Cass. civ. Sez. V, Ord., 24 febbraio 2022, n. 6267


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRUCITTI Roberta – Presidente –

Dott. CATALDI Michele – rel. Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 21527/2015 R.G. proposto da:

D.N.M., rappresentato e difeso per procura speciale dall’Avv. … e dall’Avv. …, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in …; – ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio in Roma, Via dei Portoghesi, n. 12; – resistente –

e contro

EQUITALIA SUD S.P.A.; – intimata –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Lazio n. 678/22/15, depositata il 5 febbraio 2015.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27 gennaio 2022 dal Consigliere Cataldi Michele.

Svolgimento del processo

Che:

  1. Risulta dalla sentenza impugnata e dal ricorso che D.N.M. impugnò la cartella di pagamento emessa D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36-bis, con la quale gli era stato intimato il pagamento di interessi e sanzioni per il ritardato versamento dell’importo dell’Irpef 2006, dovuta a titolo di tassazione separata, di cui alla precedente comunicazione inviatagli dall’Amministrazione.

Assumeva il contribuente che la precedente comunicazione, che richiedeva il pagamento entro i successivi trenta giorni, non gli era stata ritualmente notificata, ma trasmessa, con raccomandata consegnata (“ad inizio agosto 2009”, si dice nel ricorso) al portiere dello stabile in cui risiedeva, e che egli aveva provveduto tempestivamente al relativo versamento (“in data 31 agosto 2009”, secondo il ricorso) una volta ricevuto l’atto. Erroneamente, pertanto, la cartella indicava quale data della ricezione della predetta comunicazione il 23 luglio 2009 e, pertanto, considerava tardivo il relativo pagamento e richiedeva di conseguenza gli accessori e le sanzioni.

L’adita Commissione tributaria provinciale di Roma rigettò il ricorso.

Proposto appello dal contribuente, la Commissione tributaria regionale del Lazio, con la sentenza n. 678/22/15, depositata il 5 febbraio 2015, lo ha “rigettato”, rilevando nella motivazione che “la censura posta a fondamento dell’appello appare inammissibile in quanto essa doveva essere fatta valere avverso la comunicazione irregolarmente portata a conoscenza del contribuente e non nei confronti della cartella esattoriale di pagamento, oggetto di successivo procedimento del tutto autonomo da quello contestato dall’appellante (Cass. civ., V ,11 maggio 2012 n. 7344 ult. parte);”.

Avverso quest’ ultima decisione ha proposto ricorso per cassazione il contribuente, affidandolo a tre motivi, successivamente illustrato con deposito di memoria.

L’Agenzia delle entrate si è costituita al solo scopo di partecipare all’eventuale udienza di discussione.

Equitalia Sud s.p.a. è rimasta intimata.

Motivi della decisione

Che:

  1. Con il primo motivo di ricorso il contribuente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la nullità della sentenza impugnata, in ordine alla ritenuta inammissibilità del ricorso introduttivo proposto contro la cartella di pagamento, conseguente, secondo la CTR, alla mancata impugnazione, da parte del contribuente, della precedente comunicazione.

Il motivo, da qualificarsi come denuncia di un vizio di natura processuale, è fondato.

Invero esso attinge l’unica ratio decidendi espressa nella motivazione della sentenza impugnata a supporto del mancato accoglimento dell’appello, ovvero la ritenuta inammissibilità del ricorso introduttivo del contribuente (che invece, come nota la stessa CTR, era stata rilevata solo in via “subordinata” dalla sentenza di primo grado), che avrebbe dovuto impugnare piuttosto la comunicazione.

Al riguardo, è vero che come, come ha rilevato la stessa CTR, secondo la giurisprudenza di questa Corte, ” In tema di impugnazione di atti dell’amministrazione tributaria, nonostante l’elencazione degli atti impugnabili contenuta nel D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, i principi costituzionali di buon andamento della p.a. (art. 97 Cost.) e di tutela del contribuente (art. 24 e 53 Cost.) impongono di riconoscere l’impugnabilità di tutti gli atti adottati dall’ente impositore che portino, comunque, a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria, con l’esplicitazione delle concrete ragioni (fattuali e giuridiche) che la sorreggono, senza necessità di attendere che la stessa si vesta della forma autoritativa di uno degli atti dichiarati espressamente impugnabili dalla norma su richiamata, e tale impugnazione va proposta davanti al giudice tributario, in quanto munito di giurisdizione a carattere generale e competente ogni qualvolta si controversa di uno specifico rapporto tributario. Ne consegue che anche la comunicazione di irregolarità D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36-bis, comma 3, portando a conoscenza del contribuente una pretesa impositiva compiuta, è immediatamente impugnabile innanzi al giudice tributario.” (Cass. 11/05/2012, n. 7344; conformi, ex plurimis, Cass. 19/02/2016,n. 3315).

Tuttavia, “In tema di contenzioso tributario, l’impugnazione da parte del contribuente di un atto non espressamente indicato dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, il quale, tuttavia, abbia natura di atto impositivo (nella specie, le fatture TIA), è una facoltà e non un onere, il cui mancato esercizio non preclude la possibilità d’impugnazione con l’atto successivo (nella specie, la cartella di pagamento).” (Cass. 18/07/2016, n. 14675; conformi, ex plurimis, Cass. 02/11/2017, n. 26129; Cass. 06/10/2017, n. 23469; Cass. 21/01/2020, n. 1230).

Non si è conformata a tali principi la CTR nel ritenere, pronunciandosi nella sostanza esclusivamente in rito, che la mancata impugnazione della comunicazione de qua precludesse al contribuente la proposizione del ricorso introduttivo contro la successiva cartella (con il quale, peraltro, contestando il quomodo ed il quando della precedente comunicazione, il ricorrente censurava, a torto o a ragione che sia, la legittimità del procedimento che aveva condotto all’emissione della cartella impugnata e lo stesso presupposto della pretesa impositiva intimata per interessi e sanzioni da ritardato pagamento).

La sentenza impugnata va quindi cassata, con rinvio al giudice a quo, per i necessari accertamenti in fatto ed in diritto, rimasti preclusi dalla preliminare rilevazione di inammissibilità del ricorso introduttivo.

  1. Sono invece inammissibili il secondo motivo (con il quale il contribuente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame “della rilevanza dell’art. 6 dello Statuto del Contribuente che impone la notifica di tutti gli atti di natura tributaria”) ed il terzo (con il quale il contribuente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame “della violazione degli artt. 139/4, 149/3 e 160 c.p.c., 12 e L. n. 890 del 1982, art. 14“).

Infatti, quale che sia il loro effettivo contenuto -e, di conseguenza, la loro qualificazione, anche a prescindere dalle relative rubriche- essi introducono, comunque, censure estranee all’unica ratio decidendi espressa dalla CTR che, rilevata l’inammissibilità a monte del ricorso introduttivo contro la cartella di pagamento impugnata dal contribuente, ha esaurito, e non esercitato ulteriormente, la propria potestas decidendi.

P.Q.M.

Accoglie il primo motivo di ricorso e dichiara inammissibili il secondo ed il terzo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Commissione tributaria del Lazio, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 27 gennaio 2022.

Depositato in Cancelleria il 24 febbraio 2022


COMMENTO – Sulla questione si è consolidato un orientamento giurisprudenziale secondo il quale in tema di contenzioso tributario, l’elencazione degli atti impugnabili contenuta nel D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 19 ha natura tassativa, ma non preclude la facoltà di impugnare anche altri atti, ove con gli stessi l’Amministrazione porti a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria, esplicitandone le ragioni fattuali e giuridiche, siccome è possibile un’interpretazione estensiva delle disposizioni in materia in ossequio alle norme costituzionali di tutela del contribuente (artt. 24 e 53 Cost.) e di buon andamento dell’amministrazione (art. 97 Cost.), ed in considerazione dell’allargamento della giurisdizione tributaria operato con la L. 28 dicembre 2001, n. 448.

È stata, in particolare, riconosciuta la facoltà di ricorrere al giudice tributario avverso tutti gli atti adottati dall’ente impositore che, esplicitando concrete ragioni fattuali e giuridiche che la sorreggono, porti, comunque, a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria, senza necessità di attendere che la stessa, ove non sia raggiunto lo scopo dello spontaneo adempimento cui è naturaliter preordinata, si vesta della forma autoritativa di uno degli atti dichiarati espressamente impugnabili dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19. Sorge, infatti, in capo al contribuente destinatario, già al momento della ricezione della notizia, l’interesse, ex art. 100 c.p.c., a chiarire, con pronuncia idonea ad acquisire effetti non più modificabili, la sua posizione in ordine alla stessa e, quindi, ad invocare una tutela giurisdizionale, comunque, di controllo della legittimità sostanziale della pretesa impositiva (e/o dei connessi accessori vantati dall’ente pubblico).

Ne consegue che il contribuente ha la facoltà, non l’onere, d’impugnazione di atti diversi da quelli specificamente indicati nel citato D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, il cui mancato esercizio non determina alcuna conseguenza sfavorevole in ordine alla possibilità di contestare la pretesa tributaria in un secondo momento. Ciò comporta che la mancata impugnazione da parte del contribuente di un atto non espressamente indicato dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19 citato non determina, in ogni caso, la non impugnabilità (ossia la cristallizzazione) di questa pretesa, che può essere successivamente reiterata in uno degli atti tipici previsti dallo stesso D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19.

In applicazione di questo principio si può dunque ritenere che sia immediatamente impugnabile dal contribuente anche il cd. avviso bonario, mentre le risposte rese dall’Amministrazione finanziaria agli atti di interpello di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 11 non sono impugnabili, trattandosi di meri pareri che non incidono direttamente in danno del contribuente, salvo quelli resi a seguito di richiesta di disapplicazione di norme antielusive i quali, anche secondo la disciplina anteriore alle modifiche introdotte dal D.Lgs. n. 156 del 2015, possono essere impugnati in quanto contenenti una compiuta pretesa tributaria.

Dott.ssa Eleonora Cucchi

Unicusano Roma