Cass. Pen., sez. III, 20.11.2022, n. 39766


LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: 

Dott. RAMACCI Luca -Presidente-

Dott. DI NICOLA  Vito -Consigliere-

Dott. ACETO Aldo -Consigliere- Dott. LIBERATI Giovanni            -rel.Consigliere-

Dott. PAZIENZA Vittorio              -Consigliere-  

ha pronunciato la seguente:

                                                     SENTENZA

sul ricorso proposto da:

  B.T., nato a (Omissis);

avverso la sentenza del 23/6/2020 della Corte d’appello di Firenze; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Giovanni Liberati; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. SECCIA Domenico, che ha concluso chiedendo di dichiarare l’inammissibilità del ricorso;

uditi per il ricorrente l’avv. C. B., e l’avv. F. B., che hanno concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

  1. Con sentenza del 23 giugno 2020 la Corte d’appello di Firenze ha parzialmente riformato, riconoscendo a B.T. il beneficio della sospensione condizionale della pena, la sentenza del 5 novembre 2018 del Tribunale di Firenze, con la quale, tra l’altro e per quanto ora rileva in relazione alla impugnazione proposta, il suddetto B.T. era stato condannato alla pena di un anno e sei mesi di reclusione in relazione al reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 4, di cui al capo comma 3) della rubrica, limitatamente all’evasione Irpef (contestatogli per avere, al fine di evadere le imposte sui redditi, omesso di indicare nella dichiarazione Irpef 2011, relativa ai redditi conseguiti nell’anno 2010, elementi attivi soggetti a imposta per Euro 1.462.066,60, determinando una evasione Irpef di Euro 617.758,04 ed essendo l’ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all’imposizione superiore al 10% dell’ammontare complessivo degli elementi attivi indicati nella dichiarazione, pari a Euro 29,00, e l’imposta evasa superiore a Euro 150.000,00).
  2. Avverso tale sentenza l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, affidato a un unico articolato motivo, mediante il quale ha lamentato la violazione e l’errata applicazione del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 4, e art. 125 c.p.p., comma 3, e un vizio della motivazione, in quanto il Tribunale di Firenze, a fronte della contestazione di aver omesso di indicare nella dichiarazione Irpef relativa all’anno 2010 elementi attivi per Euro 1.462.066,60, con una evasione Iperf di Euro 617.758,04 e Iva per Euro 292.413,32, aveva modificato il fatto senza modificare la contestazione, ritenendo l’imputato responsabile di aver omesso di indicare nella suddetta dichiarazione d’imposta relativa all’anno 2010 elementi attivi soggetti a imposizione per Euro 420.547,60, senza neppure individuare l’imposta evasa; inoltre non era stato considerato, come sottolineato con l’atto d’appello, che la somma di Euro 147.232,00, considerata componente attiva di reddito, era stata utilizzata per rimborsare finanziamenti soci e quindi non poteva essere assoggettata a tassazione; qualora tale somma fosse stata considerata come dividendo distribuito ai soci la stessa avrebbe poi dovuto concorrere alla formazione del reddito imponibile per la sola percentuale del 49,72%, ai sensi dell’art. 49 T.U.I.R. e del D.M. 2 aprile 2008, art. 1, che prevedono una doppia imposizione limitata; tali rilievi erano stati disattesi dalla Corte d’appello sulla base della considerazione che i versamenti dal conto della X S.r.l. a favore di B.T. per il complessivo importo di Euro 147.232,00 non potevano considerarsi rimborsi di finanziamenti soci o distribuzione occulta di dividendi, senza indicare l’ammontare dell’imposta evasa, come richiesto per la configurabilità del delitto di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 4.

A proposito della qualificabilità come rimborsi di precedenti finanziamenti soci della somma di Euro 147.232,00 versata dalla X S.r.l. al B., ha evidenziato che dagli atti risultavano una serie di versamenti in contanti per complessivi 191.390,00 Euro eseguiti dal ricorrente a favore della X S.r.l. dal 2008 al 2010 e che i versamenti compiuti dalla società erano stati eseguiti a favore del B., che all’epoca deteneva il 98% delle quote sociali e ne era amministratore unico, cosicché la somma di Euro 147.232,00 doveva essere considerata rimborso di prestiti che lo stesso ricorrente aveva effettuato tra il 2008 e il 2010 a favore della società e quindi dovevano essere sottratti dalla somma di 420,547,60 indicata come attivo soggetto a imposizione e non dichiarato, così riducendo l’ammontare dei presunti maggiori redditi non dichiarati per l’anno 2010 a Euro 273.315,60.

Ha lamentato anche la mancata qualificazione della medesima somma di Euro 147.232,00 come dividendi occulti distribuiti ai soci, da sottoporre a tassazione solamente per la percentuale del 49,72%, pari a Euro 73.203,75, con la conseguente riduzione a 346.519,35 Euro dei maggiori redditi non dichiarati per l’anno 2010, con una evasione di imposta pari a Euro 142.173,49, inferiore alla soglia di rilevanza penale di Euro 150.000,00.

CONSIDERATO IN DIRITTO

  1. Il ricorso è inammissibile
  2. Con l’unico articolato motivo di ricorso, tra l’altro integralmente riproduttivo del primo motivo d’appello, adeguatamente considerato e motivatamente disatteso dalla Corte d’appello di Firenze, il ricorrente si duole della mancata indicazione nella sentenza impugnata dell’ammontare dell’imposta evasa, nonché della mancata considerazione della somma di Euro 147.232,00 come restituzione di finanziamenti soci (come tale non qualificabile come reddito e non soggetta a tassazione, con la conseguente riduzione degli elementi attivi non dichiarati a Euro 273.315,60), ovvero della qualificazione della medesima somma come distribuzione occulta di dividendi (da assoggettare a tassazione solamente nella misura del 49,72%, con la riduzione degli elementi attivi non dichiarati a Euro 346.519,35).

Si tratta di doglianze che, oltre che, come accennato, riproduttive del primo motivo d’appello, sono volte a sindacare un accertamento di fatto dei giudici di merito, in ordine alla mancata dimostrazione sia della esecuzione di finanziamenti da parte del B. alla X S.r.l. sia della qualificabilità delle somme versate da tale società allo stesso B. come rimborsi di tali finanziamenti, e anche della qualificabilità delle medesime somme come dividendi occultamente distribuiti ai soci, e cioè al B., accertamenti che la Corte d’appello, nel disattendere il suddetto motivo d’impugnazione, ha giustificato adeguatamente e in modo non manifestamente illogico, e dunque non sono censurabili sul piano delle valutazioni di merito in questa sede di legittimità, nella quale è esclusa la possibilità di una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa lettura, sia pure anch’essa logica, dei dati processuali, o una diversa ricostruzione storica dei fatti, o un diverso giudizio di rilevanza, o comunque di attendibilità delle fonti di prova (Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, Rovinelli, Rv. 276970; Sez. 2, n. 7667 del 29/01/2015, Cammarota, Rv. 262575; Sez. 3, n. 12226 del 22/01/2015, G.F.S., non massimata; Sez. 3, n. 40350, del 05/06/2014, c.c. in proc. M.M., non massimata; Sez. 3, n. 13976 del 12/02/2014, P.G., non massimata; Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, Minervini, Rv. 253099; Sez. 2, n. 7380 del 11/01/2007, Messina ed altro, Rv. 235716).

  1. La Corte d’appello di Firenze ha, infatti, evidenziato la mancanza di elementi certi sia in ordine alla esecuzione di finanziamenti da parte del B. alla X S.r.l., sia alla qualificabilità delle somme da questa corrisposte dallo stesso B. come restituzione di tali asseriti finanziamenti, sia riguardo alla qualificabilità delle medesime somme come dividendi (sia     pure occulti), sottolineando la mancanza della contabilità di detta società, mancanza che  non consente di qualificare i movimenti di denaro tra il B. e la società dallo stesso amministrata e di cui deteneva il 98% delle quote nel senso da questi prospettato, evidenziando i numerosi passaggi di denaro tra il B. e la società, che, in assenza di elementi contabili circa la situazione finanziaria della società e la prova del perfezionamento di negozi di finanziamento soci, non potevano essere qualificati come finanziamenti soci e rimborsi di detti finanziamenti.

Analogamente, per quanto riguarda la qualificabilità delle somme versate al B. dalla società e qualificati come utili occulti distribuiti al socio, la Corte territoriale ha sottolineato la mancanza dei bilanci di tale società, e, quindi, l’impossibilità di accertare l’esistenza di utili e l’eventuale qualificabilità delle somme corrisposte dalla società al suo socio di maggioranza come dividendi (sia pure occulti).

  1. Si tratta di rilievi che attengono alla valutazione delle prove e che non sono manifestamente illogici, ma, anzi, costituiscono corretta applicazione sia del principio secondo cui la distribuzione degli utili sociali deve essere preceduta, oltre che dalla esistenza di ricavi, da una delibera di approvazione del bilancio che ne attesti l’esistenza e che contempli anche la loro distribuzione ai soci (potendone anche essere deliberata l’attribuzione a riserve facoltative); sia di quello secondo cui anche i finanziamenti dei soci, che costituiscono passività della società, devono essere provati e iscritti nel bilancio, posto che non tutti i versamenti fatti da un socio in favore della società possono essere qualificati come finanziamenti soci, potendo trattarsi di Al riguardo è stato chiarito che l’erogazione di somme che, a vario titolo, i soci effettuano alle società da loro partecipate, può avvenire a titolo di mutuo oppure di apporto del socio al patrimonio della società. La qualificazione, nell’uno o nell’altro senso, dipende dall’esame della volontà negoziale delle parti, e la relativa prova, di cui è onerato il socio attore in restituzione, deve trarsi dal modo in cui il rapporto è stato attuato in concreto, dalle finalità pratiche cui esso appare essere diretto e dagli interessi che vi sono sottesi, dovendosi, inoltre, avere riguardo, in mancanza di una chiara manifestazione di volontà, alla qualificazione che i versamenti hanno ricevuto nel bilancio, da reputarsi determinante per stabilire se si tratti di finanziamento o di conferimento, in considerazione della soggezione del bilancio all’approvazione dei soci (così Cass. civ., Sez. 1, Sentenza n. 7471 del 23/03/2017, Rv. 644825; nel medesimo senso v. anche Cass. Civ., Sez. 1, Sentenza n. 24861 del 09/12/2015, Rv. 637899).
  2. Il ricorrente, con l’unico motivo di ricorso, propone, peraltro in modo generico, una rivisitazione e rivalutazione degli elementi di prova, che, però, sono stati valutati in modo logico, oltre che concorde, dai giudici di merito, e il ricorrente prospetta una diversa considerazione dei medesimi elementi, senza tener conto di quanto evidenziato nella sentenza impugnata (a proposito della mancanza di elementi univoci per poter considerare i versamenti di denaro a favore del B. come rimborsi di finanziamenti o distribuzione di utili), oltre che delle regole che disciplinano i rapporti tra il socio e la società, sia quanto ai versamenti dal primo alla seconda, sia quanto alla distribuzione degli utili. 

Ne consegue, in definitiva, la manifesta infondatezza dei rilievi sollevati dal ricorrente a proposito del rigetto delle censure dallo stesso fatte valere con il primo motivo d’appello.

  1. Quanto alla mancata indicazione nella sentenza impugnata dell’ammontare dell’imposta evasa, il ricorrente non ha comunque contestato che la stessa sia superiore alla soglia di rilevanza penale stabilita dal D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 4, come peraltro risulta dagli stessi   conteggi esposti nel ricorso (oltre che indicato nella sentenza di primo grado a pag. 12), da cui si ricava il mancato superamento di detta soglia solo attraverso la diversa considerazione della somma di Euro 147.232,00 infondatamente proposta dal ricorrente, né ha sollevato doglianze di sorta in ordine all’ammontare della confisca, se non per la prima volta nel corso della discussione in udienza, cosicché il rilievo relativo alla mancata indicazione dell’imposta evasa risulta privo di pertinenza rispetto alle doglianze fatte valere dal ricorrente (oltre che manifestamente infondato alla luce di quanto esposto sul punto nella sentenza di primo grado).
  2. Il ricorso deve, dunque, essere dichiarato inammissibile, stante il contenuto non consentito e la manifesta infondatezza delle doglianze con lo stesso fatte valere. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 c.p.p., l’onere delle spese del procedimento, nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle            Ammende, che si determina equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di Euro 3.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, il 12 ottobre 2022.

Depositato in Cancelleria il 20 ottobre 2022


COMMENTO: In merito al reato di dichiarazione infedele, reato previsto e punito dall’art. 4 del D.Lgs. 74 del 2000, è degna di nota la recente sentenza dei Giudici della Corte di Cassazione. Nella sentenza datata 20 Ottobre n. 39776, infatti, la Suprema Corte analizza la rilevanza penale di una questione di interesse giuridico relativamente alle somme che i componenti di una società ricevono qualora non vi sia alcuna prova sulla natura di tali somme. 

La questione nasce da un caso in cui era stato contestato il reato di dichiarazione infedele all’imputato per le numerose erogazioni di denaro ricevute dalla società che amministrava e di cui deteneva il 98%. 

La Corte di Appello di Firenze infatti aveva ritenuto che, in assenza di elementi contabili circa la situazione finanziaria della società e la prova del perfezionamento di negozi di finanziamento soci, non potevano essere qualificati come finanziamenti soci e rimborsi di detti finanziamenti. In egual misura i giudici di seconde cure, pronunciandosi in merito alla qualificabilità delle somme di denaro versate all’imputato dalla società, presentate come utili occulti distribuiti al socio, hanno ribadito che la mancanza dei bilanci di tale società comporta l’impossibilità di accertare l’esistenza di utili e l’eventuale qualificabilità delle somme corrisposte dalla società al suo socio di maggioranza come dividendi (sia pure occulti).

Una volta presentato il ricorso alla Suprema Corte, i giudici di legittimità hanno delineato in maniera puntuale i requisiti necessari per poter escludere l’integrazione della fattispecie di cui all’art. 4 nel caso in cui si verifichino trasferimenti di somme di denaro tra una società e un suo socio, individuando 3 nuclei fondamentali.

In prima battuta la distribuzione degli utili sociali deve essere preceduta, oltre che dalla esistenza di ricavi, da una delibera di approvazione del bilancio che ne attesti l’esistenza e che contempli anche la loro distribuzione ai soci (potendone anche essere deliberata l’attribuzione a riserve facoltative); inoltre… anche i finanziamenti dei soci, che costituiscono passività della società, devono essere provati e iscritti nel bilancio, posto che non tutti i versamenti fatti da un socio in favore della società possono essere qualificati come finanziamenti soci, potendo trattarsi di versamenti in conto capitale o di restituzione di debiti del socio nei confronti della società;infine… la qualificazione nell’uno o nell’altro senso, dipende dall’esame della volontà negoziale delle parti, e la relativa prova, di cui è onerato il socio attore in restituzione, deve trarsi dal modo in cui il rapporto è stato attuato in concreto, dalle finalità pratiche cui esso appare essere diretto e dagli interessi che vi sono sottesi, dovendosi, inoltre avere riguardo, in mancanza di una chiara manifestazione di volontà, alla qualificazione che i versamenti hanno ricevuto nel bilancio, da reputarsi determinante per stabilire se si tratti di finanziamento o di conferimento, in considerazione della soggezione del bilancio all’approvazione dei soci (così Cass. Civ., Sez. 1, Sentenza n. 7471 dek 23/03/2017, Rv. 644825, nel medesimo senso v. anche Cass. Civ., Sez. 1, Sentenza n. 24861 del 09/12/2015, Rv. 637899).  

Francesco Paolo Ledda

Avvocato Pisa