Cass. civ., sez. V, ord., 21 settembre 2023 n. 26978
(Omissis)
Rilevato che
- Omissis impugnava gli avvisi di accertamento emessi dal Comune di Omissis in materia di Ici per gli anni 2000 e 2001 relativamente ad un terreno classificato come edificabile dallo strumento urbanistico, assumendo che il valore dello stesso era inferiore rispetto a quello accertato per la mancanza di strumenti attuativi e per la presenza di vincoli. La Commissione Tributaria Provinciale di Roma respingeva il ricorso con sentenza che era confermata dalla Commissione Tributaria Regionale del Lazio, sul rilievo che l’edificabilità dell’area, ai fini dell’applicabilità dei criteri di determinazione della base imponibile fondato sul valore venale, doveva essere desunta dalla qualificazione ad essa attribuita nel piano regolatore generale adottato dal Comune, indipendentemente dall’adozione di strumenti urbanistici attuativi, laddove eventuali vincoli che avessero compromesso una concreta edificabilità potevano incidere solo sulla determinazione del valore venale dell’area.
- Essendo stata cassata la detta sentenza, la causa veniva riassunta da Omissis dinanzi alla CTR Lazio, la quale accoglieva l’appello della contribuente, evidenziando che, risultando la potenziale edificabilità delle aree in oggetto assai scemata per essere le stesse destinate a servizi generali di interesse pubblico e per essere previsto il passaggio di due elettrodotti, sicché non potevano essere neppure adibite a coltivazione e pascolo, appariva congruo abbattere del 60% il valore della stima effettuata dall’Ufficio.
- Avverso la detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione Omissis sulla base di tre motivi. Il Omissis ha resistito con controricorso.
Considerato che
- Con il primo motivo la ricorrente deduce la nullità della sentenza per violazione degli artt. 132, primo comma, cod. proc. civ., 118 disp. att. cod. proc. civ. e 36, comma 2, n. 4, e 61 d.lgs. n. 546/1992, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4), cod. proc. civ., per aver la CTR reso, sul punto della riduzione del valore in mq. del terreno, una motivazione apparente.
- Con il secondo motivo la ricorrente lamenta l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5), cod. proc. civ., per non aver la CTR ritenuto, sulla base delle perizie di parte da essa prodotte, che il valore del terreno, a causa dei vincoli, fosse integralmente azzerato.
- Con il terzo motivo la ricorrente denuncia la violazione degli artt. 5, comma 5, d.lgs. n. 504/1992 e 2697 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., per aver la CTR assunto una decisione apodittica (abbattimento del 60%) senza operare alcuna valutazione specifica.
- E’ fondato il terzo motivo, in relazione al primo profilo relativo alla denunciata violazione dell’art. 2697, comma 1, cod. civ., atteso che la rideterminazione del valore delle aree nel 40% di quello stimato dal Comune negli atti impositivi, senza l’indicazione, da parte dell’impugnata pronuncia,di alcun concreto parametro di riferimento, si pone sostanzialmente in termini di esonero dell’amministrazione dall’onere, su di essa incombente, di provare, nel rispetto dei parametri tassativi di cui all’art. 5, comma 5, del d. lgs. n. 504/1992 (tra le molte Cass., sez. 5, 27 febbraio 2015, n. 4093; Cass., sez. 5, 11 maggio 2012, n. 7297), le effettive potenzialità edificatorie delle aree in oggetto, valutata l’incidenza dei vincoli ad esse afferenti, solo genericamente richiamati nella decisione impugnata, laddove la CTR, attesa la natura d’impugnazione— merito del processo tributario, avrebbe dovuto invece formulare un proprio giudizio estimatorio sulla base degli elementi provati e comunque incontroversi (cfr. Cass., sez. 5, 23 dicembre 2000, n. 16171; conf. Cass., Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 21695 del 19/09/2017).
E’ opportuno, infine, evidenziare che la odierna ricorrente non ha invocato Corte di Cassazione – copia non ufficiale solo l’azzeramento del valore venale del cespite, richiesta che si porrebbe in irrimediabile contrasto con la pronuncia di rinvio n. 26456 emessa da questa Corte in data 8 novembre 2017 (secondo cui “Costituisce principio consolidato nella giurisprudenza della Corte di legittimità quello secondo cui, in tema di imposta comunale sugli immobili, la nozione di area edificabile di cui all’art. 2, comma 1, lett. b), del d.lgs. n. 504 del 1992 non può essere esclusa dalla ricorrenza di vincoli o destinazioni urbanistiche che condizionino, in concreto, l’edificabilità del suolo, giacché tali limiti, incidendo sulle facoltà dominicali, connesse alla possibilità di trasformazione urbanistico-edilizia del suolo, ne presuppongono la vocazione edificatoria.”), ma ha altresì richiesto una maggiore (rispetto alla percentuale del 60% già accordata dalla CTR) riduzione del valore al mq. dello stesso.
In questi condivisi termini si è espressa Cass. 8/11/2017, n. 26456, secondo cui: <<Costituisce principio consolidato nella giurisprudenza della Corte di legittimità quello secondo cui, in tema di imposta comunale sugli immobili, la nozione di area edificabile di cui all’art. 2, comma 1, lett. b), del d.lgs. n. 504 del 1992 non può essere esclusa dalla ricorrenza di vincoli o destinazioni urbanistiche che condizionino, in concreto, l’edificabilità del suolo, giacché tali limiti, incidendo sulle facoltà dominicali, connesse alla possibilità di trasformazione urbanistico-edilizia del suolo, ne presuppongono la vocazione edificatoria. Tuttavia, la presenza di tali vincoli, pur non sottraendo le aree su cui insistono al regime fiscale proprio dei suoli edificabili, può incidere sulla concreta valutazione del relativo valore venale e, conseguentemente, sulla base imponibile>> (ex multis, Cass n. 11853 del 12/05/2017).
La CTR ha omesso di considerare se sussistessero i vincoli e le limitazioni all’edificabilità esposti dalla ricorrente e dettagliatamente descritti nella perizia depositata (di cui ha riprodotto nel ricorso il contenuto essenziale assolvendo, così, l’onere dell’autosufficienza), affermando implicitamente la congruità del valore venale accertato dall’Ufficio sulla base del valore del fondo edificato con sottrazione del costo dell’edificazione. Ciò facendo è Corte di Cassazione – copia non ufficiale incorsa in errore di diritto per non aver fatto corretta applicazione dell’art. 5, comma 5, del d.Ivo. n. 504/92 che impone di tenere conto, nella valutazione del valore venale, della destinazione d’uso consentita e degli oneri connessi all’edificazione concreta. La CTR è incorsa, poi, in vizio di motivazione per non aver dato conto delle ragioni addotte dalla contribuente a sostegno del proprio assunto.
- Il ricorso va dunque accolto in relazione al terzo motivo nei termini sopra indicati, con conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinvio per nuovo esame alla CTR del Lazio in diversa composizione, che provvederà anche in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità, attenendosi al seguente principio di diritto: <<Il processo tributario non è annoverabile tra quelli di impugnazione-annullamento bensì tra quelli di impugnazione di merito; sicché, il giudice tributario, nel rideterminare il valore di aree edificabili ai fini ICI, rispetto alla stima fattane negli atti impositivi impugnati, deve procedere ad un proprio giudizio estimatorio, sulla base degli elementi provati e comunque non controversi, indicando, in base ai parametri normativi di riferimento, le effettive potenzialità edificatorie delle aree in oggetto e valutando le incidenze dei vincoli alle stesse afferenti, comportando, altrimenti, la sua decisione, un sostanziale esonero dell’Amministrazione dall’onere probatorio su di essa incombente. Ai fini della determinazione del valore imponibile, il giudice di merito, investito della questione, non può esimersi dal verificare che la misura del valore venale in comune commercio, attribuito ad un’area fabbricabile, sia ricavata in base ai parametri vincolanti tassativamente previsti dall’art. 5, comma 5, del d.lgs. n. 504 del 1992, che, per le aree fabbricabili, devono avere riguardo alla zona territoriale di ubicazione, all’indice di edificabilità, alla destinazione d’uso consentita, agli oneri per eventuali lavori di adattamento del terreno necessari per la costruzione, ai prezzi medi rilevati sul mercato della vendita di aree aventi analoghe caratteristiche, tenuto conto dell’anno di imposizione.>>.
P.Q.M.
Corte di Cassazione – copia non ufficiale accoglie il terzo motivo del ricorso, dichiara assorbiti i restanti, cassa la sentenza impugnata con riferimento al motivo accolto e rinvia la causa, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio in differente composizione.
(Omissis)
COMMENTO: L’ordinanza della Corte di Cassazione n. 26978 del 21/09/2023 pone l’accento su di una questione che negli anni ha generato numerosi contenziosi tra comuni e proprietari di terreni edificabili; ovvero se il giudice tributario, nel rideterminare il valore di aree edificabili ai fini ICI rispetto alla stima fattane negli atti impositivi impugnati, debba o meno procedere ad un proprio giudizio estimatorio. E’ questione dibattuta da tempo infatti se nel rideterminare il valore di aree edificabili ai fini ICI, (ma come vedremo successivamente il ragionamento è perfettamente replicabile in tema di IMU) debba procedere ad un proprio giudizio estimatorio rispetto alla stima operata negli atti impositivi impugnati.
Con la decisione in commento infatti la suprema Corte ha enunciato il principio di diritto secondo cui “Il processo tributario non è annoverabile tra quelli di impugnazione-annullamento bensì tra quelli di impugnazione-merito”. Di conseguenza spetta al giudice tributario l’onere di procedere in tali casi ad un proprio giudizio estimatorio. Giudizio che deve essere desunto sulla base di elementi provati e comunque non controversi, indicando, in base ai parametri normativi di riferimento, le effettive potenzialità edificatorie delle aree oggetto di contenzioso.
A giudizio degli Ermellini è a questo principio di diritto che le Corti di giustizia tributaria devono attenersi nella determinazione del valore di un terreno edificabile. I Giudici di piazza Cavour ritengono infatti che ai fini della determinazione del valore imponibile, il giudice di merito, investito della questione, non possa esimersi dal verificare che la misura del valore venale in comune commercio, attribuito ad un’area fabbricabile, sia ricavata in base ai parametri vincolanti tassativamente previsti dall’art. 5, comma 5, del Decreto Legislativo 30 dicembre 1992, n. 504.
Andando ad analizzare il caso in esame, una contribuente impugnava gli avvisi di accertamento emessi da un comune in materia di ICI per gli anni 2000 e 2001, relativamente ad un terreno classificato come edificabile dallo strumento urbanistico, assumendo che il valore dello stesso era inferiore rispetto a quello accertato per la mancanza di strumenti attuativi e per la presenza di vincoli.
La commissione tributaria di primo grado respingeva il ricorso con sentenza che veniva confermata anche in sede di appello, posto che l’edificabilità dell’area, ai fini dell’applicabilità dei criteri di determinazione della base imponibile fondato sul valore venale, doveva essere desunta dalla qualificazione ad essa attribuita nel piano regolatore generale adottato dal comune, indipendentemente dall’adozione di strumenti urbanistici attuativi, laddove eventuali vincoli che avessero compromesso una concreta edificabilità potevano incidere solo sulla determinazione del valore venale dell’area.
Essendo stata cassata detta sentenza, la causa veniva riassunta dinanzi alla CTR Lazio, la quale accoglieva l’appello della contribuente, evidenziando che, risultando la potenziale edificabilità delle aree in oggetto assai scemata per essere le stesse destinate a servizi generali di interesse pubblico e per essere previsto il passaggio di due elettrodotti, sicché non potevano essere neppure adibite a coltivazione e pascolo, “appariva congruo abbattere del 60 per cento il valore della stima effettuata dall’Ufficio”.
Avverso la sentenza in questione veniva proposto dalla contribuente ricorso per cassazione, sulla base dei tre motivi di seguito esposti:
- con il primo motivo la ricorrente deduceva la nullità della sentenza, per aver la CTR reso, sul punto della riduzione del valore in mq. del terreno, una motivazione apparente;
- con il secondo motivo la ricorrente lamentava l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, ovvero, per non aver la CTR ritenuto, sulla base delle perizie di parte da essa prodotte, che il valore del terreno, a causa dei vincoli, fosse integralmente azzerato;
- con il terzo motivo la ricorrente contestava la sentenza, denunciando la violazione degli artt. 5, comma 5, d.lgs. n. 504/1992 e 2697 cod. civ., in relazione all’art. 360, comma primo n. 3), cod. proc. civ., per aver la CTR assunto una decisione apodittica (ovvero l’abbattimento del 60 per cento del valore del terreno) senza operare alcuna valutazione specifica.
Ebbene la Cassazione accoglie il motivo di ricorso relativo alla denunciata violazione dell’art. 2697, comma 1, cod. civ., atteso che “la rideterminazione del valore delle aree nel 40% di quello stimato dal Comune negli atti impositivi, senza l’indicazione, da parte dell’impugnata pronuncia, di alcun concreto parametro di riferimento, si pone sostanzialmente in termini di esonero dell’amministrazione dall’onere, su di essa incombente, di provare, nel rispetto dei parametri tassativi di cui all’art. 5, comma 5, del d. lgs. n. 504/1992 (tra le molte Cass. n. 4093/2015 e n. 7297/2012), le effettive potenzialità edificatorie delle aree in oggetto, valutata l’incidenza dei vincoli ad esse afferenti, solo genericamente richiamati nella decisione impugnata, laddove la CTR, attesa la natura d’impugnazione-merito del processo tributario, avrebbe dovuto invece formulare un proprio giudizio estimatorio sulla base degli elementi provati e comunque incontroversi” (cfr. Cass. n. 16171/2000 e n. 21695/2017).
La Cassazione evidenzia poi come la presenza di vincoli che condizioni in concreto l’edificabilità dei suoli non sottrae le aree su cui insistono al regime fiscale proprio dei suoli edificabili ma può al più incidere sulla concreta valutazione del relativo valore venale e, conseguentemente, sulla base imponibile.
In questi termini si era del resto già espressa la stessa Corte Suprema con la Sent. Cass. 8/11/2017, n. 26456, secondo cui “Costituisce principio consolidato nella giurisprudenza della Corte di legittimità quello secondo cui, in tema di imposta comunale sugli immobili, la nozione di area edificabile di cui all’art. 2, comma 1, lett. b), del D.Lgs. n. 504 del 1992 non può essere esclusa dalla ricorrenza di vincoli o destinazioni urbanistiche che condizionino, in concreto, l’edificabilità del suolo, giacché tali limiti, incidendo sulle facoltà dominicali, connesse alla possibilità di trasformazione urbanistico-edilizia del suolo, ne presuppongono la vocazione edificatoria. Tuttavia, la presenza di tali vincoli, pur non sottraendo le aree su cui insistono al regime fiscale proprio dei suoli edificabili, può incidere sulla concreta valutazione del relativo valore venale e, conseguentemente, sulla base imponibile.” (ex multis, Cass. n. 11853/2017).
Sul punto gli Ermellini osservano infatti che: “la CTR ha omesso di considerare se sussistessero i vincoli e le limitazioni all’edificabilità esposti dalla ricorrente e dettagliatamente descritti nella perizia depositata, affermando implicitamente la congruità del valore venale accertato dall’Ufficio sulla base del valore del fondo edificato con sottrazione del costo dell’edificazione. Ciò facendo è incorsa in errore di diritto per non aver fatto corretta applicazione dell’art. 5, comma 5, del d.Lgs. n. 504/92 che impone di tenere conto, nella valutazione del valore venale, della destinazione d’uso consentita e degli oneri connessi all’edificazione concreta. La CTR è incorsa, poi, in vizio di motivazione per non aver dato conto delle ragioni addotte dalla contribuente a sostegno del proprio assunto.”
Il ricorso viene dunque accolto in relazione al terzo motivo nei termini sopra indicati, con conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinvio per nuovo esame alla CTR del Lazio in diversa composizione, attenendosi al seguente principio di diritto: “Il processo tributario non è annoverabile tra quelli di impugnazione-annullamento bensì tra quelli di impugnazione-merito; sicché, il giudice tributario, nel rideterminare il valore di aree edificabili ai fini ICI, rispetto alla stima fattane negli atti impositivi impugnati, deve procedere ad un proprio giudizio estimatorio, sulla base degli elementi provati e comunque non controversi, indicando, in base ai parametri normativi di riferimento, le effettive potenzialità edificatorie delle aree in oggetto e valutando le incidenze dei vincoli alle stesse afferenti, comportando, altrimenti, la sua decisione, un sostanziale esonero dell’Amministrazione dall’onere probatorio su di essa incombente”.
E ancora: “Ai fini della determinazione del valore imponibile, il giudice di merito, investito della questione, non può esimersi dal verificare che la misura del valore venale in comune commercio, attribuito ad un’area fabbricabile, sia ricavata in base ai parametri vincolanti tassativamente previsti dall’art. 5, comma 5, del D.Lgs. n. 504 del 1992, che, per le aree fabbricabili, devono avere riguardo alla zona territoriale di ubicazione, all’indice di edificabilità, alla destinazione d’uso consentita, agli oneri per eventuali lavori di adattamento del terreno necessari per la costruzione, ai prezzi medi rilevati sul mercato della vendita di aree aventi analoghe caratteristiche, tenuto conto dell’anno di imposizione”.
La sentenza in commento sembra porre fine ad un lungo dibattito sul ruolo della giustizia tributaria. Dibattito incentrato sulla questione affrontata appunto dalla Suprema Corte con la sentenza in oggetto, ovvero se il giudice tributario si debba limitare a decidere sulle richieste contenute nel ricorso introduttivo del giudizio e, nel caso, procedere al mero annullamento dell’atto impositivo impugnato, oppure se al contrario sia tenuto a sostituirsi all’Ente impositore dovendo provvedere alla rettifica della pretesa impositiva originariamente richiesta dall’Ente stesso.
La Corte di Cassazione, con un orientamento che ormai può ritenersi consolidato, ha più volte affermato e in questa occasione ribadito, che il processo tributario non è annoverabile tra quelli di impugnazione-annullamento, bensì è annoverabile tra quelli di “impugnazione-merito”, in quanto consente al contribuente, con l’azione di impugnazione dell’atto impositivo viziato, di devolvere alla cognizione del giudice l’intero rapporto tributario.
Ricordiamo come per anni infatti si sia discusso se gli atti dell’amministrazione finanziaria dovessero essere considerati come atti aventi “efficacia dichiarativa” di obbligazioni già sorte e quindi, in questa prospettiva, il processo tributario andrebbe ad essere qualificato come un processo di “impugnazione-merito”, o al contrario se gli atti impositivi andassero considerati come atti aventi “efficacia costitutiva dell’obbligazione tributaria”, e quindi il processo tributario sarebbe riconducibile al paradigma del processo di “impugnazione-annullamento”. In tale seconda ipotesi, il processo tributario si tradurrebbe in un procedimento volto alla contestazione da parte del contribuente dei vizi di regolarità degli atti emanati dall’ente impositore e che sfocerebbe unicamente in una pronuncia volta non all’accertamento nel merito della pretesa tributaria, bensì esclusivamente alla sussistenza o meno dei vizi denunciati in sede di impugnazione dell’atto.
Non si può far a meno di evidenziare come in effetti accada piuttosto di frequente che il giudice tributario in simili casi, si limiti a constatare l’esistenza o meno del vizio lamentato dal contribuente in sede di impugnazione dell’atto e, conseguentemente ad emettere una sentenza che si traduce nel mero annullamento dell’atto viziato o nel rigetto delle istanze avanzate dalla parte ricorrente, senza entrare più approfonditamente nel merito e quindi senza addivenire alla riquantificazione della pretesa impositiva a carico del contribuente.
Su tale questione, è possibile affermare che la pronuncia della Corte di Cassazione in commento, laddove afferma che “il giudice tributario, chiamato a rideterminare il valore delle aree edificabili ai fini dell’imposta comunale sugli immobili (ICI), sempre nei limiti tracciati dai P.R.G., non possa esimersi da un proprio “giudizio estimatorio” rispetto alla stima fattene negli atti impositivi impugnati”, sembra porre definitivamente la parola fine alla discussione in parola.
Da tale assunto possiamo ricavare quale conclusione che il processo tributario non deve garantire soltanto una tutela sostitutiva nei confronti degli atti emessi dall’ente impositore, ma deve rappresentare anche lo strumento atto a far valere situazioni giuridiche diverse dal mero diritto all’annullamento dell’atto. Strumento che consente al giudice, avvalendosi del potere di indagine che l’ordinamento gli riconosce sul rapporto tributario, di procedere all’esame della pretesa impositiva, nonché ad operare qualora ne ricorrano i presupposti, una rideterminazione dell’imposta, ovviamente sempre entro i limiti dei vizi rilevati dalla parte ricorrente.
Va rilevato infine come la sentenza in oggetto seppur emanata in tema di ICI appare di strettissima attualità anche per quanto riguarda la disciplina della vigente IMU. Nel caso di specie infatti il giudice di merito avrebbe dovuto rideterminare il valore venale in comune commercio delle aree edificabili in contestazione, verificando che l’ente comunale avesse correttamente ricavato tali valori in base ai parametri vincolanti tassativamente previsti dall’articolo 5, comma 5, D.Lgs. 504/1992, avuto riguardo, per le aree fabbricabili:
- alla zona territoriale di ubicazione;
- all’indice di edificabilità;
- alla destinazione d’uso consentita;
- agli oneri per eventuali lavori di adattamento del terreno necessari per la costruzione;
- ai prezzi medi rilevati sul mercato della vendita di aree aventi analoghe caratteristiche.
Parametri questi che come noto sono stati posti dal legislatore senza modifica alcuna, quale base anche per la determinazione del valore delle aree edificabili sia in regime di IMU fino all’anno 2019 che dall’art. 1 comma 746 della Legge n. 160/2019 istitutiva della c.d “Nuova IMU” a far data dal 2020 in poi.
Dott. Francesco Foglia