale degli immobili oggetto dell’avviso di accertamento impugnato, limitandosi ad allegare alcuni contratti di locazione relativi ad alcuni soggetti in possesso dei requisiti, che naturalmente non dimostrano che tutti gli alloggi assoggettati a imposta siano “alloggi sociali”.

Tale carenza di documentazione non consente quindi di attribuire, di per sé, a tutti gli alloggi posseduti dall’A., la qualificazione di “alloggi sociali”, considerata l’eterogenea situazione dei conduttori, molti dei quali – secondo un’affermazione del Comune, contenuta nella memoria di costituzione e non contestata dall’appellante – hanno anche “redditi che consentono di pagare un cospicuo canone di locazione”, e considerato anche che “dal controllo effettuato attraverso le banche dati dell’Anagrafe tributaria e l’Anagrafe civile è emerso che una serie di assegnatari risultano percettori di redditi superiori a quelli previsti per l’assegnazione e l’ottenimento della relativa certificazione fiscale ai sensi delle norme citate dell’odierno resistente (art. 7 D.L. 28.03.2014 n. 47)”.

In proposito, il controricorrente ha eccepito che: “La ricorrente si è limitata ad indicare una presunta contraddittorietà logica, tra il riconoscimento, nel particolare, della prova dei presupposti dell’esenzione, e la negazione di tale prova nella generalità della materia controversa, senza tuttavia indicare e circoscrivere i singoli rapporti d’imposta per i quali la prova dell’esenzione sarebbe stata fornita e sulla cui parte della motivazione, quindi, cadrebbe il vizio denunziato.

Difatti, tenuto conto che l’avviso impugnato riguarda, quanto al presupposto d’imposta, il possesso di un coacervo di immobili, la contraddittorietà denunciata sussisterebbe tutt’al più limitatamente ai pochissimi singoli immobili, per i quali l’A. aveva prodotto i contratti in favore di assegnatari in possesso dei requisiti.

Si tratterebbe cioè di una contraddittorietà solamente parziale, ed una invalidità parziale della sentenza, che pertanto la ricorrente, nell’articolare il motivo di ricorso, avrebbe dovuto tuttavia circoscrivere ed indicare rigorosamente”.

Laddove, sempre a suo dire: “il motivo di ricorso non contiene in alcun modo siffatta necessaria delimitazione, di modo che esso è inammissibile per difetto di specificità, e per carente individuazione della parte della sentenza effettivamente attinta dal motivo”.

Dunque, secondo tale prospettazione, il mezzo sarebbe carente di specificità nell’individuazione del vizio inficiante la sentenza impugnata.

Per giurisprudenza consolidata di questa Corte, il giudizio di cassazione è un giudizio a critica vincolata, delimitato e vincolato dai motivi di ricorso, che assumono una funzione identificativa condizionata dalla loro formulazione tecnica con riferimento alle ipotesi tassative formalizzate dal codice di rito, con la conseguenza che ciascun motivo deve necessariamente possedere i caratteri della tassatività e della specificità ed esige una precisa enunciazione, di modo che il vizio denunciato rientri nelle categorie logiche previste dall’art. 360 cod. proc. civ., richiedendo l’indicazione della rubrica, la puntuale esposizione delle ragioni per cui è proposto, nonché l’illustrazione degli argomenti posti a sostegno della sentenza impugnata e l’analitica precisazione delle considerazioni che, in relazione al motivo, come espressamente indicato nella rubrica, giustificano la cassazione della pronunzia. (tra le tante: Cass., Sez. 6-2, 14 maggio 2018, n. 11603; Cass., Sez. 5, 11 aprile 2019, n. 10142; Cass., Sez. 6-5, 23 ottobre 2019, nn. 27006, 27008, 27009 e 27010; Cass., Sez. Lav., 18 agosto 2020, n. 17224; Cass., Sez. 5, 23 dicembre 2020, n. 29399; Cass., Sez. 5, 11 febbraio 2021, n. 3436; Cass., Sez. 5, 9 marzo 2021, n. 6475; Cass., Sez. 5, 17 marzo 2021, n. 7447; Cass., Sez. 6-5, 25 marzo 2021, n. 8377; Cass., Sez. 5, 11 maggio 2021, n. 12376; Cass., Sez. 1, 19 maggio 2021, n. 13704; Cass., Sez. Un., 8 novembre 2021, n. 32415; Cass., Sez. 6-5, 7 giugno 2022, n. 18299; Cass., Sez. 5, 5 novembre 2023, n. 33906; Cass., Sez. 5, 19 luglio 2024, n. 20002; Cass., Sez. 2, 16 ottobre 2024, n. 26873).

Tuttavia, nella specie, il mezzo può considerarsi tassativo e specifico nel censurare «un insanabile contrasto logico: – tra l’affermazione che l’A. si era limitata ad allegare alcuni contratti di locazione relativi ad alcuni soggetti in possesso dei requisiti che non dimostravano che tutti gli alloggi assoggettati ad imposta erano “alloggi sociali”, con la quale si dava atto del fatto che per gli alloggi oggetto dei contratti prodotti la dimostrazione era stata invece data (;) – e la decisione di negare indistintamente l’esenzione dal tributo per tutti gli alloggi in contestazione, ivi compresi quelli per i quali l’A. aveva prodotto i contratti di locazione, dichiaratamente riconosciuti come “alloggi sociali”», denunciando l’intrinseca incoerenza del sillogismo giudiziale nella deduzione del diniego dell’esenzione per la totalità degli alloggi dalla premessa della produzione documentale di alcuni contratti di assegnazione di alloggi muniti dei requisiti per l’esenzione.

Come è noto l’art. 36, comma 2, n. 4, del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, sulla falsariga dell’art. 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ. (nel testo modificato dall’art. 45, comma 17, della legge 18 giugno 2009, n. 69), dispone che la sentenza: “[…] deve contenere: […] 4) la concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione; […]”.

Per costante giurisprudenza, invero, la mancanza di motivazione, quale causa di nullità della sentenza impugnata, va apprezzata, tanto nei casi di sua radicale carenza, quanto nelle evenienze in cui la stessa si dipani in forme del tutto inidonee a rivelare la ratio decidendi posta a fondamento dell’atto, poiché intessuta di argomentazioni fra loro logicamente inconciliabili, perplesse od obiettivamente incomprensibili (tra le tante: Cass., Sez. 5, 30 aprile 2020, n. 8427; Cass., Sez. 6-5, 15 aprile 2021, n. 9975; Cass., Sez. 5, 20 dicembre 2022, n. 37344; Cass., Sez. 5, 18 aprile 2023, n. 10354; Cass., Sez. 5, 9 aprile 2024, n. 9446).

Peraltro, si è in presenza di una tipica fattispecie di “motivazione apparente”, allorquando la motivazione della sentenza impugnata, pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente e, talora, anche contenutisticamente sovrabbondante, risulta, tuttavia, essere stata costruita in modo tale da rendere impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento decisorio, e quindi tale da non attingere la soglia del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, sesto comma, Cost. (tra le tante: Cass., Sez. 1, 30 giugno 2020, n. 13248; Cass., Sez. 6-5, 25 marzo 2021, n. 8400; Cass., Sez. 6-5, 7 aprile 2021, n. 9288; Cass., Sez. 5, 13 aprile 2021, n. 9627; Cass., Sez. 6-5, 24 febbraio 2022, n. 6184; Cass., Sez. 5, 18 aprile 2023, n. 10354; Cass., Sez. 5, 9 aprile 2024, n. 9446).

In particolare, poi, il vizio di motivazione contraddittoria è rinvenibile soltanto in presenza di un contrasto insanabile ed inconciliabile tra le argomentazioni addotte nella sentenza impugnata, che non consenta la identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione (tra le tante: Cass., Sez. Lav., 17 agosto 2020, n. 17196; Cass., Sez. 6-5, 14 aprile 2021, n. 9761; Cass., Sez. 5, 26 novembre 2021, n. 36831; Cass., Sez. 6-5, 14 dicembre 2021, n. 39885; Cass., Sez. 5, 27 aprile 2022, nn. 13214, 13215 e 13220; Cass., Sez. 5, 23 agosto 2023, n. 25079; Cass., Sez. 5, 2 settembre 2024, n. 23530).

Nella specie, la motivazione della sentenza impugnata evidenzia un palese incongruenza ed incoerenza tra le premesse che «l’A. non ha fornito prova dell’asserito carattere di alloggio sociale degli immobili oggetto dell’avviso di accertamento impugnato, limitandosi ad allegare alcuni contratti di locazione relativi ad alcuni soggetti in possesso dei requisiti, che naturalmente non dimostrano che tutti gli alloggi assoggettati a imposta siano “alloggi sociali”» e che “tale carenza di documentazione non consente quindi di attribuire, di per sé, a tutti gli alloggi posseduti dall’A., la qualificazione di “alloggi sociali” e la conclusione che “l’appello va rigettato, e la sentenza di 1° grado confermata”.

Laddove, la produzione di “alcuni contratti di locazione relativi ad alcuni soggetti in possesso dei requisiti” avrebbe plausibilmente giustificato un parziale accoglimento dell’appello in relazione all’accertamento di taluni immobili in possesso delle caratteristiche di “alloggi sociali”.

La sentenza impugnata è, dunque, nulla, alla luce del consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui il contrasto insanabile tra motivazione e dispositivo della sentenza, poiché non consente di individuare la statuizione del giudice attraverso una valutazione di prevalenza di una delle contrastanti affermazioni contenute nella decisione, non può essere eliminato con il rimedio della correzione degli errori materiali, determinando, invece, la nullità della pronuncia ai sensi dell’art. 156, secondo comma, cod. proc. civ. (tra le tante: Cass., Sez. 5, 30 dicembre 2015, n. 26077; Cass., Sez. 6-1, 27 giugno 2017, n. 16014; Cass., Sez. 2, 12 marzo 2018, n. 5939; Cass., Sez. 6-5, 17 ottobre 2018, n. 26074;Cass., Sez. 5, 15 gennaio 2020, n. 614; Cass., Sez. 6, 9 dicembre 2020, n. 28088; Cass., Sez. 6-5, 14 aprile 2021, n. 9761; Cass., Sez. 5, 5 maggio 2021, n. 11689; Cass., Sez. 6-5, 19 ottobre 2021, n. 28971; Cass., Sez. 5, 24 ottobre 2022, n. 31301; Cass., Sez. 6-5, 21 novembre 2022, n. 34141; Cass., Sez. 6-5, 19 dicembre 2022, n. 37079).

Con il terzo motivo, si denuncia omesso esame di fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., per non essere stato tenuto in conto dal giudice di secondo grado che “gli immobili costituivano fabbricati di civile abitazione, in locazione permanente e destinati ad alloggi sociali nella definizione datane dal Decreto del Ministro delle infrastrutture del 22 aprile 2008 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 146 del 24 giugno 2008), e che, come tali, beneficiavano dell’esenzione IMU di cui all’art. 13, comma 2 lett. b), del D.L. 201/2011, nel testo novellato dall’art. 1, comma 707, della legge 147/2013”.

Con il quarto motivo, si denuncia omesso esame di fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., per non essere stato tenuto in conto dal giudice di secondo grado, “sotto il profilo della mancata ammissione della C.T.U., del fatto discusso tra le parti e decisivo ai fini del giudizio che gli immobili costituivano fabbricati di civile abitazione in locazione permanente e destinati ad alloggi sociali nella definizione datane dal citato Decreto del Ministro delle infrastrutture del 22 aprile 2008, pur essendo tale accertamento tecnico senz’altro decisivo per il giudizio sul punto, tanto da essere stato richiesto da entrambe le parti in causa nel giudizio di primo grado e dall’A. anche nel giudizio di appello”.

Con il quinto motivo, si denunciano, al contempo, violazione degli artt. 24 Cost., 2697 cod. civ., 7, comma 5- bis, e 23 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, e 115 cod. proc. civ., nonché falsa applicazione degli artt. 115 cod. proc. civ., 2727 e 2729 cod. civ., in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per essere stato erroneamente rigettato l’appello dal giudice di secondo grado, “dato che tale statuizione:

  1. ha onerato l’A. della prova dell’esenzione e, nello stesso tempo, non le ha consentito di esercitare il suo diritto di difesa sul punto mediante l’ammissione della C.T.U. richiesta da entrambe le parti in causa;
  2. non ha posto a fondamento della decisione gli elementi di prova in atti ed inoltre ha ritenuto fondato l’avviso di accertamento in mancanza di prova della sua fondatezza;
  3. non ha posto a fondamento della decisione i fatti non specificamente contestati dal Comune ed i documenti prodotti dall’A. circa l’esistenza dell’esenzione, dei quali era evidente la decisività;
  4. ha posto a fondamento della decisione mere deduzioni difensive per di più contestate, le quali non costituivano presunzioni e meno che mai avevano il carattere della gravità, della precisione e della concordanza”.

Con il sesto motivo, si denuncia nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per essere stato omesso dal giudice di secondo grado di pronunciarsi “sulla domanda subordinata dell’A. di dichiarazione di inapplicabilità delle sanzioni irrogate tenuto conto delle difficoltà interpretative del citato articolo 13 del D.L. 201/2011”.

I motivi sono unitariamente assorbiti dall’accoglimento del secondo motivo, rendendosene superfluo ed ultroneo lo scrutinio.

Alla stregua delle suesposte argomentazioni, dunque, valutandosi la fondatezza del secondo motivo, l’infondatezza del primo motivo e l’assorbimento dei restanti motivi, il ricorso può trovare accoglimento entro tali limiti e la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione al motivo accolto con rinvio della causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il secondo motivo, rigetta il primo motivo e dichiara l’assorbimento dei restanti motivi;

cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.


COMMENTO – L’ordinanza n. 29845 del 20 novembre 2024 della Corte di Cassazione, sezione tributaria, offre lo spunto per una riflessione approfondita su alcuni snodi fondamentali del contenzioso in materia di IMU, con particolare riferimento al regime delle esenzioni per gli alloggi sociali. Sebbene il provvedimento non rivesta la forma della sentenza a sezioni unite né proponga un revirement giurisprudenziale, esso si colloca nel solco di un orientamento ormai consolidato e al contempo si segnala per alcune puntualizzazioni di rilievo sul piano delle garanzie processuali. In particolare, la decisione mette a fuoco due profili centrali del giudizio tributario: da un lato, il corretto riparto dell’onere della prova in relazione a benefici fiscali; dall’altro, il dovere di motivazione che incombe sia sull’Amministrazione finanziaria nella redazione dell’atto impositivo, sia, e soprattutto, sul giudice tributario nell’esercizio della funzione decisoria.

La vicenda oggetto del giudizio trae origine dall’impugnazione di un avviso di accertamento IMU notificato da un Comune nei confronti di un ente pubblico economico – nella specie, una Azienda territoriale per l’edilizia residenziale – per un importo superiore a 700.000 euro, relativo all’anno d’imposta 2018. Il Comune contestava l’omessa imposizione per numerosi immobili che, secondo l’ente impositore, non avrebbero potuto beneficiare dell’esenzione IMU prevista per gli alloggi sociali. Il contribuente, dal canto suo, rivendicava l’esenzione sostenendo che gli immobili rientravano nella definizione di “alloggi sociali” ai sensi del decreto ministeriale 22 aprile 2008. 

Dopo un primo grado conclusosi con accoglimento parziale, in cui il giudice aveva riconosciuto la spettanza del beneficio per taluni cespiti, la Commissione tributaria regionale aveva rigettato l’appello del contribuente, escludendo l’applicabilità dell’esenzione e addebitando alla parte ricorrente l’incapacità di fornire prova adeguata della destinazione sociale degli immobili. 

La pronuncia di secondo grado si caratterizzava, peraltro, per una motivazione estremamente sintetica, priva di un adeguato approfondimento delle ragioni per le quali la documentazione prodotta fosse stata ritenuta inidonea a provare il diritto all’esenzione.

Il ricorso per Cassazione proposto dall’ente pubblico era incentrato su due censure: l’una relativa alla violazione delle regole sull’onere probatorio; l’altra concernente un vizio motivazionale, per avere la sentenza impugnata omesso di indicare puntualmente le ragioni della propria decisione.

Sul primo punto, l’ordinanza in esame riafferma un principio ormai stabilizzato nella giurisprudenza di legittimità: le esenzioni e le agevolazioni tributarie, costituendo deroga alla regola generale dell’imposizione, devono essere provate dal contribuente che intende beneficiarne. 

Tale assunto si fonda sul disposto dell’art. 2697 c.c., ma trova riscontro anche nella logica dell’art. 53 Cost., secondo cui la capacità contributiva costituisce il parametro generale di riferimento dell’imposizione. 

In questo quadro, le agevolazioni non possono essere presunte, né possono derivare da elementi di fatto generici o indimostrati. La giurisprudenza ha più volte sottolineato che l’onere della prova grava integralmente sulla parte che invoca un regime fiscale di favore e che nel caso di specie implica che il contribuente ha l’obbligo di dimostrare l’effettiva sussistenza, per ciascun immobile, dei presupposti richiesti dalla normativa agevolativa.

Si inscrive in questo solco ad esempio,  la Cass. civ., sez. trib., ord. 24 gennaio 2018, n. 1694, la quale, in linea di continuità con un consolidato orientamento, ha affermato che: “in materia di agevolazioni fiscali, l’onere della prova circa la sussistenza dei requisiti per fruirne incombe sul contribuente, mentre l’amministrazione finanziaria, nella motivazione dell’atto impositivo, non è tenuta ad esaminare né a confutare puntualmente tutte le possibili cause di esenzione astrattamente ipotizzabili, essendo sufficiente che l’atto stesso contenga gli elementi essenziali in ordine al presupposto impositivo, al soggetto passivo, all’oggetto ed alla quantificazione del tributo.”

Tale principio, come ribadito nell’ordinanza n. 29845/2024, si pone a presidio del corretto riparto dell’onere probatorio nel contenzioso tributario, evitando un aggravio ingiustificato in capo all’Amministrazione, la quale non può essere chiamata a motivare il rigetto di ogni esenzione puramente teorica, quando difetti un’adeguata allegazione da parte del contribuente.

Nel caso degli alloggi sociali, la disciplina di riferimento – il D.M. 22 aprile 2008 – impone la verifica puntuale di una pluralità di requisiti strutturali, urbanistico desumersi in via automatica dalla natura del soggetto proprietario o dalla finalità istituzionale perseguita.

Particolarmente significativo, nella logica motivazionale dell’ordinanza in commento, è il richiamo operato dalla Suprema Corte alla propria ordinanza n. 14511 del 23 maggio 2024, che viene citata espressamente nel corpo della decisione quale presupposto essenziale per la corretta delimitazione dell’ambito applicativo dell’esenzione IMU in favore degli alloggi sociali. La Cassazione, in quell’occasione, ha ribadito un principio ormai consolidato, ossia che il beneficio fiscale previsto dall’art. 13, comma 2, lett. b), del D.L. 201/2011 (come modificato dall’art. 4, comma 2, del D.L. 31 agosto 2013, n. 102, conv. in L. 28 ottobre 2013, n. 124) non ha carattere generalizzato e non può automaticamente estendersi a tutto il patrimonio immobiliare detenuto o gestito dagli ex IACP o dagli enti di edilizia residenziale pubblica, ma riguarda esclusivamente le unità immobiliari che rispettino in concreto i requisiti strutturali e funzionali indicati nel D.M. 22 aprile 2008.

In altre parole, la pronuncia n. 14511/2024 ha precisato che l’esenzione non discende dalla sola qualificazione pubblicistica dell’ente proprietario o gestore né dall’astratta destinazione sociale del patrimonio immobiliare, bensì presuppone una verifica puntuale, cespite per cespite, circa la conformità dell’immobile alle caratteristiche definite dalla normativa secondaria, con riferimento sia agli standard costruttivi sia alle modalità di assegnazione e di canone agevolato. Come emerge testualmente da quella ordinanza, la Corte ha chiarito che:” l’esenzione di cui all’art. 13, comma 2, lett. b), D.L. n. 201/2011 (…) spetta solo agli immobili effettivamente qualificabili come “alloggi sociali” ai sensi del D.M. 22 aprile 2008, non potendo ritenersi estesa in via automatica a tutti gli immobili detenuti o gestiti dagli enti pubblici di edilizia residenziale, in quanto la ratio dell’agevolazione si collega all’effettivo perseguimento di finalità sociali attraverso la locazione a canoni calmierati e con specifici requisiti soggettivi e oggettivi.”

L’ordinanza n. 29845/2024, oggetto del presente commento, si pone dunque in linea di perfetta continuità con tale indirizzo, muovendo dalla constatazione che il giudice d’appello aveva omesso di compiere proprio quel necessario esame analitico dei requisiti concreti degli immobili dedotti in giudizio. Infatti, la Corte ha censurato la motivazione resa dalla CTR, osservando come essa avesse riconosciuto in astratto la natura “sociale” di una parte degli alloggi, salvo poi negare l’esenzione in blocco per l’intero patrimonio immobiliare senza specificare né distinguere, immobile per immobile, quali fossero gli elementi ritenuti ostativi al beneficio. Tale lacunosità motivazionale, stigmatizzata dalla Cassazione, ha condotto alla cassazione con rinvio, proprio in forza del principio già scolpito nella citata ordinanza n. 14511/2024, secondo cui il diritto all’esenzione non può fondarsi su valutazioni genericamente riferite alla natura istituzionale dell’ente, ma richiede un puntuale riscontro probatorio circa l’effettivo utilizzo degli immobili secondo le finalità sociali normativamente definite.

Non a caso, nella motivazione dell’ordinanza n. 29845/2024 si legge che: “La pronuncia d’appello non ha dato adeguato conto delle ragioni per cui la documentazione prodotta dalla contribuente fosse inidonea a dimostrare il diritto all’esenzione, omettendo di distinguere tra i vari immobili e di verificare, per ciascuno di essi, la sussistenza dei requisiti previsti dal D.M. 22 aprile 2008, come già affermato da questa Corte con ordinanza n. 14511 del 2024.”

Tale coordinamento giurisprudenziale evidenzia come la Suprema Corte tenda a costruire, in materia di IMU sugli alloggi sociali, una rete interpretativa solida e coerente, nella quale il riparto dell’onere probatorio e l’esigenza di una motivazione giudiziale rigorosa costituiscono gli assi portanti per evitare tanto indebite elusioni d’imposta quanto ingiustificate negazioni di benefici fiscali. La Cassazione, anche nella pronuncia in esame, mostra dunque la ferma intenzione di impedire letture eccessivamente estensive delle norme agevolative, salvaguardando al tempo stesso il diritto del contribuente a ottenere un esame puntuale e individualizzato della propria posizione tributaria.

Facendo riferimento pertanto anche al contenuto di pronunce precedenti (come la citata Cass. civ., sez. trib., n. 14511/2024), per la Suprema Corte non è sufficiente la mera qualifica soggettiva dell’ente o la destinazione generale a edilizia residenziale pubblica: è necessaria la documentazione analitica, immobile per immobile, attestante il possesso dei requisiti previsti dalla normativa tecnica e fiscale. L’ordinanza in commento ribadisce dunque l’esigenza di una prova rigorosa, da fornire attraverso titoli abilitativi, contratti di locazione agevolata, documenti catastali aggiornati e ogni altro elemento utile alla verifica.

Tale rigorosità, tuttavia, non può essere disgiunta dal principio del giusto processo e dall’effettività del contraddittorio. Laddove il contribuente abbia fornito un principio di prova, il giudice di merito non può liquidare la questione con formule apodittiche o stereotipate. 

La Cassazione censura proprio questo aspetto della sentenza d’appello: la pronuncia impugnata aveva riconosciuto la natura sociale di alcuni immobili, ma aveva omesso di spiegare per quali motivi gli altri non potessero considerarsi analogamente esenti. Tale omissione, secondo la Corte, si traduce in un vizio di motivazione meramente apparente, idoneo a determinare la nullità della decisione per violazione dell’art. 132, n. 4 c.p.c., in combinato disposto con l’art. 360, n. 4 c.p.c.

Si delinea qui un principio generale: se è vero che il contribuente deve fornire prova rigorosa dei presupposti per l’esenzione, è altrettanto vero che il giudice deve motivare in modo circostanziato ogni rigetto, specialmente quando la decisione si fondi su un apprezzamento della documentazione prodotta. La sentenza non può limitarsi a constatare l’ “inidoneità” della prova, ma deve esplicitare in che cosa consista tale inidoneità: se vi siano elementi assenti, dati contraddittori, lacune documentali, carenza di conformità rispetto ai criteri normativi. In assenza di tale motivazione, viene meno la funzione epistemologica e garantista della sentenza stessa, che deve non solo risolvere la controversia, ma anche consentire alle parti (e al giudice di legittimità) di comprendere il percorso logico seguito.

Da questo punto di vista, l’ordinanza n. 29845/2024 si inserisce in un filone giurisprudenziale più ampio, volto a rafforzare le garanzie del processo tributario attraverso una lettura costituzionalmente orientata dell’obbligo motivazionale. La motivazione, infatti, non è un mero adempimento formale o burocratico, ma costituisce – nella prospettiva delineata dalla giurisprudenza costituzionale e di legittimità – il fondamento stesso della legittimità della funzione giurisdizionale. 

Come ha sottolineato la Corte costituzionale nella sentenza n. 109 del 2022, il dovere di motivazione rappresenta un presidio indefettibile del diritto di difesa e del principio di imparzialità del giudice, in quanto consente alle parti di comprendere le ragioni della decisione, di valutarne la correttezza e di predisporre eventuali mezzi di impugnazione in modo consapevole ed efficace.

La motivazione, dunque, assolve a una funzione di garanzia sia sul piano soggettivo, tutelando il diritto della parte a conoscere l’iter logico-giuridico seguito dal giudice, sia sul piano oggettivo, quale strumento di controllo democratico sull’esercizio della giurisdizione. Anche nel giudizio tributario – pur con le peculiarità che lo distinguono da altri procedimenti civili, specie per la presenza di un interesse pubblico all’accertamento dell’obbligazione fiscale – la motivazione deve soddisfare criteri di coerenza, chiarezza e sufficienza. Ciò significa che il giudice non può limitarsi a formulare affermazioni apodittiche o generiche, ma deve esplicitare in modo analitico i passaggi logici e giuridici che hanno condotto alla decisione. La carenza o la contraddittorietà di motivazione, come afferma costantemente la Corte di cassazione, costituisce vizio rilevante e può condurre alla nullità della sentenza, poiché impedisce alle parti di esercitare appieno il diritto di difesa.

L’ordinanza in esame, dunque, si pone in linea di continuità con questa tradizione giurisprudenziale, nella misura in cui ribadisce che il giudice tributario non può respingere una domanda di esenzione – o, all’opposto, accoglierla in via generalizzata – senza dare adeguatamente conto delle ragioni fattuali e giuridiche alla base del proprio convincimento. Tanto più in materia di agevolazioni fiscali, dove l’applicazione selettiva delle norme di favore presuppone un’indagine concreta e puntuale sulle condizioni di legge, con oneri probatori ben distribuiti tra contribuente e Amministrazione finanziaria.

Significativo, sotto questo profilo, è il monito espresso dalla Corte costituzionale nella citata sentenza n. 109/2022, la quale ha chiarito che il deficit motivazionale non è un vizio meramente formale, ma incide direttamente sul diritto delle parti a un processo equo, ai sensi dell’art. 111 Cost. e dell’art. 6 CEDU. In altri termini, una motivazione insufficiente o contraddittoria equivale a una sostanziale negazione di giustizia, poiché svuota di contenuto il diritto delle parti a comprendere e contestare le decisioni che le riguardano.

In quest’ottica, la pronuncia n. 29845/2024 contribuisce a consolidare l’orientamento secondo cui, anche nel processo tributario, la motivazione rappresenta non soltanto una garanzia procedimentale, ma il riflesso concreto del principio di legalità e del buon andamento della giurisdizione, a tutela tanto dell’interesse pubblico alla corretta riscossione dei tributi quanto dei diritti fondamentali del contribuente.

L’ordinanza in commento fornisce anche importanti indicazioni operative per gli enti gestori di edilizia residenziale pubblica. E’ oramai pacifico infatti che la giurisprudenza esclude categoricamente l’esistenza di una presunzione generale di esenzione per il patrimonio immobiliare degli enti pubblici. Di conseguenza, sarà onere dell’ente predisporre un fascicolo documentale per ciascun immobile, corredato da tutti gli atti necessari a dimostrare la natura sociale e la rispondenza ai parametri del D.M. 22 aprile 2008. L’eventuale assenza di tale prova comporta l’impossibilità di invocare il beneficio fiscale.

Infine, il provvedimento della Cassazione apre una prospettiva anche sul piano normativo. La ripetitività delle controversie in materia di alloggi sociali potrebbe indurre il legislatore ad adottare misure di semplificazione, quali la previsione di un regime documentale standardizzato, o di convenzioni fra enti locali e soggetti gestori per la verifica preventiva della spettanza del beneficio. In alternativa, si potrebbe ipotizzare l’inserimento nello Statuto dei diritti del contribuente di una previsione specifica sulla motivazione degli avvisi IMU in presenza di pretese esenzioni già formalizzate.

In conclusione, l’ordinanza n. 29845/2024 ribadisce il principio, fondamentale nel diritto tributario, per cui il riconoscimento di un’esenzione richiede la dimostrazione rigorosa dei presupposti da parte del contribuente. Ma al tempo stesso, essa sottolinea che la pretesa fiscale e la decisione giudiziaria non possono fondarsi su presunzioni o automatismi, bensì devono poggiare su motivazioni adeguate, chiare e intellegibili. In questo equilibrio tra rigore probatorio e garanzie procedurali si gioca gran parte della legittimità del processo tributario contemporaneo.

Dott. Francesco Foglia