Cass. civ., sez. V, ord., 27.12.2018 n.33493
Rilevato che:
– con la sentenza di cui sopra la Commissione Tributaria Regionale ha accolto l’appello della società contribuente e riformato la pronuncia di prime cure, annullando quindi la cartella impugnata, portante somme dovuta in forza dell’art. 9 L. n. 289 del 2002;
– avverso la sentenza di seconde cure propone ricorso per Cassazione l’Agenzia delle Entrate con ricorso affidato a due motivi; la società contribuente resiste con controricorso;
Considerato che:
– vanno preliminarmente esaminate le eccezioni svolte in controricorso;
– con riferimento al primo motivo, risulta del tutto inconferente l’eccezione relativa all’asserita erroneità del calcolo degli interessi, che risulta priva di collegamento logico con il motivo al quale è diretta;
– la seconda eccezione, poi, riferita all’inammissibilità del secondo motivo del ricorso erariale che non potrebbe esser esaminato in quanto si riferisce alla violazione e/o falsa applicazione di una disposizione ritenuta contraria al diritto dell’Unione che invero andrebbe secondo il contribuente disapplicata, è pure manifestamente infondata;
– la stessa invero, non coglie il contenuto della censura introdotta con il secondo motivo di ricorso, incentrato sul parziale versamento del dovuto a titolo di condono; la questione relativa alla contrarietà al diritto dell’Unione della disciplina in esame infatti, è questione autonoma rispetto a quella del perfezionamento della fattispecie estintiva prevista dalla disposizione di cui all’art. 9 ricitato, sia pur ad essa collegata;
– in ogni caso poi, avendo il contribuente aderito al condono, avvalendosi quindi di una modalità di estinzione del proprio debito tributario particolarmente vantaggiosa prevista dall’ordinamento interno, difetta in capo a questi l’interesse a denunciare la contrarietà di tal disposizione rispetto alle previsioni del diritto Unionale; interesse che invece sussiste in capo all’Amministrazione Finanziaria che non ha però qui formulato censure sul punto;
– può quindi procedersi con l’esame dei motivi di ricorso dell’Agenzia delle Entrate;
– con il primo motivo di ricorso l’Agenzia delle Entrate censura la sentenza impugnata per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 7 del d. Lgs. n. 212 del 2000 e dell’art. 25 del d.P.R. n. 602 del 1973 in relazione all’art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c. per avere la CTR annullato illegittimamente la cartella impugnata in quanto sprovvista di motivazione; il secondo motivo censura la sentenza gravata per violazione e falsa applicazione dell’art. 9 Legge n. 289 del 2002, 115 c.p.c. e 2697 c.c in relazione all’art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c. per avere la CTR omesso di prender atto dell’insufficiente versamento rispetto al dovuto;
– i motivi sono strettamente connessi tra di loro, al punto da costituire frammentazione di una analoga censura, e quindi possono essere esaminati congiuntamente; entrambi sono fondati;
– va premesso che nel vigore di ogni disciplina di natura “condonistica” questa Corte ha sempre affermato che (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 27085 del 18/12/2006 in tema di condono fiscale, e con riguardo alle somme dovute in base alla dichiarazione integrativa per l’IVA presentata ai sensi dell’art. 49 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), in caso di omesso versamento l’amministrazione finanziaria provvede al recupero, a seguito della modifica del sistema di riscossione coattiva introdotto con il d.P.R. 28 gennaio 1988, n. 43, secondo le modalità e nei termini previsti dall’art. 17 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, ancorché tale procedura in origine non fosse normativamente prevista per le imposte indirette e per l’IVA in particolare. Pertanto, senza che possa distinguersi tra le ordinarie dichiarazioni di imposta e quelle integrative effettuate in sede di condono – atteso che ogni peculiarità delle rispettive discipline viene meno nella fase della riscossione a mezzo ruolo, che è il sistema unitario di recupero di ogni tipo di tributo ed entrata dello Stato (art. 63 e segg. del d.P.R. n. 43 del 1988)
– detto recupero va eseguito con l’iscrizione a ruolo va effettuata, come nelle ipotesi di cd. controllo formale di cui all’art. 36-bis del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (dove la liquidazione semplicemente si sovrappone alla dichiarazione, mancando una pretesa ulteriore rispetto al dichiarato);
– la fattispecie è identica a quella che ci occupa, risultando dalla lettura della sentenza impugnata che la contribuente società non ha versato per intero quanto dovuto a seguito della sanatoria ex art. 9 Legge n. 289 del 2002 per l’anno 2003, avendo pagato la minor somma di euro 6.000 a fronte del dovuto e indicato in dichiarazione integrativa pari a euro 16.730,00;
– orbene, la giurisprudenza di questa Corte è costante nel ritenere (Cass. Sez. 5 – , Ordinanza n. 21804 del 20/09/2017; conformi Sez. 5, Sentenza n. 25329 del 28/11/2014; Sez. 5, Sentenza n. 15564 del 27/07/2016) che sebbene in via generale la cartella esattoriale, che non segua uno specifico atto impositivo già notificato al contribuente, ma costituisca il primo ed unico atto con il quale l’ente impositore esercita la pretesa tributaria, debba essere motivata alla stregua di un atto propriamente impositivo, tale obbligo di motivazione deve essere differenziato a seconda del contenuto prescritto per ciascuno tipo di atto, sicché nel caso in cui la cartella di pagamento sia stata emessa in seguito a liquidazione effettuata in base alle dichiarazioni rese dal contribuente ai sensi degli artt. 36 bis del d.P.R. n. 600 del 1973 e 54 bis del d.P.R. n. 633 del 1972, l’obbligo di motivazione può essere assolto mediante il mero richiamo a tali dichiarazioni perché, essendo il contribuente già a conoscenza delle medesime, non è necessario che siano indicati i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche della pretesa;
– il ricorso è fondato e va conseguentemente accolto, con cassazione della sentenza impugnata; non risultando necessari accertamenti in fatto, la causa può essere decisa con il rigetto del ricorso originario del contribuente;
P.Q.M.
accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito rigetta il ricorso originario del contribuente; liquida le spese in euro 2.300,00 oltre a spese prenotate a debito che pone a carico di parte soccombente.
Così deciso in Roma, il 28 novembre 2018
COMMENTO
La Cassazione, con l’ord. 33493 depositata il 27.12.2018, ha ribadito il seguente principio: “nel caso in cui la cartella sia stata emessa in seguito alla liquidazione effettuata in base a dichiarazioni rese dal contribuente ai sensi degli artt. 36 bis del d.p.r. 600/73 e 54 bis del d.p.r. 633 del 1972, l’obbligo di motivazione può essere assolto mediante il mero richiamo a tali dichiarazioni”.
Secondo l’orientamento consolidato della Suprema Corte “l’avviso bonario non è necessario, quando si verta in tema di controllo automatizzato della dichiarazione del contribuente 36 bis dpr 600/73”.
L’orientamento della Cassazione, (Cass. 19664/13; Cass. 13759/2016; Cass. 14577/18) non impone il contraddittorio preventivo, quando dal controllo automatizzato da cui deriva il ruolo non emergano incertezze interpretative. Se l’iscrizione a ruolo non modifichi quanto dichiarato dal contribuente e non versato o versato in ritardo, non essendo in contestazione l’an e il quantum debeatur, nessun invito al contraddittorio è previsto dalla legge.
Secondo un principio più volte ribadito dalla Cassazione, l’art. 6, comma 5, Legge 212/2000 obbliga l’amministrazione ad invitare il contribuente qualora“ debba fornire i chiarimenti necessari o produrre i documenti mancanti, laddove sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione”.
Il corollario espresso dalla Cassazione è sempre stato costantemente ribadito: nessun invito al contraddittorio è previsto dalla legge per la liquidazione dell’imposta eseguita con il metodo del controllo automatizzato, se i dati della cartella corrispondono a quanto dichiarato dal contribuente (Cass. sent. 11 maggio 2012 n.7329). Ancora, con ordinanza 22035 del 28 ottobre 2010 la Corte ha escluso che l’Amministrazione finanziaria sia obbligata dall’art. 6, comma 5, della L. 212/2000 ad inviare in ogni caso l’avviso bonario in seguito all’esito della liquidazione; tale obbligo sussiste solo quando dai controlli automatici emerge un risultato diverso rispetto a quanto indicato in dichiarazione, principio identico espresso da Cassazione (17396/2010). Dalla giurisprudenza ripercorsa si può estrarre la seguente massima, ancora oggi valida, nonostante le pronunce della Corte di Giustizia Europea sul contraddittorio endoprocedimentale: “non è richiesta la comunicazione di irregolarità derivante dal controllo formale se l’iscrizione a ruolo deriva non da errori nella dichiarazione bensì dall’omesso o insufficiente versamento di quanto dichiarato. L’adempimento in questione è, infatti, una “comunicazione di irregolarità” riferibile alla discordanza tra quanto accertato per il mero errore materiale del contribuente e quanto dichiarato, l’irregolarità non è riferibile all’omesso o ritardato versamento di quanto dichiarato”. Pertanto, non sempre è necessario l’invio dell’avviso bonario. Ed invero, la comunicazione diviene obbligatoria solamente laddove dai controlli automatizzati emerga un errore tale da condurre l’Amministrazione ad un risultato diverso rispetto a quanto dichiarato dal contribuente. Il principio è stato confermato di recente da Cass ord 22351 del 13/9/2018, che ha deciso un caso analogo. Nella fattispecie che ci occupa, la società contribuente non ha versato per intero quanto dovuto a seguito della sanatoria ex art.9 della legge n.289/2002 per l’anno 2003, avendo pagato la minore somma di 6000,00 euro, a fronte di quanto dovuto e dichiarato nella dichiarazione integrativa, che era pari ad €.16.730,00. La dichiarazione prodromica soddisfa l’obbligo di motivazione, attraverso il richiamo “per relationem” fatto in cartella, atteso che il contribuente è già a conoscenza dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche della pretesa che lui stesso ha determinato in dichiarazione. E’ principio consolidato che, nel procedimento amministrativo – tributario, il titolo esecutivo è rappresentato dal ruolo nelle sue varie estrinsecazioni: cartella esattoriale, avviso di accertamento esecutivo, intimazione di pagamento, avviso di mora, che, prima della riforma apportata dal D.Lgs. 26 febbraio 1999, n. 46 e dal D.Lgs. 27 Aprile 2001 n. 193 era l’atto prodromico all’espropriazione forzata. Ebbene, tali atti, non necessitano di propria motivazione, ove siano stati preceduti da un atto di accertamento, comunque denominato, regolarmente notificato, al quale sia fatto riferimento nel titolo esecutivo notificato al contribuente oppure provengano da un atto di autodenuncia del contribuente, quale è appunto la dichiarazione fiscale. In difetto di precedente accertamento o di prodromica dichiarazione del contribuente, gli atti esecutivi devono recare una sufficiente motivazione della pretesa avanzata e l’obbligo di contraddittorio endoprocedimentale. In conclusione, inconferente appare, in questi casi, il richiamo all’inversione dell’onere della prova di cui all’art.2967 c.c., atteso che è onere del ricorrente depositare la dichiarazione dei redditi asseritamente rettificata dall’Amministrazione, trattandosi nella fattispecie non già di rettifica, ma di insufficiente versamento rispetto a quanto dichiarato. Ed invero, la circostanza che il ricorrente si limiti a richiamare una presunta inversione dell’onere della prova ai sensi dell’art.2697 c.c., non è sufficiente a fornire indizi che possano concretamente supportare il libero convincimento del giudice. Non allegare la dichiarazione dei redditi di riferimento, da cui possa evincersi se, nella fattispecie, trattasi di importo rettificato o di importo dichiarato e non versato, potrebbe evidenziare un motivo di inammissibilità ex art. 18, comma 4, D.lgs. 546/1992 per inesistenza della motivazione del ricorso, indispensabile, secondo la lett. e), del comma II della predetta norma, atteso che il giudice deve pronunciarsi sui fatti a sostegno della domanda valutando le prove fornite dal ricorrente (iudex alligata et probata iudicare debet) e, nel processo tributario la prova documentale è l’unico mezzo ammesso dalla legge.
Dott. Francesco Rubera