Cass. civ, sez. V, ord., 20 luglio 2025 n. 18936
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
FATTI IN CAUSA
- La ditta XXX ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza depositata dalla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Toscana il 16 febbraio 2023, n. 137/06/2023, la quale, in controversia su impugnazione di avviso di accertamento n. ***, prot. n. 00***, del 18 ottobre 2019, notificato il 7 novembre 2018, da parte del Comune di Omissis per l’IMU relativa all’anno 2017 nella misura di € 20.366,00 (oltre ad accessori) , in relazione ad un fabbricato acquistato dalla ditta XXX con compravendita di cosa futura del 5 maggio 2009 e censito in catasto con dichiarazione di nuova costruzione del 20 gennaio 2015, prot. n. ***, che, dopo l’ occupazione abusiva da parte della ditta XXX con decorrenza dal 22 dicembre 2015, era stato sottoposto a sequestro preventivo con provvedimento del 23 febbraio 2016, poi revocato il 21 settembre 2017, ha rigettato l’appello proposto dalla medesima nel confronti del Comune di Omissis avverso la sentenza depositata dalla Commissione tributaria provinciale di Firenze il 10 settembre 2021, n. 407/01/2021, con condanna alla rifusione delle spese giudiziali. Il giudice di appello ha confermato la decisione di prime cure
 
che aveva respinto il ricorso originario della contribuente –
sul rilievo: a) che l’atto impositivo era provvisto di idonea motivazione; b) che esso era stato sottoscritto con firma digitale da funzionario delegato in forza di determina dirigenziale; c) che il sequestro preventivo dell’immobile non comportava esenzione dall’imposta; d) che l’art. 1, comma 81, della legge 29 dicembre 2022, n. 197, il quale aveva introdotto la lett. gbis ) all’art. 1, comma 759, della legge 27 dicembre 2019, n. 160, prevedendo l ‘esenzione per « gli immobili non utilizzabili né disponibili, per i quali sia stata presentata denuncia all’autorità giudiziaria in relazione ai reati di cui agli articoli 614, secondo comma, o 633 del codice penale o per la cui occupazione abusiva sia stata presentata denuncia o iniziata azione giudiziaria penale », non aveva efficacia retroattiva. Il Comune di Omissis è rimasto intimato.
- La ditta XXX ha depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ., deducendo la sopravvenienza in corso di causa della sentenza depositata dalla Corte Costituzionale il 18 aprile 2024, n. 40, per effetto della quale « è assolutamente irragionevole e contrario al principio di capacità contributiva, insomma, ravvisare la soggettività passiva IMU e la conseguente debenza dell’imposta in capo al proprietario di un immobile occupato abusivamente, il quale abbia sporto tempestiva denuncia all’autorità giudiziaria penale, per il periodo decorrente dal momento della denuncia fino a quello in cui l’immobile venga liberato».
 
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorso è affidato ad un unico motivo, col quale si denuncia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 8 e 9 del d.lgs. 14 marzo 2011, n. 23, 51, comma 3bis, del d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., per essere stato erroneamente ritenuto dal giudice di secondo grado che l’indisponibilità conseguente al sequestro preventivo non escludesse la sussistenza del presupposto impositivo.
Secondo la ricorrente: «La Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Toscana è incorsa in una manifesta violazione e falsa applicazione dell’art. 9, D.Lgs. n. 23/2011 e dell’art 8, D.Lgs. n. 23/2011, rispettivamente in tema di soggettività passiva e di presupposto di applicazione ai fini IMU (letti in combinato disposto con l’art. 13, comma 2, D.L. n. 201/2011), vigenti ratione temporis, laddove ha ravvisato tale soggettività in capo all’Azienda, pur in assenza della disponibilità del bene immobile per causa alla stessa non imputabile (l’occupazione abusiva con conseguente sequestro preventivo d’urgenza) ».
Il predetto motivo è fondato.
Come è noto, su sollecitazione di questa Corte (Cass., Sez. Trib., 13 aprile 2023, nn. 9956 e 9957), il giudice delle leggi ha dichiarato lite pendente l’illegittimità costituzionale dell’art. 9, comma 1, del d.lgs. 14 marzo 2011, n. 23, nel testo applicabile ratione temporis, nella parte in cui non prevede che non siano soggetti ad IMU, per il periodo dell’anno durante il quale sussistono le condizioni prescritte, gli immobili non utilizzabili né disponibili, per i quali sia stata presentata denuncia all’autorità giudiziaria in relazione ai reati di cui agli artt. 614, secondo comma, o 633 cod. pen. o per la cui occupazione abusiva sia stata presentata denuncia o iniziata azione giudiziaria penale (Corte Cost., 18 aprile 2024, n. 60).
A fondamento di tale conclusione, vi è la riflessione che: « Indipendentemente dalla nozione di possesso cui debba farsi riferimento a proposito dell’IMU, è irragionevole affermare che sussista la capacità contributiva del proprietario che abbia subito l’occupazione abusiva di un immobile che lo renda inutilizzabile e indisponibile e si sia prontamente attivato per denunciarne penalmente l’accaduto, tanto che il legislatore, come già rilevato, è intervenuto con la legge n. 197 del 2022 per dichiarare non dovuta l’imposta in questione ».
Secondo un indirizzo consolidato, il mutamento normativo prodotto da una pronuncia di illegittimità
costituzionale, configurandosi come ius superveniens , impone, anche nella fase di cassazione, la disapplicazione della norma dichiarata illegittima e l’applicazione della disciplina risultante dalla decisione anzidetta; con l’ulteriore conseguenza che, ove la nuova situazione di diritto obiettivo derivata dalla sentenza di incostituzionalità richieda accertamenti di fatto non necessari alla stregua della precedente disciplina, questi debbono essere compiuti in sede di merito, al qual fine, ove il processo si trovi nella fase di cassazione, deve disporsi il rinvio della causa al giudice di appello (in termini: Cass., Sez. 5^, 20 dicembre 2019, n. 34209 -nello stesso senso: Cass., Sez. 5^, 17 novembre 2020, n. 26117; Cass., Sez. 5^, 10 giugno 2021, n. 16206; Cass., Sez. 5^, 1 febbraio 2022, n. 2939; Cass., Sez. Trib., 12 aprile 2023, n. 9718; Cass., Sez. Trib., 9 dicembre 2024, n. 31648; Cass., Sez. 2^, 16 dicembre 2024, n. 32705). In proposito, va fatta applicazione del principio secondo cui, nel giudizio di legittimità, lo ius superveniens , che introduca una nuova disciplina del rapporto controverso, può trovare di regola applicazione solo alla duplice condizione che, da un lato, la sopravvenienza sia posteriore alla proposizione del ricorso per cassazione, e ciò perché, in tale ipotesi, il ricorrente non ha potuto tener conto dei mutamenti operatisi successivamente nei presupposti legali che condizionano la disciplina dei singoli casi concreti; e, dall’altro lato, la normativa sopraggiunta sia pertinente rispetto alle questioni agitate nel ricorso, posto che i principi generali dell’ordinamento in materia di processo per cassazione – e soprattutto quello che impone che la funzione di legittimità sia esercitata attraverso l’individuazione delle censure espresse nei motivi di ricorso e sulla base di esse – impediscono di rilevare d’ufficio (o a seguito di segnalazione fatta dalla parte mediante memoria difensiva) regole di giudizio determinate dalla sopravvenienza di disposizioni, ancorché dotate di efficacia retroattiva, afferenti ad un profilo della norma applicata che non sia stato investito, neppure indirettamente, dai motivi di ricorso e che concernano quindi una questione non sottoposta al giudice di legittimità (Cass., Sez. Lav., 1 ottobre 2012, n. 16642; Cass., Sez. 5^, 24 luglio 2018, n. 19617).
Nel caso di specie, la sopravvenienza della declaratoria di illegittimità costituzionale (nella forma di sentenza additiva) comporta la necessità di un nuovo accertamento di fatto in ordine alla effettiva privazione della disponibilità materiale dell’immobile per l’intera durata dell’anno 2016 a causa dell ‘occupazione abusiva da parte di terzi, che era stata tempestivamente denunciata dalla contribuente all’autorità giudiziaria.
Laddove, pur escludendo -secondo una esegesi conforme all’art. 3, comma 1, della legge 27 luglio 2000, n. 212 l’efficacia retroattiva dell’art. 1, comma 81, della legge 29 dicembre 2022, n. 197, il quale aveva introdotto la lett. gbis ) all’art. 1, comma 759, della legge 27 dicembre 2019, n. 160, la sentenza impugnata aveva ribadito che « il proprietario del bene detenuto da terzi in quanto oggetto di abusiva occupazione, è tenuto al versamento IMU in quanto l’occupazione abusiva di un immobile non costituisce una giusta causa di esenzione dal pagamento dell’imposta atteso che la norma di riferimento ricollega l’imposta alla titolarità del diritto e non all’utilizzo del bene o alla sua fruttuosità ». Pertanto, alla stregua delle suesposte argomentazioni, valutandosi la fondatezza del motivo dedotto, il ricorso può trovare accoglimento e la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio della causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Toscana, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Toscana, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso a Roma nella camera di consiglio del 27 maggio
COMMENTO –La pronuncia della Corte di cassazione, sezione V, 10 luglio 2025, n. 18936, offre l’occasione per una riflessione sul perimetro del presupposto dell’imposta municipale propria (IMU) e, in particolare, sul rapporto tra titolarità giuridica e disponibilità materiale del bene quale indice della capacità contributiva. La questione trae origine da un accertamento emesso dal Comune di (Omissis) nei confronti di una società proprietaria di un fabbricato industriale occupato abusivamente e sottoposto a sequestro preventivo penale. L’amministrazione aveva ritenuto che la mera titolarità del diritto reale fosse sufficiente a fondare la soggettività passiva, indipendentemente dalla possibilità effettiva di utilizzare l’immobile.
Nel sistema dell’imposizione patrimoniale locale, la nozione di “possesso” di cui all’art. 9 del D.Lgs. 14 marzo 2011, n. 23, è tradizionalmente ricondotta alla titolarità di un diritto reale, e non alla disponibilità di fatto. Tale impostazione riflette la logica propria dell’imposta patrimoniale, che assume la proprietà come indice di ricchezza potenziale, stabile e presunta. Ne è derivata, per lungo tempo, una lettura rigidamente formale del presupposto: l’imposta è dovuta anche quando il bene non sia utilizzato o non produca reddito, poiché la capacità contributiva è ravvisata nella potenzialità economica connessa alla proprietà. È su tale linea che la giurisprudenza di legittimità si è attestata, ritenendo irrilevante, ai fini dell’imposizione, la mancata fruizione o la temporanea indisponibilità dell’immobile ( Cass., sez. V, 31 ottobre 2017, n. 25938).
La sentenza in commento, pronunciata in applicazione della sopravvenuta decisione della Corte costituzionale 18 aprile 2024, n. 60 (Corte cost., 18 aprile 2024, n. 60, in G.U. 24 aprile 2024, n. 17) delimita la portata di questa presunzione. La Suprema Corte precisa che la capacità contributiva presunta non può operare in via assoluta, ma deve essere esclusa nei casi in cui la titolarità del diritto reale sia priva di ogni contenuto economico, poiché l’immobile risulta sottratto alla disponibilità del proprietario per causa non imputabile e da lui tempestivamente denunciata. La decisione non altera la struttura patrimoniale dell’IMU, ma ne individua il limite di applicazione in funzione del principio di capacità contributiva di cui all’art. 53 Cost.
La vicenda sottoposta all’esame della Corte aveva ad oggetto un fabbricato acquistato come “cosa futura”, dichiarato in catasto nel 2015 e successivamente occupato abusivamente. L’immobile era stato oggetto di sequestro preventivo penale nel febbraio 2016, revocato soltanto nel settembre 2017. Nonostante tale situazione, il Comune di (Omissis) aveva notificato alla contribuente un avviso di accertamento IMU per l’anno 2017, sostenendo che la proprietà restava elemento sufficiente a integrare il presupposto dell’imposta. La Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Toscana aveva confermato la pretesa, rilevando che l’IMU “è collegata alla titolarità del diritto e non all’utilizzo o alla fruttuosità del bene” e che la norma di esenzione introdotta dall’art. 1, comma 81, della legge 29 dicembre 2022, n. 197, non poteva applicarsi ratione temporis a fattispecie anteriori.
La società contribuente aveva proposto ricorso per cassazione, denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 8 e 9 del D.Lgs. 23/2011 e dell’art. 13, comma 2, del D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, conv. in L. 22 dicembre 2011, n. 214, sostenendo che la perdita di disponibilità del bene per causa non imputabile dovesse comportare l’esclusione dall’imposta. Nel corso del giudizio di legittimità era intervenuta la sentenza della Corte costituzionale n. 60/2024, sopravvenuta rispetto alla decisione di merito, con la quale era stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 9, comma 1, D.Lgs. 23/2011, nella parte in cui non prevedeva l’esclusione dall’imposta per gli immobili “non utilizzabili né disponibili, per i quali sia stata presentata denuncia all’autorità giudiziaria in relazione ai reati di cui agli artt. 614, secondo comma, o 633 c.p., o per la cui occupazione abusiva sia stata presentata denuncia o iniziata azione giudiziaria penale”.
La Consulta aveva rilevato che la disposizione censurata, nella sua applicazione letterale, consentiva di assoggettare a imposta un soggetto privo di effettiva capacità contributiva, poiché la mera titolarità giuridica non corrispondeva a un indice economico reale. La Corte ha ritenuto irragionevole pretendere il pagamento dell’imposta da chi sia stato privato, senza colpa, della disponibilità del bene, affermando che l’imposizione patrimoniale, per essere conforme agli artt. 3 e 53 Cost., deve riferirsi a un elemento di ricchezza effettivo e non meramente presunto. Ha inoltre sottolineato che l’intervento legislativo di cui all’art. 1, comma 81, L. 197/2022 — che ha introdotto la lettera g-bis) al comma 759 dell’art. 1 della L. 160/2019 — confermava la necessità di un’esclusione espressa, sebbene con effetto non retroattivo.
La Cassazione, nel dare applicazione alla pronuncia costituzionale, ha ribadito che la dichiarazione di illegittimità produce effetti immediati nei giudizi pendenti, costituendo ius superveniens di natura vincolante. Richiamando precedenti analoghi (Cass., sez. V, 20 dicembre 2019, n. 34209; Cass., sez. V, 10 giugno 2021, n. 16206; Cass., sez. V, 12 aprile 2023, n. 9718), la Corte ha cassato la sentenza impugnata e rinviato la causa alla Corte di giustizia tributaria regionale, in diversa composizione, affinché accertasse in concreto “l’effettiva privazione della disponibilità materiale dell’immobile per l’intera durata del periodo d’imposta a causa dell’occupazione abusiva da parte di terzi, tempestivamente denunciata all’autorità giudiziaria”.
Il ragionamento della Suprema Corte si fonda su una distinzione netta tra presupposto formale e presupposto sostanziale. Il possesso giuridico, fondato sul diritto reale, resta sufficiente a determinare la soggettività passiva solo quando il bene sia nella disponibilità del titolare o quando la perdita di godimento dipenda da sua scelta o inerzia. Diversamente, in presenza di un’occupazione abusiva tempestivamente denunciata, la proprietà perde la sua funzione di indice di ricchezza e non può costituire parametro di capacità contributiva.
La disponibilità materiale non è elevata a elemento costitutivo del presupposto, ma funge da condizione negativa dell’imposta: essa segna il limite oltre il quale l’imposizione patrimoniale risulta irragionevole. Si tratta di un approccio coerente con la natura dell’IMU, che resta un’imposta patrimoniale, ma “a capacità contributiva effettiva”. L’esclusione dell’imposta non discende da un’esenzione di favore, bensì da un difetto strutturale del presupposto impositivo, venuto meno per mancanza dell’elemento economico essenziale.
Sotto il profilo probatorio, la Corte chiarisce che l’onere di allegazione e prova incombe sul contribuente, chiamato a dimostrare sia l’esistenza dell’occupazione abusiva sia la tempestività della denuncia all’autorità giudiziaria. La non debenza dell’imposta non può essere presunta, ma deve risultare da elementi oggettivi e verificabili. Tale impostazione risponde a una duplice esigenza: garantire che il principio di capacità contributiva non si traduca in un’esenzione generalizzata e preservare la certezza del gettito per gli enti locali.
L’applicazione del principio comporta rilevanti conseguenze operative. I comuni dovranno adeguare le proprie prassi istruttorie, richiedendo ai contribuenti la documentazione probatoria relativa alla perdita di disponibilità e valutando caso per caso la ricorrenza dei presupposti. Le dichiarazioni IMU potranno essere integrate con specifiche sezioni destinate alla segnalazione delle situazioni di occupazione abusiva, accompagnate dalla denuncia o dagli atti processuali pertinenti. Sul piano contabile, l’eventuale riconoscimento della non debenza potrà determinare la necessità di procedere ai rimborsi entro i termini previsti dall’art. 1, comma 164, L. 296/2006, con possibili riflessi sui residui attivi e sulla programmazione finanziaria degli enti.
Sotto il profilo sistematico, la pronuncia contribuisce a chiarire la relazione tra titolarità giuridica e disponibilità economica del bene nel diritto tributario locale. L’IMU continua a essere un’imposta patrimoniale fondata sulla proprietà, ma la proprietà è riconosciuta come indice di capacità contributiva solo nella misura in cui esprime una utilità economica concreta. In questa prospettiva, la decisione recepisce e sviluppa il principio, di matrice costituzionale, secondo cui l’imposizione deve riguardare situazioni di effettiva idoneità economica, escludendo le ipotesi in cui la ricchezza non sia nella disponibilità del contribuente.
La sentenza presenta inoltre un rilievo metodologico di non poco momento. La Cassazione riafferma il principio, già consolidato, secondo cui la dichiarazione di illegittimità costituzionale di una norma tributaria integra uno ius superveniens che il giudice di legittimità è tenuto ad applicare nei giudizi pendenti, se la questione risulta pertinente rispetto ai motivi di ricorso. Il rinvio disposto alla Corte di giustizia tributaria regionale costituisce applicazione coerente di tale principio e consente di adeguare l’accertamento in fatto alla regola di diritto sopravvenuta, senza incidere sulla funzione nomofilattica della Corte.
L’impostazione accolta dalla sentenza n. 18936/2025 consente di conciliare legalità formale ed effettività sostanziale del prelievo. La titolarità del diritto reale rimane il fondamento giuridico dell’imposta, ma la sua idoneità a esprimere capacità contributiva è condizionata dalla disponibilità del bene. Si tratta di una puntualizzazione di rilievo sistemico, che assicura la coerenza dell’imposta municipale con il dettato costituzionale e con la natura stessa del tributo patrimoniale.
La decisione si colloca in un’evoluzione più ampia del diritto tributario verso il riconoscimento della prevalenza dell’effettività economica sulla forma giuridica. L’imposta municipale propria, letta alla luce del principio di capacità contributiva, continua a rappresentare un prelievo sulla ricchezza reale, coerente con la funzione redistributiva e con le esigenze di equità sostanziale. In tale quadro, la Cassazione non intende assolutamente introdurre un nuovo modello di imposizione, ma riconduce la disciplina dell’IMU entro il perimetro della ragionevolezza, precisando che l’obbligazione tributaria non può sussistere quando l’indice patrimoniale sia privo di contenuto economico.
La pronuncia n. 18936/2025 deve pertanto essere intesa come un intervento di sistemazione e non di innovazione: essa ribadisce che la proprietà, per costituire presupposto d’imposta, deve mantenere una connessione reale con la disponibilità economica del bene, e che la perdita di tale connessione per causa non imputabile al titolare comporta il venir meno della capacità contributiva. È, in definitiva, un chiarimento che restituisce all’imposizione patrimoniale la coerenza costituzionale richiesta, evitando che l’imposta colpisca situazioni di mera titolarità giuridica, prive di qualsiasi effettiva manifestazione di ricchezza.
Dott. Francesco Foglia