Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, sentenza del 25 settembre 2020, n. 19


FATTO e DIRITTO

  1. Con la sentenza in epigrafe, il TAR per la Campania – Sezione staccata di Salerno pronunciava definitivamente sul ricorso n. 508 del 2019, proposto dalla signora ALFA ai sensi dell’art. 116 cod. proc. amm. avverso il diniego dell’istanza presentata dalla ricorrente il 7 febbraio 2019 all’Agenzia delle entrate Direzione provinciale di Salerno – in pendenza del giudizio di separazione giudiziale promosso dal coniuge BETA ai sensi dell’art. 151 cod. civ. dinanzi al Tribunale ordinario di Nocera Inferiore, nel cui ambito la ricorrente aveva formulato richiesta di addebito e proposto domande di determinazione dell’assegno di mantenimento e di assegnazione della casa familiare -, vòlta ad accedere ed estrarre copia (d)alla documentazione fiscale, reddituale e patrimoniale (compresi eventuali contratti di locazione a terzi di immobili di proprietà e/o comproprietà del coniuge) riferibile al coniuge, conservata nell’anagrafe tributaria, nonché (d)alle comunicazioni inviate dagli operatori finanziari all’anagrafe tributaria e conservate nella sezione archivio dei rapporti finanziari, relative alle operazioni finanziarie riferibili allo stesso coniuge.

L’Agenzia delle entrate, con nota comunicata via pec il 4 aprile 2019, aveva negato l’accesso sulla base del rilievo che il controinteressato si era opposto e, con specifico riferimento alla documentazione della sezione archivio dei rapporti finanziari, che era comunque necessaria la previa autorizzazione del giudice investito della causa di separazione.

Il TAR accoglieva il ricorso, rilevando che in pendenza del giudizio di separazione o di divorzio l’accesso alla documentazione fiscale, reddituale, patrimoniale e finanziaria dell’altro coniuge doveva ritenersi “oggettivamente utile” al perseguimento del fine di tutela, e ordinando di conseguenza all’amministrazione resistente di esibire alla ricorrente la documentazione da essa richiesta con l’istanza del 7 febbraio 2019 e di consentirne l’estrazione di copia.

  1. Avverso tale sentenza interponeva appello l’amministrazione soccombente, fondato su un unico motivo, con il quale censurava l’erroneità dell’impugnata sentenza nella parte in cui aveva ritenuto accessibili i dati dell’anagrafe tributaria, ivi compresi quelli contenuti nella sezione archivio dei rapporti finanziari, senza l’autorizzazione del giudice della causa principale ai sensi dell’art. 492-bis cod. proc. civ., avendo il TAR omesso di considerare il rapporto di specialità intercorrente tra la normativa contenuta negli artt. 492-bis cod. proc. civ. e 155-sexies disp. att. cod. proc. civ. e la disciplina dell’accesso documentale di cui alla legge n. 241/1990, ostativo all’applicazione di quest’ultima disciplina, e dovendo l’indispensabilità del documento ai fini della tutela giurisdizionale essere intesa (anche) come impossibilità di acquisire il documento attraverso le forme processuali tipiche già previste dall’ordinamento.

L’amministrazione appellante chiedeva pertanto la riforma dell’impugnata sentenza, previa sospensione della sua provvisoria esecutorietà.

  1. L’originaria ricorrente si costituiva nel presente grado, contestando la fondatezza dell’appello e chiedendone la reiezione.
  2. La Quarta Sezione del Consiglio di Stato, investita della causa d’appello, all’esito dell’udienza camerale del 23 gennaio 2020 fissata per la discussione della domanda cautelare e previo preavviso alle parti presenti ai sensi dell’art. 73, comma 3, cod. proc. amm., pronunciava l’ordinanza collegiale n. 890/2020, con la quale, a fronte dei contrasti giurisprudenziali insorti sulla questione centrale di diritto devoluta in appello, rimetteva gli atti all’Adunanza plenaria ai sensi dell’art. 99, comma 1, cod. proc. amm., ponendo le seguenti questioni:

a) se i documenti reddituali (le dichiarazioni dei redditi e le certificazioni reddituali), patrimoniali (i contratti di locazione immobiliare a terzi) e finanziari (gli atti, i dati e le informazioni contenuti nell’Archivio dell’Anagrafe tributaria e le comunicazioni provenienti dagli operatori finanziari) siano qualificabili quali documenti e atti accessibili ai sensi degli artt. 22 e ss. della legge n. 241 del 1990;

  1. b) in caso positivo, quali siano i rapporti tra la disciplina generale riguardante l’accesso agli atti amministrativi ex lege n. 241/1990 e le norme processuali civilistiche previste per l’acquisizione dei documenti amministrativi al processo (secondo le previsioni generali, ai sensi degli 210 e 213 del cod. proc. civ.; per la ricerca telematica nei procedimenti in materia di famiglia, ai sensi del combinato disposto di cui artt. 492-bis del cod. proc. civ. e 155-sexies delle disp. att. del cod. proc. civ.);
  2. c) in particolare, se il diritto di accesso ai documenti amministrativi ai sensi della legge n. 241/1990 sia esercitabile indipendentemente dalle forme di acquisizione probatoria previste dalle menzionate norme processuali civilistiche, o anche – eventualmente – concorrendo con le stesse;
  3. d) ovvero se – all’opposto – la previsione da parte dell’ordinamento di determinati metodi di acquisizione, in funzione probatoria di documenti detenuti dalla Pubblica Amministrazione, escluda o precluda l’azionabilità del rimedio dell’accesso ai medesimi secondo la disciplina generale di cui alla legge n. 241 del 1990;
  4. e) nell’ipotesi in cui si riconosca l’accessibilità agli atti detenuti dall’Agenzia delle Entrate (dichiarazioni dei redditi, certificazioni reddituali, contratti di locazione immobiliare a terzi, comunicazioni provenienti dagli operatori finanziari ed atti, dati e informazioni contenuti nell’Archivio dell’Anagrafe tributaria), in quali modalità va consentito l’accesso ai medesimi, e cioè se nella forma della sola visione, ovvero anche in quella dell’estrazione della copia, ovvero ancora per via telematica“.
  5. La camera di consiglio per la trattazione della causa ex art. 87, comma 2, lettera c), cod. proc. amm., originariamente fissata all’11 marzo 2020, è stata rinviata all’odierna udienza camerale con d.P.C.S. n. 68 del 9 marzo 2020 (ai sensi dell’art. 3, comma 1, d.-l. n. 11/2020) e si è svolta secondo le modalità di cui all’art. 84, commi 5, d.-l. n. 18/2020 (nella versione applicabile ratione temporis), al cui esito la causa è stata decisa secondo le modalità di cui al comma 6 del citato art. 84.

La difesa erariale, nella memoria difensiva depositata il 22 maggio 2020, ha chiesto il differimento dell’odierna udienza camerale “onde consentire […] – posta la complessità delle questioni giuridiche sollevate e la rilevanza che la risoluzione delle stesse riveste per l’Amministrazione resistente – di svolgere compiutamente il proprio diritto di difesa mediante discussione orale della controversia in conformità ad una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 84, comma 5 del Decreto Legge n. 18/2020 recentemente fornita da Codesto Ecc.mo Consiglio (v. Cons. di Stato, Sez. VI, ord. 21 aprile 2020, n. 2539)” (v. così, testualmente, p. 1 della memoria).

  1. Preliminarmente si osserva che non può trovare accoglimento l’istanza di differimento dell’odierna udienza camerale, quale formulata dalla difesa erariale.

Infatti, considerato che si verte in fattispecie di procedimento camerale ex art. 87, comma 2, lettera c), cod. proc. amm., assoggettato a un rito accelerato, si pone un’esigenza specifica di tutela del diritto dell’originaria ricorrente alla ragionevole durata del processo, da ritenersi prevalente sulle esigenze difensive prospettate in via astratta e generica a suffragio della richiesta di differimento in funzione di una discussione orale.

A ciò si aggiunga che l’amministrazione appellante ha, comunque, svolto le proprie difese di merito nella memoria difensiva depositata il 22 maggio 2020, sicché non si pone questione alcuna di rimessione in termini, peraltro neppure richiesta.

6.1 In via preliminare di rito occorre, inoltre, precisare che, alla luce della situazione di soccombenza dell’originario controinteressato BETA, parte del giudizio di primo grado (ed ivi non costituito in giudizio), quest’ultimo per un verso era autonomamente legittimato ad impugnare la pronuncia ad esso sfavorevole, assumendo quindi la veste di cointeressato all’appello (in concorso con l’amministrazione appellante), e per altro verso è privo di interesse a contraddire rispetto all’appello proposto dall’amministrazione, con la conseguenza che la mancata notificazione dell’appello al predetto non comporta la necessità di disporre l’integrazione del contraddittorio nei suoi confronti (sul principio processuale amministrativo, per cui nel giudizio di appello proposto dall’amministrazione resistente soccombente in primo grado gli originari controinteressati, avendo una posizione coincidente con essa, sono privi di interesse a contraddire e non devono quindi essere evocati in giudizio, v. Cons. Stato, Sez. IV, 8 ottobre 2013, n. 4930; CGARS, 1° giungo 2012, n. 509).

  1. La Sezione rimettente, nel deferire le questioni sub 4 all’esame all’Adunanza plenaria, ha precisato che esse riguardano tutti i documenti dell’anagrafe tributaria oggetto dell’istanza di accesso dell’originaria ricorrente, e non solo quelli inseriti nella sezione archivio dei rapporti finanziari.

7.1 Sulla prima questione, relativa alla qualificazione dei documenti dell’anagrafe tributaria quali documenti amministrativi ai fini dell’accesso difensivo, la Sezione rimettente non ha registrato alcuno specifico contrasto giurisprudenziale, mentre in ordine alla tematica del rapporto tra l’istituto dell’accesso difensivo di cui all’art. 24, comma 7, l. n. 241/1990 e le norme processuali disciplinanti l’acquisizione dei documenti amministrativi al processo civile (sia secondo le previsioni generali, ai sensi degli artt. 210,211 e 213 cod. proc. civ., sia secondo le previsioni speciali nei procedimenti in materia di famiglia, ai sensi del combinato disposto degli artt. 492-bis cod. proc. civ. e 155-sexies disp. att. cod. proc. civ.), su cui s’incentra la questione principale deferita all’Adunanza plenaria, ha segnalato un aperto contrasto di giurisprudenza insorto all’interno della Quarta Sezione, nei seguenti termini.

7.1.1 Secondo una prima tesi, sostenuta nelle sentenze n. 2472/2014, n. 5347/2019 e n. 5910/2019 e a favore della quale mostra di propendere il Collegio rimettente, il diritto di accesso ai documenti amministrativi ai sensi degli artt. 22 ss. l. n. 241/1990 è esercitabile indipendentemente dalle forme di acquisizione probatoria previste dalle citate norme processualcivilistiche.

A suffragio di tale tesi sono addotti i seguenti argomenti:

– tra le due discipline non sussiste un rapporto di specialità, bensì di concorrenza (anche cumulativa) e di complementarietà;

– la disciplina sull’accesso agli atti amministrativi, attese le sue rilevanti finalità di pubblico interesse, costituisce – ai sensi dell’art. 22, comma 2, l. n. 241/1990 – “principio generale dell’attività amministrativa“;

– la ratio dell’istituto può essere ravvisata nei principi di imparzialità, trasparenza e buon andamento sanciti dall’art. 97 Cost. (Ad. plen. 18 aprile 2006, n. 6) e nell’esigenza di agevolare gli interessati nell’ottenere gli atti per valutare se sia il caso di agire in giudizio a tutela di una propria posizione giuridica (Cons. Stato, Sez. IV, 12 marzo 2009, n. 1455), non potendosi ravvisare ‘zone franche’ in cui non rilevino i principi sopra richiamati (Ad. plen., 24 giugno 1999, n. 16);

– l’affermazione del diritto di accesso è estrinsecazione, oltre che del principio di effettività della tutela giurisdizionale, anche della tutela dei diritti fondamentali dei familiari, in particolare dei figli minorenni, questi ultimi tutelati dall’art. 5 del settimo protocollo addizionale della CEDU e dagli artt. 29 e 30 della Costituzione;

– il consolidato indirizzo seguito dalla giurisprudenza amministrativa ammette, senza limitazioni, l’esercizio del diritto di accesso ai documenti amministrativi e la conseguente applicazione della relativa disciplina sostanziale e processuale, anche in pendenza di un giudizio ‘principale’ civile (Cons. Stato, Sez. VI, 15 novembre 2018, n. 6444; Cons. Stato, Sez. VI, 21 marzo 2018, n. 1805);

– l’ampliamento dei poteri istruttori del giudice ordinario civile (il cui esercizio ha natura discrezionale) nell’acquisizione delle informazioni e dei documenti patrimoniali e finanziari nei procedimenti in materia di famiglia (art. 337-ter, comma 6, cod. civ.; art. 5, comma 9, l. n. 898/1970; art. 736-bis, comma 2, cod. proc. civ.; art. 155-sexies disp. att. cod. proc. civ. in relazione all’art. 492-bis cod. proc. civ.) rispetto ai poteri istruttori generali già previsti dagli artt. 210, 211 e 213 cod. proc. civ. (anch’essi, parimenti, di natura discrezionale) non può costituire un ostacolo all’accesso difensivo (anche a prescindere dalla circostanza che le istanze istruttorie proposte nel giudizio non siano state accolte), né dar luogo ad ipotesi derogatorie alla disciplina in materia di accesso alla documentazione (salvo, in ipotesi, predicare un ingiustificato ridimensionamento della disciplina generale sull’accesso, fuori dei casi e dei modi contemplati dall’ordinamento);

– la piena esplicazione del diritto di difesa non può dipendere dalla spontanea produzione in giudizio della controparte, né dall’esercizio discrezionale del potere acquisitivo da parte del giudice, il quale potrebbe non consentire l’accesso secondo le logiche tipiche che ispirano il giudizio civile nella formazione e nell’acquisizione della prova, con effetti deteriori sulla piena esplicazione del diritto di difesa;

– l’accesso ai documenti, inoltre, potrebbe essere esperito anche prima e indipendentemente dalla pendenza del procedimento civile, allo scopo di impedire il verificarsi degli effetti negativi discendenti dal cd. ricorso ‘al buio’ e di poter valutare, a monte, la convenienza o l’opportunità dell’instaurazione del processo, con effetti deflattivi sul contenzioso giudiziario (Cons. Stato, Sez. V, 18 dicembre 1997, n. 1591; Cons. Stato, Sez. IV, 6 marzo 1995, n. 158);

– l’accesso pieno ed integrale alla condizione reddituale, patrimoniale ed economico-finanziaria delle parti processuali – siano essi coniugi o conviventi di fatto, anche rispetto ai figli minorenni o maggiorenni ma non economicamente indipendenti – è da considerare precondizione necessaria per l’uguale trattamento giuridico nell’ambito di tutti i procedimenti di famiglia;

– nei procedimenti in materia di famiglia, connotati dall’attribuzione al giudice civile di ampi e specifici poteri istruttori esercitabili anche d’ufficio (v. sopra), le lacune istruttorie spesso si verificano a cagione del comportamento processuale di una parte a danno dell’altra, inottemperante o parzialmente ottemperante agli obblighi di deposito, il cui superamento postula l’utilizzo di tecniche di indagine molto invasive, soprattutto per la sfera giuridica dei terzi estranei (es. le indagini fiscali e tributarie), con notevole dispiegamento dell’energia della forza pubblica (ad es. Guardia di Finanza); inoltre, occorre considerare che tali indagini difficilmente sono autorizzate dal giudice civile in assenza di puntuali, specifici e ben motivati elementi conoscitivi (Cass. Civ., Sez. 1, 6 giugno 2013, n. 14336; id., Sez. 1, 20 settembre 2013, n. 21603; id., Sez. 6, 15 novembre 2016, n. 23263; id., Sez. 1, 4 aprile 2019, n. 9535);

– con specifico riferimento alla documentazione finanziaria detenuta dall’Agenzia delle entrate, il divieto contenuto nella circolare del 10 ottobre 2017, relativo all’accesso alle “risultanze derivanti dall’Archivio dei rapporti finanziari“, in assenza dell’autorizzazione del Tribunale, è privo di base legale;

– la questione va risolta facendo applicazione dell’art. 24, comma 7, l. n. 241/1990, procedendo al bilanciamento degli interessi contrapposti sulla base degli artt. 59 e 60 d. lgs. n. 196/2003 e del d.m. 29 ottobre 1996, n. 603, il cui art. 5, per un verso, sottrae tali documenti all’accesso inteso come diritto alla copia, ma, corrispondentemente, garantisce “la visione degli atti dei procedimenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per la cura o la difesa degli interessi giuridicamente rilevanti propri di coloro che ne fanno motivata richiesta“.

7.1.2 Secondo la tesi opposta, propugnata dalla sentenza n. 3461/2017 della Quarta Sezione, la previsione da parte dell’ordinamento di determinati metodi di acquisizione, in funzione probatoria, di documenti detenuti dalla pubblica amministrazione, esclude invece l’azionabilità del rimedio dell’accesso ai documenti medesimi secondo la disciplina di cui alla legge n. 241/1990.

Tale tesi parte dalla considerazione (richiamando Ad. plen. 18 aprile 2006, n. 6) che il diritto di accesso è una situazione soggettiva che, più che fornire utilità finali, risulta caratterizzata per il fatto di offrire al titolare dell’interesse poteri di natura procedimentale volti in senso strumentale alla tutela di un interesse giuridicamente rilevante (diritti o interessi), e ne trae i seguenti corollari:

– il diritto di accesso si presenta come posizione strumentale riconosciuta ad un soggetto che sia già titolare di una diversa situazione giuridicamente tutelata (diritto soggettivo o interesse legittimo, e, nei casi ammessi, titolarità esponenziale di interessi collettivi o diffusi), e che abbia, in collegamento a quest’ultima, un interesse diretto, concreto ed attuale ad acquisire mediante accesso uno o più documenti amministrativi;

– la posizione giuridica soggettiva preesistente, cui strumentalmente inerisce il diritto di accesso, non può essere individuata nel mero e autonomo ‘diritto all’informazione’, né nell’accesso civico a dati e documenti dell’amministrazione;

– il “diritto” di accesso si presenta privo di una sua sostanziale autonomia, essendo esso sempre ricollegato, appunto, a status e posizioni soggettive, alla cui affermazione e/o tutela strumentalmente si accompagna, di modo che proprio perché è esso stesso posizione strumentale non può essere configurato come diritto fondamentale e autonomo rispetto a qualsiasi altro tipo di azione;

– il problema da sciogliere è quindi se, allorché l’ordinamento giuridico preveda particolari procedimenti e modalità di acquisizione di documenti detenuti dalla pubblica amministrazione, il diritto di accesso sia esercitabile (o meno) indipendentemente dalle forme di acquisizione probatoria previste dalle norme processuali, ovvero anche in modo concorrente e complementare con queste ultime.

Dati i presupposti in ragione dei quali l’acquisizione di documenti amministrativi al processo civile è disciplinata dal codice di rito, e considerato che il giudizio nel cui ambito una delle parti intende utilizzare documenti detenuti da pubbliche amministrazioni è un giudizio tra soggetti privati, al quale la pubblica amministrazione è totalmente estranea, l’orientamento all’esame perviene all’affermazione dei seguenti principi:

– la disciplina codicistica garantisce la necessaria tutela giurisdizionale anche in punto di acquisizione di documenti detenuti dalla pubblica amministrazione;

– proprio in quanto i documenti da utilizzare nel processo (e detenuti dalla pubblica amministrazione) riguardano una delle due parti private in giudizio, al diritto alla tutela giurisdizionale del soggetto, che intende avvalersi dei documenti amministrativi, occorre contrapporre l’altrettanto riconosciuto e tutelato diritto di difesa dell’altra parte;

– infatti, le norme processualcivilistiche sottopongono alla valutazione del giudice la esibizione di documenti ordinata al terzo (artt. 211,213,492-bis cod. proc. civ.), in quanto l’acquisizione di prove documentali non può che avvenire se non nella sede tipica processuale e nel rispetto del principio del contraddittorio, e il giudice “deve cercare di conciliare nel miglior modo possibile l’interesse della giustizia col riguardo dovuto ai diritti del terzo“, se del caso ordinandone la citazione in giudizio (art. 211 cod. proc. civ.);

– la possibilità di acquisire extra iudicium i documenti amministrativi, dei quali una delle parti intende avvalersi in giudizio, si tradurrebbe in una forma di singolare “aggiramento” delle norme che governano l’acquisizione delle prove e costituirebbe un vulnus al diritto di difesa dell’altra parte, la quale, lungi dal potersi difendere nella sede tipica prevista dall’ordinamento processuale, si troverebbe a dover esporre le proprie ragioni non già dinanzi ad un giudice, bensì dinanzi alla pubblica amministrazione, in qualità di soggetto controinteressato;

– se l’accesso ai documenti amministrativi è riconosciuto in funzione di una “situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso” (art. 22, comma 1, lettera b), l. n. 241/1990), appare evidente come l’esigenza di tutela risulti già ampiamente assicurata attraverso i mezzi tipici previsti nel processo instaurato;

– nei procedimenti familiari e, in genere, nelle cause tra privati, l’accesso ai documenti amministrativi non ha “rilevante finalità di pubblico interesse“, né è volto a “favorire la partecipazione” del privato all’attività dell’amministrazione, né ad “assicurarne l’imparzialità e la trasparenza” (art. 22, comma 2, l. n. 241/1990);

– in siffatte fattispecie, l’accesso documentale, lungi dall’essere volto alla tutela (procedimentale e/o processuale) del privato nei confronti della pubblica amministrazione, tende ad alterare la parità processuale delle parti in un giudizio civile, garantita (anche) dalla previa valutazione del giudice;

– le predette considerazioni, riferite a un giudizio tra privati (e, dunque, con riferimento a norme processualcivilistiche), non sono immediatamente applicabili al processo amministrativo, né, per converso, la possibilità di instaurare un giudizio avverso la pubblica amministrazione e, in parallelo, esercitare il diritto di accesso ai documenti amministrativi costituisce elemento per contraddire tali conclusioni.

  1. Occorre premettere che l’oggetto della prima questione, di cui sopra sub 4.a), si estende a tutti i documenti dell’anagrafe tributaria, contenenti sia i dati patrimoniali e fiscali sia i dati finanziari della sezione archivio rapporti finanziari, e, nel caso di specie (a differenza dalle due cause parallele, pure chiamate all’odierna udienza camerale), coincide interamente con i limiti oggettivi del devolutum.

8.1 La questione, sulla quale non si registrano contrasti giurisprudenziali, deve essere risolta in senso affermativo, atteso il concetto ampio di “documento amministrativo” delineato negli artt. 22, comma 1, lettera d), l. n. 241/1990 e 1, comma 1, lettera a), d.P.R. n. 445/2000.

8.2 Sul piano del diritto positivo, si osserva quanto segue.

L’art. 22, comma 1, lettera d), l. n. 241/1990 (che introduce il capo V della legge, rubricato “Accesso ai documenti amministrativi“), come sostituito dall’art. 15, comma 1, l. 11 febbraio 2005, n. 15, testualmente recita: “Ai fini del presente capo si intende: […] d) per “documento amministrativo”, ogni rappresentazione grafica, fotocinematografica, elettromagnetica o di qualunque altra specie del contenuto di atti, anche interni o non relativi ad uno specifico procedimento, detenuti da una pubblica amministrazione e concernenti attività di pubblico interesse, indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale

L’art. 1, lettera a), d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa), come sostituito dall’articolo 1 d.P.R. 7 aprile 2003, n. 137 – nel quadro della disciplina generale della formazione, rilascio, tenuta e conservazione, gestione trasmissione di atti e documenti da parte di organi della pubblica amministrazione (art. 2) – statuisce: “1. Ai fini del presente testo unico si intende per: a) DOCUMENTO AMMINISTRATIVO ogni rappresentazione, comunque formata, del contenuto di atti, anche interni, delle pubbliche amministrazioni o, comunque, utilizzati ai fini dell’attività amministrativa. […]”.

L’art. 2, comma 2, d.P.R. 12 aprile 2006, n. 184 (Regolamento recante la disciplina di accesso ai documenti amministrativi), stabilisce che l’accesso si esercita con riferimento ai documenti amministrativi materialmente esistenti al momento della richiesta e detenuti alla stessa data da una pubblica amministrazione.

8.3 Dal descritto quadro normativo si può trarre una considerazione decisiva ai fini della soluzione al primo quesito interpretativo posto dalla Sezione rimettente, e cioè che, sotto il profilo oggettivo, la nozione normativa di “documento amministrativo” suscettibile di formare oggetto di istanza di accesso documentale è ampia e può riguardare ogni documento detenuto dalla pubblica amministrazione o da un soggetto, anche privato, alla stessa equiparato ai fini della specifica normativa dell’accesso agli atti, e formato non solo da una pubblica amministrazione, ma anche da soggetti privati, purché lo stesso concerna un’attività di pubblico interesse o sia utilizzato o sia detenuto o risulti significativamente collegato con lo svolgimento dell’attività amministrativa, nel perseguimento di finalità di interesse generale.

8.4 Nella presente causa vengono in rilievo, in particolare, i documenti contenenti i dati reddituali, patrimoniali e finanziari, acquisiti e conservati nell’anagrafe tributaria gestita dall’Agenzia delle entrate. Segnatamente, si tratta dei documenti delle banche dati dell’anagrafe tributaria, le quali – per quanto qui interessa – includono la banca dati reddituale (che contiene tutte le dichiarazioni presentate dai contribuenti comprese eventuali dichiarazioni sostitutive e/o integrative), la banca dati imposte registro (che contiene la registrazione di atti scritti di qualsiasi natura produttivi di effetti giuridici) e l’archivio dei rapporti finanziari.

8.5 Secondo l’art. 1, comma 1, d.P.R. n. 605/1973, l’anagrafe tributaria raccoglie e ordina su scala nazionale i dati e le notizie risultanti dalle dichiarazioni e dalle denunce presentate agli uffici dell’amministrazione finanziaria e dai relativi accertamenti, nonché i dati e le notizie che possono comunque assumere rilevanza ai fini tributari. Il comma 2 stabilisce che i dati e le notizie raccolti sono comunicati agli organi dipendenti dal Ministro per le finanze preposti agli accertamenti ed ai controlli relativi all’applicazione dei tributi, e, in particolare, ai fini della valutazione della complessiva capacità contributiva e degli adempimenti conseguenziali di rettifica delle dichiarazioni e di accertamento, all’ufficio distrettuale delle imposte nella cui circoscrizione il soggetto ha il domicilio fiscale.

8.6 Con riferimento all’archivio dei rapporti finanziari, alla luce di quanto disposto dall’art. 6, comma 7, d.P.R. n. 605/1973 e ss. mm. ii. deve ritenersi che le dichiarazioni, le comunicazioni e gli atti acquisiti dall’amministrazione finanziaria e i relativi dati inseriti e conservati nell’anagrafe tributaria – secondo la sopra richiamata disciplina in punto di forma, contenuti, modalità di trasmissione e di archiviazione – rientrano, senza particolari dubbi esegetici, nella sopra riportata ampia nozione di documenti amministrativi, rilevante ai fini dell’accesso documentale ai sensi degli artt. 22 ss. l. n. 241/1990, in quanto preordinati all’esercizio, a norma dell’art. 1, comma 2, d.P.R. n. 605/1973, delle ivi enunciate funzioni istituzionali dell’amministrazione finanziaria, ancorché non formati da quest’ultima.

8.7 Il conseguente corollario è che, a norma dell’art. 22, comma 3, l. n. 241/1990, secondo cui “[t]utti i documenti amministrativi sono accessibili […]”, la qualificazione dei documenti in questione come “documenti amministrativi” comporta la loro piena accessibilità, proprio in ragione di tale loro qualità oggettiva, salve le eccezioni di cui all’art. 24, commi 1, 2, 3, 5 e 6, nonché – con specifico riferimento all’accesso necessario per curare e difendere i propri interessi giuridici – nel rispetto dei limiti e delle condizioni previste al comma 7 del citato art. 24.

  1. La seconda e centrale questione della controversia attiene ai rapporti tra l’istituto dell’accesso documentale difensivo ex art. 24, comma 7, l. n. 241/1990 e lo strumento processuale delineato dall’art. 155-sexies disp. att. cod. proc. civ. (inserito dal d.-l. n. 132/2014 convertito dalla legge n. 162/2014, e modificato dall’art. 5, comma 1, d.-l. n. 59/2016 convertito dalla legge n. 119/2016), con il quale sono stati ampliati i poteri istruttori del giudice ordinario ai fini della ricostruzione della situazione patrimoniale ed economico-finanziaria (la norma parla di “ricostruzione dell’attivo e del passivo“) delle parti processuali nei procedimenti in materia di famiglia, attraverso il ricorso allo strumento di cui all’art. 492-bis cod. proc. civ. (inserito dal d.-l. n. 132/2014 convertito nella legge n. 162/2014), costituito dall’accesso, con modalità telematiche, “ai dati contenuti nelle banche dati delle pubbliche amministrazioni e, in particolare, nell’anagrafe tributaria, compreso l’archivio dei rapporti finanziari” (v. così, testualmente, il comma 2 dell’art. 492-bis cod. proc. civ.). La questione si inquadra nella più generale problematica costituita dai rapporti tra l’accesso documentale ex artt. 22 ss. l. n. 241/1990 e gli strumenti di acquisizione dei documenti amministrativi nel processo civile, sia secondo le disciplina generale ex artt. 210,211 e 213 cod. proc. civ., sia secondo la richiamata disciplina particolare introdotta nel settore dei procedimenti in materia di famiglia.

Al riguardo, occorre procedere, sul piano logico-giuridico: in primo luogo, all’inquadramento generale dell’istituto dell’accesso amministrativo; in secondo luogo, a verificare se sia possibile individuare, all’interno della fattispecie giuridica ‘generale’ dell’accesso amministrativo, due ipotesi ‘particolari’ di accesso agli atti, rispondenti a rationes legis diverse e basate su elementi, requisiti e condizioni di esercizio differenziato; in ultimo, a confrontare la fattispecie amministrativistica dell’accesso agli atti con quella processualcivilistica dell’acquisizione probatoria dei mezzi istruttori, al fine di stabilire, attraverso le assonanze e le dissonanze, quale sia il rapporto giuridico esistente tra le stesse, se cioè i due strumenti giuridici si escludano a vicenda, ovvero possano operare in modo concorrente o complementare o anche alternativo tra di loro.

9.1 Con riguardo al primo profilo, e cioè l’inquadramento generale dell’istituto dell’accesso amministrativo, l’art. 22, comma 2, l. n. 241/1990 contiene una definizione positiva della natura, dell’oggetto e della funzione dell’istituto: “L’accesso ai documenti amministrativi, attese le sue rilevanti finalità di pubblico interesse, costituisce principio generale dell’attività amministrativa al fine di favorire la partecipazione e di assicurarne l’imparzialità e la trasparenza“.

Più in particolare, con riguardo alla natura giuridica è chiarito che l’accesso è il principio regolatore dell’attività amministrativa; quanto all’oggetto, che l’accesso soddisfa finalità di pubblico interesse; in relazione alla funzione, che l’accesso favorisce la partecipazione e assicura l’imparzialità e la trasparenza.

La funzione in parola (e cioè l’essere, l’accesso, strumento di partecipazione, di imparzialità e di trasparenza) trova una più compiuta definizione contenutistica nel successivo comma 3, il quale stabilisce il principio della generale accessibilità agli atti, “ad eccezione di quelli indicati all’articolo 24, commi 1, 2, 3, 5 e 6“.

Nel suo ultimo comma, invece, l’art. 24 cit. enuclea un’autonoma funzione dell’accesso, diversa da quella per l’innanzi disciplinata, e la costruisce tecnicamente come una ‘eccezione’ rispetto all’elenco delle esclusioni dal diritto di accesso che danno la rubrica all’articolo in parola.

Il comma 7 è netto nello stabilire che “[d]eve comunque essere garantito ai richiedenti l’accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici. Nel caso di documenti contenenti dati sensibili e giudiziari, l’accesso è consentito nei limiti in cui sia strettamente indispensabile e nei termini previsti dall’articolo 60 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, in caso di dati idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale“.

L’utilizzo dell’avverbio “comunque” denota la volontà del legislatore di non ‘appiattire’ l’istituto dell’accesso amministrativo sulla sola prospettiva della partecipazione, dell’imparzialità e della trasparenza, e corrobora la tesi che esistano, all’interno della fattispecie giuridica generale dell’accesso, due anime che vi convivono, dando luogo a due fattispecie particolari, di cui una (e cioè quella relativa all’accesso cd. difensivo) può addirittura operare quale eccezione al catalogo di esclusioni previste per l’altra (e cioè, l’accesso partecipativo), salvi gli opportuni temperamenti in sede di bilanciamento in concreto dei contrapposti interessi (v. Cons. Stato, Sez. VI, ord. 7 febbraio 2014, n. 600).

In conclusione, dunque, sono due le logiche all’interno delle quali opera l’istituto dell’accesso: la logica partecipativa e della trasparenza e quella difensiva.

Ad entrambe è preposto l’esercizio del potere amministrativo, secondo regole procedimentali nettamente differenziate.

La logica partecipativa è imperniata sul principio generale della massima trasparenza possibile, con il solo limite rappresentato dalle esclusioni elencate nei commi 1, 2, 3, 5 e 6 dell’art. 24 della medesima legge n. 241.

La logica difensiva è costruita intorno al principio dell’accessibilità dei documenti amministrativi per esigenze di tutela e si traduce in un onere aggravato sul piano probatorio, nel senso che grava sulla parte interessata l’onere di dimostrare che il documento al quale intende accedere è necessario (o, addirittura, strettamente indispensabile se concerne dati sensibili o giudiziari) per la cura o la difesa dei propri interessi.

La tecnica legislativa utilizzata nel comma 7, rispetto ai precedenti commi del medesimo art. 24, avvalora la tesi che questo aggravamento probatorio in tanto si giustifica, proprio in quanto si fuoriesce dalla stretta logica partecipativa e di trasparenza, per entrare in quella, diversa, difensiva.

9.2 Con riguardo a questo aspetto, che concerne – come sopra anticipato – il secondo profilo sul quale occorre soffermarsi, vanno fatte alcune considerazioni.

In primo luogo, l’accesso difensivo è costruito come una fattispecie ostensiva autonoma, caratterizzata (dal lato attivo) da una vis espansiva capace di superare le ordinarie preclusioni che si frappongono alla conoscenza degli atti amministrativi; e connotata (sul piano degli oneri) da una stringente limitazione, ossia quella di dovere dimostrare la ‘necessità’ della conoscenza dell’atto o la sua ‘stretta indispensabilità’, nei casi in cui l’accesso riguarda dati sensibili o giudiziari.

In secondo luogo, la conoscenza dell’atto non è destinata a consentire al privato di partecipare all’esercizio del pubblico potere in senso ‘civilmente’ più responsabile, ossia per contribuire a rendere l’esercizio del potere condiviso, trasparente e imparziale, ma rappresenta il tramite per la cura e la difesa dei propri interessi giuridici.

La mancata specificazione dell’ambito entro il quale tali interessi vanno curati è, inoltre, indicativa del fatto che il legislatore ha voluto appositamente trascendere la dimensione partecipativa procedimentale e la stessa logica della trasparenza della funzione amministrativa, e costruire l’accesso agli atti, piuttosto, come una pretesa ostensiva, finalizzata anche – eventualmente – alla difesa in giudizio, ed a sua volta autonomamente tutelata con una specifica azione avverso il diniego o il silenzio della pubblica amministrazione (si tratta dell’azione prevista dall’art. 116 cod. proc. amm.).

Senza addentrarsi nella questione dogmatica della natura della situazione giuridica soggettiva dell’accesso documentale, e se cioè si tratti di diritto soggettivo o di interesse legittimo, è sufficiente in questa sede ricordare il fondamentale approdo al quale è pervenuto questa Adunanza plenaria nella sentenza n. 6 del 18 aprile 2006, che ha costruito l’istituto come situazione soggettiva strumentale per la tutela di situazioni sostanziali, a prescindere dalla qualificazione della situazione finale in termini di diritto soggettivo o di interesse legittimo.

Appare sufficiente rifarsi, sotto questo profilo, alla puntuale disciplina positiva sopra riportata: l’art. 24, comma 7, legge n. 241 garantisce “l’accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici“; l’art. 22, comma 1, lettera d), della medesima legge, con formula replicata anche dall’art. 2, comma 1, d.P.R. n. 184/2006, definisce l’ambito soggettivo dei legittimati all’accesso documentale, individuandoli in “tutti i soggetti privati, compresi quelli portatori di interessi pubblici o diffusi“, nonché l’interesse legittimante all’accesso, indicandolo in “un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso“.

Il rovesciamento dell’impostazione classica è immediatamente percepibile ed irreversibile.

Da un lato, sul piano della logica ‘partecipativa’, il legislatore supera l’idea dell’interesse privato ‘occasionalmente protetto’ in dipendenza dell’esercizio del potere, tracciando la strada, viceversa, per una tutela ‘occasionalmente protetta’ della legittimità amministrativa, divenendo – la conoscenza e la partecipazione del privato – momento fondante la trasparenza e l’imparzialità dell’amministrazione (v. l’art. 22, comma 2, della legge n. 241 cit.).

Dall’altro lato, sul piano della logica ‘difensiva’, il legislatore inserisce all’interno di una norma di natura sostanziale uno strumento di valenza tipicamente processuale, fornendo ‘azione’ alla ‘pretesa’, anche in senso derogatorio in concreto (v. Cons. Stato, ord. n. 600/2014, cit.) rispetto ai classici casi di esclusione procedimentale (“Devecomunque essere garantito […]”). Ciò, naturalmente, come già illustrato, entro gli stringenti limiti in cui la parte interessata all’ostensione dimostri la necessità (o la stretta indispensabilità per i dati sensibili e giudiziari), la corrispondenza e il collegamento tra la situazione che si assume protetta ed il documento di cui si invoca la conoscenza.

La necessità (o la stretta indispensabilità) della conoscenza del documento determina il nesso di strumentalità tra il diritto all’accesso e la situazione giuridica ‘finale’, nel senso che l’ostensione del documento amministrativo deve essere valutata, sulla base di un giudizio prognostico ex ante, come il tramite – in questo senso strumentale – per acquisire gli elementi di prova in ordine ai fatti (principali e secondari) integranti la fattispecie costitutiva della situazione giuridica ‘finale’ controversa e delle correlative pretese astrattamente azionabili in giudizio. La delibazione è condotta sull’astratta pertinenza della documentazione rispetto all’oggetto della res controversa.

La corrispondenza e il collegamento fondano, invece, l’interesse legittimante, che scaturisce dalla sussistenza, concreta e attuale, di una crisi di cooperazione, quanto meno da pretesa contestata (in ipotesi suscettibile di sfociare in un’azione di accertamento), che renda la situazione soggettiva ‘finale’, direttamente riferibile al richiedente, concretamente e obiettivamente incerta e controversa tra le parti, non essendo sufficiente un’incertezza meramente ipotetica e subiettiva.

Ai fini del riconoscimento della situazione legittimante, non è positivamente richiesto il requisito dell’attuale pendenza di un processo in sede giurisdizionale. In altri termini, muovendo dall’assenza di una previsione normativa che ciò stabilisca, è possibile trarre il convincimento che la pendenza di una lite (dinanzi al giudice civile o ad altro giudice) può costituire, tra gli altri, un elemento utile per valutare la concretezza e l’attualità dell’interesse legittimante all’istanza di accesso, ma non ne rappresenta la precondizione tipica.

Più in particolare, dalle previsioni normative sopra illustrate emerge una disciplina dell’accesso difensivo nel senso di:

  1. a) esigere la sussistenza del solo nesso di necessaria strumentalità tra l’accesso e la cura o la difesa in giudizio dei propri interessi giuridici (v. 24, comma 7, legge n. 241/1990 e s.m.i.);
  2. b) ricomprendere, tra i destinatari, tutti i soggetti privati, ivi compresi quelli portatori di interessi pubblici o diffusi, senza alcuna ulteriore esclusione (art. 22, comma 1, lettera d), con formula replicata dall’art. 2, comma 1, d.P.R. n. 184/2006);
  3. c) circoscrivere le qualità dell’interesse legittimante a quelle ipotesi che – sole – garantiscono la piena corrispondenza tra la situazione (sostanziale) giuridicamente tutelata ed i fatti (principali e secondari) di cui la stessa fattispecie si compone, atteso il necessario raffronto che l’interprete deve operare, in termini di pratica sussunzione, tra la fattispecie concreta di cui la parte domanda la tutela in giudizio e l’astratto paradigma legale che ne costituisce la base legale.

Siffatto giudizio di sussunzione, che costituisce la base fondante dell’accesso difensivo, è regolato in ogni suo aspetto dalla legge (e dal rispettivo regolamento di attuazione), mostrandosi privo di tratti ‘liberi’ lasciati alla interpretazione discrezionale dell’autorità amministrativa, ovvero alla prudente interpretazione del giudice.

Più in particolare, la legge ha proceduto a selezionare, tra i canoni ermeneutici in astratto possibili, quelli della immediatezza, della concretezza e dell’attualità (art. 22, comma 1, lettera d), legge n. 241 cit.), in modo tale da ancorare il giudizio sull’interesse legittimante a due parametri fissi, rigidi e predeterminati quanto al loro contenuto obiettivo.

La ‘corrispondenza’ circoscrive esattamente l’interesse all’accesso agli atti in senso “corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata.

In tal modo – ritornando allo specifico settore dei procedimenti in materia di famiglia – l’accesso di un privato agli atti reddituali, patrimoniali e lato sensu finanziari di un altro soggetto privato sarà strettamente ancorato e non fuoriuscirà dalla necessità della difesa in giudizio di situazioni riconosciute dall’ordinamento come meritevoli di tutela. Il legislatore medesimo, infatti, si è preoccupato di disciplinare il fenomeno giuridico della ‘famiglia’ in senso omnicomprensivo, e cioè tale da ricomprendere il momento della sua formazione, quello del suo svolgimento e quello, eventuale, della crisi e del suo scioglimento. Si tratta, all’evidenza, di situazioni giuridiche soggettive predeterminate e costruite secondo il modello dell’astratto paradigma legale, sotto il quale vengono sussunte le singole fattispecie concrete. Al realizzarsi di una di queste fattispecie predeterminate, che giuridicamente corrispondono a necessità e bisogni sociali particolarmente avvertiti dalla comunità (quali, ad esempio, l’equità nella gestione dei rapporti personali e patrimoniali tra i coniugi o i conviventi e rispetto ai figli), l’unico interesse legittimante all’accesso difensivo sarà quello che corrisponderà in modo diretto, concreto ed attuale alla cura in giudizio di tali predeterminate fattispecie, in chiave strettamente difensiva.

Tale ultimo aspetto, più in particolare, è chiarito dal secondo dei parametri al quale si è fatto cenno, e cioè quello riguardante il cd. ‘collegamento’.

Il legislatore ha ulteriormente circoscritto l’oggetto della situazione legittimante l’accesso, esigendo che la stessa, oltre a corrispondere – come finora è stato detto – al contenuto dell’astratto paradigma legale, sia anche “collegata al documento al quale è chiesto l’accesso“, in modo tale da evidenziare in maniera diretta ed inequivoca il nesso di strumentalità che avvince la situazione soggettiva finale al documento di cui viene richiesta l’ostensione, e per l’ottenimento del quale l’accesso difensivo, in quanto situazione strumentale, fa da tramite.

Questa esigenza è soddisfatta, sul piano procedimentale, dal successivo art. 25, comma 2, l. n. 241/1990, ai sensi del quale “[l]a richiesta di accesso ai documenti deve essere motivata“. La volontà del legislatore è di esigere che le finalità dell’accesso siano dedotte e rappresentate dalla parte in modo puntuale e specifico nell’istanza di ostensione, e suffragate con idonea documentazione (ad es. scambi di corrispondenza; diffide stragiudiziali; in caso di causa già pendente, indicazione sintetica del relativo oggetto e dei fatti oggetto di prova; ecc.), onde permettere all’amministrazione detentrice del documento il vaglio del nesso di strumentalità necessaria tra la documentazione richiesta sub specie di astratta pertinenza con la situazione ‘finale’ controversa. In questa prospettiva, pertanto, va escluso che possa ritenersi sufficiente un generico riferimento a non meglio precisate esigenze probatorie e difensive, siano esse riferite a un processo già pendente oppure ancora instaurando.

9.3 Passando ad esaminare il terzo dei profili cui è stato fatto cenno, e cioè i rapporti tra l’accesso difensivo e i metodi di acquisizione probatoria previsti dalle menzionate disposizioni del codice di procedura civile, depongono nel senso della complementarietà tra i due istituti, anziché nel senso della loro reciproca esclusione, le seguenti considerazioni.

9.3.1 In primo luogo, da un punto di vista sistematico, va rilevato che nei due sistemi processuali, e cioè quello processualcivilistico e quello amministrativistico, la situazione legittimante all’accesso è autonoma e distinta da quella legittimante l’impugnativa giudiziale (in particolare, dall’azione di annullamento nel processo amministrativo) e dal relativo esito, con la conseguenza che il diritto di accesso difensivo non è riducibile a un mero potere processuale (v. Cons. Stato, Sez. V, 27 giugno 2018, n. 3956). Ciò vale anche rispetto al giudizio civile, in cui – parimenti – l’azione volta a far valere la pretesa sostanziale è autonoma rispetto a quella volta a reperire la documentazione utile a sostenere le allegazioni difensive (in generale nel processo, ma in quello civile in particolare modo, vige il principio dispositivo, sicché è onere della parte provare i fatti che assume e dovere del giudice quello di decidere la controversia secundum alligata et probata). Ne discende che – come sottolineato anche nella giurisprudenza civile – il diritto di accesso cd. difensivo ex l. n. 241/1990 è strumentale alla difesa di una situazione giuridica tutelata dall’ordinamento ed è azionabile dinanzi al giudice amministrativo, a prescindere dalla circostanza che la situazione giuridica finale si configuri come diritto soggettivo o interesse legittimo, e che quindi rientri nell’ambito di giurisdizione del giudice amministrativo e di quello ordinario (v. Sez. Un. Civ., 14 aprile 2011, n. 8487; id., 28 maggio 1998, n. 5292).

Va in secondo luogo considerato che, proprio per la rilevata autonomia della situazione legittimante, l’accesso difensivo non presuppone necessariamente l’instaurazione o la pendenza in concreto di un giudizio. La disposizione di cui al comma 7 dell’art. 24 cit., nel contemplare la necessità sia di “curare“, sia di “difendere” un interesse giuridicamente rilevante, lascia intendere la priorità logica della conoscenza degli elementi che occorrono per decidere se instaurare un giudizio e come costruire a tal fine una strategia difensiva; con la conseguenza che l’accesso documentale difensivo non necessariamente deve sfociare in un esito contenzioso in senso stretto. Ma sia che la controversia tra le parti si componga in una fase anteriore al giudizio (per esempio attraverso l’istituto della mediazione obbligatoria di cui al d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28, e ss. mm. ii. o attraverso altro strumento alternativo di soluzione delle controversie), sia che il conflitto sfoci nella instaurazione del giudizio, appare evidente l’esigenza delle parti di acquisire già in sede stragiudiziale e nella fase preprocessuale la conoscenza dei fatti rilevanti ai fini della composizione della res controversa; mentre, nel caso di mancata composizione del conflitto, i documenti amministrativi acquisiti con lo strumento dell’accesso difensivo potranno trovare ingresso nel processo attraverso la loro produzione in giudizio ad opera della parte.

Premesso che il diritto di accesso ai documenti amministrativi spetta a chiunque vi abbia un interesse personale e concreto per la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti, e che situazioni siffatte ricorrono, per espressa previsione di legge, nell’ipotesi in cui la conoscenza dei documenti sia necessaria ai singoli “per curare o per difendere i loro interessi“, la distinzione fra “conoscenza del documento” e “difesa degli interessi del privato“, in una col divisato nesso di strumentalità fra l’una e l’altra, rende palese che la pendenza di un procedimento giurisdizionale nel quale siano in discussione questi ultimi non solo non è di per sé preclusivo della sperimentabilità, presso il giudice amministrativo, del procedimento speciale approntato dal legislatore del 1990 allorché sia in contestazione il diritto alla prima, ma, anzi, si configura come un fattore di concretezza e di attualità dell’interesse ad agire nelle forme proprie del detto procedimento (v. Sez. Un. Civ., n. 5292/1998, cit.).

Emerge a questo punto la differenza tra l’accesso agli atti e gli strumenti di acquisizione probatoria previsti dal codice di rito civile. L’accesso difensivo ha una duplice natura giuridica, sostanziale e processuale. La natura sostanziale dipende dall’essere, l’accesso, una situazione strumentale per la tutela di una situazione giuridica finale (Adunanza plenaria n. 6/2006); la natura processuale consiste nel fatto che il legislatore ha voluto fornire di ‘azione’ la ‘pretesa’ di conoscenza, rendendo effettivo e, a sua volta, giuridicamente tutelabile e giustiziabile l’eventuale illegittimo diniego o silenzio (v. l’art. 116 cod. proc. amm.). Viceversa, gli strumenti di acquisizione probatoria, sia quelli generali di cui agli artt. 210,211 e 213 cod. proc. civ., sia quelli particolari di cui agli artt. 155-sexies disp. att. cod. proc. civ. e 492-bis cod. proc. civ., si muovono esclusivamente sul piano e all’interno del processo; sono assoggettati alla prudente valutazione del giudice; eventuali rigetti non sono autonomamente impugnabili o ricorribili, potendo gli eventuali vizi dell’istruttoria rilevare come motivi di impugnazione della sentenza.

Di conseguenza, il naturale corollario è che l’eventuale rigetto dell’istanza di esibizione di un documento della pubblica amministrazione, proposta ai sensi dell’art. 210 cod. proc. civ., non si pone in contrasto, né elude la ratio legis contenuta negli artt. 22 e ss. l. n. 241/1990, poiché le due disposizioni operano su un piano diverso, avendo la legge n. 241/1990 assunto l’interesse del privato all’accesso ai documenti come interesse sostanziale, mentre l’acquisizione documentale ai sensi dell’art. 210 cod. proc. civ. costituisce esercizio di un potere processuale e l’acquisizione del documento resta pur sempre subordinata alla valutazione della rilevanza dello stesso, ai fini della decisione, da parte del giudice al quale spetta di pronunciarsi sulla richiesta istruttoria ai sensi dell’art. 210 cod. proc. civ. (v. Cass. Civ., Sez. 1, 9 agosto 1996, n. 7318).

Occorre in altri termini tenere distinti, da un lato, la pretesa all’ostensione del documento nei confronti della pubblica amministrazione, intesa quale protezione accordata all’interesse sostanziale alla conoscenza e, dall’altro lato, il diritto alla prova, inteso come protezione dell’interesse processuale della parte alla rappresentazione in giudizio, attraverso un determinato documento, dei fatti costitutivi della domanda, subordinato alla duplice valutazione giudiziale della concludenza e della rilevanza dello specifico mezzo di prova (v. Cons. Stato, Sez. IV, 6 marzo 1995, n. 158).

9.3.2 Vanno poi svolte alcune considerazioni di ordine ‘storico’ legate alla ratio legis sottesa alle previsioni in esame.

La legge generale sul procedimento amministrativo, attraverso l’accesso agli atti amministrativi, e segnatamente quello difensivo, ha notevolmente contribuito ad arricchire, conducendolo ad uno stadio giuridicamente più avanzato, il ‘paniere’ di strumenti processuali di ricerca e di documentazione della prova contenuti nel codice di rito civile, secondo il meccanismo, già sperimentato dal legislatore, del sistema a ccdd. tutele crescenti.

Depongono in tal senso:

  1. a) la recente introduzione, nell’ambito dei procedimenti in materia di famiglia di cui all’ 492-bis cod. proc. civ., degli strumenti di ricerca e di documentazione della prova previsti dall’art. 155-sexies disp. att. cod. proc. civ., assecondando la naturale evoluzione tecnologica nella direzione dell’utilizzo delle banche dati telematiche;
  2. b) la constatazione che tale previsione ha costituito un’occasione di ampliamento e di arricchimento degli strumenti processuali già previsti dal codice di rito (artt. 210, 211, 213 cod. proc. civ.), e non già, all’opposto, una causa di esclusione o di riduzione di questi ultimi;
  3. c) la mancanza di una norma espressa, nella legge generale sul procedimento, che consenta una lettura riduttiva degli artt. 22 e 24, o comunque limitativa dell’art. 24 ai soli casi in cui non trovino applicazione le norme contenute nel codice di rito civile e nelle relative disposizioni di attuazione;
  4. d) la ratio legis sottesa alle singole previsioni normative, in una lettura armonica – seppure diacronica – delle stesse, tenuto conto dei diversi momenti della loro introduzione all’interno dell’ordinamento.

Più in particolare, l’ordinamento, malgrado l’ampio divario temporale che è intercorso tra le previsioni codicistiche di rito del 1942 e la vigente legge generale sul procedimento amministrativo del 1990, giunta ai nostri giorni non priva di decisive modifiche anche in tema di accesso agli atti (si vedano le leggi del 2005 e del 2009), ha mostrato di seguire una linea di continuità, piuttosto che di discontinuità, nella tutela delle situazioni giuridiche, arricchendo sia il novero delle situazioni tutelabili, sia il ventaglio degli strumenti pratici.

In altre parole, lo spirito che ha animato l’ordinamento in tutto questo ampio lasso di tempo è stato quello di far progredire gli istituti di garanzia, trasformandoli (è stato il caso, sopra menzionato, dell’accesso telematico alle banche dati, assecondando la naturale evoluzione tecnologica) o prevedendone di nuovi (è il caso dell’accesso agli atti, di cui si sta discutendo).

Dall’entrata in vigore del codice civile di rito, le previsioni generali contenute negli articoli 210, 211 e 213 cod. proc. civ. sono apparse come un potente strumento processuale della parte, malgrado la discrezionalità (rectius, il prudente apprezzamento) del giudice nell’esercizio dei poteri di acquisizione probatoria, in quanto l’unico all’epoca possibile.

Costruire, oggi, l’accesso agli atti amministrativi come uno strumento non tanto alternativo, quanto addirittura recessivo rispetto agli strumenti processuali civilistici di acquisizione probatoria, è – dunque – operazione giuridicamente non convincente sul piano dell’evoluzione storica delle tutele e sotto diversi profili, perché:

– l’art. 24, comma 7 cit. assicura “comunque” l’accesso se necessario per la tutela delle proprie situazioni giuridiche, senza limitare tale presidio di garanzia ai casi di liti tra il privato e la pubblica amministrazione o tra i privati nei casi in cui si fa questione dell’illegittimo esercizio del potere; agli effetti della legge, è sufficiente che ricorrano le richiamate testuali ed espresse condizioni: necessità (o stretta indispensabilità per i dati sensibili o giudiziari), corrispondenza e collegamento, nei sensi dianzi esposti;

– non esistono criteri oggettivi da cui inferire un rapporto di specialità specializzante tra le due discipline, le quali rispondono – piuttosto – a logiche concorrenti e cumulative tra i rimedi;

– le previsioni processuali codicistiche menzionate vengono ‘piegate’, contro la loro stessa iniziale logica, in modo strumentale per sostenere l’attuale limitazione dei rimedi giudiziali, anziché – come storicamente ha significato – il riconoscimento di importanti poteri processuali collegati alla situazione sostanziale. Qualora l’interprete si soffermasse sulla vera essenza di quelle previsioni, nate in un contesto ove la protezione delle situazioni giuridiche (soprattutto di interesse legittimo e prima che l’ordinamento venisse influenzato dal diritto comune europeo) si trovava ad uno stadio non certo evoluto come quello attuale, non mancherebbe di ritrovare nell’attuale disciplina dell’accesso difensivo il passo più maturo dell’iniziale percorso.

9.3.3 In terzo luogo, rilevano considerazioni legate alla natura giuridica dei metodi di acquisizione probatoria previsti dal codice di rito e dalle relative norme di attuazione.

Gli strumenti processuali dell’esibizione istruttoria documentale di cui agli artt. 210 (Ordine di esibizione alla parte o al terzo), 211 (Tutela dei diritti del terzo) e 213 (Richiesta di informazioni alla pubblica amministrazione) cod. proc. civ. costituiscono solo uno dei metodi di acquisizione delle prove documentali al processo civile, accanto a quello (principale, nella prassi) della produzione del documento ad opera della parte che già ne sia in possesso, attraverso l’inserimento nel proprio fascicolo ed il relativo deposito in cancelleria o direttamente all’udienza (art. 87 disp. att. cod. proc. civ.) nel rispetto dei termini di preclusione stabiliti nei vari riti processuali.

Nel nostro ordinamento, la produzione in giudizio di documenti nel processo civile di primo grado ad opera delle parti è sottratta al giudizio di rilevanza (di cui all’art. 183, comma 7, cod. proc. civ.) e non è, pertanto, soggetta ad alcuna selezione preventiva, sicché risulta, al riguardo, adottato un sistema di overinclusive, per cui possono entrare nel processo anche delle prove documentali irrilevanti: ciò, in base all’idea che il criterio di rilevanza serve solo ad evitare attività processuali inutili e quindi non sussiste ragione alcuna di applicarlo quando, trattandosi di prove precostituite (come, appunto, le prove documentali liberamente prodotte dalle parti), la loro acquisizione non implica attività processuali di sorta, con la conseguenza che le parti possono produrre tutti i documenti che ritengono utili alla loro difesa, venendo la rilevanza dei documenti prodotti (rectius: dai fatti da essi rappresentati) valutata dall’organo giudicante tendenzialmente soltanto in sede di sentenza. Va, al riguardo, rimarcato sin d’ora che l’acquisizione al di fuori del giudizio dei documenti dei quali la parte intende avvalersi in un giudizio civile (sia futuro sia già pendente), sulla base di norme di diritto sostanziale che ne consentano l’acquisizione (come, appunto, per i documenti amministrativi, la disciplina dell’accesso documentale difensivo) è un’attività di ricerca della prova del tutto fisiologica, non solo consentita dall’ordinamento, ma oggetto di un preciso onere a carico della parte a ciò legittimata.

Gli ordini di esibizione istruttoria di cui agli artt. 210 e 211 cod. proc. civ., rivolti dal giudice su istanza di parte nei confronti della controparte o di un terzo, implicano invece lo svolgimento di un’attività processuale che può essere anche dispendiosa e complessa (si pensi, ad es., al surplus di attività processuale che deve essere svolta in caso di opposizione fatta dal terzo ai sensi dell’art. 211 cod. proc. civ.), sicché il legislatore ha previsto il requisito della necessarietà, da interpretare in termini di rilevanza del mezzo di prova ai fini della decisione, proprio per evitare che il meccanismo istruttorio venga messo in moto inutilmente.

Nel presente contesto decisionale assume particolare rilievo il secondo requisito di ammissibilità prevista dalla disciplina degli ordini di esibizione istruttoria di cui agli artt. 210 e 211 cod. proc. civ. attraverso il richiamo ai “limiti entro i quali può essere ordinata a norma dell’art. 118 l’ispezione di cose in possesso di una parte o di un terzo“, ossia il requisito della indispensabilità del mezzo di prova per la conoscenza dei fatti della causa (v. art. 118, comma 1, cod. proc. civ.). Tale requisito è sempre stato interpretato, dalla prevalente dottrina e dalla costante giurisprudenza, nel senso che gli ordini di esibizione devono assumere carattere residuale di extrema ratio, e che quindi gli stessi possono essere adottati solo qualora la parte non sia in condizione di acquisire il documento attraverso altri strumenti offerti dall’ordinamento (ai quali va quindi ricondotto anche lo strumento dell’accesso ai documenti amministrativi ex art. 22 ss. l. n. 241/1990, qualora la res exhibenda sia costituita da un documento amministrativo).

Pure al mezzo istruttorio d’ufficio disciplinato dall’art. 213 cod. proc. amm. – secondo cui, “[f]uori dai casi previsti negli articoli 210 e 211, il giudice può richiedere d’ufficio alla pubblica amministrazione le informazioni scritte relative ad atti e documenti dell’amministrazione stessa, che è necessario acquisire al processo” – viene, dalla prevalente dottrina e dalla costante giurisprudenza, attribuito carattere di residualità, potendo esso essere disposto soltanto fuori dai casi previsti dagli artt. 210 e 211 cod. proc. civ., i quali, a loro volta, possono essere disposti solo qualora assistiti dal requisito dell’indispensabilità nel senso sopra esposto.

Le considerazioni sopra svolte trovano riscontro nella consolidata giurisprudenza della Corte di cassazione (assurgente a vero e proprio diritto vivente, in quanto proveniente dell’organo titolare del potere nomofilattico in materia), secondo la quale, pur a fronte della varietà dei casi concreti, resta fermo il principio in forza del quale i poteri istruttori del giudice disciplinati agli articoli 210, 211 e 213 cod. proc. civ. hanno carattere residuale, non possono essere esercitati per acquisire atti o documenti della pubblica amministrazione che la parte è in condizioni di produrre, (v. Cass. Civ., Sez. 3, 12 marzo 2013, n. 6101; v. Cass. Civ., Sez. 2, 11 giugno 2013, n. 14656); non possono comunque risolversi nell’esenzione della parte dall’onere probatorio a suo carico, con la conseguenza che tale potere può essere attivato soltanto quando, in relazione a fatti specifici già allegati, sia necessario acquisire informazioni relative ad atti o documenti della pubblica amministrazione che la parte sia impossibilitata a fornire e dei quali solo l’amministrazione sia in possesso proprio in relazione all’attività da essa svolta (v. Cass. Civ., Sez. lav., 13 marzo 2009, n. 6218); Cass. Civ., Sez. 1, 10 gennaio 2005, n. 287; Cass. civ., Sez. lav., 8 agosto 2006, n. 17948).

Alla luce del richiamato quadro normativo processualcivilistico, al potere istruttorio di adottare ordini di esibizione ex artt. 210, 211 cod. proc. civ. oppure di formulare richieste di informazioni alla pubblica amministrazione ex art. 213 cod. proc. civ., deve quindi attribuirsi natura sussidiaria e residuale rispetto alla possibilità, pratica o giuridica, che la parte abbia di procurarsi da sé, fuori dal processo (quindi anche attraverso lo strumento dell’accesso documentale difensivo ex art. 24, comma 7, l. n. 241/1990), le prove precostituite idonee a dimostrare i fatti da essa allegati, né i menzionati poteri processuali possono essere esercitati per supplire al mancato assolvimento dell’onere della prova a carico della parte istante.

Ne deriva che la disciplina degli strumenti processualcivilistici di esibizione istruttoria ex artt. 210, 211 e 213 cod. proc. civ., quale interpretata e applicata da costante e consolidata giurisprudenza di legittimità, lungi dal costituire un limite all’esperibilità dell’accesso documentale difensivo exl. n. 241/1990 prima o in pendenza del giudizio sulla situazione giuridica ‘finale’, tutt’al contrario sembra presupporre (e in qualche modo imporre) il suo previo esperimento, essendo tali mezzi di prova configurati come strumenti istruttori tendenzialmente residuali rispetto alle forme di acquisizione dei documenti da parte dei privati sulla base di correlative discipline di natura sostanziale anche in funzione della loro produzione in giudizio.

L’esclusione dell’ammissibilità dell’accesso documentale difensivo, in via generale ed astratta, con richiamo alla disciplina processualcivilistica dell’esibizione istruttoria – la quale, seguendo la tesi ‘restrittiva’, dovrebbe ritenersi in ogni caso prevalente e assorbente -, è operazione ermeneutica che finirebbe per incidere in modo pregiudizievole sull’effettività del diritto alla tutela giurisdizionale e sul diritto alla prova intesi in senso lato, implicanti la facoltà della parte di usare tutti gli strumenti offerti dall’ordinamento, e tra questi l’accesso documentale, per influire sull’accertamento del fatto sia in sede stragiudiziale e nella fase preprocessuale, sia poi eventualmente in sede processuale, a ‘cura’ e ‘difesa’ della situazione giuridica soggettiva ‘finale’ asseritamente lesa.

A ciò si aggiunga che gli ordini di esibizione di documenti e le richieste di informazioni ex artt. 210, 211 e 213 cod. proc. amm. non sono suscettibili di esecuzione coattiva in forma specifica, né per iniziativa del giudice, non esistendo nel codice di procedura civile disposizioni analoghe a quelle del codice di procedura penale circa il potere di ricercare documenti o cose pertinenti al reato, né ad iniziativa della parte interessata, non costituendo le relative ordinanze titoli esecutivi, e non possono quindi essere attuati con gli strumenti previsti agli artt. 605 ss. cod. proc. civ..; il rifiuto dell’esibizione può, pertanto, costituire esclusivamente un comportamento dal quale il giudice può desumere argomenti di prova ex art. 116, secondo comma, cod. proc. civ., ma, a tal fine, ove il rifiuto sia stato giustificato dalla parte destinataria del relativo ordine con la deduzione di circostanze impeditive, la controparte interessata ha l’onere di provare la perdurante possibilità di produzione in giudizio della documentazione richiesta (v., in tal senso, la pacifica giurisprudenza di legittimità: Cass. Civ., Sez. 3, 10/12/2003, n. 18833; Cass. Civ., Sez. lav., 6 dicembre 1983, n. 7289). Anche sotto tale profilo, l’esclusione dell’esperibilità dell’accesso documentale difensivo comporterebbe un pregiudizio all’effettività del diritto costituzionalmente garantito alla tutela giurisdizionale, di cui fa parte integrante il diritto alla prova.

Deve pertanto escludersi che la previsione, negli artt. 210, 211 e 213 cod. proc. civ., di strumenti di esibizione istruttoria aventi ad oggetto documenti detenuti dalla pubblica amministrazione possa precludere l’esercizio dell’accesso documentale difensivo secondo la disciplina di cui alla legge n. 241/1990, né prima né in pendenza del processo civile.

È bene precisare che tale conclusione attiene alla questione, posta dall’ordinanza di rimessione perché oggetto di contrasto giurisprudenziale, relativa alla possibile concorrenza tra accesso difensivo e poteri istruttori disciplinati dal codice di procedura civile. Diversa questione, di carattere sostanziale e concernente il grado di protezione degli interessi coinvolti, è quella dell’accessibilità della tipologia dei dati in relazione ad altri interessi da bilanciare (per esempio, riservatezza, nei limiti in cui vi siano spazi riconosciuti dall’ordinamento a tale profilo in relazione all’accesso difensivo) o alla stessa tutelabilità dell’interesse alla conoscenza di quei dati, alla luce dei sopra esposti canoni, da declinare in astratto e con riferimento alla situazione concreta, di necessità, di corrispondenza e di collegamento tra la situazione che si assume protetta ed il documento di cui si invoca la conoscenza, come illustrati supra al paragrafo 9.2 e che sono da valutare, in primo luogo, dalla stessa amministrazione cui è rivolta l’istanza di accesso.

9.3.4 Ad analoghe conclusioni deve pervenirsi con riguardo al rapporto tra l’istituto dell’accesso documentale difensivo e i poteri istruttori d’ufficio di acquisizioni documentali attribuiti al giudice ordinario nei procedimenti in materia di famiglia.

Vengono, in particolare, in rilievo le seguenti previsioni normative:

– l’art. 337-ter, ultimo comma, cod. civ., che – con statuizione avente portata generale ex art. 4, comma 2, l. n. 54/2006, applicabile anche nei procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati -, prevede, nell’interesse dei figli, che “[o]ve le informazioni di carattere economico fornite dai genitori non risultino sufficientemente documentate, il giudice dispone un accertamento della polizia tributaria sui redditi e sui beni oggetto della contestazione, anche se intestati a soggetti diversi“;

– l’art. 5, comma 9, l. n. 898/1970, che prevede il potere del Tribunale, in caso di contestazione sulle emergenze reddituali e patrimoniali, di disporre “indagini sui redditi, sui patrimoni e sull’effettivo tenore di vita, valendosi, se del caso, anche della polizia tributaria“;

– l’art. 736-bis, comma 2, cod. proc. civ., che, allorquando è richiesto un ordine di protezione contro gli abusi familiari (artt. 342-bis e 342-ter cod. civ.), demanda al giudice ampi poteri istruttori, ivi inclusa l’acquisizione, per mezzo della polizia tributaria, di informazioni “sui redditi, sul tenore di vita e sul patrimonio personale e comune delle parti“;

– l’art. 155-sexies disp. att. cod. proc. civ., con il quale sono stati ampliati i poteri istruttori del giudice ordinario ai fini della ricostruzione della situazione patrimoniale ed economico-finanziaria delle parti processuali nei procedimenti di famiglia, attraverso il ricorso allo strumento di cui all’art. 492-bis cod. proc. civ., costituito dall’accesso, con modalità telematiche, “ai dati contenuti nelle banche dati delle pubbliche amministrazioni e, in particolare, nell’anagrafe tributaria, compreso l’archivio dei rapporti finanziari“;

– l’art. 7, comma 9, d.P.R. n. 605/1973 (comma, aggiunto dall’art. 21, comma 14, l. n. 449/1997 e successivamente modificato dall’art. 19, comma 5, d.-l. n. 132/2014 convertito dalla legge n. 162/2014), secondo cui le informazioni comunicate all’anagrafe tributaria delle entrate tributaria dagli amministratori condominiali in ordine all’ammontare dei beni e servizi acquistati dal condominio e ai dati identificativi dei relativi fornitori sono altresì utilizzabili dall’autorità giudiziaria per la ricostruzione della situazione patrimoniale ed economico-finanziaria nei procedimenti in materia di famiglia.

Premesso che le citate previsioni normative non contengono alcuna clausola di esclusività, specialità e/o prevalenza rispetto alla disciplina dell’accesso documentale difensivo ex l. n. 241/1990 ai documenti reddituali, patrimoniali e finanziari dell’anagrafe tributaria del rispettivo coniuge e/o genitore di figli minorenni (o maggiorenni non economicamente dipendenti), esercitato al fine della ricostruzione dei rapporti patrimoniali e finanziari in funzione della determinazione degli assegni di divorzio, di separazione e di mantenimento dei figli, si rileva che, anche in relazione a tali previsioni normative, si rinviene un costante orientamento giurisprudenziale nel senso che tali poteri istruttori d’ufficio non possono essere esercitati per sopperire alla carenza probatoria della parte onerata, la quale abbia la possibilità di acquisire le prove aliunde e non le abbia prodotte in giudizio (v. Cass. Civ., Sez. 6, ord. 15 novembre 2016, n. 23263; nello stesso senso, Cass. Civ., Sez. 1, 28 gennaio 2011, n. 2098). Solo in materia di determinazione del contributo di mantenimento per i figli minori (oggi, art. 337-ter cod. civ.; olim art. 155, comma 6, cod. civ.), il potere istruttorio d’ufficio appare più accentuato, nel senso che la domanda non può essere respinta per carenza di prova senza l’esercizio del potere d’ufficio.

Resta con ciò riaffermato, anche per i procedimenti in materia di famiglia – specie nei casi in cui non vengano in questione interessi di minori, dove il regime dell’onere di allegazione e di prova è più attenuato in ragione del carattere tendenzialmente indisponibile dei diritti in contesa -, il principio per cui l’esercizio dei poteri, anche officiosi, di indagine attribuiti al giudice civile nei procedimenti in materia di famiglia richiede, da un lato, che la parte abbia fatto tutto quanto è in suo potere per offrire la prova dei fatti che è interessata a dimostrare, non essendo i poteri d’ufficio esercitabili per supplire eventuali carenze probatorie addebitabili alla parte che ne solleciti l’esercizio, e, dall’altro, che la stessa fornisca elementi di fatto specifici e circostanziati, idonei a rendere la contestazione della documentazione prodotta dalla controparte sufficientemente specifica da imporre un approfondimento istruttorio.

L’attribuzione al giudice della crisi familiare di ampliati poteri d’ufficio, in ispecie di acquisizione dei dati dell’anagrafe tributaria ivi inclusi i dati dell’archivio dei rapporti finanziari, non fa pertanto venir meno l’esigenza della parte interessata di acquisire i documenti al di fuori del giudizio per il tramite dello strumento dell’accesso difensivo, proprio al fine di corroborare istanze sollecitatorie di eventuali (ulteriori) indagini d’ufficio sulla base di elementi specifici e circostanziati di cui la stessa abbia acquisito conoscenza all’esito dell’accesso ed in cui assenza il potere istruttorio ufficioso le potrebbe essere negato.

Non si ravvisa, pertanto, ragione alcuna di escludere o precludere l’esperibilità dell’accesso documentale difensivo ai documenti della anagrafe tributaria, ivi incluso l’archivio dei rapporti finanziari, contenenti i dati reddituali, patrimoniali e finanziari della rispettiva parte antagonista, nell’ambito dei procedimenti in materia di famiglia al fine di accertare le sostanze patrimoniali e le disponibilità reddituali di ognuno dei coniugi e, così, determinare l’entità dell’assegno disposto a beneficio di quello più bisognoso nonché dell’eventuale prole, sia prima che in pendenza del processo civile, in particolare non ostandovi l’attribuzione, al giudice delle controversie familiari, dei poteri istruttori di ufficio sopra menzionati.

Tutt’al contrario, anche in tale materia un’interpretazione costituzionalmente orientata, a garanzia dell’effettività del diritto alla tutela giurisdizionale e del diritto alla prova intesi in senso lato, impone di affermare l’esperibilità dell’accesso difensivo ai documenti in questione, sia prima che in pendenza del processo civile, con la conseguenza che l’accesso non può essere legittimamente negato per l’incompatibilità in astratto tra le due discipline.

9.4 Né l’esperibilità, in controversie di natura civilistica, dell’accesso difensivo ai documenti amministrativi – e ciò vale sia con riferimento al rapporto con gli ordini di esibizione istruttoria exartt. 210, 211 e 213 cod. proc. civ., sia con riferimento al rapporto con i poteri istruttori d’ufficio nei procedimenti in materia familiare – può ritenersi lesivo del diritto di difesa della rispettiva parte controinteressata e quindi della parità delle armi nel processo, come prospettato dall’orientamento riportato sub 7.1.2.

La confutazione dell’argomento passa attraverso la ricostruzione della disciplina del bilanciamento tra interesse all’accesso difensivo dell’istante e tutela della riservatezza del controinteressato.

L’art. 24 l. n. 241/1990 prevede, al riguardo:

– al comma 1, una tendenziale esclusione diretta legale dall’accesso documentale per le ipotesi ivi contemplate;

– al comma 2, un’esclusione demandata ad un regolamento governativo, con cui possono essere individuati casi di sottrazione all’accesso di documenti amministrativi, tra l’altro e per quanto qui interessa, “d) quando i documenti riguardino la vita privata o la riservatezza di persone fisiche, persone giuridiche, gruppi, imprese e associazioni, con particolare riferimento agli interessi epistolare, sanitario, professionale, finanziario, industriale e commerciale di cui siano in concreto titolari, ancorché i relativi dati siano forniti all’amministrazione dagli stessi soggetti cui si riferiscono“;

– al comma 7 un’esclusione basata su un giudizio valutativo di tipo comparativo di composizione degli interessi confliggenti facenti capo al richiedente e, rispettivamente, al controinteressato, modulato in ragione del grado di intensità dei contrapposti interessi ed improntato ai tre criteri della necessarietà, dell’indispensabilità e della parità di rango.

Nel caso di specie non vengono in rilievo né i “dati sensibili” quali definiti dall’art. 9 del regolamento n. 2016/679/UE del Parlamento e del Consiglio (ossia, dati personali che rivelino l’origine razziale o etnica, le opinioni politiche, le convinzioni religiose o filosofiche, o l’appartenenza sindacale, nonché i dati biometrici intesi a identificare in modo univoco una persona fisica), né i dati “giudiziari” di cui al successivo art. 10 (cioè i dati personali relativi alle condanne penali e ai reati o a connesse misure di sicurezza), né i dati cd. supersensibili di cui all’art. 60 d.lgs. n. 196/2003 (cioè i dati genetici, relativi alla salute, alla vita sessuale o all’orientamento sessuale della persona), bensì i dati personali rientranti nella tutela della riservatezza cd. finanziaria ed economica della parte controinteressata.

Ebbene, ai fini del bilanciamento tra diritto di accesso difensivo (preordinato all’esercizio del diritto alla tutela giurisdizionale in senso lato) e tutela della riservatezza (nella specie, cd. finanziaria ed economica), secondo la previsione dell’art. 24, comma 7, l. n. 241/1990, trova applicazione né il criterio della stretta indispensabilità (riferito ai dati sensibili e giudiziari) né il criterio dell’indispensabilità e della parità di rango (riferito ai dati cd. supersensibili), ma il criterio generale della “necessità” ai fini della ‘cura’ e della ‘difesa’ di un proprio interesse giuridico, ritenuto dal legislatore tendenzialmente prevalente sulla tutela della riservatezza, a condizione del riscontro della sussistenza dei presupposti generali dell’accesso difensivo.

Infatti, l’art. 5, comma 1, lettere a) e d), d.m. 29 ottobre 1996, n. 603 – emanato dal Ministero delle finanze, ai sensi dei commi 2 e 4 dell’art. 24 l. n. 241/1990 nella versione anteriore alla sua sostituzione ad opera dell’art. 16 l. 11 febbraio 2005, n. 15 – nell’individuazione dei documenti inaccessibili per motivi attinenti alla riservatezza, esclude dall’accesso documentale la “documentazione finanziaria, economica, patrimoniale e tecnica di persone fisiche e giuridiche, gruppi, imprese e associazioni comunque acquisiti ai fini dell’attività amministrativa“, nonché gli “atti e documenti allegati alle dichiarazioni tributarie“, garantendone tuttavia “la visione” nei casi in cui la relativa “conoscenza sia necessaria per la cura e difesa degli interessi giuridicamente rilevanti propri di coloro che ne fanno motivata richiesta“, pertanto in aderenza in parte qua alla previsione della norma primaria disciplinante l’accesso difensivo, dapprima contenuta nell’art. 24, comma 2, lettera d), l. n. 241/1990 ed oggi nel comma 7 dell’art. 24 come sostituito dall’art. 16 l. n. 15/2005.

Con riferimento alla fattispecie sub iudice, risulta pertanto già compiuto sul piano normativo il giudizio di bilanciamento tra tutela dell’interesse conoscitivo attraverso lo strumento dell’accesso difensivo, quale esplicazione del diritto costituzionalmente garantito della tutela giurisdizionale, e tutela della riservatezza cd. finanziaria ed economica del controinteressato, dando la prevalenza al primo. Bilanciamento che, in difetto di normativa speciale, è rimesso alla valutazione dell’amministrazione alla stregua dei canoni e criteri in generali posti dall’ordinamento per l’accesso difensivo.

Peraltro, il controinteressato ha a disposizione tutti gli strumenti procedimentali (opposizione ex art. 3 d.P.R. n. 184/2006) e processuali (impugnazione dell’atto di accoglimento dell’istanza di accesso dinanzi al giudice amministrativo in sede di giurisdizione esclusiva ex art. 133, comma 1, lettera a), numero 6), cod. proc. amm.) per difendere la propria posizione contrapposta a quella del richiedente l’accesso, nella pienezza delle garanzie giurisdizionali, con la conseguenza che non è ravvisabile lesione alcuna del principio della parità delle armi, quale paventata nel contesto argomentativo della tesi riportata sopra sub 7.1.2. E comunque anche alla controparte nel giudizio civile è garantito ovviamente il diritto di accesso alla posizione dell’istante.

Deve, infine, essere rimarcato che l’accoglimento dell’istanza di accesso non rende il dato acquisito liberamento trattabile dal soggetto richiedente, il quale è rigorosamente tenuto a utilizzare il documento esclusivamente ai fini difensivi per cui l’ostensione è stata richiesta, a pena di incorrere nelle sanzioni amministrative ed, eventualmente, anche penali (a seconda della concreta condotta illecita), previste per il trattamento illegittimo di dati personali riservati, e fatta altresì salva la riconducibilità dell’illecito trattamento alla responsabilità di cui all’art. 2043 cod. civ..

9.5 Alla luce delle considerazioni tutte sopra svolte deve ritenersi che la previsione, nell’ordinamento processualcivilistico, di strumenti di esibizione istruttoria di documenti (anche) amministrativi ai sensi degli artt. 210,211 e 213 cod. proc. civ., nonché, nell’ambito dei procedimenti di famiglia, dello strumento di acquisizione di documenti contenenti dati reddituali, patrimoniali e finanziari dell’anagrafe tributaria di cui artt. 155-sexies disp. att. cod. proc. civ. e 492-bis cod. proc. civ., ivi compresi i documenti conservati nell’archivio dei rapporti finanziari, non escluda l’esperibilità dell’accesso documentale difensivo. Infatti, sulla base di una lettura unitaria e integratrice tra le singole discipline, nonché costituzionalmente orientata a garanzia dell’effettività del diritto alla tutela giurisdizionale da intendere in senso ampio e non ristretto al solo momento processuale, il rapporto tra l’istituto dell’accesso documentale difensivo e i menzionati istituti processualcivilistici non può che essere ricostruito in termini di complementarietà delle forme di tutela.

  1. In conclusione, per le considerazioni esposte, non appare condivisibile la tesi accolta dalla sentenza del Consiglio di Stato n. 3461/2017, laddove, argomentando dalla natura strumentale dell’accesso difensivo in funzione della tutela di preesistenti e autonome posizioni soggettive (di diritto soggettivo o di interesse legittimo) legittimanti l’istanza di accesso, lo assimila sostanzialmente ad un potere di natura processuale, onde dedurvi l’inapplicabilità ai casi in cui la disciplina processualcivilistica già preveda strumenti specifici istruttori di esibizione documentale (tra cui di documenti amministrativi), quali, in via generale, costituiti dagli artt. 210,211 e 213 cod. proc. civ., rispettivamente, per lo specifico settore dei procedimenti in materia di famiglia, dai poteri istruttori d’ufficio di cui agli artt. 155-sexies disp. att. cod. proc. civ. e 492-bis cod. proc. civ..

Piuttosto, l’avere argomentato, nella menzionata sentenza – mutuando il percorso logico seguito dall’Adunanza plenaria n. 6/2006 – circa la posizione strumentale riconosciuta ad un soggetto che sia già titolare di una diversa situazione giuridicamente tutelata (diritto soggettivo o interesse legittimo, e, nei casi ammessi, esponenzialità di interessi collettivi o diffusi), sembra condurre all’opposta conclusione esegetica secondo cui è il collegamento con l’interesse diretto, concreto ed attuale a fondare la base legittimante per l’accesso, a prescindere dall’utilizzo, giudiziale o meno, che si intenda fare del documento osteso.

Inoltre, non è condivisibile l’argomentazione che muove dall’oggetto della causa petendi e del petitum dedotti nel giudizio civile, laddove viene conferito esclusivo e determinante rilievo alla circostanza che si tratta di lite soltanto tra soggetti privati, al quale la pubblica amministrazione è totalmente estranea.

A questo riguardo giova ribadire che l’aspetto pubblicistico della materia è immanente alla natura amministrativa del documento e della relativa detenzione, indipendentemente dal regime privatistico o pubblicistico di formazione dell’atto o dalla natura del soggetto che lo detiene.

L’accesso difensivo supera le pertinenze probatorie che concernono il mero rapporto procedimentale tra il privato e la pubblica amministrazione, ovvero tra privati in cui si fa questione dell’esercizio del potere da parte di un’autorità amministrativa, e ricomprende tutte quelle pertinenze utili a dimostrare i fatti costitutivi, impeditivi, modificativi o estintivi delle situazioni giuridiche in generale, a prescindere dall’esercizio del potere nel singolo caso concreto, ed indipendentemente dal contesto entro il quale l’interesse giuridico può essere ‘curato’ o ‘difeso’, e quindi anche fuori dal processo ed anche in una lite tra privati.

Nella prospettiva appena delineata, sono indifferenti la natura e la consistenza della situazione giuridica ‘finale’ (la quale può essere di diritto soggettivo, di interesse legittimo, di aspettativa o di altro tipo), purché si tratti di situazione astrattamente azionabile in caso di lesione.

È pure indifferente che il relativo rapporto giuridico intercorra esclusivamente tra soggetti privati, nonché quale sia l’autorità giudiziaria (ordinaria, amministrativa, contabile o altro giudice speciale) munita di giurisdizione in caso di instaurazione di un processo.

La tutela del terzo controinteressato è adeguatamente caratterizzata, sia sul piano procedimentale, sia su quello processuale, attraverso le specifiche forme di notificazione e di eventuale sua opposizione all’accesso.

  1. Quanto all’ultima questione deferita all’Adunanza plenaria, relativa alle modalità ostensive dei documenti dell’anagrafe tributaria, ivi inclusi i documenti dell’archivio dei rapporti finanziari – se, cioè, l’accesso possa essere esercitato solo attraverso visione, oppure anche attraverso estrazione di copia -, la stessa deve essere risolta in quest’ultimo senso, in quanto:

– sul piano normativo, l’art. 22, comma 1, lettera a), l. n. 241/1990, come sostituito dall’art. 15 d.lgs. n. 15/2005, prevede quale forma generale di accesso quella “di prendere visione e di estrarre copia di documenti amministrativi“;

– la sopra citata previsione regolamentare di cui all’art. 5, comma 1, lettere a) e d), d.m. 29 ottobre 1996, n. 603, che, in sede di accesso difensivo, consente solo la “la visione” della documentazione finanziaria, economica, patrimoniale, reddituale e fiscale detenuta dall’amministrazione finanziaria, trova la sua spiegazione nella vigenza, all’epoca di emanazione del decreto ministeriale, di una correlativa norma primaria nel testo originario dell’art. 24, comma 2, lettera d), l. n. 241/1990, ormai superata dalla novellazione apportata alla legge n. 241/1990 dalla legge n. 15/2005, che non prevede più alcuna limitazione quanto alle modalità di accesso difensivo alla documentazione contenente dati personali riservati, sicché la limitazione contenuta nel citato d.m. n. 603/1996 deve ritenersi implicitamente abrogata dalla normativa primaria sopravvenuta;

– con riguardo alla ratio sottesa all’accesso documentale difensivo, l’unica modalità ontologicamente idonea a soddisfare la funzione di acquisire la documentazione extra iudicium ai fini della ‘cura’ e ‘difesa’ della situazione giuridica facente capo al richiedente l’accesso è l’estrazione di copia, ai fini di un eventuale utilizzo del documento in sede stragiudiziale e, a maggior ragione, in sede processuale, impossibile se non attraverso l’offerta in comunicazione e la produzione materiale della relativa copia in giudizio.

Quanto alle eventuali modalità telematiche, dovrà trovare applicazione la disciplina settoriale in materia di amministrazione digitale.

  1. L’Adunanza plenaria, conclusivamente, enuncia sulle questioni postele i seguenti principi di diritto, anche ai sensi dell’art. 99, comma 5, cod. proc. amm.:

(i) “Le dichiarazioni, le comunicazioni e gli atti presentati o acquisiti (d)agli uffici dell’amministrazione finanziaria, contenenti i dati reddituali, patrimoniali e finanziari ed inseriti nelle banche dati dell’anagrafe tributaria, ivi compreso l’archivio dei rapporti finanziari, costituiscono documenti amministrativi ai fini dell’accesso documentale difensivo ai sensi degli artt. 22 e ss. della legge n. 241/1990“;

(ii) “L’accesso documentale difensivo può essere esercitato indipendentemente dalla previsione e dall’esercizio dei poteri processuali di esibizione istruttoria di documenti amministrativi e di richiesta di informazioni alla pubblica amministrazione nel processo civile ai sensi degli artt. 210,211 e 213 cod. proc. civ.“;

(iii) “L’accesso difensivo ai documenti contenenti i dati reddituali, patrimoniali e finanziari, presenti nell’anagrafe tributaria, ivi compreso l’archivio dei rapporti finanziari, può essere esercitato indipendentemente dalla previsione e dall’esercizio dei poteri istruttori di cui agli artt. 155-sexies disp. att. cod. proc. civ. e 492-bis cod. proc. civ., nonché, più in generale, dalla previsione e dall’esercizio dei poteri istruttori d’ufficio del giudice civile nei procedimenti in materia di famiglia“;

(iv) “L’accesso difensivo ai documenti contenenti i dati reddituali, patrimoniali e finanziari, presenti nell’anagrafe tributaria, ivi compreso l’archivio dei rapporti finanziari, può essere esercitato mediante estrazione di copia“.

  1. Premesso che ai sensi dell’art. 99, comma 4, cod. proc. amm. sussistono i presupposti per decidere l’intera controversia, e facendo applicazione degli esposti principi al caso di specie, l’appello – incentrato sull’unico, complesso motivo in diritto dell’erronea mancata considerazione nell’impugnata sentenza dell’asserito rapporto di specialità specializzante intercorrente tra la normativa contenuta negli artt. 155-sexies disp. att. cod. proc. civ. e 492-bis cod. proc. civ. d’un lato, e la disciplina dell’accesso documentale difensivo ex art. 24 l. n. 241/1990 d’altro lato (vizio ritenuto assorbente di ogni valutazione dell’esercizio in concreto del potere amministrativo e idoneo a sorreggere, in tesi, la riforma della sentenza), e dell’erronea omessa considerazione che (sempre secondo l’assunto dell’appellante) l’indispensabilità del documento ai fini dell’accesso difensivo deve essere intesa (anche) come impossibilità di acquisire il documento attraverso le forme processuali tipiche già previste dall’ordinamento – deve essere respinto, con la conseguente conferma della pronuncia di accoglimento del TAR.
  2. A fronte del rilevato contrasto giurisprudenziale, si ravvisano i presupposti di legge per dichiarare le spese del presente grado di giudizio interamente compensate tra le parti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Adunanza Plenaria), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, provvede come segue:

  1. a) enuncia i principi di diritto come al punto 12 della parte-motiva;
  2. b) respinge l’appello e, per l’effetto, conferma l’impugnata sentenza;
  3. c) dichiara le spese del presente grado di giudizio interamente compensate tra le parti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all‘articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento UE 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità delle parti private.

Così deciso nelle camere di consiglio del 27 maggio 2020 e del 23 settembre 2020, la prima delle quali tenuta ai sensi dell’art. 84, comma 6, d.-l. n. 18/2020, con l’intervento dei magistrati:

Filippo Patroni Griffi, Presidente

Sergio Santoro, Presidente

Franco Frattini, Presidente

Giuseppe Severini, Presidente

Luigi Maruotti, Presidente

Gianpiero Paolo Cirillo, Presidente

Diego Sabatino, Consigliere

Bernhard Lageder, Consigliere, Estensore

Paolo Giovanni Nicolo’ Lotti, Consigliere

Oberdan Forlenza, Consigliere

Giulio Veltri, Consigliere

Fabio Franconiero, Consigliere

Massimiliano Noccelli, Consigliere


COMMENTO:. La Sig.ra ALFA richiedeva all’Agenzia dell’Entrate l’accesso alla documentazione fiscale, reddituale e patrimoniale riferibile al coniuge BETA. 

L’Amministrazione negava l’accesso, poiché rilevava la pendenza di un Giudizio di separazione giudiziale instaurato da ALFA nei confronti di BETA. 

L’accesso, in particolare, veniva rifiutato sulla base della mancanza dell’autorizzazione del Giudice della separazione, ex artt. 492 bis c.p.c. e 155 sexies disp. att. c.p.c.. 

Alfa impugnava il diniego di fronte al TAR competente, che accoglieva il ricorso, in quanto riscontrava l’oggettiva utilità dell’accesso rispetto al fine di tutela perseguito dalla ricorrente. 

Il TAR, dunque, ordinava, ai sensi dell’art. 116 c.p.a., all’Agenzia dell’entrate di esibire i documenti richiesti.

L’Amministrazione impugnava la sentenza innanzi al Consiglio di Stato che, ai sensi dell’art. 99, comma 1, c.p.a., rimetteva gli atti all’Adunanza Plenaria. 

Il Consiglio di Stato, infatti, rilevava l’esistenza di contrasti giurisprudenziali circa i rapporti tra le norme della L. 241/1990 (artt. 22-28) relative alla disciplina dell’accesso ai documenti amministrativi e le disposizioni del Codice di Procedura Civile (artt. 210 – 214, 492 bis c.p.c.) che disciplinano l’esibizione delle prove e la ricerca telematica dei beni.

La Sezione rimettente individua un primo orientamento secondo cui l’accesso ai documenti amministrativi, ex L. 241/1990, sarebbe esperibile anche indipendentemente dalla sussistenza di norme processuali di acquisizione probatoria di documenti in possesso della Pubblica Amministrazione.

In altri termini, l’accesso ai documenti amministrativi, ex L. 241/1990, viene qualificato come situazione giuridica soggettiva autonoma. La ratio di tale autonomia viene individuata nella dimensione ormai ampia del diritto fondamentale di pienezza ed effettività della tutela giurisdizionale. 

Secondo la tesi, infatti, il diritto ad una tutela piena ed effettiva mantiene, da una parte, la sua tipica dimensione sostanzial/processualistica, che si estrinseca nelle norme dedicate alla tutela della parità delle parti, del contradditorio e del giusto processo; dall’altra, invece, ha assunto una dimensione sostanziale pura che attiene ad una tutela non tanto “nel processo”, ma “in vista del processo”. 

Il diritto di accesso viene, appunto, declinato come estrinsecazione dinamica della dimensione sostanziale pura del diritto ad una tutela giurisdizionale piena ed effettiva.

Infatti, attraverso l’accesso ai documenti amministrativi, ex L. 241/1990, l’interessato può acquisire i documenti della Pubblica Amministrazione anche in una fase (crono)logicamente anteriore all’instaurazione di un giudizio. 

Secondo tale tesi, è, allora, evidente come gli artt. 22 – ss. L. 241/1990 forniscano una tutela “in vista” del processo che permette alla “parte” di valutare, anche e soprattutto, la convenienza, o meno, dell’instaurazione di un giudizio.

L’orientamento qualifica, invece, le norme di procedura che disciplinano l’esibizione dei documenti come espressioni dinamiche della tipica dimensione sostanzial-processualistica del principio di pienezza ed effettività della tutela giurisdizionale. 

A tale soluzione si giunge attraverso l’individuazione di una funzione unitaria e di un presupposto comune relativi alle norme di cui agli artt. 210 -213, 492 bis c.p.c. e 155 sexies disp. att. c.p.c.

La tesi evidenzia, in primo luogo, come le norme processuali, che disciplinano l’ordine di esibizione e la ricerca telematica di beni, siano funzionali a neutralizzare quei comportamenti non collaborativi delle parti che rischiano di incidere inevitabilmente sul giudizio. 

In secondo luogo, il presupposto comune a tutte queste norme è individuato nell’inderogabile valutazione del giudice sulla necessità, o meno, di acquisire i documenti di cui si chiede l’esibizione ovvero delle ricerche di cui si domanda l’effettuazione.

Questo orientamento, quindi, mette in evidenzia come il diritto di accesso ai documenti amministrativi e le norme processuali di esibizione delle prove siano tutele ontologicamente diverse. 

Nello specifico, viene messo in rilevo come il diritto di accesso sia una tutela non attinente in senso stretto alla fase processuale, ma che accompagna l’interessato a trecentosessanta gradi. Ed invero, spetta solo all’interessato, una volta ottenuto l’accesso, valutare se agire in giudizio e, eventualmente, scegliere quali dei documenti ottenuti allegare.

Invece, le norme processuali dedicate all’ordine di esibizione e alla ricerca dei beni attengono, secondo la tesi, alla fase successiva di acquisizione e valutazione delle prove.

La tesi, dunque, giunge all’inevitabile conclusione per cui il diritto di accesso regolato dagli artt. 22 –ss L. 241/1990 e gli artt. 210 -213, 492 bis c.p.c. e 155 sexies disp. att. forniscano tutele complementari in grado di coesistere. 

La Sezione rimettente, poi, individua un secondo orientamento in base al quale l’accesso ai documenti amministrativi, ex L. 241/1990, non è un vero e proprio diritto, ma sé piuttosto una situazione di natura procedimentale.

Viene qualificata, quindi, come una situazione giuridica non dotata di autonoma rilevanza, ma strettamente collegata da un nesso di dipendenza ad un interesse giuridico tutelato dall’ordinamento (un diritto soggettivo o un interesse legittimo).

Per quanto riguarda la richiesta di accesso ai documenti amministrativi strumentale all’azione giudiziaria civile, la tesi individua nel diritto soggettivo ad una tutela giurisdizionale piena ed effettiva l’interesse giuridico rilevante a cui la stessa domanda di accesso è strettamente legata.

Si osserva, però, che le norme processuali civiliste dedicate all’esibizione di documenti già tutelano in modo soddisfacente il diritto alla pienezza ed alla effettività della tutela giurisdizionale. 

Di conseguenza, gli artt. 210 – 213, 492 bis c.p.c. e 155 sexies disp. att., in questi casi, escludono l’accesso ai documenti amministrativi ex L. 241/1990.

LA DECISIONE. L’Adunanza Plenaria condivide la soluzione del primo orientamento, ma se ne discosta per quanto riguarda il percorso logico-giuridico.

Il Supremo Consesso Amministrativo, infatti, non si focalizza sulla natura dell’accesso ai documenti amministrativi, e cioè se si tratti o meno di una situazione giuridica autonoma, ma giunge alla stessa soluzione attraverso l’inquadramento e l’analisi strutturale dell’istituto. 

L’inquadramento giuridico, innanzitutto, permette di cogliere la duplice dimensione dell’accesso ai documenti amministrativi.

In altri termini, si evince come l’istituto sia caratterizzato da una funzione partecipativa e una difensiva, che tra loro si pongono in un rapporto di piena autonomia. 

La veste partecipativa, secondo la Plenaria, trova, in primo luogo, espresso riconoscimento nell’art. 22, comma 2, L. 241/1990. 

Si evidenzia, in particolare, come la disposizione elevi l’istituto a principio generale regolatore dell’azione amministrativa, ne identifichi l’oggetto nell’interesse pubblico e ne inquadri la funzione nella tutela della partecipazione, imparzialità e trasparenza.

(Art. 22, comma 2, L. 241/1990: l’accesso ai documenti amministrativi, attese le sue rilevanti finalità di pubblico interesse, costituisce principio generale dell’attività amministrativa al fine di favorire la partecipazione e di assicurare l’imparzialità e la trasparenza).

L’Adunanza Plenaria, in secondo luogo, individua il contenuto della funzione partecipativa nella disciplina dell’art. 24, comma 1, lett. a, b, c, d, L. 241/1990, che esclude il diritto di accesso in determinate ipotesi. 

La ratio di tali esclusioni, invero, è da collocare nella recessività della tutela della partecipazione, imparzialità e trasparenza – quindi della funzione partecipativa –  rispetto ad altri interessi pubblici rilevanti. 

Basti pensare che la suddetta disposizione esclude, tra gli altri, il diritto di accesso per i documenti coperti dal segreto di Stato. 

La veste c.d. difensiva del diritto di accesso viene, invece, estrapolata dall’art. 24, comma 7, L. 241/1990, in base al quale l’accesso deve “comunque” essere garantito quando la conoscenza dei documenti amministrativi “sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici”. 

Secondo la Plenaria, in particolare, la lettera della norma è chiara, quando utilizza l’avverbio “comunque”, nell’ammettere l’accesso ai documenti in deroga ai limiti imposti dall’art. 24, comma 1, L. 241/1990, “ ove la conoscenza del documento sia necessaria alla cura o alla tutela di un interesse giuridico”.

Si osserva, allora, come, in questi casi, la deroga ai limiti imposti dall’art. 24, comma 1, L. 241/1990 svuoti, di fatto, il contenuto della funzione partecipativa. E, quindi, la legge, ove deroghi ai suddetti limiti, individua altrove la funzione del diritto di accesso. 

Infatti, la Plenaria considera proprio l’art. 24, comma 7, L. 241/1990 espressione della volontà del Legislatore di non assidere il diritto di accesso sulla sola dimensione partecipativa, ma di arricchirlo di una autonoma funzione c.d. difensiva.

Affermata la doppia anima del diritto di accesso, l’Adunanza Plenaria individua, poi, i presupposti essenziali della funzione difensiva, attraverso l’analisi strutturale del diritto di accesso. 

Il Supremo Consesso Amministrativo si focalizza, prima, sugli artt. 24, comma 7 e 22, comma 1, L. 241/1990. Il primo, nello specifico, stabilisce che “la conoscenza del documento sia necessaria per curare o tutelare un interesse giuridico”. Il secondo, invece, definisce, in materia di diritto di accesso, la nozione di interessati che qualifica come “tutti i soggetti privati, (OMISSIS…) che abbiano un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso”.

Secondo la Plenaria, la norme enucleano il requisito c.d. “di necessità”, in base al quale l’accoglimento della richiesta di accesso presuppone la sussistenza di uno stretto nesso di strumentalità tra la conoscenza del documento e un interesse giuridico del richiedente.

Il requisito della necessità porta con sé riflessi pratici di notevole rilevanza.

Infatti, tale requisito impone al richiedente di dimostrare che la conoscenza del documento sia strumentalmente finalizzata a curare o tutelare un interesse giuridico. 

A tal proposito, giova evidenziare come l’Adunanza Plenaria abbia chiarito che la pendenza di un processo può essere considerata quale elemento solo sintomatico, ma non ex se dirimente, dell’esistenza del requisito di necessità. 

Di conseguenza, un interessato può ottenere l’accesso sia prima che durante la pendenza di un giudizio, purché provi che la conoscenza del documento sia strettamente legata ad un suo interesse giuridico. 

Successivamente, la Plenaria individua un ulteriore requisito essenziale sempre attraverso la lettera dell’art. 22, comma 1, L. 241/1990 nella parte in cui afferma che l’interesse debba “corrispondere ad una situazione giuridica tutelata”.  

Viene evidenziato come la norma presupponga che l’interesse concreto del richiedente debba essere sussumibile sotto una situazione giuridica astrattamente tutelata dall’Ordinamento giuridico (c.d. “corrispondenza”). 

Al riguardo, la Plenaria osserva come il caso posto alla sua attenzione riguardi la materia familiare, un ambito per cui il Legislatore fornisce una disciplina a trecentosessanta gradi. 

Di conseguenza, è evidente che la richiesta di accesso finalizzata a conoscere la situazione economica del coniuge sia sussumibile sotto le fattispecie giuridiche astratte dedicate alla disciplina dei rapporti patrimoniali della famiglia. 

Ai requisiti di necessità e corrispondenza la Plenaria garantisce un concreta dinamicità attraverso l’art. 25, comma 2, L. 241/1990, il quale impone all’interessato di motivare la richiesta di accesso. 

Pertanto, attraverso l’onere di motivazione, da una parte, l’interessato ha l’obbligo di dimostrare l’esistenza della necessità e della corrispondenza; la Pubblica Amministrazione, dall’altra, ha, invece, la possibilità di verificarne la sussistenza e ove la riscontri, trattandosi di attività vincolata, ha il dovere di garantire l’accesso.

Infine, tracciate le linee direttrici del diritto di accesso, l’Adunanza Plenaria analizza gli istituti processuali-civilistici di acquisizione delle prove e, così, detta una regola tranciante sui rapporti tra questi e il diritto di accesso ai documenti amministrativi. 

Viene, in particolare, sottolineato come gli artt. 210 – 213, 492 bis c.p.c. e 155 sexies disp. att. c.p.c. siano norme specificamente volte a disciplinare l’attività processuale che “può essere anche dispendiosa e complessa (Omissis….), sicché il legislatore ha previsto il requisito della necessarietà, da interpretare in termini di rilevanza del mezzo di prova ai fini della decisione, proprio per evitare che il meccanismo istruttorio venga messo in moto inutilmente.”

Sul punto, poi, viene richiamata l’interpretazione giurisprudenziale processual-civilistica che attribuisce a tali strumenti il carattere dell’extrema ratio. 

Secondo tale orientamento, il Giudice Ordinario può ammettere gli ordini di esibizione e le indagini telematiche solo laddove la parte non sia in grado di acquisire il documento con gli altri strumenti forniti dall’Ordinamento.

Ebbene, l’Adunanza Plenaria, in questo modo, traccia un confine netto ed invalicabile tra l’accesso ai documenti amministrativi, ex L. 241/1990, e gli istituti di cui agli artt. 210 – 213, 492 bis c.p.c. e 155 sexies disp. att. c.p.c.

Più in particolare, ove non ne faccia richiesta alla Pubblica Amministrazione, l’interessato che può legittimamente ottenere l’accesso ai documenti amministrativi, si vedrà, inevitabilmente, rigettare dal Giudice le istanze ex artt. 210 – 213, 492 bis c.p.c. e 155 sexies disp. att. 

Infatti, alla luce della natura vincolata del potere della Pubblica Amministrazione di negare il diritto di accesso, la parte, in questi casi, tradisce la logica dell’extrema ratio intrisa negli strumenti processual-civilistici, poiché non si avvale di uno mezzo di ricerca probatoria fornito dall’Ordinamento.

Dunque, è evidente come la mancata autorizzazione del Giudice della separazione, ex artt. 492 bis c.p.c. e 155 sexies disp. att. c.p.c.., non possa in alcun modo essere ostativa all’accesso dei documenti attestanti la situazione finanziaria di uno dei due coniugi. 

Al contrario, è la mancata richiesta alla Pubblica Amministrazione di accedere a tali documenti che si atteggia a “condizione di procedibilità” delle attività processuali disciplinate dagli artt. 210 – 213, 492 bis c.p.c. e 155 sexies disp. att. c.p.c.

Pertanto, la decisione del Consiglio di Stato è stata in toto confermata. 

Orbene, la soluzione offerta dall’Adunanza Plenaria è indiscutibile sul piano logico giuridico. 

Inoltre, è da apprezzare la motivazione sia per la chiarezza espositiva che per aver indirizzato la precisione dogmatica verso la soluzione del caso concreto. 

Dott. Gian Maria Marletti