Cassazione Civile – Sezione VI Lavoro – Ordinanza 9 dicembre 2019, n. 32077


Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Che:

la Corte d’appello di Catanzaro confermava la decisione di primo grado che aveva accolto l’opposizione a intimazione di pagamento avente ad oggetto crediti previdenziali dovuti da C.V.;

a fondamento della decisione la Corte territoriale, richiamando il dictum di Cass. S.U. n. 23397 del 18 novembre 2016, rilevò la prescrizione dei crediti intervenuta dopo la notifica delle cartelle sottese all’intimazione;

avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione Agenzia delle Entrate – riscossione, subentrata a Equitalia Servizi di Riscossione S.p.A., sulla base di unico motivo;

C.V. ha resistito con controricorso, mentre l’INPS ha prodotto procura in calce al ricorso notificato; la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380 – bis c.p.c., è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio non partecipata.

Che:

Con unico motivo la ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 2946 c.c., del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 49 e del D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 17, poichè la Corte territoriale aveva ritenuto applicabile ai fini del computo del termine prescrizionale del credito esattoriale il termine breve di cui alla L. n. 335 del 1995, art. 3, commi 9 e 10, senza considerare l’effetto novativo conseguente alla notifica delle cartelle di pagamento che comporterebbe l’applicabilità del termine lungo decennale;

la censura è inammissibile ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c., poichè sui punti contestati la Corte territoriale ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte di legittimità e l’esame dei motivi non offre elementi nuovi rispetto all’elaborazione giurisprudenziale consolidata (ex plurimis Cass. n. 26013 del 29/12/2015, Cass. n. 10327 del 26/04/2017);

soccorre, infatti, il principio di diritto enunciato da questa Corte a Sezioni Unite (Sez. U. n. 23397 del 17/11/2016), secondo il quale: “La scadenza del termine – pacificamente perentorio – per proporre opposizione a cartella di pagamento di cui al D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 24, comma 5, pur determinando la decadenza dalla possibilità di proporre impugnazione, produce soltanto l’effetto sostanziale della irretrattabilità del credito contributivo senza determinare anche la cd. “conversione” del termine di prescrizione breve (nella specie, quinquennale, secondo la L. n. 335 del 1995, art. 3, commi 9 e 10) in quello ordinario (decennale), ai sensi dell’art. 2953 c.c.. Tale ultima disposizione, infatti, si applica soltanto nelle ipotesi in cui intervenga un titolo giudiziale divenuto definitivo, mentre la suddetta cartella, avendo natura di atto amministrativo, è priva dell’attitudine ad acquistare efficacia di giudicato. Lo stesso vale per l’avviso di addebito dell’INPS, che, dall’1 gennaio 2011, ha sostituito la cartella di pagamento per i crediti di natura previdenziale di detto Istituto (D.L. n. 78 del 2010, art. 30, conv., con modif., dalla L. n. 122 del 2010)”;

in linea con il richiamato principio, con riferimento al preteso effetto novativo derivante dalla formazione del ruolo, questa Corte è intervenuta affermando che “In tema di riscossione di crediti previdenziali, il subentro dell’Agenzia delle Entrate quale nuovo concessionario non determina il mutamento della natura del credito, che resta assoggettato per legge ad una disciplina specifica anche quanto al regime prescrizionale, caratterizzato dal principio di ordine pubblico dell’irrinunciabilità della prescrizione; pertanto, in assenza di un titolo giudiziale definitivo che accerti con valore di giudicato l’esistenza del credito, continua a trovare applicazione, anche nei confronti del soggetto titolare del potere di riscossione, la speciale disciplina della prescrizione prevista dalla L. n. 335 del 1995, art. 3, invece che la regola generale sussidiaria di cui all’art. 2946 c.c. (Cass. n. 31352 del 04/12/2018), e ciò in conformità alla natura di atto interno all’amministrazione attribuita al ruolo (Cass. n. 14301 del 19/06/2009)”;

allo stesso modo non assume rilievo il richiamo al D.Lgs. n. 112 del 1999, art. 20, comma 6, che prevede un termine di prescrizione strettamente inerente al procedimento amministrativo per il rimborso delle quote inesigibili, che in alcun modo può interferire con lo specifico termine di prescrizione previsto dalla legge per azionare il credito nei confronti del debitore (Sez. U. n. 23397 del 17/11/2016, Cass. n. 31352 del 04/12/2018);

in base alle svolte argomentazioni il ricorso va dichiarato inammissibile, con liquidazione delle spese secondo soccombenza nei confronti del solo C. e senza alcun provvedimento in ordine alle spese nei confronti dell’Inps, in mancanza di sostanziale attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento elle spese del giudizio di legittimità liquidate in complessivi Euro 2.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% e accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis. Così deciso in Roma, il 10 settembre 2019. Depositato in Cancelleria il 9 dicembre 2019


COMMENTO: Nella vicenda in oggetto, la Corte d’Appello aveva confermato la decisione del giudice di primo grado con la quale veniva accolta l’opposizione all’intimazione di pagamento avente ad oggetto crediti previdenziali dovuti da un lavoratore autonomo, rilevandone l’avvenuta prescrizione, dopo la notifica delle cartelle sottese all’intimazione.

Avverso tale pronuncia, l’Agenzia delle entrate-riscossione, proponeva ricorso per cassazione, deducendo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e la falsa applicazione dell’art. 2946 c.c., del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 49 e del D. Lgs. n. 46 del 1999, art. 17, in quanto la Corte d’Appello aveva ritenuto applicabile, per il calcolo della prescrizione del credito esattoriale, il termine breve quinquennale, di cui alla L. n. 335 del 1995, art. 3, commi 9 e 10, senza considerare, a detta della ricorrente, l’effetto novativo conseguente alla notifica delle cartelle di pagamento non impugnate, che, invece, determinerebbe l’applicabilità del termine ordinario decennale.

La Cassazione ha ritenuto inammissibile tale assunto in quanto il giudice di merito si era già correttamente uniformato all’orientamento consolidato della giurisprudenza della Corte di legittimità. A tal proposito, occorre sottolineare il principio di diritto, già richiamato dalla Corte d’Appello ed enunciato a Sezioni Unite nella sentenza n.23397 del 17/11/2016, in base al quale la scadenza del termine per impugnare la cartella di pagamento di cui al D. Lgs. n. 46 del 1999, art. 24, comma 5, determina l’irretrattabilità del credito contributivo senza che il termine prescrizionale breve, quinquennale, venga convertito in quello ordinario, decennale, ai sensi dell’art. 2953 c.c. In particolare, la Suprema Corte ha precisato che tale ultima disposizione si applica solo nelle ipotesi in cui intervenga un titolo giudiziale divenuto definitivo ma, nel caso di specie, la cartella di pagamento, quale atto amministrativo, non può acquistare efficacia di giudicato. Le Sezioni Unite hanno, quindi, escluso che la prescrizione per le cartelle divenute definitive perché mai impugnate possa essere di 10 anni: «Partendo dalla premessa che l’ingiunzione fiscale, in quanto espressione del potere di auto-accertamento e di auto-tutela della P.A., ha natura di atto amministrativo che cumula in se’ le caratteristiche del titolo esecutivo e del precetto, ma è priva di attitudine ad acquistare efficacia di giudicato (sicché la decorrenza del termine per l’opposizione, pur determinando la decadenza dall’impugnazione, non produce effetti di ordine processuale, ma solo l’effetto sostanziale dell’irretrattabilità del credito), sussiste la conseguente inapplicabilità dell’art. 2953 cod. civ. ai fini della prescrizione». Tanto determina la nullità delle cartelle e, nel nostro caso, degli avvisi di addebito. Anche l’ordinanza della Cassazione n. 2014 del 2019 ha statuito un importante principio in riferimento all’interruzione della prescrizione: la Suprema Corte ha, infatti, stabilito che la semplice iscrizione a ruolo del debito del contribuente non è sufficiente ad interrompere il trascorrere del termine di prescrizione previsto ex lege. In particolare, gli Ermellini hanno stabilito che “la procedura seguita…non è idonea ad evitare l’estinzione del diritto di agire per la riscossione del tributo…in quanto la maturazione di detto termine non può certo considerarsi evitata per effetto della notificazione (in epoca successiva alla scadenza del termine medesimo) di una cartella di pagamento non tempestivamente preceduta dall’atto prodromico necessario a mettere al corrente il destinatario della pretesa dell’ente pubblico, idoneo cioè a generare l’interruzione del decorso del termine prescrizionale”.

In conclusione, tornando al caso dal quale siamo partiti, neppure il subentro dell’Agenzia delle Entrate a titolo di nuovo concessionario, non determina il mutamento della natura del credito, che rimane assoggettato alle norme in materia di prescrizione: pertanto, in assenza di un titolo giudiziale definitivo, in luogo della regola generale sussidiaria di cui all’art. 2946 c.c., che prevede l’applicazione del termine ordinario decennale, al creditore si applica la disciplina relativa alla prescrizione breve, di cui alla L. n. 335 del 1995, art. 3. Sulla base delle predette osservazioni, la Suprema Corte ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso, condannando il concessionario al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore del controricorrente.

Di conseguenza, anche se ci trovassimo di fronte ad un’intimazione di pagamento contenente avvisi di addebito per crediti contributivi non impugnati, ma il cui visto di esecutività è stato formato oltre il termine di prescrizione quinquennale del tributo, con successiva notifica della cartella/avviso al contribuente, possiamo considerare l’Ente creditore decaduto dal corrispondente diritto di agire e, dunque, dalla possibilità di riscuotere il relativo credito.

Avv. Marco Mora