Cass. pen., sez. III, 04 aprile 2023, n.21192


RITENUTO IN FATTO

  1. Con sentenza in data 10 gennaio 2022, la Corte d’appello di Lecce, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Lecce, ha assolto l’imputato dal reato di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44 lett. c), limitatamente alla realizzazione di pavimentazione esterna, ed ha confermato la sentenza di condanna per il reato di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44 lett. c) e di cui al D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181 comma 1, con riferimento alla realizzazione di una parete doccia esterna mt. 2,10 x 2,50 e di un solaio di un bagno esterno ad un’altezza superiore a quella prevista di m. 2,75 in luogo di m. 2,30, riducendo la pena inflitta a mesi uno e giorni 15 di arresto e Euro 34.000,00 di ammenda.

Secondo quando accertato dai giudici del merito, l’imputato aveva realizzato una parete ex novo con inserimento di doccia nella parte originariamente destinata ad area scoperta, comportante modifica dell’originaria tipologia del luogo e, pur non determinando nuove superfici o nuovi volumi, rientrava nella nozione di nuova costruzione di cui all’art. 10 Tue in quanto incidente sul tessuto urbanistico per la quale occorre il permesso costruire, ai sensi del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 3 comma 1, lettera e), che assoggetta attualmente a permesso di costruire non soltanto le attività di edificazione, ma anche altre attività che pur non integrando interventi edilizi in senso stretto comunque comportano una modificazione permanente dello stato materiale e di conformazione del suolo, nonché la realizzazione di un solaio di copertura del vano bagno più alto rispetto alle esistente, con aumento di volumetria, non essendo possibile la sua qualificazione quale pertinenza, opere la cui realizzazione SU area sottoposta a vincolo, in assenza di autorizzazione, integrava anche il reato paesaggistico.

  1. Avverso la sentenza il difensore dell’imputato ha presentato ricorso per cassazione, a mezzo del difensore di fiducia, e ne ha chiesto l’annullamento per i seguenti motivi, enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173, comma 1, disp. att. c.p.p..

2.1. Con il primo motivo deduce il vizio di motivazione in relazione alla ricostruzione dei fatti, travisamento della prova. La Corte territoriale avrebbe travisato i fatti nella ricostruzione della fattispecie concreta accertando l’esecuzione ex novo della pavimentazione esterna anziché, come risulta dalla comunicazione notizie di reato acquisita agli atti si trattava di un rifacimento totale di una pavimentazione ha preesistente da cui illogica motivazione secondo cui la realizzazione della pavimentazione esterna non avrebbe richiesto il permesso a costruire perché di piccole dimensioni e senza modificazione dello stato di destinazione d’uso.

2.2. Con il secondo motivo deduce la violazione di cui all’art. 606 comma 1 lett. b) c.p.p. in relazione all’erronea applicazione del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 3, 6, 6 bis, 22, 23 ter e 44.

In sintesi, il motivo di censura investe l’affermazione della responsabilità penale per il reato edilizio perché erroneamente i giudici del merito avrebbero ritenuto che l’intervento edilizio, consistito nella realizzazione della parete doccia esterna su superficie già pavimentata e senza sviluppo di superficie utile né volumetria sarebbe da qualificare quale nuova costruzione per cui necessitava di permesso a costruire. L’opera in questione realizzerebbe una manutenzione straordinaria leggera secondo il D.P.R. n. 380 del 2001, art. 3 lett. b), trattandosi di attività di realizzazione e/o integrazione dei servizi igienico-sanitari, assoggettata ai sensi degli artt. 6, 6 bis e 23 del TUE a semplice Cila o al più a Scia.

2.3. Con il terzo motivo deduce il vizio di motivazione in relazione alla illogicità della motivazione con riguardo alla realizzazione del solaio del bagno. La Corte territoriale nel trattare il motivo di appello non avrebbe colto la doglianza e avrebbe travisato il tutto rendendo sul punto una motivazione assolutamente inconferente. Non avrebbe considerato la corte territoriale che vi era stata la realizzazione di un solaio intermedio, sicché, ferma l’altezza interna del bagno, non vi sarebbe alcun aumento di volumetria. Anche questo intervento sarebbe da annoverare tra gli interventi di manutenzione straordinaria o di difformità rispetto alla Scia.

2.4. Con il quarto motivo deduce la violazione di cui all’art. 606 comma 1 lett. b) c.p.p. in relazione all’erronea applicazione del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 3, 6, 6 bis, 22, 23 ter e 44 nonché in relazione al D.Lgs. n. 222 del 2016 e relative tabelle indicanti l’attività di edilizia libera. Errata qualificazione giuridica del solaio del bagno ed errata sussunzione nelle opere che richiedono il permesso a costruire trattandosi di modificazione di pertinenza urbanistica (elevazione di cm. 45 del bagno).

2.5. Con il quinto motivo deduce la violazione di cui all’art. 606 comma 1 lett. b) c.p.p. in relazione all’erronea applicazione del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 3, 6, 6 bis, 22, 23 ter e 44 nonché in relazione al D.Lgs. n. 40 del 2004, al D.P.R. n. 31 del 2017, art. 149 e 181. Si tratterebbe di interventi, quelli sopra descritti, per i quali non sarebbe richiesta l’autorizzazione paesaggistica ai sensi dell’art. 149 cit. in quanto non altererebbero lo stato dei luoghi e l’aspetto esteriore degli edifici tenuto conto che quanto la sagoma esteriore e la volumetria sarebbero rimaste quelle del “prospetto laterale” della Scia mentre la parete doccia non avrebbe comportato una modifica significativa degli assetti planimetrici e vegetazionali.

2.6. Con il sesto motivo deduce il vizio di motivazione in relazione al diniego di applicazione della causa di non punibilità ex art. 131 bis c.p..

2.7. Con il settimo motivo il vizio di motivazione in relazione al diniego di riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.

2.8. Con l’ottavo motivo di ricorso deduce la violazione di legge in relazione agli artt. 164-165 c.p. in relazione alla subordinazione della sospensione condizionale della pena alla demolizione.

  1. Il Procuratore Generale ha chiesto la dichiarazione di inammissibilità del ricorso. 

CONSIDERATO IN DIRITTO

  1. Va, preliminarmente, rilevata la tardività della memoria depositata in data 30 marzo 2023, per l’udienza del 4 aprile 2023, tenuto conto che nel giudizio camerale di legittimità, ex art. 23 bis L. 18 dicembre 2020, n. 176, le memorie e le produzioni difensive depositate in violazione del rispetto dei termini di quindici e cinque giorni “liberi” prima dell’udienza, previsti dall’art. 611 c.p.p., sono tardive e, pertanto, non possono essere prese in considerazione (Sez. 4, n. 49392 del 23/10/2018, Rv. 274040 – 01; Sez. 1, n. 13597 del 22/11/2016, De Silvio, Rv. 269673 – 01).
  2. Il ricorso è inammissibile per la proposizione di motivi manifestamente infondati.

I motivi primo, secondo, terzo, quarto e quinto, che possono essere trattati congiuntamente, sono inammissibili perché manifestamente infondati.

Il ricorrente articola le censure sulla base di un errato presupposto giuridico, contrario ai principi reiteratamente espressi dalla giurisprudenza di legittimità che ha, da sempre, affermato che l’intervento edilizio deve essere considerato unitariamente nel suo complesso, senza possibilità di scindere e considerare separatamente le sue componenti (Sez. 3, n. 20363 del 16/03/2010, Marrella, Rv. 247175 – 01;

Sin da risalenti, e mai superate pronunce di questa Corte di legittimità, si è affermato il principio secondo cui la valutazione di un’opera edilizia abusiva va effettuata con riferimento al suo complesso, non potendosi considerare separatamente i suoi singoli componenti, così che, in virtù del concetto unitario di costruzione, la stessa può dirsi completata solo ove siano stati terminati i lavori relativi a tutte le parti dell’edificio (Sez. 3, n. 4048 del 06/11/2:002, Rv. 223365 01, fattispecie in tema di decorrenza del termine di prescrizione)

Più recentemente, e con riguardo al profilo che qui viene in rilievo della tipologia del titolo abilitativo richiesto, si è ribadito che in tema di reati edilizi, la valutazione dell’opera, ai fini della individuazione del regime abilitativo applicabile, deve riguardare il risultato dell’attività edificatoria nella sua unitarietà, senza che sia consentito considerare separatamente i singoli componenti (Sez. 3, n. 16622 del 08/04/2015, P.M. in proc. Casciato, Rv. 263473 – 01).

Si è in proposito reiteratamente evidenziato che il regime dei titoli abilitativi edilizi non può essere eluso attraverso la suddivisione dell’attività edificatoria finale, nelle singole opere che concorrono a realizzarla, astrattamente suscettibili di forme di controllo preventivo più blando, per la loro più modesta incisività sull’assetto territoriale. L’opera deve essere considerata unitariamente nel suo complesso, senza che sia consentito scindere e considerare separatamente i suoi singoli componenti (Sez. 3, n. 16622 del 08/04/2015 Rv. 263473 – 01; Sez. 3, n. 5618 del 17/11/2011, Forte, Rv. 252125 – 01).

Il principio di unitaria valutazione è stato ribadito anche con riferimento ad opere in grado di non assumere rilevanza penale se esaminate autonomamente, eppure suscettibili di integrare, proprio in ragione della necessaria valutazione complessiva, interventi richiedenti titoli abilitativi corrispondenti al permesso di costruire o ad atti ad esso equivalenti (fattispecie con riguardo alla valutazione dell’opera ai fini della individuazione del “dies a quo” per la decorrenza della prescrizione, deve riguardare la stessa nella sua unitarietà, senza che sia consentito considerare separatamente i suoi singoli componenti (Sez. 3, n. 30147 del 19/04/2017 Rv. 270256 – 01; Tomasulo P; Sez. 3, n. 16622 del 08/04/2015 Rv. 263473 – 01 cit.).

  1. Sulla scorta di questa esegesi ermeneutica la decisione impugnata è giuridicamente corretta.

La vicenda in esame, secondo quanto risulta dal provvedimento impugnato, riguarda la realizzazione di una parte ex novo con inserimento di doccia nella parte destinata ad area scoperta che, pur non determinando nuove superfici e volumi, modificava l’originaria tipologia del luogo, e la realizzazione di un nuovo solaio di copertura del vano bagno, che rispetto all’originaria altezza di m. 2,30 era, all’esito del sopralluogo di m. 2,75, con realizzazione di nuovi volumi.

La ricostruzione del solaio con innalzamento dello stesso e, inevitabile, aumento di volumetria, rientra, come correttamente rilevato dalla corte territoriale, nella nozione di nuova costruzione soggetta a permesso a costruire ai sensi del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 3 lett. e), sicché non era sufficiente la SCIA che consentiva la sola demolizione e ricostruzione del solaio come in origine.

La valutazione unitaria delle opere come realizzate ed accertate non consente di scindere l’intervento realizzato di costruzione ex novo del muro con inserimento di doccia, e di ritenerlo quale manutenzione leggera che include ai sensi ai sensi dell’art. 3 lett. b) cit. “le opere e le modifiche necessarie per rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli edifici, nonché per realizzare ed integrare i servizi igienico-sanitari e tecnologici” assoggettati ai sensi degli artt. 6, 6 bis e 22 Tue a semplice CILA.

  1. Consegue anche la manifesta infondatezza del quinto motivo di ricorso, atteso che i lavori erano stati eseguiti in area sottoposta a vincolo paesaggistico senza autorizzazione paesaggistica, trattandosi di interventi, quelli complessivamente realizzati, che richiedevano l’autorizzazione paesaggistica ai sensi del D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 146, non trovando applicazione l’art. 149 cit.

A norma del D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 149, comma 1, lett. a), non è richiesta l’autorizzazione paesaggistica per “gli interventi di manutenzione ordinaria, straordinaria, di consolidamento statico e di restauro conservativo che non alterino lo stato dei luoghi e l’aspetto esteriore degli edifici”. Mentre gli interventi di ristrutturazione edilizia da eseguire in area sottoposta a vincolo

paesaggistico sono sempre soggetti ad autorizzazione (Sez. 3, n. 24410 del 09/02/2016, Pezzuto, Rv. 267190 – 01; Sez. 3, n. 8739 del 21/01/2010, Perna, Rv. 246218).

Orbene, il D.Lgs n. 42 del 2004, art. 149 il cui comma 1, lett. a), sottrae all’obbligo di autorizzazione gli interventi di manutenzione ordinaria, straordinaria, di consolidamento statico e di restauro conservativo che non alterino lo stato dei luoghi e l’aspetto esteriore degli edifici, mentre ogni altro intervento, per il quale sia necessario il permesso di costruire la richiede. Per l’intervento come realizzato era dunque necessaria l’autorizzazione paesaggistica e la loro realizzazione in assenza integra il reato contestato di cui al D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181 comma 1.

  1. Il sesto motivo di ricorso che contesta il diniego di riconoscimento della causa di non punibilità ex art. 131 bis c.p. è inammissibile.

Da un lato il riferimento alla mancanza di presupposti di cui all’art. 101 c.p. non è pertinente giacché la sentenza impugnata ha escluso la particolare tenuità dell’offesa in ragione dell’abitualità della condotta tenuto conto dei precedenti della stessa indole.

Tale decisione si pone in linea con i principi affermati dalle Sezioni Unite Tushaj secondo cui, ai fini del presupposto ostativo alla configurabilità della causa di non punibilità prevista dall’art. 131 bis c.p., il comportamento è abituale quando l’autore, anche successivamente al reato per cui si procede, ha commesso almeno due illeciti, oltre quello preso in esame (Sez. U, n. 13681 del 25/02/2016, Tushaj, Rv. 266591 – 01).

L’imputato è recidivo reiterato e specifico condanna per L. n. 298 del 1974, art. 46 e art. 1161 c.n.), sicché la motivazione è congrua e corretta in diritto.

  1. Il diniego di riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche è giustificato dai precedenti penali specifici e reiterati dell’imputato. In tema di attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell’art. 133 c.p., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell’esclusione, essendo sufficiente, ai fini dell’esclusione delle attenuanti generiche, il richiamo in sentenza ai precedenti penali dell’imputato (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Rv. 271269 – 01).
  2. Anche l’ottavo motivo di ricorso risulta manifestamente infondato.

La sospensione condizionale della pena è stata rigettata per assenza dei presupposti per la sua concessione in ragione dei precedenti penali da cui non era possibile formulare un giudizio prognostico favorevole di astensione dalla commissione di altri reati, sicché il tema della eventuale subordinazione del beneficio alla demolizione non è pertinente. Non viene in questione, in altri termini, la valutazione discrezionale di subordinare il beneficio della sospensione condizionale della pena alla demolizione del manufatto abusivo, di cui il ricorrente lamenta l’omessa motivazione, in quanto il beneficio suddetto è stato escluso per mancanza dei presupposti ex art. 164 c.p..

  1. L’inammissibilità del ricorso per cassazione, per manifesta infondatezza deì motivi o per altra ragione, “non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art. 129 c.p.p.” (Sez. 2, n. 28848 del 08/05/2013, Ciaffoni, Rv. 256463, Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, De Luca, Rv 217266; Sez. 4, n. 18641 del 20/01/2004, Tricorni) cosicché è preclusa la dichiarazione di prescrizione del reato maturato dopo la pronuncia della sentenza in grado di appello (Sez. 5, n. 15599 del 19/11/2014, Zagarella, Rv. 263119).
  2. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali ai sensi dell’art. 616 c.p.p. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende. 

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese

processuali e al versamento di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, il 4 aprile 2023.

Depositato in Cancelleria il 18 maggio 2023 


COMMENTO: Quanto sancito dalla Suprema Corte : tutti quegli interventi che sono realizzati esternamente ad un edificio destinato ad area scoperta, anche nell’ipotesi in cui questi non vadano ad apportare aumenti di superficie e di volume, vengono considerati alla stregua di abuso edilizio se vanno a modificare quello che è l’aspetto esteriore dell’immobile, in un’area in cui vi è sussistenza del vincolo paesaggistico. Tali interventi necessitano conseguentemente di specifica autorizzazione.

Nel caso de quo ,la Corte d’Appello di Lecce, riformando parzialmente la sentenza dei Giudici del Tribunale di Lecce, confermava sentenza di condanna per il reato p. e p. dal D.P.R. n.380/2001, art. 44 lett c) e di cui al D.Lgs. n. 42/2004 art. 181 comma 1, con riferimento alla realizzazione di una parete doccia esterna e di un solaio di un bagno esterno. Contro tale sentenza l’imputato ricorreva in Cassazione.

Come chiarito dai Giudici, tali modifiche apportate- in particolare con l’inserimento di questa doccia a parete in quella che era una zona destinata ad area scoperta-  nonostante non avesse apportato nuovi volumi o superfici, comportava però una modifica di quello che era lo stato di fatto dei luoghi , assoggettando tali costruzioni al permesso a costruire il quale come ben noto vale anche ad attività che comportano una modifica permanente dello stato materiale e di quella che è la conformazione del suolo.

I Giudici della Suprema Corte dichiaravano il ricorso dell’imputato inammissibile chiarendo preliminarmente come- anche da costante giurisprudenza di legittimità- un’opera edilizia è definita abusiva con riferimento al complesso dell’opera non considerando ciò che singolarmente è stato realizzato, dovendo guardare all’opera  nella sua unitarietà.

A ciò si aggiunga come i lavori venivano realizzati in un’area sottoposta a vincolo paesaggistico senza autorizzazione paesaggistica come richiesto ai sensi del D.Lgs. n.42/2004, art. 146 e non dall’art. 149 dello stesso D.Lgs. richiamato dalla difesa dell’imputato: quest’ultimo infatti fa riferimento a interventi di manutenzione ordinaria, straordinaria, nonché di consolidamento statico e di restauro conservativo , attività che non richiedono obbligo di autorizzazioni.

Orbene l’attività posta in essere dall’imputato non rientrava in quelle succitate previste dall’art. 149, ma era di contro un’attività di ristrutturazione edilizia eseguita in area sottoposta a vincolo paesaggistico e pertanto  sempre soggetta ad autorizzazione.

La Suprema Corte conseguentemente dichiarava il ricorso inammissibile condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali e ad un versamento da effettuarsi in favore della Cassa delle Ammende.

Avv. Martina Cannizzaro