Convegno: “L’impatto delle novità normative e di prassi in tema di Fiscalità locale”
Pontremoli, Ca’ Del Moro
Sommario: §. 1 Premessa. §. 2 L’ambito soggettivo di applicazione dell’istituto. §. 3 L’ambito oggettivo di applicazione dell’istituto. §. 4 Il procedimento per l’esdebitazione. §. 5 L’esdebitazione del sovraindebitato e il soggetto sovraindebitato incapiente. §. 6 Considerazioni conclusive.
- . 1 Premessa
L’esdebitazione costituisce un istituto attraverso il quale il debitore assoggettato a procedura concorsuale o sovraindebitato, ricorrendo determinate condizioni, viene liberato dall’obbligo di adempimento delle prestazioni ancora dovute ai creditori rimasti insoddisfatti dai riparti endoconcorsuali.
Nell’ambito del “Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza” (C.C.I.I.), emanato con D.lgs. 12 gennaio 2019 n. 14, esso trova la propria regolamentazione nella Parte Prima, Titolo V, Capo X, a sua volta suddiviso in due Sezioni, di cui la I^ (artt. 278-281) dedicata alle “Condizioni e procedimento della esdebitazione nella liquidazione giudiziale e nella liquidazione controllata” e la II^ (artt. 282- 283) alle “Disposizioni in materia di esdebitazione del soggetto sovraindebitato”.
L’esdebitazione, tuttavia, non costituisce una “novità assoluta” del C.C.I.I., essendo la stessa già prevista sia per l’imprenditore commerciale persona fisica (artt. 142-144 R.D. 16 marzo 1942 n. 267, come “riscritti” dall’art. 128, comma 1, D.lgs. 09 gennaio 2006 n. 5), sia per l’imprenditore non soggetto a fallimento (es.: piccolo imprenditore, imprenditore agricolo) e per il debitore-persona fisica che non eserciti attività imprenditoriale e, dunque, per il professionista e per il consumatore (art. 14-terdecies Legge 27 gennaio 2012 n. 3, inserito dall’art. 18, comma 1, lettera s), D.L. 18 ottobre 2012 n. 179, convertito con modificazioni dalla Legge 17 dicembre 2012 n. 221).
Dal momento l’effetto liberatorio del debitore si verifica senza alcun coinvolgimento della parte creditrice, la ratio dell’istituto deve ricercarsi all’esterno dei rapporti obbligatori che ne sono coinvolti, ed in particolare nell’esigenza di favorire il recupero al mercato di un soggetto (imprenditore, professionista o anche mero consumatore) produttivo di lavoro e di reddito, il cui reinserimento economico rimarrebbe irrimediabilmente pregiudicato qualora sul suo patrimonio, formatosi dopo la chiusura della procedura, continuasse a permanere il vincolo della garanzia patrimoniale generica di cui all’art. 2740, comma 1, c.c. per le obbligazioni relative al periodo pregresso.
In altri termini, come emerge dalla lettura della Relazione ministeriale al D.lgs. 5/2006, la normativa sull’esdebitazione ha la finalità generale di recuperare l’attività economica del debitore, consentendogli un “nuovo inizio”, una volta azzerate tutte le posizioni debitorie pregresse.
Tale finalità permane anche nel “Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza”, così come permane anche l’ulteriore finalità di dare al debitore “onesto, ma “sfortunato” una sorta di “premio”, o per lo meno “incentivo”, a tenere, sia anteriormente alla procedura, sia nel corso della stessa, una condotta irreprensibile, tesa a salvaguardare il più possibile le aspettative di soddisfacimento dei creditori.
Tale finalità risulta, se possibile, ulteriormente rafforzata dalle modifiche apportate dall’art. 34 D.lgs. 17 giugno 2022 n. 83 (pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 1° luglio 2022 ed entrato in vigore il 15 luglio 2022), che ha inserito all’art. 278, comma 1, C.C.I.I. la previsione secondo cui con l’esdebitazione vengono meno le cause di ineleggibilità e di decadenza collegate all’apertura della liquidazione giudiziale.
L’art. 278 C.C.I.I. stabilisce i caratteri principali dell’istituto dell’esdebitazione, disponendone l’accessibilità a tutti i debitori, con efficacia anche verso i soci illimitatamente responsabili, ove si tratti di società.
Qualora il debitore sia una società o altro ente, le condizioni personali stabilite all’art. 280 C.C.I.I. devono essere riferite alle persone dei soci illimitatamente responsabili o dei legali rappresentanti.
Sotto tale aspetto, dunque, l’istituto ha ricevuto un’estensione del proprio ambito applicativo rispetto alla previsione di cui all’art. 142 R.D. 16 marzo 1942 n. 267, che ammetteva l’esdebitazione unicamente per il “fallito persona fisica”.
La norma chiarisce altresì che per “liberazione dai debiti” non si intende l’estinzione dei debiti rimasti insoddisfatti, ma più riduttivamente la loro inesigibilità, restando perciò fermi i diritti dei creditori nei confronti di eventuali coobbligati, obbligati in via di regresso o fideiussori del debitore e, per le stesse ragioni, potendosi ipotizzare la persistenza di una obbligazione naturale in capo al debitore per il pagamento del debito residuo.
Sotto tale aspetto, il D.lgs. 14/2019 non innova alcunché rispetto alla disciplina previgente, che già con il D.lgs. 5/2006 aveva configurato il beneficio dell’esdebitazione come eccezione rispetto alla regola generale di cui all’art. 120, comma 3, R.D. 267/1942 (secondo cui “I creditori riacquistano il libero esercizio delle azioni verso il debitore per la parte non soddisfatta dei loro crediti per capitale e interessi, salvo – appunto- quanto previsto dagli articoli 142 e seguenti”).
Dunque, l’esdebitazione opera anche nei confronti dei creditori anteriori che non hanno partecipato al concorso, ma per la sola parte eccedente la percentuale attribuita ai creditori concorsuali aventi la stessa posizione giuridica.
Per ciò che riguarda il debito fiscale, ad assumere rilevanza per stabilire l’anteriorità o la posteriorità del debito rispetto alla procedura assume rilievo l’annualità di imposta nella quale il debito fiscale è maturato, a prescindere dal momento in cui viene effettuato l’accertamento da parte dell’Ente creditore e/o del Concessionario da esso incaricato.
In tal senso si è pronunciata la Commissione Tributaria Provinciale di La Spezia, Sezione II, con le due sentenze “gemelle” nn. 311 e 312 del 09 dicembre 2019.
Con tali sentenze, è stata accolta la tesi relativa all’inesigibilità propugnata dai contribuenti, soci di una società in nome collettivo cui venivano imputati dei redditi di partecipazione relativi alle annualità di imposta 2008 e 2009, e dunque antecedenti all’apertura della procedura concorsuale, avvenuta nel 2010.
E’ stata invece ritenuta irrilevante la circostanza che tutti gli atti tributari richiamati nelle intimazioni di pagamento impugnate fossero stati notificati tra il 2013 ed il 2015– ossia anteriormente alla conclusione della procedura di esdebitazione, avvenuta nel 2017, ma successivamente all’apertura della procedura concorsuale– poiché “l’obbligazione tributaria sorge con il verificarsi del presupposto di fatto al quale è ricollegata l’emersione del tributo, a fronte della quale la successiva attività accertativa dell’Amministrazione finanziaria attiene all’esercizio del diritto di credito e ha funzione ad essa strumentale” (Cass. civ., sez. V, ord., 04 aprile 2019 n. 9440).
Infatti, “ove il presupposto impositivo si sia verificato prima dell’apertura del concordato preventivo del debitore, i crediti medesimi devono ritenersi anteriori al concordato, ai sensi della L. Fall., artt. 168 e 184, (Cass., Sez. U., 28 maggio 1987, n. 4779; Cass., Sez. I, 10 agosto 2007, n. 17637)”.
Dunque, “la natura concorsuale del credito rinviene … dalla mera circostanza che il credito tributario si ricolleghi a un presupposto di fatto verificatosi in epoca precedente l’apertura di una procedura concorsuale. Ne consegue che risulta irrilevante, al riguardo, la circostanza che, all’atto dell’apertura del concorso, non sia ancora intervenuto alcun accertamento in ordine ai suddetti crediti”.
- . 2 L’ambito soggettivo di applicazione dell’istituto
L’esdebitazione costituisce un istituto di fonte legale, nel senso che l’Autorità giudiziaria deve limitarsi all’accertamento della sussistenza delle condizioni (di carattere sia positivo che negativo) richieste dalla normativa per la sua concessione, senza ampi margini per valutazioni discrezionali.
Si tratta inoltre di un effetto tendenzialmente definitivo, non soggetto né a termini, né a condizioni risolutive.
A norma dell’art. 279 C.C.I.I., il beneficio della esdebitazione può essere conseguito decorsi tre anni dall’apertura della procedura di liquidazione o al momento della chiusura della procedura, se antecedente.
La versione “originaria” dell’art. 279, comma 2, C.C.I.I. prevedeva che, per l’imprenditore che avesse tempestivamente attivato la procedura di composizione assistita della crisi, il termine fosse ridotto a due anni, ma tale previsione risulta ad oggi abrogata dall’art. 34, comma 2, D.lgs. 83/2022.
E’ altresì previsto dal disposto dell’art. 282 C.C.I.I., che l’esdebitazione consegua di diritto alla chiusura della liquidazione controllata, o comunque decorsi tre anni dalla sua apertura, pur essendo necessario un provvedimento dichiarativo del tribunale, nella forma di decreto motivato che, se concerne un imprenditore, deve essere iscritto al registro delle imprese a fini di pubblicità e, se riguardante un professionista o un consumatore, deve invece essere pubblicato in apposita area del sito web del tribunale o del Ministero della Giustizia.
Il riconoscimento del beneficio dell’esdebitazione è subordinato all’insussistenza di condizioni ostative, individuate nell’art. 280 C.C.I.I., che sono ritenute dal Legislatore indicative della non meritevolezza del debitore.
La prima condizione è costituita dall’assenza di condanne definitive per reati commessi in connessione con l’attività di impresa e gravemente pregiudizievoli per il corretto svolgersi dei rapporti economici (tra i quali, specificatamente, la bancarotta fraudolenta e i delitti contro l’economia pubblica, l’industria e il commercio), salvo l’intervenuta riabilitazione.
Essendo richiesto, per l’esclusione del beneficio, che la condanna sia passata in giudicato, si prevede che, nel caso in cui il procedimento penale per uno di tali reati sia ancora pendente o nel caso in cui vi sia stata applicazione di una misura di prevenzione di cui al D.lgs. 06 settembre 2011 n. 159 in relazione agli stessi, il beneficio possa essere concesso, sussistendone le condizioni, solo all’esito conclusivo del procedimento penale.
Ulteriore condizione ostativa è determinata dall’aver tenuto il debitore una condotta dannosa per i creditori attraverso la distrazione dell’attivo o l’esposizione di passività inesistenti, e quindi falsando le loro valutazioni, oppure aver cagionato o aggravato il dissesto con modalità tali da rendere gravemente difficile la ricostruzione degli affari da parte degli organi della procedura, o, ancora, facendo ricorso abusivo al credito.
Impedisce il riconoscimento del beneficio anche una condotta che risulti di ostacolo al corretto e tempestivo svolgimento della procedura, anche consistente nell’aver omesso di fornire le informazioni utili e i documenti necessari per il suo buon andamento.
Si tratta di una condizione ostativa già prevista dall’art. 142 R.D. 267/1942, consistente in un comportamento antigiuridico che sia di ostacolo alla ragionevole durata della procedura, prescritta dagli artt. 6 C.E.D.U. e 111 Costituzione.
Secondo la giurisprudenza formatasi sull’art. 142 R.D. 267/1942, ma senza dubbio applicabile anche alla nuova normativa per totale identità di ratio, in tale comportamento si devono far rientrare “tanto il promuovimento di qualsiasi iniziativa giudiziaria che si sia rivelata infondata e pretestuosa, tale da ritenersi proposta con l’unica finalità del citato ritardo, quanto gli atti di disposizione del proprio patrimonio, anche posti in essere prima del fallimento, già nella consapevolezza della irreversibilità del dissesto ed alternativi alla tempestiva domanda di fallimento in proprio” (Cass. civ., sez. I, 23 maggio 2011 n. 11279).
Vi sono infine due ulteriori condizioni ostative derivanti dall’aver già beneficiato dell’esdebitazione nei cinque anni precedenti, o comunque di averne già beneficiato per due volte, posto che il verificarsi dell’ulteriore situazione di crisi denota una colpevole incapacità di gestione della propria sfera economica.
Anche in questo caso, l’arco temporale entro il quale il debitore non deve avere goduto di un analogo beneficio risulta abbreviato sia rispetto all’art. 142 R.D. 267/1942 (dieci anni), sia rispetto all’art. 14-terdecies Legge 3/2012 (otto anni), ancora una volta allo scopo di favorire l’accesso del debitore al beneficio.
Senza dubbio l’aspetto di maggiore “novità” rispetto al passato è costituito dall’estensione del beneficio dell’esdebitazione alle società, sia di persone che di capitali, che siano state sottoposte a liquidazione giudiziale (art. 278, commi 3-5, C.C.I.).
Il terzo comma dell’art. 278 C.C.I.I. dispone infatti che “Possono accedere all’esdebitazione, secondo le norme del presente capo, tutti i debitori di cui all’art. 1, comma 1”.
Tale ultima norma contiene un esplicito riferimento al “debitore, sia esso consumatore o professionista, ovvero imprenditore che eserciti, anche non a fini di lucro, un’attività commerciale, artigiana o agricola, operando quale persona fisica, persona giuridica o altro ente collettivo, gruppo di imprese o società pubblica, con esclusione dello Stato o degli enti pubblici”.
Si tratta, chiaramente, di una platea di soggetti interessati molto più ampia rispetto a quella originariamente individuata nell’art. 142 R.D. 267/1942, che riservava il beneficio dell’esdebitazione al “fallito persona fisica”, e dunque, in sostanza, ai titolari di un’impresa individuale assoggettata a fallimento e ai soci illimitatamente responsabili di una società di persone fallita.
L’innovazione appare conforme rispetto a quanto previsto dalla Legge di delegazione (i.e.: art. 8, comma 1, lettera c), Legge 155/2017, che espressamente richiedeva al Legislatore delegato di “prevedere anche per le società l’ammissione al beneficio della liberazione dai debiti residui nei confronti dei creditori concorsuali non soddisfatti, previo riscontro dei presupposti di meritevolezza in capo agli amministratori e, nel caso di società di persone, in capo ai soci”) ed è stata generalmente condivisa da quanti hanno evidenziato come la chiusura del fallimento di una società non debba necessariamente ed inevitabilmente condurre alla sua estinzione.
Ratio dell’estensione del beneficio alle società di capitali è quindi indubbiamente quella di valorizzare la capacità dell’impresa esercitata in forma collettiva di rientrare nel mercato, una volta ristrutturata e risanata, riconoscendo quindi un valore intrinseco alla struttura organizzativa di una società, “perché altrimenti nessun senso avrebbe l’esdebitazione per un ente con un patrimonio pari a zero” (D. Vattemoli, “L’esdebitazione nel passaggio dalla legge fallimentare al codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza”).
Non sono però mancate opinioni dottrinali critiche verso l’estensione di tale beneficio alle società in generale, ed a quelle di capitali in particolare, soprattutto per la difficoltà di accertare i requisiti di meritevolezza in capo agli amministratori o ai soci illimitatamente responsabili, nonché da parte di coloro che hanno evidenziato l’inutilità della re-immissione sul mercato di società il cui patrimonio è ormai completamente “svuotato” e “azzerato”.
Dott.ssa Cecilia Domenichini
Unicusano- Roma