Cass. civ., sez. V, ord., 29 marzo 2025 n. 8280


Fatti di causa

Oggetto di controversia sono i tre avvisi di accertamento in atti con cui Omissis S.p.A. – concessionaria del servizio di accertamento e riscossione del Comune di XXXX – liquidava l’IMU per gli anni di imposta dal 2014 al 2016, dovuta in relazione ad un immobile posseduto da YYYY S.R.L., adibito a caserma dei Vigili del Fuoco di XXXX.

La suindicata Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Liguria, accoglieva parzialmente l’appello proposto dalla contribuente contro la sentenza n. 20/1/2021 della Commissione tributaria provinciale di XXXX, disponendo la «[…] riduzione del 50% della base imponibile», sulla base della seguente motivazione:

«[…] al fine di ottenere il beneficio della esenzione o della riduzione di imposta occorre adempiere agli obblighi previsti dalla legge in materia»;

«In particolare ai sensi dell’art. 2, comma 5 bis del D.L. 102/2013 il contribuente deve presentare una dichiarazione nella quale documenta il possesso dei requisiti specifici per ottenere l’esenzione dall’imposta»;

«Dalla documentazione agli atti di causa risulta che l’edificio (ex caserma dei Vigili del Fuoco) fosse inagibile o inabitabile già dal 2008. Vi sono, infatti, articoli di giornale nei quali risulta lo stato disastroso in cui versa l’immobile con fotografie che ne risaltano le condizioni di fatiscenza. In un articolo del 5/12/19 il sindaco Sig. Omissis si impegna a risolvere tale situazione di degrado, anche per l’immagine ed il decoro della città. Altra dichiarazione del Sig. Biagetti documenta tale situazione di degrado. Si aggiungano, ancora, la consulenza tecnica di parte del luglio 2021 che attesta le condizioni di degrado del compendio immobiliare preesistente già dal 2008; e due video presenti sul canale “you tube” che descrivono e confermano il degrado di tale immobile»;

«Nel caso di specie il Comune non poteva non conoscere lo stato del fabbricato, noto anche per essere stato il centro dei Vigili del Fuoco di XXXX. La stessa dichiarazione rilasciata alla stampa dal sindaco evidenzia la conoscenza dello stato dei luoghi in esame, da parte del Comune» (così nella sentenza impugnata).

Avverso tale pronuncia Omissis S.p.A. proponeva ricorso per cassazione, notificato in data 18 marzo 2023, formulando due motivi d’impugnazione, poi illustrati con memoria ex art. 380-bis.1, c.p.c. depositata il 15 novembre 2024.

YYYY S.R.L. resisteva con controricorso depositato il 23 aprile 2023, articolando ricorso incidentale sulla base di due motivi.

Ragioni della decisione

Il ricorso principale va accolto nella prima parte del primo motivo, con valutazione che assorbe l’esame del secondo rilievo contenuto nella medesima doglianza, nonché lo scrutinio della seconda censura. Ciò, per le ragioni che seguono.

Con la prima ragione di impugnazione Omissis ha dedotto, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3, c.p.c., la violazione e la falsa applicazione dell’art. 13, comma 3, lett. b), d.l. n. 201/2011, nella parte in cui la Corte territoriale aveva ritenuto non necessario, ai fini del conseguimento della riduzione de 50% della base imponibile per le condizioni di inagibilità del bene, la dichiarazione e la procedura prevista dalla predetta disposizione, nella specie pacificamente mancanti, considerando, invece, a tal fine sufficiente la prova della conoscenza da parte del Comune di tale stato di fatto, peraltro desunta da «[…] notizia ripresa da stampa locale ed emessa in un contesto e per fini del tutto diversi da quelli prettamente tributari che quivi interessano» (v. pagina n. 6 del ricorso).

Sempre con il primo motivo, ma, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c. la ricorrente principale ha lamentato l’omesso esame di un fatto decisivo, costituito, come è dato desumere, dalla logica del motivo, dall’assenza della dichiarazione e documentazione prevista dalla menzionata disposizione.

Come anticipato, il motivo va accolto nella parte in cui ha lamentato la suindicata violazione di legge.

L’art 13, comma 3, lett. b,) d.lgs. n. 201/2011 (sostanzialmente coincidente con l’art. 8 d.lgs. n. 504/1992 in tema di ICI) consente la riduzione dell’imposta del 50% «per i fabbricati dichiarati inagibili o inabitabili e di fatto non utilizzati, limitatamente al periodo dell’anno durante il quale sussistono dette condizioni. L’inagibilità o inabitabilità è accertata dall’ufficio tecnico comunale con perizia a carico del proprietario, che allega idonea documentazione alla dichiarazione. In alternativa, il contribuente ha facoltà di presentare una dichiarazione sostitutiva ai sensi del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, rispetto a quanto previsto dal periodo precedente. Agli effetti dell’applicazione della riduzione alla metà della base imponibile, i comuni possono disciplinare le caratteristiche di fatiscenza sopravvenuta del fabbricato, non superabile con interventi di manutenzione».

Secondo l’orientamento di questa Corte, in tema di IMU (e, già prima, di ICI), la predetta riduzione dell’imposta va riconosciuta anche in assenza di richiesta del contribuente quando lo stato di inagibilità sia perfettamente noto al Comune, tenuto conto del principio di collaborazione e buona fede che deve improntare i rapporti tra ente impositore e contribuente (art. 10, comma 1, della legge n. 212/2000), di cui è espressione anche la regola secondo cui a quest’ultimo non può essere chiesta la prova di fatti già documentalmente noti al Comune (art. 6, comma 4, della medesima legge) (con riguardo all’ICI: Cass. n. 23531/2008; Cass.n. 12015/2015, Cass. nn. 18453/2016 e 18455/2016; Cass. n. 10314/2020; Cass.  n.  28251/2020;  Cass.  19665/2023  –  con riguardo all’IMU: Cass. n. 29901/2020; Cass. n. 8592/2021; Cass. n. 1263/2021; Cass. n. 10724/2021; Cass. n. 35474/2021; Cass.n. 1016/2023; Cass. n. 6270/2023; Cass. n. 12226/2023; Cass. n. 23946/2024; Cass. n. 24066/2024). 

La riflessione della Corte ha, in tali termini, valorizzato il dato fattuale della conoscenza da parte del Comune della condizione di inagibilità e/o inabitabilità.

Va dato seguito a tale orientamento, precisando che ciò che conta, al fine di non esigere – come pure prescrive la suindicata disposizione – l’accertamento dell’ufficio o la dichiarazione sostitutiva del contribuente è la sussistenza di una conoscenza da parte del Comune qualificata, documentale, basata su informazioni già in possesso del comune, anche se per finalità extratributarie, che possa far ritenere acquisito un grado di percezione e di cognizione della situazione in termini comparabili ad un accertamento o ad una rappresentazione dello stato di fatto rilevante (come avviene nel caso di dichiarazione del contribuente).

Dallo scrutinio del menzionato orientamento di questa Corte emerge che il suindicato principio è stato per lo più applicato in situazioni in cui la conoscenza delle condizioni di inagibilità del bene era derivata dall’esercizio dell’attività amministrativa propria dell’ente territoriale, come nei casi – ovviamente senza pretesa di esaustività – di revoca da parte del comune della licenza per l’esercizio dell’attività del contribuente a seguito dell’accertata inagibilità del bene (v. Cass. n. 23531/2008), di dichiarazione di inagibilità adottata dallo stesso comune, di mancata concessione del permesso edificatorio stante le condizioni di inagibilità del cespite (v. Cass. nn. 18453/2016; Cass. n. 18455/2016), di annullamento di precedenti avvisi proprio per la condizione di inagibilità del bene (v. Cass. n. 8532/2021 e Cass. n. 1263/2021).

In questo senso deve, allora, intendersi il carattere qualificato della conoscenza, caratterizzata cioè dalla considerazione da parte dell’ente, nell’ambito della propria attività istituzionale (come detto non necessariamente a fini tributari), dell’oggettiva situazione fattuale di inagibilità e/o inabitabilità in cui trovasi il bene o dall’adozione di iniziative amministrative che detta conoscenza presuppongono ragionevolmente ed in termini non controvertibili.

E tutto ciò postula la dimostrazione che la documentazione a tal fine rilevante sia già sicuramente in possesso dell’amministrazione finanziaria, o che, comunque, il contribuente dichiari e provi l’avvenuta trasmissione del documento all’amministrazione medesima (cfr. Cass. n. 958/2015, che richiama Cass. n. 21956/2010;  Cass.  n.  21209/2004;  Cass.  n.  22775/2009), restando, invece, del tutto irrilevante la mera ed estemporanea conoscenza di fatto della situazione suscettiva ad integrare i presupposti della riduzione di imposta.

Può, dunque, declinarsi il seguente principio di diritto: «in tema di IMU, la riduzione d’imposta prevista dall’art. 13, comma 3, lett. b,) d.lgs. n. 201/2011 (sostanzialmente coincidente con l’art. 8 d.lgs. n. 504/1992 in tema di ICI) va riconosciuta anche in assenza di richiesta del contribuente quando lo stato di inagibilità del bene sia noto al Comune, nel senso di una conoscenza qualificata, documentabile e derivata dall’esercizio dell’attività amministrativa propria dell’ente territoriale, anche se per finalità extratributarie, restando irrilevante la mera ed estemporanea conoscenza di fatto della situazione suscettiva di integrare i presupposti della riduzione di imposta; la prova di tale conoscenza da parte dell’ente impositore è a carico del contribuente che invoca il beneficio».

La decisione del Giudice regionale non si è uniformata a tali principi, avendo fondato la decisione su di una ritenuta conoscenza delle condizioni strutturali del bene da parte del Comune, peraltro in base al discutibile criterio del «non poteva non conoscere» (così nella sentenza impugnata) e genericamente riferita ad una situazione di degrado del cespite, in ogni caso desunta da fonti (notizia di stampa e video presenti sul canale “you tube”, dichiarazioni del Sindaco rilasciate alla stampa) estranee al parametro della conoscenza qualificata da parte del Comune, nei termini sopra illustrati.

Nelle valutazioni che precedono resta assorbito – come si è detto – l’esame del secondo motivo del ricorso principale con cui l’istante ha eccepito, ai sensi dell’art. 360, primo comma, num. 4, c.p.c., la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., nonché, a mente dell’art. 360, primo comma, num. 5, c.p.c., l’omesso esame di un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti, censurando la sentenza nella parte in cui ha ritenuto assolto l’onere probatorio in ordine alla conoscenza del comune dello stato di inagibilità del bene, in assenza di una verifica tecnica e della relativa dichiarazione e sulla base di “prove” mai acquisite al processo. 

Il rinnovato esame sul predetto tema da parte del giudice del rinvio sulla scorta degli illustrati principi coinvolgerà, infatti, anche l’esame dell’oggetto dell’eventuale conoscenza qualificata del comune delle oggettive condizioni di inagibilità ed inabitalità del bene.

Con il primo motivo di ricorso incidentale YYYY S.R.L. ha eccepito, in relazione al paradigma censorio di cui all’art. 360, primo comma, num. 3, c.p.c., la violazione dell’art. 5, comma 6, d.lgs. n. 504/1992 e 13 d.l. n. 201/2011, assumendo che il Giudice regionale avrebbe dovuto stabilire la base imponibile IMU considerando il valore della sola area fabbricabile e non dei fabbricati in corso d’opera, giacché i relativi lavori non erano stati ultimati negli anni in oggetto.

La censura non può ricevere seguito.

Essa presenta un dirimente profilo di inammissibilità, ove si consideri che dai contenuti del ricorso in esame e della sentenza impugnata emerge che la dedotta erroneità della base imponibile e la sua rideterminazione ai sensi dell’art. 5, comma 6, d.lgs. n. 504/1992 non aveva costituito motivo del ricorso originario, ma – anche alla luce del resoconto della sentenza impugnata – solo del motivo di appello.

Infatti, a pagina n. 3 del ricorso in oggetto la contribuente ha riferito di aver chiesto in primo grado l’esenzione dal pagamento dell’IMU prevista dall’art. 2 d.l. n. 102/2013 (cd. esenzione per i beni immobili merce), nonché la riduzione prevista dall’art. 13, comma 3, d.l. n. 201/2011 per i fabbricati dichiarati inagibili o inabitabili e di fatto inutilizzati. 

A pagina n. 5 del ricorso in esame la società ha rappresentato di aver proposto come motivo di gravame l’erronea qualificazione giuridica dei fatti dedotti ed un’erronea determinazione della base imponibile in violazione dell’art. 5, comma 6, d.lgs. n. 504/1992 e dell’art. 13 d.l. n. 201/2011, in quanto l’imposta avrebbe dovuto essere calcolata considerando solo l’area fabbricabile e non anche quello del fabbricato in corso d’opera.

Il tutto, come effettivamente risulta dai predetti ricorsi di merito, depositati in atti.

La Corte territoriale ha riportato il suddetto motivo di gravame, ma non si si è pronunciata sul punto.

Senonché, l’omissione non ha costituito motivo di ricorso incidentale ai sensi dell’art. 360, primo comma, num. 4., c.p.c. per violazione dell’art. 112 c.p.c., ma l’istante ha lamentato la citata violazione di legge, secondo il parametro del num. 3 della menzionata disposizione.

Ebbene, in tale contesto, rilevabile ex actis, la censura intercetta il limite dell’inammissibilità del motivo perché fondato su una nuova domanda, inammissibilmente introdotta con il motivo di appello.

Integrando in tal senso la motivazione della sentenza impugnata, il motivo va, pertanto, dichiarato inammissibile.

Con la seconda ragione di contestazione, la contribuente ha denunciato, con riferimento all’art. 360, primo comma, num. 5, c.p.c., l’omesso esame della dichiarazione prodotta in atti, spedita con  raccomandata  semplice  come  stabilito  dalle  istruzioni ministeriali per la compilazione e la dichiarazione IMU, all’epoca presentata dalla società per beneficare dell’esenzione dall’IMU prevista per gli immobili costruiti e destinati alla vendita, fintanto che permanga tale destinazione e non siano locati (cd. esenzione per i beni immobili merce), considerando, al riguardo, che l’esame di detto documento avrebbe certamente comportato il riconoscimento dell’esenzione.

Ebbene, osserva la Corte che, a tacer d’altro, il rilievo non assume alcuna decisività. L’art. 2, comma 1, d.l. n. 102/2013 stabiliva che «Per l’anno 2013 non è dovuta la seconda rata dell’imposta municipale propria di cui all’articolo 13 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, relativa ai fabbricati costruiti e destinati dall’impresa costruttrice alla vendita, fintanto che permanga tale destinazione e non siano in ogni caso locati. Per il medesimo anno l’imposta municipale propria resta dovuta fino al 30 giugno» .

Il successivo comma 2 disponeva, in linea di continuità con lo spirito agevolativo della norma appena richiamata, che «a decorrere dal 1° gennaio 2014 sono esenti dall’imposta municipale propria i fabbricati costruiti e destinati dall’impresa costruttrice alla vendita, fintanto che permanga tale destinazione e non siano in ogni caso locati». Come già ritenuto dal giudice di primo grado (v. pagine nn. 4 e del ricorso incidentale, in cui sono riportati i passaggi salienti della sentenza della Commissione tributaria provinciale), da tale contenuto normativo emerge con tutta evidenza che l’esenzione si applica ai «fabbricati costruiti» e quindi non opera sulle aree edificabili, neppure su quelle in cui è in corso l’intervento edilizio, come pure condivisibilmente chiarito dalla risoluzione del MEF n. 11/DF/2013 secondo cui «i fabbricati oggetto degli interventi di incisivo recupero (…) rientrano nel campo di applicazione dell’esenzione introdotta dal citato art. 2 del D. L. n. 102 del 2013, solo a partire dalla data di ultimazione dei lavori di ristrutturazione».

L’intervento edilizio sulla ex Caserma dei Vigili del Fuoco era ancora in corso nell’anno 2019, tanto è vero che la contribuente ha ricordato che il 5 dicembre di tale anno comparve l’articolo in cui si faceva riferimento allo stato di degrado del bene (v. pagina n. 8 del controricorso) e che ha agito per conseguire la riduzione del 50% del pagamento dell’imposta per lo stato di inagibilità dell’immobile, evidentemente, all’epoca dell’anno di imposizione, non ristrutturato.

Alla stregua delle ragioni svolte, la sentenza impugnata va cassata in relazione al primo motivo e la causa va rinviata alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Liguria – in diversa composizione – anche per regolare le spese del giudizio di legittimità.

Va, infine, dato atto che ricorrono i presupposti di cui all’art 13, comma 1-quater, d.P.R. n. 115/2002 per il versamento da parte della ricorrente incidentale, di una somma ulteriore, pari a quella eventualmente dovuta a titolo di contributo unificato per la proposizione del relativo ricorso. 

P.Q.M.

la Corte, accoglie il primo motivo di ricorso principale, dichiara assorbito il secondo e rigetta il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Liguria – in diversa composizione – anche per regolare le spese del giudizio di legittimità. 

Dà atto che ricorrono i presupposti di cui all’art 13, comma 1- quater, d.P.R. n. 115/2002 per il versamento da parte della ricorrente incidentale, di una somma ulteriore, pari a quella eventualmente dovuta a titolo di contributo unificato per la proposizione del relativo ricorso.

Così deciso in Roma in data 27 novembre 2024

Il Presidente

 Liberato Paolitto