Cass. civ., sez. V, ord., 21 marzo 2024 n. 7710


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO:

La ************* s.r.l. (poi ************** s.r.l.) impugnava, con distinti ricorsi poi riuniti, due avvisi di accertamento notificatile dal Comune di **********, per i periodi d’imposta 2012 e 2013, aventi ad oggetto l’IMU, considerando, per entrambe le annualità, una rendita catastale di euro 158.600,00, a sua volta definita con sentenza passata in giudicato della CTR Lombardia n. 75/2016 dell’11.1.2016.

La contribuente lamentava, nel merito, la riferibilità della rendita accertata giudizialmente ai periodi d’imposta oggetto dei due atti impositivi impugnati, dal momento che, per essi, risultava ancora valida la rendita di euro 139.858,00 risultante da una visura del 24.2.2017, e contestava l’applicazione delle sanzioni, invocando il ricorso al criterio del cumulo giuridico.

La CTP di Bergamo respingeva i ricorsi sul rilievo che la rendita di cui alla decisione passata in giudicato dovesse correttamente applicarsi anche agli anni in contestazione, dal momento che era riferita ad una prima denuncia DOCFA presentata dalla ricorrente sin dal 23.7.2009.

Sull’appello della contribuente, la CTR Lombardia rigettava il gravame, affermando che: 1) il provvedimento di modifica della rendita catastale, emesso dopo l’1.1.2000, a seguito di denuncia di variazione dell’immobile presentata dal contribuente, era utilizzabile, a norma dell’art. 74 della l. n. 342/2000, anche con riferimento ai periodi d’imposta anteriori a quello in cui aveva avuto luogo la notifica del provvedimento, purché successivi alla denuncia di variazione; 2) le sanzioni erano state correttamente applicate, posto che il contribuente poteva sia ravvedersi, sia proporre una conciliazione giudiziale; 3) non era applicabile il cumulo giuridico, in presenza di omessi o minori versamenti dell’imposta. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la ************** s.r.l. sulla base di due motivi. Il Comune di ********** ha resistito con controricorso.

Considerato che

  1. Con il primo motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 12, comma 5, d.lgs. n. 472/1997, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., richiamato dall’art. 62, comma 1, d.lgs. n. 546/1992, per non aver la CTR considerato che, in tema di ICI, in caso di più violazioni per omesso o insufficiente versamento che, in relazione ad uno stesso immobile, conseguono ad identici accertamenti per più annualità successive, deve trovare applicazione il regime della continuazione attenuata, di cui al d.lgs. n. 472 del 1997, art. 12, comma 5, che consente di irrogare un’unica sanzione, pari alla sanzione base aumentata dalla metà al triplo.
  2. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia la falsa applicazione dell’art. 13 d.lgs. n. 471/1997, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., richiamato dall’art. 62, comma 1, d.lgs. n. 546/1992, per aver la CTR erroneamente, a suo dire, affermato che “Allo stesso modo non era applicabile il cumulo giuridico, in presenza di omessi o minori versamenti dell’imposta”.
  3. I motivi, da trattarsi congiuntamente siccome strettamente connessi, sono inammissibili per sopravvenuto difetto di interesse.

Nell fattispecie in esame, sono stati impugnati separatamente gli avvisi si accertamento concernenti l’IMU 2014 e 2015 e la Tasi 2015.

Orbene, premesso che la continuazione deve essere accertata dal giudice che se ne occupa per ultimo (in base all’art. 12, comma 5, d.lgs. n. 472 del 1997: <<Se più atti di irrogazione danno luogo a processi non riuniti o comunque introdotti avanti a giudici diversi, il giudice che prende cognizione dell’ultimo di essi ridetermina la sanzione complessiva tenendo conto delle violazioni risultanti dalle sentenze precedentemente emanate>>), nella memoria illustrativa la contribuente ha eccepito il giudicato esterno sulla base della sentenza n. 305 del 2022 con la quale la CTP di Bergamo ha riconosciuto il cumulo giuridico per le sanzioni sottoposte al suo esame, chiedendo, per l’effetto, che la pronuncia impugnata sia cassata senza rinvio.

In particolare, la detta CTP ha riconosciuto il cumulo giuridico sulla base della seguente considerazione: <<poichè nella specie si verte in ipotesi di emissione di avvisi di accertamento da parte del Comune, contestati nelmerito dalla società contribuente, deve essere applicato il cumulo giuridico di cui al citato art. 12 comma 5, e, tenuto conto delle particolarità della vicenda, le sanzioni debbono essere rapportate alla sanzione più grave, stabilita per le varie annualità, aumentata della metà.>>.

In premessa la Commissione di primo grado aveva rilevato che <<il Comune emetteva, quindi, gli accertamenti n. 40 e n. 61, relativi ad IMU e TASI 2015, con i quali il Comune procedeva al recupero delle minori somme versate, applicando la sanzione del 30 per cento. La società proponeva ricorso avverso i citati avvisi di accertamento sostenendo che la rendita catastale divenuta definitiva non dovesse riguardare l’annualità in oggetto, eccependo la illegittimità dell’atto per non applicazione del contraddittorio preventivo ed in subordine chiedendo la non applicazione delle sanzioni o, quantomeno, l’applicazione del cumulo giuridico>>.

La menzionata pronuncia ha provveduto su tutti gli avvisi di accertamento, avendo irrogato un’unica sanzione, pari a quella base più grave prevista per l’IMU 2013 aumentata fino alla metà.

La sentenza della CTP di Bergamo, passata in giudicato in data 22.1.2023 (e, quindi, quando era già scaduto, in data 14.1.2023, il termine per impugnare con ricorso per cassazione la sentenza della CTR n. 4208/22), ha già pertanto nel merito quantificato la sanzione in relazione a tutte le annualità (IMU 2012, IMU 2013, IMU e TASI 2014, IMU e TASI 2015) contestate con identici accertamenti della medesima natura e contenuto.

L’applicazione della cd. continuazione attenuata prevede l’annullamento degli avvisi di accertamento in cui sono determinate tali sanzioni. 3.1. In definitiva, la CTP, nell’altro giudizio, ha fatto applicazione, quanto alle sanzioni, del principio affermato da questa Corte (cfr. Cass. n. 11432/2022; conf. Cass. n. 22477/2022) in tema di ICI, ma estensibile all’IMU, secondo cui «in ipotesi di più violazioni per omesso o insufficiente versamento dell’imposta relativa ad uno stesso immobile, conseguenti a identici accertamenti per più annualità successive, si applica il regime della continuazione attenuata di cui all’art. 12, comma 5, del d.lgs. n. 472 del 1997, che consente di irrogare un’unica sanzione, pari alla sanzione base aumentata dalla metà al triplo».

In particolare, per effetto dell’art. 12, comma 5, in ipotesi di violazioni riguardanti periodi di imposta diversi, l’Ufficio in sede di notifica dell’atto di irrogazione deve procedere alla ricostruzione di un’unica serie progressiva, che comprende anche le violazioni precedentemente considerate e contestate, e deve tenere conto, nel determinare l’importo della sanzione, di quello già indicato nell’originario atto notificato.

L’art. 12, comma 5, citato ha introdotto lo stesso principio in campo processuale, stabilendo che, quando siano pendenti più giudizi, non riuniti, anche dinanzi a giudici diversi e sempre con riferimento ad una serie di violazioni suscettibili di unificazione, il giudice a cui è devoluta la cognizione dell’ultimo degli atti di irrogazione per una delle violazioni coinvolte può procedere, a seguito di ricognizione di tutte le sentenze intervenute nei singoli processi non riuniti, ad una ricostruzione unitaria, ove ne sussistano i presupposti, dell’intera serie di violazioni, secondo le regole fissate dall’art. 12, rideterminando quindi la sanzione unica applicabile (in senso conforme, circolare del Ministero delle Finanze n. 138 E del 5 luglio 2000 e circolare n. 180 del 1998). Da tale disposizione discende che in fase processuale, qualora l’Amministrazione non abbia provveduto all’applicazione del cumulo previsto dall’art. 15 citato, è il giudice che deve provvedere stabilendo il quantum dovuto dal contribuente, risultando evidente che l’attribuzione di tale potere-dovere, nelle ipotesi di pendenza di più giudizi, presuppone il suo riconoscimento anche nelle ipotesi in cui i diversi ricorsi siano stati oggetto di riunione, in quanto sarebbe illogico ritenere che il giudice sia chiamato all’opera di quantificazione della sanzione nei termini di cui all’art. 12 citato nel caso di giudizio non riunito afferente ad una violazione suscettibile di riunione e non lo sia nel caso di unico giudizio, risultando in tale ultima ipotesi di più immediata soluzione circa l’individuazione dell’unica sanzione a cui deve essere sottoposto il contribuente (Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 2284 del 2023).

  1. Alla stregua delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

La sopravvenienza che ha determinato l’esito del giudizio giustifica la compensazione integrale delle spese.

Nell’ipotesi di causa di inammissibilità sopravvenuta alla proposizione del ricorso per cassazione non sussistono i presupposti per imporre al ricorrente il pagamento del cd. “doppio contributo unificato” (Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 31732 del 07/12/2018).

P.Q.M.

La Corte, dichiara inammissibile il ricorso per sopravvenuta carenza di interesse; compensa, tra le parti, le spese.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio tenutasi in data 19.1.2024.


COMMENTO –Con la pronuncia numero 7710 del 21 marzo 2024, la Corte di Cassazione ha stabilito che in caso di violazioni che coinvolgano più annualità, va applicato il principio del cumulo giuridico. Spetta al giudice chiamato a decidere nell’ultimo grado di giudizio, determinare l’entità delle sanzioni da irrogare.

Andando ad analizzare dettagliatamente il caso oggetto del presente scritto, va preliminarmente rilevato come la società ricorrente, provvedeva ad impugnare attraverso distinti ricorsi successivamente riuniti, due avvisi di accertamento emessi dal Comune di “Omissis” per gli anni d’imposta 2012 e 2013, relativi all’IMU. Gli avvisi prendevano in considerazione una rendita catastale di € 158.600,00 per entrambe le annualità, rendita che era stata confermata in una sentenza passata in giudicato della CTR Lombardia numero 75/2016 dell’11 gennaio 2016.

In particolare la società ricorrente contestava nel merito, la validità della rendita catastale stabilita giudizialmente per i periodi d’imposta oggetto dei due atti impositivi impugnati, poiché, per tali periodi, risultava ancora in vigore una rendita pari ad € 139.858,00, come confermato da una visura del 24 febbraio 2017. Contestava inoltre l’applicazione delle sanzioni, contestando all’ente la mancata applicazione del criterio del cumulo giuridico.

La Commissione Tributaria Provinciale di Bergamo respingeva i ricorsi, sostenendo che la rendita stabilita nella sentenza passata in giudicato doveva correttamente essere applicata anche agli anni oggetto di contestazione. Questo perché la rendita era stata indicata in una prima denuncia DOCFA presentata dalla ricorrente già dal 23 luglio 2009.

Sul ricorso presentato dalla contribuente, la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia ha respinto l’appello, affermando quanto segue:

  1. Il provvedimento di modifica della rendita catastale, emesso dopo il 1° gennaio 2000 a seguito di una denuncia di variazione dell’immobile presentata dal contribuente, era utilizzabile in conformità all’articolo 74 della legge numero 342/2000 anche per i periodi d’imposta precedenti a quello in cui era stata notificata la decisione, a condizione che fossero successivi alla denuncia di variazione dell’immobile;
  2. Le sanzioni erano state applicate correttamente, in quanto il contribuente aveva la possibilità sia di ravvedersi sia di proporre una conciliazione giudiziale;
  3. Non era applicabile il principio del cumulo giuridico in presenza di omissioni o versamenti inferiori dell’imposta.

La ricorrente ha quindi proposto ricorso per Cassazione basandosi su due motivi e conseguentemente il Comune presentava il proprio controricorso.

Considerato che come detto in precedenza, con il primo motivo la società  ricorrente sosteneva la violazione e la falsa applicazione dell’articolo 12, comma 5, del decreto legislativo numero 472/1997, in relazione all’articolo 360, primo comma, numero 3, del codice di procedura civile, richiamato dall’articolo 62, comma 1, del decreto legislativo numero 546/1992. La CTR non avrebbe considerato che, in materia di Imposta Comunale sugli Immobili (ICI), quando si verificano più violazioni per mancato o insufficiente pagamento che, riguardo allo stesso immobile, derivano da identici accertamenti per più annualità consecutive, deve essere applicato il regime della continuazione attenuata, come stabilito dall’articolo 12, comma 5, del decreto legislativo numero 472/1997. Questo regime consente di comminare una sanzione unica, pari alla sanzione base aumentata dalla metà al triplo.Inizio modulo

Con il secondo motivo, il ricorrente contestava la falsa applicazione dell’articolo 13 del decreto legislativo numero 471/1997, in relazione all’articolo 360, primo comma, numero 3, del codice di procedura civile, richiamato dall’articolo 62, comma 1, del decreto legislativo numero 546/1992. La CTR avrebbe erroneamente affermato, secondo la ricorrente, che “Allo stesso modo non era applicabile il cumulo giuridico, in presenza di omessi o minori versamenti dell’imposta”.

I motivi, da trattare congiuntamente in quanto strettamente connessi, sono stati giudicati inammissibili per sopravvenuto difetto di interesse.

Nel caso specifico oggetto di esame, sono stati impugnati separatamente gli avvisi di accertamento relativi all’IMU degli anni 2014 e 2015, così come quello relativo alla Tasi del 2015.

Pertanto, considerando che la continuazione deve essere valutata dal giudice che affronta il caso nell’ultimo grado di giudizio, come stabilito dall’articolo 12, comma 5, del decreto legislativo numero 472 del 1997: “Se più atti di irrogazione danno luogo a processi non riuniti o comunque introdotti avanti a giudici diversi, il giudice che prende cognizione dell’ultimo di essi ridetermina la sanzione complessiva tenendo conto delle violazioni risultanti dalle sentenze precedentemente emanate”, nella memoria esplicativa, la contribuente sollevava l’eccezione del giudicato esterno basato sulla sentenza numero 305 del 2022, emessa dalla CTP di Bergamo, che ha riconosciuto il cumulo giuridico per le sanzioni esaminate. Pertanto, richiedeva l’annullamento della sentenza impugnata senza ulteriori procedimenti.

Nel caso specifico, la CTP aveva riconosciuto il cumulo giuridico sulla base della seguente considerazione: “poiché nella specie si tratta di emissione di avvisi di accertamento da parte del Comune, contestati nel merito dalla società contribuente, deve essere applicato il cumulo giuridico di cui al citato articolo 12, comma 5, e, tenuto conto delle particolarità della vicenda, le sanzioni devono essere rapportate alla sanzione più grave, stabilita per le varie annualità, aumentata della metà.”

In sostanza il ricorso avanzato dalla società contro i suddetti avvisi di accertamento, verteva sulla contestazione che la rendita catastale definitiva non dovesse essere applicata all’annualità in questione, eccependo inoltre l’illegittimità dell’atto per la mancata applicazione del contraddittorio preventivo e, in subordine, richiedendo la non applicazione delle sanzioni o, almeno, l’applicazione del cumulo giuridico.

La suddetta sentenza ha deliberato su tutti gli avvisi di accertamento, comminando una sanzione unica, equivalente alla sanzione base più grave stabilita per l’IMU del 2013, aumentata fino alla metà.

La sentenza della Commissione Tributaria Provinciale (CTP) di Bergamo, che è diventata definitiva il 22 gennaio 2023, aveva già quantificato la sanzione nel merito per tutte le annualità (IMU 2012, IMU 2013, IMU e TASI 2014, IMU e TASI 2015) contestate con gli stessi avvisi di accertamento. 

L’applicazione della cosiddetta continuazione attenuata comporta l’annullamento degli avvisi di accertamento nei quali sono determinate tali sanzioni. In conclusione, la Commissione Tributaria Provinciale (CTP), nell’altro procedimento, ha applicato il principio affermato dalla Suprema Corte (come confermato dalle sentenze della Cassazione numero 11432/2022 e numero 22477/2022) in materia di Imposta Comunale sugli Immobili (ICI), ma estensibile all’Imposta Municipale Unica (IMU). Tale principio stabilisce che “in caso di più violazioni per mancato o insufficiente versamento dell’imposta relativa allo stesso immobile, derivanti da identici accertamenti per più annualità consecutive, si applica il regime della continuazione attenuata di cui all’articolo 12, comma 5, del decreto legislativo numero 472 del 1997, il quale consente di comminare una sanzione unica, pari alla sanzione base aumentata dalla metà al triplo”.

In particolare, in virtù dell’articolo 12, comma 5, del decreto legislativo numero 472 del 1997, in caso di violazioni che coinvolgono periodi di imposta diversi, l’Ufficio, durante la notifica dell’atto di sanzione, deve procedere alla ricostruzione di una serie progressiva unica. Questa serie deve includere anche le violazioni precedentemente considerate e contestate e l’Ufficio deve tenere conto, nel determinare l’ammontare della sanzione, dell’importo già indicato nell’atto originario di notifica.

Sul punto gli Ermellini ricordano come l’articolo 12, comma 5, appena citato, ha introdotto lo stesso principio anche nell’ambito processuale. Questo articolo stabilisce che, quando ci sono diversi procedimenti giudiziari non riuniti, anche presso giudici diversi, e sempre con riferimento a una serie di violazioni che possono essere unificate, il giudice incaricato dell’ultimo atto sanzionatorio per una delle violazioni coinvolte può procedere, dopo aver esaminato tutte le sentenze emesse nei vari procedimenti non riuniti, a una ricostruzione unitaria dell’intera serie di violazioni, seguendo le disposizioni stabilite dall’articolo 12. 

Di conseguenza, il giudice ridetermina la sanzione unica applicabile. Questo principio è conforme alle circolari del Ministero delle Finanze numero 138 E del 5 luglio 2000 e numero 180 del 1998.

Da questa disposizione emerge che in fase processuale, qualora l’Amministrazione non abbia applicato il cumulo previsto dall’articolo 15 citato, è compito del giudice determinare l’importo dovuto dal contribuente. Risulta evidente che l’assegnazione di tale potere-dovere, anche nei casi di pendenza di più procedimenti giudiziari, presuppone il suo riconoscimento anche nei casi in cui i diversi ricorsi sono stati oggetto di riunione. Sarebbe infatti illogico ritenere che il giudice sia tenuto a quantificare la sanzione come previsto dall’articolo 12 in caso di procedimenti non uniti riguardanti una violazione che può essere unificata, ma non lo sia in caso di procedimento unico. In quest’ultimo caso, risulta più immediata l’individuazione della sanzione unica da applicare al contribuente. (Cass., Sezione 5, Ordinanza numero 2284 del 2023).

Alla luce delle considerazioni fin qui esposte, i giudici di Cassazione hanno stabilito l’inammissibilità del ricorso in questione. 

La sopravvenienza che ha influenzato l’esito del giudizio giustifica la compensazione integrale delle spese.

Nella sentenza viene rilevato inoltre come nel caso di una causa di inammissibilità che sia sorta dopo la presentazione del ricorso per cassazione, non ci sono presupposti per richiedere al ricorrente il pagamento del cosiddetto “doppio contributo unificato” (Cass., Sezione 5, Ordinanza numero 31732 del 07/12/2018).

Quanto al pronunciamento sulla questione di merito, la Suprema Corte ha  dichiarato inammissibile il ricorso per sopravvenuta carenza di interesse, disponendo la compensazione delle spese tra le parti.

Appare d’obbligo rilevare come l’orientamento espresso dalla Suprema Corte in occasione del pronunciamento di cui si è dato conto in questo scritto, vada integrato con quanto enunciato dalla medesima Corte per mezzo dell’Ordinanza numero 5744 del 2021. In tale occasione infatti la Corte enunciava il principio secondo il quale il cumulo giuridico non si applica nei casi di omesso versamento. 

In occasione di tale precedente giudizio infatti la Corte aveva rilevato sul tema che “le violazioni tributarie che consistono nel ritardo o nell’omesso versamento dell’imposta risultante dalla dichiarazione fiscale non sono soggette al principio della continuazione disciplinato dall’articolo 12, comma 2, del decreto legislativo numero 472 del 1997. Questo principio riguarderebbe le violazioni che possono influire sulla determinazione dell’imponibile o sulla liquidazione del tributo, mentre il ritardo o l’omissione del pagamento rappresenta una violazione relativa all’imposta già liquidata. Per quest’ultima, il decreto legislativo numero 471 del 1997, articolo 13, stabilisce un trattamento sanzionatorio proporzionale e autonomo per ogni mancato pagamento” (si veda Cassazione, sentenze numero 27068/2017, 1540/2017 e 8148/2019).

Il mancato pagamento delle imposte regolarmente dichiarate comporterebbe l’applicazione delle sanzioni previste dall’articolo 13 del Decreto Legislativo numero 471 del 1997. In questi casi non è previsto alcun cumulo giuridico, ma una sanzione per ciascun mancato pagamento.

Secondo quanto affermato a suo tempo dalla Corte di Cassazione nella decisione appena citata, nel caso di omesso versamento dell’imposta non si applicherebbe l’articolo 12, commi 2, del Decreto Legislativo numero 472 del 1997. Questo articolo prescrive che chi commette più violazioni, anche in tempi diversi, che pregiudicano o tendono a pregiudicare la determinazione dell’imponibile o la liquidazione periodica del tributo, è punito con la sanzione che dovrebbe essere inflitta per la violazione più grave, aumentata da un quarto al doppio.

Invece, sosteneva sempre la Suprema Corte nel 2021, in tali casi trova applicazione l’articolo 13 del Decreto Legislativo numero 471 del 1997, che al comma 1 stabilisce che chi non esegue, in tutto o in parte, entro le prescritte scadenze, i versamenti in acconto, i versamenti periodici, il versamento di conguaglio o a saldo dell’imposta risultante dalla dichiarazione, è soggetto a una sanzione amministrativa pari al trenta per cento di ogni importo non versato. Questa sanzione è ridotta alla metà per i versamenti effettuati con un ritardo non superiore a novanta giorni. Inoltre, per i versamenti effettuati con un ritardo non superiore a quindici giorni, la sanzione è ulteriormente ridotta a un importo pari a un quindicesimo per ciascun giorno di ritardo.

Va dato nota in particolare di come gli stessi Ermellini solo tre anni orsono rilevassero che l’articolo 12 citato trova applicazione solo nei casi di violazione “che riguarda la determinazione dell’imponibile o la liquidazione”. Al contrario, nel caso di omesso pagamento, l’imposta è già liquidata, come dimostra il fatto che l’articolo 13 disciplina un diverso criterio di determinazione della sanzione valido per “ciascun omesso versamento di imposta”. Tale assunto renderebbe l’articolo 13 incompatibile con il cumulo giuridico previsto dall’articolo 12 del Decreto Legislativo numero 472.

Le conclusioni a cui la Suprema Corte giunge non sono affatto contraddittorie come da una lettura superficiale delle stesse potrebbe in primo luogo apparire.

L’oscillazione nelle conclusioni a cui a distanza di tre anni la Corte è giunta rispetto al giudizio oggetto del presente commento è evidente. Smentendo quanto assunto in passato infatti, 

Le conclusioni cui giungono i Giudici di Piazza Cavour con l’Ordinanza n. 7710 del 21.03.2024 non si pongono in contrasto con quanto in precedenza enunciato dagli stessi, i quali oggi evidenziano semmai, evidenziano come la continuità delle violazioni deve essere accertata dal giudice che si occupa per ultimo della questione. Questo è in linea con l’articolo 12, comma 5, del decreto legislativo numero 472/1997, il quale stabilisce: “Se più atti di irrogazione danno luogo a processi non riuniti o comunque introdotti avanti a giudici diversi, il giudice che prende cognizione dell’ultimo di essi ridetermina la sanzione complessiva tenendo conto delle violazioni risultanti dalle sentenze precedentemente emanate”.

Un contrasto in seno ai principi enunciati dalla Corte semmai può essere rilevato dal confronto con altri precedenti pronunciamenti. La Corte infatti, piuttosto recentemente si è soffermata sul  principio già consolidato in materia di Imposta Comunale sugli Immobili (ICI), estendibile anche all’Imposta Municipale Unica (IMU), secondo il quale “in caso di più violazioni per mancato o insufficiente pagamento dell’imposta relativa allo stesso immobile, derivanti da identici accertamenti per più annualità consecutive, si applica il regime della continuazione attenuata di cui all’articolo 12, comma 5, del decreto legislativo numero 472/1997, il quale consente di comminare una sanzione unica, pari alla sanzione base aumentata da un minimo della metà a un massimo del triplo” (si veda Cassazione sentenze numero 11432/2022; conferma Cassazione numero 22477/2022). Ma in tal occorre rilevare come eventuali dubbi in merito all’applicazione o meno del cumulo giuridico in materia di IMU debba essere relegato appunto agli atti per mezzo dei quali venga contestata la semplice violazione per mancato o insufficiente pagamento dell’imposta, mentre l’applicazione di tale principio appare assolutamente pacifico in tutti i casi in cui violazione riguarda la determinazione dell’imponibile ai fini IMU.

In particolare, in virtù dell’articolo 12, comma 5, quando le violazioni riguardano periodi d’imposta differenti, l’Ufficio durante la notifica dell’atto sanzionatorio deve ricostruire una serie progressiva unica, includendo le violazioni già considerate e contestate precedentemente, e deve considerare l’ammontare della sanzione già indicata nel primo atto notificato. 

Questo stesso principio come abbiamo appena visto è stato introdotto anche nell’ambito processuale dall’articolo 12, comma 5, il quale stabilisce che, in presenza di più procedimenti giudiziari non riuniti, anche presso giudici diversi, e sempre riguardo a una serie di violazioni che possono essere unificate, il giudice incaricato dell’ultimo atto sanzionatorio per una delle violazioni coinvolte può procedere, dopo aver esaminato tutte le sentenze emesse nei vari procedimenti non riuniti, a una ricostruzione unitaria dell’intera serie di violazioni, seguendo le disposizioni dell’articolo 12, e quindi ricalcolando la sanzione unica applicabile (come confermato dalla circolare del Ministero delle Finanze numero 138 E del 5 luglio 2000 e dalla circolare numero 180 del 1998).

Dalla suddetta disposizione emerge che in fase processuale, qualora l’Amministrazione non abbia applicato il cumulo come previsto dall’articolo sopra citato, spetta al giudice determinare l’ammontare dovuto dal contribuente. 

È evidente inoltre che l’assegnazione di tale potere-dovere, anche nelle situazioni in cui ci siano più procedimenti giudiziari in corso, presuppone il suo riconoscimento anche nei casi in cui i vari ricorsi siano stati uniti. 

Sarebbe infatti illogico ritenere che il giudice sia tenuto a quantificare la sanzione come previsto dall’articolo 12 in caso di procedimenti non uniti riguardanti una violazione che potrebbe essere unificata, ma non lo sia in caso di procedimento unico. In quest’ultimo caso, risulta più immediata l’individuazione della sanzione unica da applicare al contribuente (si veda Cassazione sentenza numero 2284/2023).

Dott. Francesco Foglia