Cass. Pen., sez. III, 02.05.2022, n. 16973


LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE 

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: 

Dott. ANDREAZZA Gastone – Presidente –

Dott. GALTIERO Donatella   – Consigliere – 

Dott. CORBETTA Stefano     – Consigliere – 

Dott. MENGONI Enrico – rel. Consigliere – 

Dott. ZUNICA   Fabio – Consigliere – 

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

T.D., nato a (OMISSIS);

avverso la sentenza del 23/3/2021 della Corte di appello di Roma; 

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; 

sentita la relazione svolta dal consigliere Enrico Mengoni;

lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.ssa DI NARDO Marilia, che ha chiesto dichiarare inammissibile il ricorso; 

lette le conclusioni del difensore del ricorrente, Avv. Giovanni Francesco Boffa, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

Con sentenza del 23/3/2021, la Corte di appello di Roma confermava la pronuncia emessa il 13/7/2020 dal locale Tribunale, con la quale T.D. era stato giudicato colpevole dei delitti di cui al D.Lgs. n.74 del 10 marzo 2000, artt. 5 e 10, e condannato alla pena di due anni di reclusione.

  1. Con sentenza del 23/3/2021, la Corte di appello di Roma confermava la pronuncia emessa il 13/7/2020 dal locale Tribunale, con la quale T.D. era stato giudicato colpevole dei delitti di cui al D.Lgs. n.74 del 10 marzo 2000, artt. 5 e 10, e condannato alla pena di due anni di reclusione.
  2. Propone ricorso per Cassazione l’imputato, a mezzo del proprio difensore, chiedendo l’annullamento della decisione. Premesso che la confisca per equivalente non avrebbe potuto esser ordinata con riguardo al reato di cui all’art. 10 citato (come peraltro riconosciuto dalla stessa sentenza), la Corte di appello l’avrebbe comunque confermata in ordine alla diversa fattispecie di cui all’art. 5; in tal modo, tuttavia, avrebbe offerto un’interpretazione propria della volontà del Giudice di primo grado, che sul punto non avrebbe precisato alcunché, tantomeno che la misura ablatoria riguardasse soltanto quest’ultimo reato. La sentenza sarebbe nulla, ancora, per aver confermato il beneficio della sospensione condizionale della pena subordinato al pagamento di oltre 246 mila Euro, somma che il ricorrente non potrà mai versare; il T., infatti, non si sarebbe arricchito con il reato, i cui effetti sarebbe andati a beneficio solo dell’ente, né alcuno avrebbe mai avanzato una pretesa risarcitoria, quel che avrebbe impedito l’applicazione dell’art. 165 c.p..

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso risulta parzialmente fondato.

Con riguardo alla prima censura, si osserva che la confisca è stata disposta, già in primo grado, certamente quanto al delitto di cui al D.Lgs. n.74 del 10 marzo 2000, art. 5, come ben affermato dalla Corte di appello; nella sentenza impugnata, infatti, si evidenzia che il Tribunale aveva “specificato che l’oggetto della misura è rappresentato dall’ammontare dell’imposta evasa”, i cui termini – pari a 246.582,60 Euro di evasione IVA – sono per l’appunto contenuti nel capo A) della rubrica. A ciò si aggiunga, peraltro, che, a seguito del D.Lgs. n.158 del 24 settembre 2015, che ha introdotto il D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 12 bis, la confisca è comunque oggi sempre disposta – nei casi di condanna o di applicazione della pena su richiesta – con riguardo a ciascuno dei delitti previsti nello stesso decreto, compresa, quindi, la fattispecie di cui all’art. 10 contestata al capo B).

Il primo motivo di doglianza, pertanto, deve essere rigettato.

È fondata, per contro, la seconda censura.

Il Tribunale, poi confermato dalla Corte di appello, ha, per un verso, disposto a carico del T. la confisca per equivalente sino alla concorrenza della somma già indicata, e, per altro verso, sospeso condizionalmente la pena, subordinando il beneficio al pagamento dell’imposta evasa entro un anno dall’irrevocabilità della sentenza, ai sensi dell’art. 165 c.p., comma 1. Ebbene, come sostenuto nel ricorso, una tale condizione non poteva esser posta nel giudizio in esame, difettando una parte civile costituita; il Collegio, infatti, aderisce all’indirizzo in forza del quale il giudice non può subordinare il beneficio della sospensione condizionale della pena – in difetto di costituzione di parte civile – all’adempimento dell’obbligo delle restituzioni di beni conseguiti per effetto del reato, in quanto queste, come il risarcimento, riguardano soltanto il danno civile e non quello criminale, che si identifica con le conseguenze di tipo pubblicistico che ineriscono alla lesione o alla messa in pericolo del bene giuridico tutelato dalla norma penale e che assumono rilievo, a norma del citato art. 165 c.p., solo se i loro effetti non sono ancora cessati (tra le altre, Sez. 2, n. 23290 del 21/4/2021, Pappacena, Rv. 281597; Sez. 6, n. 8314 del 28/1/2021, Rv. 280711; Sez. 2, n. 45854 del 13/9/2019, Cappello, Rv. 277632).

Ne consegue, allora, che la sentenza deve essere annullata senza rinvio, limitatamente alla subordinazione della sospensione condizionale della pena al pagamento dell’imposta evasa, subordinazione che si elimina, con rigetto nel resto.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla subordinazione della sospensione condizionale della pena al pagamento dell’imposta evasa, subordinazione che elimina. Rigetta nel resto il ricorso.

Così deciso in Roma, il 17 marzo 2022. Depositato in Cancelleria il 2 maggio 2022


COMMENTO: Con la recentissima sentenza del 2 Maggio 2022 n. 16973 la Suprema Corte analizza una questione particolarmente delicata relativa agli effetti della costituzione di parte civile da parte dell’Autorità Finanziaria. 

In particolare i giudici di legittimità prendono posizione sul rapporto tra la costituzione di parte civile dell’Autorità Finanziaria nell’ambito di un processo e la concessione della sospensione della pena con il pagamento dell’imposta evasa. 

La Corte di Appello di Roma confermava la sentenza di condanna emessa dal giudice di prime cure, con la quale l’imputato era stato dichiarato colpevole per i reati di cui agli articoli 5 e 10 del D. Lgs. 74/2000. 

Nei primi due gradi di giudizio, infatti, era stata subordinata la sospensione condizionale della pena al pagamento dell’imposta evasa entro la data di un anno dalla irrevocabilità della sentenza. 

La Corte di Cassazione, seguendo la giurisprudenza prevalente, ha ribaltato le precedenti sentenze, affermato infatti che “… il giudice non può subordinare il beneficio della sospensione condizionale della pena – in difetto di costituzione di parte civile – all’adempimento dell’obbligo delle restituzioni di beni conseguiti per effetto del reato, in quanto queste, come risarcimento, riguardano soltanto il danno civile e non quello criminale, che si identifica con le conseguenze di tipo pubblicistico che inseriscono alla lesione o alla messa in pericolo del bene giuridico tutelato dalla norma penale e che assumono rilievo, a norma del citato art 165 cod. pen., solo se i loro effetti non sono ancora cessati (tra le altre, Sez. 2, n. 23290 del 21/4/2021, Pappacena, Rv. 281597; Sez. 6, n. 8314 del 28/1/2021, Rv 280711; Sez. 2, n. 45854 del 13/9/2019, Cappello, Rv. 277632)”.

Gli Ermellini, dunque, sostengono che la restituzione dei beni conseguiti da reato e il pagamento della somma versata per risarcire il danno riguardano esclusivamente il danno civile e non il danno criminale in ambito pubblicistico. 

Ne consegue quindi che non potrà essere concessa la sospensione condizionale della pena con il pagamento dell’imposta evasa tramite reati se l’Autorità Finanziaria non si sia costituita parte civile nel procedimento penale.

Francesco Paolo Ledda

Avvocato Pisa