Cass. civ., sez. V, ord., 06 dicembre 2021 n. 38723


. a violazione di legge e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 8, e del D.L. n. 201 del 2011, art. 13, comma 2 (convertito in L. n. 44 del 2012), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), nonché nullità della sentenza o del procedimento in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), ovvero violazione e/o falsa applicazione di legge dell’art. 132 c.p.c., n. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), e violazione e/o falsa applicazione di legge (come affermato espressamente nelle controdeduzioni del 27-9-2017) dimoravano altrove.

I giudici di appello evidenziavano l’intento elusivo, in quanto la C. non aveva affatto dimostrato quale imprescindibile necessità l’avesse costretta ad allontanarsi dall’abitazione familiare sita in (OMISSIS) per emigrare (unitamente al figlio V.P., come confermato espressamente nelle controdeduzioni del 27-9-2017), nell’abitazione di (OMISSIS).

In buona sostanza, secondo la CTR si era realizzata l’usuale condotta “elusiva” di una famiglia proprietaria di due abitazioni – site in Comuni limitrofi, uno dei quali abitualmente località di villeggiatura, che aveva posto in essere condotte finalizzate a beneficiare di una minore imposizione fiscale, tentando di far apparire entrambe le abitazioni come “prima casa” di ognuno dei coniugi.

Avverso la su indicata sentenza proponeva ricorso la C. sulla base di due motivi.

La RIS.CO srl. si costituiva con controricorso.

Motivi della decisione

che:

Con la prima censura si lamenta degli artt. 91 e 92 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3).

La seconda censura deduce la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 116 c.p.c., nonché del D.L. n. 201 del 2011, art. 13, comma 2 (convertito in L. n. 44 del 2012), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), e omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5).

Ad avviso della ricorrente, la sentenza impugnata è costruita su di una unica premessa che, essendo del tutto erronea, travolgeva anche la motivazione che la sorreggeva. Invero, il Giudice del gravame avrebbe errato nell’applicazione della normativa, relativa all’ICI (D.Lgs n. 504 del 1992, art. 8), rispetto al caso concreto che concerneva, invece, un avviso di accertamento relativo all’IMU, specificamente regolata e disciplinata dal D.L. n. 201 del 2011, art. 13, (conv. in L. n. 44 del 2012).

Conseguentemente, dall’erroneità della premessa, discendevano conseguenze incongruenti ed illogiche e la motivazione della sentenza risultava viziata da errori logici e giuridici manifesti ed invalidanti.


Il ricorso è infondato.

Come di recente statuito da questa Corte (che si è pronunciata in procedimento in cui era parte l’odierna resistente RI.SCO srl.), la pretesa tributaria si fonda sul fatto che, nel periodo d’imposta, la contribuente ed il suo coniuge risiedevano in comuni diversi (Cass. n. 28534/2020) Secondo la Corte, pertanto, “..nel caso in cui il soggetto passivo dell’ICI sia coniugato, ai fini della spettanza delle detrazioni e riduzioni dell’imposta previste per l’unità immobiliare adibita ad abitazione principale del soggetto passivo dal D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 8, non basta che il coniuge abbia trasferito la propria residenza nel comune in cui l’immobile è situato ma occorre che in tale immobile si realizzi la coabitazione dei coniugi, atteso che, considerato che l’art. 144 c.c. prevede che i coniugi possano avere esigenze diverse ai fini della residenza individuale e fissare altrove quella della famiglia, ciò che assume rilevanza, per beneficiare di dette agevolazioni, non è la residenza dei singoli coniugi bensì quella della famiglia (Cass. n. 18096 del 2019).

Pertanto, ai fini della spettanza della detrazione prevista, per le abitazioni principali (per tale intendendosi, salvo prova contraria, quella di residenza anagrafica), dal D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 8, occorre che il contribuente provi che l’abitazione costituisce dimora abituale non solo propria, ma anche dei suoi familiari, non potendo sorgere il diritto alla detrazione ove tale requisito sia riscontrabile solo per il medesimo e non della di lui moglie) (Cass. n. 15444 del 2017; n. 4166/2020). Occorre quindi, la necessità della sussistenza del requisito della dimora e quello della residenza anagrafica, non solo del possessore dell’immobile ma anche del suo nucleo familiare. Il concetto di “abitazione principale” richiama quello tradizionale di “residenza della famiglia”.

Nel caso di specie, trattandosi di una coppia di coniugi non separata legalmente, ma con due distinte residenze anagrafiche, consentire il godimento di tale esenzione, comporterebbe la possibilità per lo stesso nucleo familiare di usufruire di una doppia esenzione per una doppia abitazione principale. Infatti, come indicato in ricorso il coniuge della ricorrente ( V.) risiedeva nel comune di (OMISSIS), laddove la C. risiedeva, come dedotto dall’anno 2006, nel Comune di (OMISSIS). Non può quindi condividersi la tesi, proposta dalla ricorrente secondo cui ogni coniuge, anche non legalmente separato, possa avere una propria “abitazione principale”.

Il ricorso va pertanto respinto. Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte respinge il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 450,00 per compensi, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, rimborso forfettario ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio da remoto, il 26 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 6 dicembre 2021


COMMENTO: Con questa pronuncia la Cassazione è tornata ad esaminare l’ipotesi in cui due coniugi, non legalmente separati, abbiano di fatto collocato la propria residenza anagrafica in due diverse abitazioni, indicate da entrambi come abitazioni principali, sulle quali presupponevano poter godere dell’esenzione IMU.

Il ricorso promosso da uno di essi, quindi, derivava dall’impugnazione dell’avviso di accertamento per IMU emesso dal Comune, allorquando gli contestava il parziale versamento dell’imposta in riferimento all’immobile di sua proprietà.

La CTP di Chieti accoglieva il ricorso, annullando l’avviso di accertamento. L’Ente riscossore proponeva appello, ritenuta la legittimità dell’atto contestato, e la CTR di Pescara ne accoglieva i motivi. La contribuente, vittoriosa in primo grado e soccombente in secondo grado, ricorreva in Cassazione, lamentando la violazione di legge e/o falsa applicazione della normativa di riferimento, contenuta nell’art. 13 del D.L. 201/2011, convertito con L. 44/2012, per non aver riconosciuto applicabile detta imposizione al caso di specie.

Sebbene questo disposto, infatti, prenda in considerazione l’ipotesi in cui i diversi immobili siano situati nel medesimo territorio comunale, nulla prevede nel caso in cui detti immobili siano situati in Comuni diversi, sebbene limitrofi.

Ciò potrebbe causare dubbi interpretativi e perplessità sulla estensione di questa norma anche al caso in cui, per l’appunto, gli immobili oggetto di verifica si trovino in Comuni diversi, ma pare che la Cassazione abbia puntato sul concetto di abitazione principale dei coniugi, con essa intendendo l’immobile, unica unità immobiliare, nel quale il possessore e il nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente, come ha avuto modo confermare di recente, con l’ordinanza n. 4166/20, richiamata nell’ordinanza in commento.

Nel caso di specie, pertanto, la Cassazione, dopo aver accertato che la contribuente e il suo coniuge risiedevano in Comuni diversi, ha osservato che per godere dell’esenzione cd “prima casa” occorre non solo che il richiedente vi abbia trasferito la residenza, ma occorre che in tale immobile si realizzi la coabitazione dei coniugi.

Sul punto ha osservato, altresì, che sebbene ai sensi dell’art. 144 c.c. i coniugi, per esigenze  diverse, possano fissare la propria residenza altrove rispetto a quella in cui si trovi quella della famiglia, ciò non rileva per beneficiare delle agevolazioni invocate, poiché non è la residenza dei coniugi che conta, ma quella della famiglia.

Nel caso di specie, concludeva che, trattandosi di due coniugi non separati legalmente, ma con due distinte residenze anagrafiche, non era possibile consentire tale esenzione, in quanto ciò avrebbe consentito al medesimo nucleo familiare di godere di una doppia esenzione per una doppia abitazione principale, rigettando, per questo, il ricorso.

Raffaella Ponari Deslarzes

Avvocato in La Spezia