Cass. Pen., sez. III, 15.01.2021, n. 1729


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SARNO Giulio – Presidente –

Dott. RAMACCI Luca – Consigliere –

Dott. GAI Emanuela – rel. Consigliere –

Dott. NOVIELLO Giuseppe – Consigliere –

Dott. ANDRONIO Alessandro M. – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

S.G., nato a (OMISSIS);

avverso la sentenza del 21/05/2019 della Corte d’appello di Bologna;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere Emanuela Gai;

letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Fulvio Baldi, ai sensi del D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8, che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio alla Corte d’appello per nuovo giudizio;

letta la memoria difensiva, D.L. n. 137 del 2020, ex art. 23, comma 8, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

  1. Con sentenza del 21 maggio 2019, la Corte d’appello di Bologna ha confermato la sentenza del Tribunale di Bologna con la quale l’imputato era stato condannato, alla pena sospesa di mesi quattro di reclusione, perché ritenuto responsabile del reato di cui al D,Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 10-ter, perché quale legale rappresentante della I. S. soc. coop., non versava l’imposta sul valore aggiunto dovuta, in base alla dichiarazione Iva relativa all’anno di imposta 2010, nel termine previsto per il pagamento dell’acconto Iva, per l’ammontare di Euro 472.887,00, fatto commesso in (OMISSIS).
  2. Avverso la sentenza ha presentato ricorso per cassazione, l’imputato, a mezzo del difensore, e ne ha chiesto l’annullamento deducendo i seguenti motivi enunciati nei limiti di cui all’art. 173 disp. Att. c.p.p.

2.1. Con il primo motivo deduce la violazione di legge in relazione al D.Lgs. 10 marzo 2000, n.74 art. 10-ter, nonché il vizio di motivazione in relazione alla manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione in ordine all’affermazione della responsabilità penale. La Corte d’appello avrebbe erroneamente ritenuto sussistente la violazione contestata non considerando che l’imputato aveva assunto la carica sociale in un momento successivo alla insorgenza del debito, essendo stato nominato presidente del consiglio di amministrazione della cooperativa in data 22/06/2011 (con iscrizione in data 26 luglio 2011). Il legale rappresentante al momento della formazione del debito tributario nel 2010 era persona diversa dall’imputato. Carente sarebbe anche l’elemento soggettivo del reato tant’è che la stessa Agenzia delle entrate aveva inviato la comunicazione relativa all’omesso adempimento al precedente legale rappresentante.

2.2. Con il secondo motivo deduce la violazione di legge in relazione alla omessa risposta sul motivo di appello nel quale si chiedeva il riconoscimento del beneficio della non menzione ai sensi dell’art. 175 c.p..  

Motivi della decisione

  1. Il primo motivo di ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza.

Deve premettersi che la materiale omissione del versamento dell’imposta dovuta per l’anno 2010, sulla base dell’ultima dichiarazione, entro il termine per il versamento dell’acconto dell’anno successivo (27/12/2011) da parte dell’imputato non è oggetto di contestazione, essendo le censure incentrate sull’attribuibilità dell’omissione all’imputato, legale rappresentate della I. S. soc. coop. sul rilievo dell’assunzione della carica sociale in un momento successivo alla insorgenza del debito tributario relativo al 2010.

Il reato di omesso versamento Iva è un reato omissivo proprio che si consuma al momento della scadenza prevista dalla legge (termine per il versamento dell’acconto per l’anno successivo) sulla base della dichiarazione Iva. L’imputato, al momento della scadenza del termine per compiere il versamento (27/12/2011) era il legale rappresentante della società in questione, circostanza questa non contestata, né è contestato che egli avesse predisposto e sottoscritto la dichiarazione che esponeva il debito Iva relativo all’anno 2010, debito tributario che imponeva, come termine ultimo, il versamento della relativa somma entro il termine per il versamento dell’acconto per l’anno successivo (27 dicembre 2011), data nella quale egli era il soggetto tenuto in ragione della carica ricoperta la cui omissione integra il reato contestato.

A nulla rileva, infatti, che fosse diverso il soggetto che era legale rappresentante nel 2010, quando si era formato il debito, dal momento che ciò che rileva è la circostanza che lo S., al momento della scadenza del termine per il versamento, era il soggetto su cui grava l’obbligazione tributaria la cui omissione integra il reato contestato.

  1. La Corte d’appello ha correttamente argomentato che il ricorrente, legale rappresentate al momento della scadenza del termine per il versamento, era il soggetto su cui grava l’obbligo tributario di versamento, ed aveva consapevolmente omesso il versamento dell’Iva, dovuta sulla base della dichiarazione che la esponeva.
  2. La sentenza impugnata fa peraltro buon governo dei principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità per il caso in cui l’omesso versamento del debito Iva riguardi società di capitali.

In tema la giurisprudenza della Corte di cassazione ha costantemente affermato che la responsabilità per i reati previsti dal D.Lgs. 10 marzo 2000, n.74, è attribuita all’amministratore, individuato secondo le norme civilistiche di cui agli artt. 2380 e ss., artt. 2455 e 2475 c.c., cioè a coloro che rappresentano e gestiscono l’ente. Costoro, in quanto tali, sono tenuti a presentare e sottoscrivere le dichiarazioni rilevanti per l’ordinamento tributario di cui al D.Lgs. 10 marzo 2000, n.74, art. 1, lett. c)  ed e), adempiendo agli obblighi conseguenti, e ciò sulla base del principio secondo cui colui che assume la carica di amministratore, si espone volontariamente a tutte le conseguenze che possono derivare da pregresse inadempienze.

Per il rilievo concreto che assume nella decisione in scrutinio, questa Corte di legittimità ha già affermato che, nel caso di successione nella carica di amministratore di società/legale rappresentante in un momento successivo alla presentazione della dichiarazione di imposta e prima della scadenza del termine fissato per l’adempimento dell’obbligo tributario di versamento, sussiste la responsabilità, per i reati tributari connessi all’omesso versamento di imposte dovute, di colui che succede nella carica dopo la presentazione della dichiarazione di imposta e prima del termine ultimo per il versamento della stessa (Sez. 3, n. 34927 del 24/06/2015, Alfieri, Rv. 264882; Sez. 3, n. 39687 del 4.6.2014, Decataldo, Rv. 260390), e ciò sul rilievo dell’assenza di compimento del previo controllo di natura prettamente contabile sugli ultimi adempimenti fiscali che comporta la responsabilità quantomeno a titolo di dolo eventuale. E ciò tanto più in quei casi, come quello in esame, in cui il debito fiscale non era remoto e non risulta contestato che l’imputato avesse sottoscritto la dichiarazione IVA che lo esponeva.

In tale ambito, come argomentato nella sentenza impugnata, l’assunzione della carica di amministratore, per comune esperienza, comporta una minima verifica della contabilità, dei bilanci e delle ultime dichiarazioni dei redditi, per cui, ove ciò non avvenga, risponde dei reati tributari in materia di mancato versamento di imposte, colui che subentra nella carica sociale/legale rappresentanza in un momento successivo alla formazione del debito, in quanto con l’assunzione della carica si espone volontariamente a tutte le conseguenze che possono derivare da pregresse inadempienze. Sulla scorta di tali principi, la corte territoriale ha argomentato la prova dell’elemento soggettivo del reato.

  1. E’ fondato il secondo motivo di ricorso con il quale il ricorrente censura l’omessa risposta al motivo di appello con cui si chiedeva la concessione del beneficio della non menzione della condanna nel certificato del casellario a richiesta di privati, ai sensi dell’art. 175 c.p. Ciò dovrebbe determinare, secondo il principio espresso dalla Corte di Cassazione, con la sentenza n. 31349 del 09/03/2017, Diop, Rv. 270639, l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata in presenza di rilevato vizio di motivazione.

Deve peraltro rilevarsi che nelle more il reato si è estinto per prescrizione al 22 ottobre 2019 (tenuto conto del termine massimo di prescrizione di 7 anni e 6 mesi dal 27/12/2011, data accertamento del reato e del periodo di sospensione del corso della prescrizione per 117 giorni).

Il Collegio condivide la pronuncia di questa Terza sezione n. 40452/2018 secondo cui l’eventuale causa di estinzione del reato deve essere rilevata finché il giudizio non sia esaurito integralmente in ordine al capo di sentenza concernente la definizione del reato al quale la causa stessa si riferisce, definitività che non ricorre nel caso in cui la difesa abbia impugnato il punto della decisione relativo all’omessa valutazione del motivo d’appello sul beneficio della non menzione (Sez. 3, n. 40452 del 05/06/2018, F., Rv. 275253 – 01).

Peraltro, secondo il costante orientamento della Corte di Cassazione (cfr. Cass. Sez. 3, n. 35180 del 2017) l’annullamento va disposto senza rinvio in applicazione del principio giurisprudenziale secondo cui in presenza di una causa di estinzione del reato non sono rilevabili in cassazione vizi di motivazione della sentenza, perché l’inevitabile rinvio della causa all’esame del giudice di merito dopo la pronuncia di annullamento è incompatibile con l’obbligo della immediata declaratoria di proscioglimento per l’intervenuta estinzione del reato, stabilito dall’art. 129 c.p.p..  

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il reato è estinto per prescrizione.

Così deciso in Roma, il 23 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 15 gennaio 2021


COMMENTO: In merito al reato di cui all’art. 10 ter pare opportuno citare una recente sentenza della Corte di Cassazione in merito alla responsabilità del rappresentante legale per l’omesso versamento IVA.

La sentenza della Cassazione, Sezione III, del 15 Gennaio 2021, n. 1729, tratta un argomento particolarmente rilevante in merito alla fattispecie delittuosa prevista dall’articolo 10 ter. 

Dalla lettura della sentenza emergono due aspetti di notevole interesse: da un lato tratta la responsabilità del legale rappresentante di una società debitrice che ha assunto tale ruolo in seguito all’insorgenza di un debito tributario e prima della scadenza del pagamento dell’imposta, dall’altro si sofferma ad analizzare  l’elemento psicologico del reato.

Sulla questione la Corte di Cassazione ha ribadito puntualmente che: “il reato di omesso versamento Iva è un reato omissivo proprio che si consuma al momento della scadenza prevista dalla legge (termine per il versamento dell’acconto per l’anno successivo) sulla base della dichiarazione Iva. L’imputato, al momento della scadenza del termine per compiere il versamento (…) era il legale rappresentante della società in questione, circostanza questa non contestata, né è contestato che egli avesse predisposto e sottoscritto la dichiarazione che esponeva il debito Iva relativo all’anno 2010, debito tributario che imponeva, come termine ultimo, il versamento della relativa somma entro il termine per il versamento dell’acconto per l’anno successivo (…), data nella quale egli era il soggetto tenuto in ragione della carica ricoperta la cui omissione integra il reato contestato.

A nulla rileva, infatti, che fosse diverso il soggetto che era legale rappresentante nel 2010, quando si era formato il debito, dal momento che ciò che rileva è la circostanza che (l’imputato), al momento della scadenza per il termine per il versamento, era il soggetto su cui grava l’obbligazione tributaria la cui omissione integra il reato contestato.

(…) il ricorrente, legale rappresentante al momento della scadenza del termine per il versamento, era il soggetto su cui grava l’obbligo di versamento, ed aveva consapevolmente omesso il versamento dell’Iva, dovuta sulla base della dichiarazione che la esponeva”.

Per la Corte di Cassazione, dunque, non vi sono dubbi sulla responsabilità del legale rappresentante della società, poiché al momento della scadenza del termine per il versamento dell’imposta sussistono due elementi essenziali:

  • l’obbligo di provvedere “a presentare e sottoscrivere le dichiarazioni rilevanti per l’ordinamento tributario di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 1, lett. c) ed e), adempiendo agli obblighi conseguenti, e ciò sulla base del principio secondo cui colui che assume la carica di amministratore, si espone volontariamente a tutte le conseguenze che possono derivare da pregresse inadempienze”.
  1. il mancato pagamento del debito tributario precedentemente sorto.

Al riguardo, infatti, la Corte ha stabilito che “nel caso di successione nella carica di amministratore di società/legale rappresentante in un momento successivo alla presentazione della dichiarazione di imposta e prima della scadenza del termine fissato per l’adempimento dell’obbligo tributario di versamento, sussiste la responsabilità, per i reati tributari connessi all’omesso versamento di imposte dovute, di colui che succede nella carica dopo la presentazione della dichiarazione di imposta e prima del termine ultimo per il versamento della stessa (…)”.

Dalla lettura della sentenza emerge inoltre anche un altro aspetto particolarmente interessante attinente alla responsabilità del legale rappresentante della società ipotizzabile anche a titolo di dolo eventuale.

“…e ciò sul rilievo dell’assenza di compimento del previo controllo di natura prettamente contabile sugli ultimi adempimenti fiscali che comporta la responsabilità quanto meno a titolo di dolo eventuale. E ciò tanto più in quei casi, come quello in esame, in cui il debito fiscale non era remoto e non risulta contestato che l’imputato avesse sottoscritto la dichiarazione IVA che lo esponeva… l’assunzione della carica di amministratore, per comune esperienza, comporta una minima verifica della contabilità, dei bilanci e delle ultime dichiarazioni dei redditi, per cui, ove ciò non avvenga, risponde dei reati tributari in materia di mancato versamento di imposte, colui che subentra nella carica sociale/legale rappresentanza in un momento successivo alla formazione del debito, in quanto con l’assunzione della carica si espone volontariamente a tutte le conseguenze che possono derivare da pregresse inadempienze.”

Francesco Paolo Ledda

Avvocato Pisa