Commissione Tributaria Regionale per l’Emilia-Romagna, sez. VI, 08 giugno 2021 n. 789


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con p.v.c. in data 9.11.2015 la Guardia di Finanza di Forlì procedeva nei confronti della società P.C. S.R.L., e del legale rappresentante sig. C.A., alla redazione di un verbale di constatazione di violazioni formali e sostanziali in materia di Iva, Imposte Dirette, Irap, per il periodo dall’0l/01/2008 al 25/09/2015. Tale verifica traeva origine dai risultati delle indagini di Polizia Giudiziaria svolte dal medesimo Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Forlì, su delega della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Forlì, nell’ambito del procedimento penale R.G.N.R. XXXX/14 apertosi a carico di numerose persone fisiche e giuridiche, tra cui il sig. C.M., per reati tributari previsti dal D.Lgs. 74/2000.

L’Agenzia delle Entrate, Ufficio di Forlì (di seguito l’Ufficio), condividendo le valutazioni contenute nel P.V.C. della Guardia di Finanza, procedeva al controllo della posizione fiscale della P.C. S.r.l. e notificava alla società P.C. S.r.l e al legale rappresentante C.A., nonché al Sig. C.M., quale dominus e rappresentante di fatto, gli avvisi di accertamento n. THF03H201XXX, THF03H202YYY e THF03H202ZZZ, rispettivamente per le annualità 2008, 2009 e 2010, ai fini IRES, IRAP, IVA nonché per le sanzioni per omessa registrazione di operazioni imponibili.

Con separato atto di contestazione n. THFCOH201AAA/2016, notificato il 23/12/2016, in considerazione delle violazioni accertate in capo alla P.C. S.r.l, l’Ufficio procedeva, ex art. 16 del D.lgs. 472/1997, alle contestazioni a carico del sig. C.M., per l’irrogazione della sanzione unica amministrativa pari a euro 1.688.256, basata sulle disposizioni di cui all’art. 9, primo periodo del primo comma, del D.lgs. 472/1997.

Il Sig. C.M. proponeva distinti ricorsi avverso gli avvisi di accertamento n. THF03H201XXX, THF03H202YYY e THF03H202ZZZ chiedendo alla Commissione Tributaria Provinciale di Forlì di annullare gli atti impugnati per illegittimità degli stessi.

Si costituiva l’Ufficio, eccependo per ciascuna controversia, in via preliminare l’inammissibilità del ricorso, per aver il sig. C. agito in proprio per impugnare un avviso d’accertamento destinato alla società P.C. srl. Nel merito, l’ufficio contrastava punto su punto i motivi d’impugnazione enunciati ex adverso.

La Commissione Provinciale con le sentenze n. X, n. Y, n. Z, depositate in data 25/05/2017, rilevato “il difetto di legitimatio ad causam del ricorrente a proporre in proprio l’impugnazione dell’atto impositivo, indirizzato alla società e non a lui personalmente” ha dichiarato inammissibili i ricorsi, richiamando la sentenza della Cassazione 26491 del 17.12.2014.

Il C. appella le tre sentenze della CTP di Forlì, con atto notificato con raccomandata AR in data 13.12.2017, ricevuto dall’Ufficio il 15.12.2017 e successivamente produce memoria in data 6.4.2021 con la quale chiede anche la riunione dei tre procedimenti per connessione soggettiva e parzialmente oggettiva. Il C. nelle conclusioni dell’appello chiede, “in via principale di annullare l’accertamento in oggetto nei confronti dell’appellante e in via subordinata non dovute le sanzioni irrogate”. Inoltre, nelle memorie rappresenta “l’interesse ad ottenere una pronuncia in ordine al difetto di legittimazione passiva a ricevere l’avviso (di accertamento) in epigrafe, stante l’estraneità rispetto alla P.C. per la chiara pregiudizialità che detta decisione esplica nei su indicati processi”.

L’Ufficio ha prodotto le proprie controdeduzioni in data 8.2.2018 contestando tutte le eccezioni formulate dal contribuente, concludendo per “il rigetto del ricorso in appello in quanto infondato’.

Visto l’art. 27 del D.L. 137/20 ed i decreti del Presidente f. f. della Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia-Romagna n. 3456 del 2.11.20 sulle misure organizzative per il COVID e n. 3771.23.11.20 per le udienze da remoto, nonché l’art. 6 del D.L. 44/2021, all’udienza del 19 aprile 2021 la controversia viene messa in discussione in Camera di Consiglio.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.Preliminarmente si accoglie la richiesta della riunione dei procedimenti Rg XXXX/17, YYYY/17 e ZZZZ/17, per connessione soggettiva e parzialmente per connessione oggettiva, poiché pur trattandosi di annualità diverse (2008, 2009, 2010) hanno la stessa fonte generatrice nel p.v.c. della Guardia di Finanza.

2.L’appellante, nell’opporsi alla sentenza di primo grado, ritiene che la notifica dell’avviso di accertamento riferito alla società P.C. è un atto non “indifferente” nei suoi confronti. Sostiene, riportandosi alla sentenza della Cassazione n. 4622/2009, che l’Ufficio “non può notificare a proprio piacimento atti impositivi assumendo che siano privi di effetti giuridici”. Tale riferimento è fuorviante e l’eccezione viene respinta, perché la sentenza della Cassazione riguarda una fattispecie diversa, si tratta di accertamento notificati il 21.11.1997, cioè prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 472 del 1997, che con l’art. 16 -in vigore dal l° aprile 1998- ha abrogato l’art. 98 del D.P.R. n. 602 del 1973, che prevedeva che “al pagamento delle soprattasse o delle pene pecuniarie sono obbligati in solido con il soggetto passivo o con il soggetto inadempiente, coloro che ne hanno la rappresentanza”. In questo caso, cioè nel regime dell’art. 98 citato, l’accertamento nei confronti della società produceva nei confronti dell’amministratore di fatto un interesse legittimo diretto ed immediato di ricorrere. Con l’art. 16 del D.Lgs. 472/97 è stato definito uno specifico procedimento di irrogazione delle sanzioni amministrative ed accessorie ed al comma 2 vengono indicati gli elementi che deve contenere l’atto con l’indicazione dei dati attribuiti al trasgressore, gli dementi probatori ed i criteri per la determinazione delle sanzioni.

3.L’appellante, nel ritenere sussistente l’interesse ad agire in giudizio, fa riferimento anche alla sentenza della Cassazione n. 15742/2014 che afferma -tra l’altro- che “sussiste l’interesse di colui che nell’atto impositivo sia stato indicato come rappresentante della società a far valere l’illegittimità dell’atto, in quanto tale indicazione può risultare a lui pregiudizievole”. Tale affermazione non è pertinente perché viene estrapolata dal contesto della fattispecie esaminata dalla citata sentenza, per cui l’eccezione sollevata va respinta. Infatti, nella fattispecie citata la Cassazione esaminava una problematica riguardante la notificazione di avvisi di accertamento per una società di capitali ed in particolare aveva ribadito che l’art. 145 cod. proc. civ. e il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, prevedono che la notifica alle persone giuridiche avvenga mediante consegna alla persona che rappresenta l’ente (ovvero ad altri soggetti legittimati indicati dalla norma). E le esigenze di certezza delle procedure di notifica impongono di fare riferimento al rappresentante dell’ente quale emerge dai dati ricavabili da documentazioni pubbliche quali il registro delle società. Dunque è irrilevante una qualifica quale “amministratore di fatto”, sia per ragioni di certezza sia perché nel caso (come in specie) delle società di capitali 1’amministratore di fatto non rappresenta la società ancorché (eventualmente) la gestisca, essendo la rappresentanza legale di spettanza degli amministratori nominati a norma di legge. Solo nel caso di società di persone o di società di fatto, chi ha l’effettiva gestione della società ne ha anche la rappresentanza legale.

Solo nel caso che la rappresentanza dei soggetti diversi dalle persone fisiche non sia determinabile secondo la legge civile, è attribuita ai fini tributari alle persone che ne hanno l’amministrazione anche di fatto, come dispone l’art. 62 del DPR 600/73.

Nell’avviso di accertamento in contenzioso l’Ufficio ha individuato il sig. C.A., come rappresentante legale della società, non il sig. C. che risulta destinatario, come emerge dalla documentazione, di altri atti espressamente al medesimo notificati.

4.Sgombrato il campo dalle principali eccezioni sollevate dall’appellante, signor C., sulla sentenza di primo grado che aveva dichiarato i ricorsi inammissibili, si ritiene di dover in modo assorbente confermare il difetto di legittimazione ad agire. A tal fine va ricordato che la “legitimatio ad causam” costituisce elemento costitutivo del diritto di azione, servendo ad individuare la titolarità dell’azione, ossia a chi essa spetti. Disciplinando la sostituzione processuale (“fuori dei casi espressamente previsti dalla legge, nessuno può far valere nel processo in nome proprio un diritto altrui”), l’art. 81 c.p.c. enuncia indirettamente, occupandosi della sua eccezione, la regola della legittimazione ad agire, la quale compete a chiunque faccia valere nel processo un diritto assumendone di esserne il titolare, restando a tal fine irrilevante la titolarità effettiva del rapporto. Richiamando l’ordinanza della Cassazione n. 1617 del 26.1.2021 “Oggetto di analisi, ai fini di valutare la sussistenza della legittimazione ad agire, è quindi la domanda, nella quale l’attore deve affermare di essere il titolare del diritto dedotto in giudizio. Ciò che rileva è la prospettazione: la sussistenza della legittimazione va verificata ed accertata sulla sola base della domanda e dei suoi contenuti. Nel caso in cui l’atto introduttivo del giudizio non indichi l’attore come titolare del diritto di cui si chiede l’affermazione, l’azione è inammissibile … Il controllo del giudice sulla sussistenza della legitimatio ad causam nel suo aspetto di legittimazione ad agire, si esplica nell’accertare se, secondo la prospettazione dell’attore, questi assuma la veste di soggetto che ha il potere di chiedere la pronuncia giurisdizionale. Può aversi così difetto di “legitimatio ad causam” tutte le volte che si faccia valere, in sede giudiziaria un diritto rappresentato come altrui.”

Nella fattispecie in contenzioso, la s.r.l. P.C, era destinataria degli atti di accertamento (n. THF03H20 1XXX, THF03H202YYY e THF03H202ZZZ, rispettivamente perle annualità 2008, 2009 e 2010), mentre all’appellante erano stati notificati gli atti, risultando dominus della medesima società. Avendo proposto gli originari ricorsi in proprio e non quale legale rappresentante della società destinataria degli atti impositivi, è privo della legittimazione ad agire (cfr. Cass. N. 26491 del 17.12.2014) con conseguente dichiarazione di inammissibilità dell’appello.

Le spese di lite vengono compensate in quanto la vicenda processuale è complessa ed ha creato nella parte appellante gravi motivi di incertezza.

P.Q.M.

La Commissione Tributaria Regionale per l’Emilia-Romagna, riuniti gli appelli RG x/17, RG Y/17 e Z/17, dichiara inammissibile l’appello e compensa le spese.

Bologna, 19 aprile 2021.


COMMENTO REDAZIONALE – La sentenza in commento fa applicazione del principio secondo cui la “legitimatio ad causam” costituisce un elemento costitutivo del diritto di azione, servendo ad individuare la titolarità dell’azione, ossia il soggetto cui essa compete. 

L’art. 81 c.p.c., che disciplina la sostituzione processuale (“fuori dei casi espressamente previsti dalla legge, nessuno può far valere nel processo in nome proprio un diritto altrui“), enuncia indirettamente, a contrario, la regola della legittimazione ad agire, la quale compete a chiunque faccia valere nel processo un diritto assumendo di esserne il titolare.

Resta invece del tutto irrilevante la titolarità effettiva del rapporto, poiché ad assumere rilievo è unicamente la prospettazione della titolarità del diritto. 

Il controllo del giudice sulla sussistenza della “legitimatio ad causam”, nel suo aspetto di legittimazione ad agire, si esplica nell’accertare se, secondo la prospettazione dell’attore, questi assuma la veste di soggetto che ha il potere di chiedere la pronuncia giurisdizionale. Vi è quindi un difetto di “legitimatio ad causam” tutte le volte in cui venga fatto valere, in sede giudiziaria, un diritto rappresentato e prospettato come appartenente ad altri.

In applicazione di tale principio, viene ritenuto privo della legittimazione ad agire il soggetto che aveva proposto i ricorsi avverso gli avvisi di accertamento notificati ad una società di capitali non già come legale rappresentante di quest’ultima, bensì in proprio, irrilevante risultando la circostanza che tale soggetto, quale dominus di fatto della predetta società, fosse stato destinatario della notifica di altri atti (i.e.: di irrogazione delle sanzioni amministrative).

La sentenza in commento dichiara quindi l’inammissibilità dell’appello proposto da tale soggetto e conferma interamente la pronuncia di primo grado.