Cass. civ., Sez. V, Ord. 28 Aprile 2021, n. 11156


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – rel. Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello – Consigliere –

Dott. NICASTRO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 1426/2018 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato.

– ricorrente –

contro

… SRL … SAS, (società estinta), … SRL, (società estinta), in qualità di socio accomandatario della … SRL … SAS, …, in qualità di socio accomandante della … SRL … SAS, …., in qualità di socio unico della … SRL. – intimati –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia, sezione staccata di Brescia, sezione n. 65, n. 7343/65/16, pronunciata il 1/12/2016, depositata il 23/12/2016.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13 gennaio 2021 dal Consigliere Riccardo Guida.

Svolgimento del processo

che:

  1. la … Srl … Sas impugnò innanzi alla Commissione tributaria provinciale di Brescia l’avviso di accertamento, ai fini IRES, IRAP, IVA, per il periodo d’imposta 2006, emesso dall’Amministrazione finanziaria sulla base del processo verbale di constatazione, redatto dalla Guardia di Finanza, in data (OMISSIS), fondato sui seguenti rilievi: omessa fatturazione di operazioni imponibili (per Euro 50.000.000,00) cui era correlata l’omessa dichiarazione di una plusvalenza da conferimento di immobili; omessa fatturazione, registrazione e dichiarazione di IVA a debito (per Euro 160.000,00) per effetto dell’emissione di fatture con aliquota ridotta del 10% on seq con quella ordinaria del 20% relative alla vendita di immobili di lusso da costruire; illegittima detrazione IVA (per Euro 500.000,00) su una fattura ricevuta per la permuta di cosa presente (terreno) con cosa futura (immobili da costruire);
  2. la C.T.P. di Brescia ritenne fondata l’eccezione della contribuente di decadenza dell’azione accertatrice dell’Amministrazione finanziaria, e, quindi, accolse il ricorso, con sentenza (n. 266/14) confermata dalla Commissione tributaria regionale della Lombardia, sezione staccata di Brescia, la quale, con la pronuncia in epigrafe, ha rigettato l’appello dell’ufficio, per quanto ancora interessa, rilevando che: (a) secondo il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57, il raddoppio dei termini di notifica degli avvisi di accertamento, in materia di imposte dirette e di IVA, si verifica in caso di violazione che comporta un obbligo di denuncia penale, ai sensi dell’art. 331 c.p.p., indipendentemente dall’effettiva presentazione della denuncia o dall’inizio dell’azione penale; (b) evidenziato che, nella specie, non viene in rilievo lo ius superveniens (L. n. 208 del 2015, art. 1, commi 130-132), in quanto il D.Lgs. n. 128 del 2015, art. 2, fa salvi gli effetti degli avvisi di accertamento notificati in precedenza (com’è avvenuto in questa vicenda tributaria), alla stregua del necessario giudizio di “prognosi postuma” rimesso al giudice tributario non emerge il fumus di illeciti penali che comportano l’obbligo di denuncia per uno dei reati previsti dal D.Lgs. n. 74 del 2000; (c) dall’avviso di accertamento, infatti, si evince che l’ufficio contesta una condotta sussumibile nell’abuso di diritto, per la quale richiama espressamente il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37-bis, in materia di elusione di imposta che, in accordo con la giurisprudenza di legittimità, non integra una condotta di evasione fiscale, rilevante sul piano penale, ai sensi del D.Lgs. n. 74 del 2000, il che preclude il raddoppio del termine di accertamento secondo la disciplina ratione temporis vigente;
  3. l’Agenzia ha proposto ricorso per cassazione con un motivo; …, soci delle suindicate società estinte, hanno prima depositato un atto ai sensi e per gli effetti dell’art. 370 c.p.c., comma 1, e successivamente un’istanza (datata 12/12/2018) di sospensione del processo del D.L. n. 119 del 2018, ex art. 6, comma 10; questa Corte, in diversa composizione, con ordinanza interlocutoria del 15/01/2019, ha rinviato a nuovo ruolo la causa che viene adesso trattata, previa rimessione sul ruolo, in seguito all’istanza (datata 17/01/2019) di fissazione dell’udienza dell’Avvocatura generale dello Stato, che ha dato atto che i contribuenti non hanno presentato richiesta di definizione agevolata ai sensi del D.L. n. 50 del 2017, art. 11.

Motivi della decisione


che:
con l’unico motivo di ricorso (“Violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, comma 3, e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57, comma 3, nella versione vigente ratione temporis, dell’art. 331 c.p.p., del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37-bis, e del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”), l’Agenzia censura la sentenza impugnata per avere negato che operasse, nella specie, il termine raddoppiato dell’attività accertatrice, a causa della mancanza di elementi da cui desumere il fumus dell’obbligo di denuncia penale ex art. 331 c.p.p., sull’erroneo presupposto che soltanto in presenza di un’ipotesi di evasione d’imposta sia ravvisabile una condotta penalmente rilevante e che, invece, tale obbligo non sussista in un caso, come quello di specie, riconducibile all’abuso di diritto, di cui al previgente cit. art. 37-bis, sebbene la giurisprudenza di legittimità sia costantemente giunta a conclusioni opposte;

1.1. il motivo è fondato;

1.1.1. premesso che si tratta di fattispecie anteriore alla depenalizzazione delle condotte elusive, operata, in ambito tributario, dalla L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 10-bis, è ius receptum che: “In tema di accertamento tributario, il raddoppio dei termini previsto dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, comma 3, e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57, comma 3, nei testi applicabili “ratione temporis”, presuppone unicamente l’obbligo di denuncia penale, ai sensi dell’art. 331 c.p.p., per uno dei reati previsti dal D.Lgs. n. 74 del 2000, e non anche la sua effettiva presentazione, come chiarito dalla Corte Cost. nella sentenza n. 247 del 2011, sicché, ove il contribuente denunci il superamento dei termini di accertamento da parte dell’Amministrazione finanziaria, deve contestare la carenza dei presupposti dell’obbligo di denuncia, non potendo mettere in discussione la sussistenza del reato il cui accertamento è precluso al giudice tributario. (Cass. 02/07/2020, n. 13481).”;

si è anche precisato che detti termini – del D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 43, per l’IRPEF, del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57, per l’IVA – sono raddoppiati in presenza di seri indizi di reato che facciano insorgere l’obbligo di presentazione di denuncia penale, anche se archiviata o tardiva, senza che, con riguardo agli avvisi di accertamento già notificati, relativi a periodi d’imposta precedenti a quello in corso alla data del 31 dicembre 2016 (ed è il caso in esame), incidano le modifiche introdotte dalla L. n. 208 del 2015, art. 1, commi da 130 a 132, attesa la disposizione transitoria, ivi introdotta, che richiama l’applicazione del D.Lgs. n. 128 del 2015, art. 2, nella parte in cui fa salvi gli effetti degli avvisi di accertamento, dei provvedimenti che irrogano sanzioni e degli inviti a comparire D.Lgs. n. 218 del 1997, ex art. 5, già notificati, dimostrando un “favor” del legislatore per il raddoppio dei termini se non incidente su diritti fondamentali del contribuente, quale il diritto di difesa, in ossequio ai principi costituzionali di cui agli artt. 53 e 112, Cost. (Cass. 19/12/2019, n. 33793; 14/05/2018, n. 11620);

inoltre, la Cassazione penale (cfr., ex aliis, Cass. Pen. 23/05/2013, n. 36894) ha più volte affermato che: “Il reato tributario di dichiarazione infedele può essere integrato anche da condotte elusive ai fini fiscali purché riconducibili a quelle previste dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37, comma 3 e 37 bis, considerato che la fattispecie di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 4, non richiede la sussistenza di una dichiarazione fraudolenta ma soltanto la presentazione di una dichiarazione infedele e, pertanto, la mera indicazione, anche senza l’uso di mezzi fraudolenti, di elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo ed elementi passivi fittizi, quando ricorrano le altre condizioni ivi previste in relazione all’ammontare dell’imposta evasa e degli elementi attivi sottratti alla imposizione e, quindi, quando si superino le relative soglie di punibilità.”;

infine, si è stabilito che: “In materia di reati tributari, spetta esclusivamente al giudice penale il compito di determinare l’ammontare dell’imposta evasa, da intendersi come l’intera imposta dovuta e non versata (…) in base a una verifica che può venire a sovrapporsi ed anche entrare in contraddizione con quella eventualmente effettuata dal giudice tributario, non essendo configurabile alcuna pregiudiziale tributaria.” (Cass. Pen. 27/09/2018, n. 50157; conf.: n. 15899 del 2016, n. 37335 del 2014, n. 35579 del 2017, n. 28710 del 2017, n. 38684 del 2014, n. 5490 del 2009, n. 36396 del 2011, n. 21213 del 2008);

1.1.2. nella specie, la C.T.R. non si è conformata a questi principi di diritto là dove ha escluso l’applicabilità del termine raddoppiato di decadenza dell’azione accertatrice, dopo avere riconosciuto che l’Agenzia delle entrate aveva contestato operazioni riconducibili all’abuso di diritto e all’elusione d’imposta che, come dianzi accennato, diversamente da quanto sostiene la Commissione regionale, integrano condotte astrattamente rilevanti sul piano penale (si fa riferimento al reato di dichiarazione infedele del D.Lgs. n. 74 del 2000, ex art. 4), rispetto alle quali, on sequenzialmente, sussiste l’obbligo di denuncia penale, ai sensi dell’art. 331 c.p.p.;

  1. ne consegue che, accolto il motivo di ricorso, la sentenza è cassata, con rinvio alla C.T.R. della Lombardia, sezione staccata di Brescia, in diversa composizione, per un nuovo esame della causa e anche per la disciplina delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.
accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, sezione staccata di Brescia, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 13 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 28 aprile 2021


COMMENTO:  La Corte di Cassazione, con l’ordinanza del 28 Aprile 2021 n. 11156, prende una decisione di notevole spessore giuridico rispetto all’istituto del raddoppio dei termini per la notifica degli avvisi di accertamento. La Suprema Corte, infatti, con il recentissimo provvedimento del 28 Aprile 2021 stabilisce la piena legittimità del raddoppio dei termini applicabili alle contestazioni di abuso di diritto antecedenti al 2016, nonostante tale abuso sia stato successivamente depenalizzato da parte dell’art. 10 bis della Legge 212/2000, introdotto dal D.Lgs. 128 del 2015.

Secondo la Corte, infatti, nonostante sia avvenuta la depenalizzazione dell’abuso di diritto ad opera dell’art. 10 bis, si continua ad applicare il raddoppio dei termini per le contestazioni relative ai periodi di imposta antecedenti al 2016. La sentenza della Suprema Corte di Cassazione va ad interrompere un orientamento condiviso da parte della Commissione Tributaria Provinciale prima, e da parte della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia poi. Secondo quest’ultima, in sostanza, non dovrebbe trovare applicazione l’istituto del raddoppio dei termini, previsto dall’articolo 43 del DPR n. 600 del 1973 relativamente all’IRPEF e dall’articolo 57 del DPR n. 633 del 1972 relativamente all’IVA, in virtù del fatto che la condotta di abuso di diritto non è più sanzionabile penalmente.

Secondo la Commissione Tributaria Regionale, la depenalizzazione dell’abuso di diritto avrebbe, in virtù del favor rei, una portata retroattiva con la implicita conseguenza di non ammettere il raddoppio dei termini.                                                                                                                                   Elemento chiave di questa versione, accolta da parte della Commissione Tributaria Regionale, è l’efficacia retroattiva della depenalizzazione dell’abuso di diritto.

La Corte di Cassazione, da parte sua, invece, stravolge  questa interpretazione giuridica, facendo prevalere un altro principio cardine del nostro ordinamento: quello del tempus regit actum. In forza di tale orientamento gli Ermellini hanno applicato l’istituto del raddoppio dei termini riguardo ad un avviso emesso nel 2011, relativamente all’anno di imposta 2006.

Per capire a pieno la scelta della Suprema Corte occorre recuperare la sentenza della Corte Costituzionale del 25 Luglio 2011, n. 247, relativa alla natura della disciplina del raddoppio dei termini.                        

Secondo tale pronuncia costituzionale, infatti, la disciplina del raddoppio dei termini non ha – a contrario di quanto si possa pensare – natura sanzionatoria per l’autore di una violazione tributaria sanzionata penalmente, bensì natura meramente procedimentale.

Ne consegue pertanto che, nel caso di specie, non possa trovare applicazione il principio del favor rei, bensì quello del tempus regit actum.

Francesco Paolo Ledda

Avvocato