Consiglio di Stato Sentenza n. 5632/2024 REG.PROV.COLL. N. 08588/2023 REG.RIC. pubblicata il 26/06/2024


Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Settima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 8588 del 2023, proposto da
**** S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Omissis, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Omissis in Roma,

contro

Comune di ****, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Omissis, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia

nei confronti

XYZ S.r.l., non costituito in giudizio

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia – sezione staccata di **** (Sezione Seconda) n. 576/2023

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di ****;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 5 marzo 2024 il consigliere Angela Rotondano, udito per la parte appellante l’avvocato Omissis e vista l’istanza di passaggio in decisione, senza discussione, depositata dagli avvocati Omissis;

Viste le conclusioni della parte appellata come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

  1. È controversa la legittimità della disciplina del canone patrimoniale di concessione, autorizzazione o esposizione pubblicitaria di cui all’art. 1 commi 816-835 della legge 27 dicembre 2019 n. 160 – cosiddetto canone unico patrimoniale (di seguito anche “canone” o “cup”) – adottata dal Comune di ****.
  2. L’appellante **** S.r.l., società che si occupa della progettazione e della commercializzazione di servizi pubblicitari, anche mediante la messa a disposizione di impianti di cartellonistica stradale e titolare, nell’ambito di questa attività, di alcune autorizzazioni pubblicitarie rilasciate dal Comune di ****, impugna la sentenza in epigrafe con cui il Tribunale amministrativo della Lombardia – sezione staccata di **** ha respinto il ricorso, integrato da motivi aggiunti, proposto dalla medesima e da un’altra società, titolare anch’essa nel territorio comunale di numerose installazioni pubblicitarie nella cui gestione, a seguito di atto di acquisto, è subentrata l’appellante, avverso i seguenti atti: a) deliberazione consiliare n. 6 di data 14 gennaio 2021 con la quale è stato istituito il canone unico patrimoniale e approvato il regolamento per l’applicazione del canone stesso, con il relativo allegato A (Strade, spazi e altre aree pubbliche oggetto di occupazione); b) deliberazione consiliare n. 8 di data 14 gennaio 2021 con la quale sono state istituite le tariffe per l’applicazione del canone unico patrimoniale per l’anno 2021, ripartendo la materia negli allegati A (messaggi pubblicitari), B (occupazione di suolo permanente) e C (occupazione di suolo temporanea); c) ogni atto presupposto, connesso e/o consequenziale, ivi inclusi, ove occorra, gli atti e i provvedimenti applicativi con cui era richiesto in relazione a specifici impianti pubblicitari il pagamento del canone unico in applicazione del regolamento e delle tariffe come determinate, per l’anno 2021, nella deliberazione consiliare n. 8/2021 e nei relativi allegati (in particolare, l’avviso di scadenza del canone patrimoniale n. 1201/2021 del 19 marzo 2021, nonché la nota del responsabile del Settore SUE, SUAP e Attività Commerciali datata 28 giugno 2021).
  3. Il T.a.r. ha ritenuto infondate tutte le censure, a mezzo delle quali le ricorrenti contestavano sia il fondamento del potere esercitato dal Comune sia il contenuto delle singole previsioni, per la parte che incide sugli impianti pubblicitari.

3.1. In particolare, la sentenza di primo grado:

– ha, innanzitutto, ritenuto infondata la questione di legittimità costituzionale, in relazione all’art. 23 Cost., dell’art. 1, commi 816-835 della legge 160/2019 che ha accorpato nel canone unico patrimoniale varie prestazioni patrimoniali (Tosap, Cimp e Cosap), ritenendo, alla luce della richiamata giurisprudenza costituzionale, che l’entrata in questione non abbia natura tributaria per la possibile individuazione di un rapporto sinallagmatico, con conseguente natura corrispettiva, individuando il bene pubblico di cui viene autorizzato l’uso, nel caso di diffusione di messaggi pubblicitari, nel “paesaggio urbano”;

– ha respinto tutte le censure sull’asserito contrasto tra regolamento e norme di legge, ritenendo non illegittimo né irragionevole ancorare il canone, oltre che alla superficie dell’impianto, anche ad altri elementi e coefficienti di maggiorazione individuati nel regolamento;

– ha altresì respinto come infondata la censura sul rischio di doppia imposizione per la mancata disciplina dell’ipotesi di tratti stradali di proprietà di altri enti attraversanti il territorio comunale e ha ritenuto legittima la determinazione del canone dovuto per impianti posti su suolo privato.

  1. L’appello, affidato a cinque motivi di censura, deduce l’erroneità della sentenza, riproponendo sia la questione di legittimità costituzionale sia le doglianze formulate con i motivi di ricorso (ad eccezione di quelle formulate con il sesto motivo del ricorso e con i motivi aggiunti in relazione alla quantificazione del canone dovuto).

4.1. In particolare, l’appellante sostiene l’erroneità delle conclusioni cui è pervenuto il primo giudice, muovendo dal presupposto che il Cup abbia natura tributaria relativamente agli impianti pubblicitari e che, pertanto, l’assenza nella disciplina normativa di criteri o limiti idonei a delimitare l’ambito del potere discrezionale dell’ente locale nel regolamentare il canone unico e nel determinarne le relative tariffe ponga l’art. 1, comma 817, L. 160/2019, in combinato disposto con i commi 826 e 827 della medesima disposizione (che, nel prevedere la tariffa standard annuale e quella standard giornaliera, non precisano né parametri, né che si tratti di tariffa massima), in palese contrasto con l’art. 23 Costituzione che prevede la riserva relativa di legge per le prestazioni patrimoniali imposte.

4.2. Si è costituito il Comune di ****, depositando un’articolata memoria con cui ha insistito per il rigetto dell’appello, eccependone l’inammissibilità (sotto il profilo del difetto di interesse rispetto a varie censure) e l’infondatezza.

4.3. All’udienza pubblica del 5 marzo 2024, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

  1. L’appellante contesta l’iter argomentativo e le statuizioni della sentenza di prime cure, deducendo i seguenti motivi:

“I. Erroneità della sentenza appellata nella parte in cui respinge la questione di costituzionalità sollevata da parte ricorrente in primo grado per violazione degli artt. 822 c.c. e ss. e, in relazione al I motivo del ricorso di primo grado, per violazione dell’art. 1, commi 816, 817, 819, 820, 821, 825, 826, 827, della L. n. 160/2019, anche in combinato disposto con l’art. 52 del D. Lgs n. 446/1997 in ragione del fatto che il canone unico disciplinato dal regolamento del Comune di ****, in relazione agli artt. 1, 2, 11, 12, 17, 18, 19, 24, 25, 26, 27, 28, 29 e 30, sostanzia un prelievo di natura tributaria o, comunque, “imposto”, ed è adottato in violazione dell’art. 23 Costituzione ed, in ogni caso, in difetto dei presupposti e dei limiti al potere regolamentare di cui all’art. 52 del D. Lgs n. 446/1997;

  1. Erroneità della sentenza appellata nella parte in cui respinge la censura con cui si deduceva che il regolamento del Comune di ****, in violazione dell’art. 52 D.Lgs n. 446/1997, era intervenuto a regolamentare una entrata tributaria e, comunque, una prestazione “imposta” senza tener conto dei limiti a siffatta regolamentazione previsti dal citato art. 52.

III. Erroneità della sentenza appellata nella parte in cui respinge la censura con cui si deduceva la illegittimità del regolamento del Comune di **** per la violazione dell’art. 1, comma 825, della L. n. 160/2019 attraverso l’introduzione di coefficienti moltiplicatori della tariffa standard differenziati in base alla tipologia opaca o luminosa degli stessi ed al carattere ordinario o speciale delle località del 19 territorio comunale, per violazione dall’art. 12 delle disposizioni preliminari al codice civile, per violazione del principio di legalità e per eccesso di potere giurisdizionale;

  1. Erroneità della sentenza appellata nella parte in cui afferma il difetto di interesse e, comunque, il rigetto della censura formulata nel ricorso di primo grado con riferimento all’ambito di applicazione del canone unico patrimoniale, che, in mancanza di una precisa ricognizione delle strade comunali e di quelle statali, regionali e provinciali, è esteso anche a tratti stradali di proprietà altri enti pubblici, con il rischio di una doppia imposizione: violazione, con riguardo al II motivo del gravame di primo grado, dell’art. 1, commi 816 ed 818, della L. n. 160/2019, anche in combinato disposto con l’art. 2 del D. Lgs n. 285/1992, in relazione agli artt. 1, 2, 11, 24 e 26 del regolamento del Comune di ****;
  2. Erroneità della sentenza appellata nella parte in cui afferma l’infondatezza del motivo di primo grado secondo cui il regolamento è illegittimo perché non introduce un meccanismo di riduzione del canone per la diffusione del messaggio pubblicitario “su beni privati visibili da luogo pubblico o aperto al pubblico del territorio comunale” rispetto alla diversa fattispecie di diffusione dei messaggi pubblicitari mediante “impianti istallati su aree appartenenti al demanio o patrimonio indisponibile degli enti”: violazione, con riguardo al III motivo del gravame di primo grado, dell’art. 1, commi 819, 820, 821 lett. f) ed 834, della L. n. 160/2019 e del principio di ragionevolezza e di non manifesta ingiustizia in relazione agli artt. 1, 2, 11, 17, 18, 19, 24, 25, 26, 27, 28, 29 e 30 del regolamento del Comune di **** sul canone unico.”.
  3. L’appello è infondato.
  4. Con il primo motivo l’appellante è tornata a sostenere che il canone unico patrimoniale ex art. 1 comma 819, lett. b) della legge 160/2019 per la componente relativa alla diffusione di messaggi pubblicitari avrebbe natura tributaria o, comunque, di “prestazione patrimoniale imposta” ai sensi dell’art. 23 della Costituzione, in quanto: a) mancherebbe un rapporto sinallagmatico tra soggetto obbligato ed ente impositore (il Comune), non sussistendo alcuna correlazione tra l’entrata patrimoniale e la concessione di un bene pubblico o l’erogazione di un pubblico servizio a favore del contribuente; b) nel presupposto di imposta sarebbe, invece, ravvisabile un collegamento tra prestazione imposta e partecipazione alla spesa pubblica, mentre solo in minor misura il prelievo fiscale avrebbe funzione compensativa per l’impatto degli impianti pubblicitari; c) vi sarebbe sostanziale continuità con il canone per l’installazione dei mezzi pubblicitari (CIMP) di cui all’art. 62 del D.Lgvo n. 446/1997, che aveva natura tributaria (v. Corte Cost. 8 maggio 2009 n. 141 e 21 gennaio 2010, n. 18).

7.1. Non diversamente da quest’ultima fattispecie, anche nel canone unico patrimoniale prevarrebbero, dunque, l’elemento dell’imposizione legale e i profili autoritativi nella regolamentazione delle prestazioni, essendo il corrispettivo fissato unilateralmente dall’ente pubblico, mentre il privato può sottrarvisi solo rinunciando alla controprestazione.

7.2. Avrebbe, quindi, errato il primo giudice nel ritenere che – alla luce dei criteri che, secondo la giurisprudenza costituzionale, (v. Corte Cost. 14 dicembre 2017 n. 269, punto 9.1) congiuntamente individuano una fattispecie tributaria (ovvero: (i) una decurtazione patrimoniale a carico di un soggetto passivo dotato di uno specifico indice di capacità contributiva; (ii) l’assenza di un rapporto sinallagmatico idoneo a giustificare la decurtazione patrimoniale; (iii) la destinazione della decurtazione patrimoniale al finanziamento di pubbliche spese) – il canone unico quanto alla componente per la diffusione di messaggi pubblicitari abbia natura di corrispettivo per l’utilizzo di un bene pubblico.

7.2.1. Nello specifico, il “paesaggio urbano”, individuato dal Tribunale come “bene immateriale” la cui fruizione configurerebbe un rapporto sinallagmatico rendendo dovuto il pagamento di un corrispettivo da chi viene autorizzato a farne un particolare uso, non rientrerebbe nel concetto di bene pubblico ai sensi degli artt. 822 e ss. c.c. (in particolare, in base a quanto previsto dagli artt. 824 c.c. e 826 c.c.), secondo l’elencazione tassativa contenuta in dette norme.

7.2.2. Specialmente nel caso in esame, in cui il canone può variare a seconda della zona in cui l’impianto è collocato e alle sue caratteristiche, non residuerebbero dubbi sulla natura di prestazione imposta, che prescinde dalla fruizione di un bene pubblico.

Infatti, il regolamento del Comune di ****, nell’introdurre, rispetto al criterio di calcolo del canone di cui al comma 825, fondato sulla superficie dell’impianto di diffusione del messaggio, altri coefficienti di moltiplicazione per l’aumento delle tariffe e del canone correlati alle caratteristiche delle zone del territorio comunale su cui insistono gli impianti (art. 26, commi 1, 2, 3, 4 e 5 del regolamento), alla classificazione presente nel piano generale degli impianti (art. 26, comma 6), all’impatto ambientale, luminoso ed acustico dell’impianto (art. 26, comma 6, del regolamento) e ad altre connotazioni peculiari degli impianti (artt. 27, 28, 29 e 30), accentuerebbe il carattere pubblicistico del suddetto prelievo, ancorandolo ad elementi estranei alla corrispettività tra pagamento da parte del privato e prestazione resa dall’ente pubblico.

7.3. Pertanto, il canone dovuto per la diffusione dei messaggi pubblicitari di cui al comma 819 lett. b), cit., specie per come disciplinato dal Comune di ****, presenterebbe i tratti che, alla luce della giurisprudenza costituzionale, consentono di qualificarlo come tributo o, comunque, come prestazione patrimoniale imposta ai sensi dell’art. 23 della Costituzione.

7.4. Su queste basi, l’appellante ha riproposto la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 817, 826 e 827, L. n. 160/2019, per contrasto con l’art. 23 della Costituzione, esponendola sostanzialmente nei seguenti termini: nella normativa sul canone unico difetterebbero criteri o limiti, di natura oggettiva e tecnica, idonei a vincolare a parametri determinati il potere amministrativo discrezionale degli enti impositori tanto nella regolamentazione del prelievo fiscale quanto nella relativa determinazione delle tariffe; ciò in quanto se il comma 817 prevede che “il canone è disciplinato dagli enti in modo da assicurare un gettito pari a quello conseguito dai canoni e dai tributi sostituiti dal canone”, la sua seconda parte fa invece “salva, in ogni caso, la possibilità di variare il gettito attraverso la modifica delle tariffe”.

7.5. Il motivo è infondato.

7.6. La disciplina che regolamenta il canone unico patrimoniale è contenuta nell’articolo 1, commi 816-847, della legge n. 160/2019 (recante “Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2020 e bilancio pluriennale per il triennio 2020-2022”).

L’art. 1, comma 819, della L. n. 160/2019 prevede, per quanto di interesse, alla lett. b), che presupposto del prelievo di cui al comma 816 citato è “la diffusione di messaggi pubblicitari, anche abusiva, mediante impianti installati su aree appartenenti al demanio o al patrimonio indisponibile degli enti, su beni privati laddove siano visibili da luogo pubblico o aperto al pubblico del territorio comunale, ovvero all’esterno di veicoli adibiti a uso pubblico o a uso privato”.

7.6.1. In virtù di tale disciplina sono state accorpate nel canone unico patrimoniale una serie di prestazioni patrimoniali che avevano in precedenza distinte qualificazioni e regolamentazioni. In particolare, sono state ricondotte in un’unica fattispecie prestazioni che avevano natura tributaria (TOSAP, imposta comunale sulla pubblicità, CIMP) e prestazioni che avevano natura corrispettiva (COSAP, canone concessorio non ricognitorio stradale, ulteriori canoni ricognitori o concessori).

In particolare, ai sensi dell’art.1, comma 816, della L. 160/2019 “a decorrere dal 2021 il canone patrimoniale di concessione, autorizzazione o esposizione pubblicitaria, ai fini di cui al presente comma e ai commi da 817 a 836, denominato « canone», è istituito dai comuni, dalle province e dalle città metropolitane, di seguito denominati « enti», e sostituisce: la tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche, il canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche, l’imposta comunale sulla pubblicità e il diritto sulle pubbliche affissioni, il canone per l’installazione dei mezzi pubblicitari e il canone di cui all’articolo 27, commi 7 e 8, del codice della strada, di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, limitatamente alle strade di pertinenza dei comuni e delle province”.

7.6.2. La finalità di interesse pubblico perseguita dal legislatore è, da un lato, quella di semplificare, rendendolo al contempo più trasparente, l’accesso dei privati a beni che non hanno un sostituto di mercato ma sono necessari per lo svolgimento di attività imprenditoriali, dall’altro, quello di razionalizzare le entrate patrimoniali degli enti pubblici attraverso un sistema ordinato e non discriminatorio di tariffe, basato sulla misura dell’utilizzazione individuale.

7.7. Tanto premesso, deve osservarsi che le considerazioni dell’appellante si inseriscono nell’ampio dibattito circa la qualificabilità del ‘Canone Unico’ ex l. 160/2019 come ‘tributo’ ovvero come ‘entrata patrimoniale’: trattasi di questione che può essere qui affrontata ai soli fini della delibazione sulla legittimità degli atti amministrativi impugnati e, quindi, nei limiti di una decisione incidentale resa ex art. 8 cod. proc. amm., senza il vincolo del giudicato.

7.8. Il primo giudice è pervenuto alla conclusione che il prelievo di cui al canone unico nel caso della diffusione di messaggi pubblicitari configuri un rapporto sinallagmatico e abbia natura di corrispettivo dovuto per l’utilizzo di un bene pubblico immateriale identificabile con il paesaggio urbano.

7.8.1. In particolare, sebbene non vi sia una codificazione esplicita della fissazione di un corrispettivo per l’utilizzazione in via esclusiva di “porzioni dello scenario urbano” per l’attività pubblicitaria, secondo il giudice di prime cure il canone unico costituirebbe una entrata patrimoniale non avente natura tributaria, totalmente svincolata dagli indici di capacità contributiva degli utilizzatori, essendo presupposto della decurtazione patrimoniale la mera visibilità degli impianti pubblicitari da luoghi pubblici o aperti al pubblico (art. 1 comma 819, lett. b) della legge 160/2019), in cui è insita la modifica del paesaggio urbano; dal che la rilevanza della superficie complessiva dell’impianto, quale parametro di legge per la quantificazione del dovuto, indipendentemente dal tipo e dal numero dei messaggi pubblicitari (art. 1 comma 825 della legge 160/2019, cit.).

7.8.2. Il canone unico patrimoniale costituirebbe, dunque, corrispettivo dovuto da determinati soggetti, autorizzati all’utilizzo per finalità commerciali – cui corrisponde la parziale perdita della fruizione collettiva- dello spazio in cui vengono diffusi i messaggi pubblicitari, qualificabile, alla pari del suolo su cui vengono installati gli impianti pubblicitari, come bene comune nella disponibilità dell’ente pubblico.

7.8.3. Dalla natura di corrispettivo – rispetto al quale la discrezionalità degli enti locali si esercita nei più ampi confini dell’autonomia finanziaria di cui all’art. 119 della Costituzione, estesa alle voci di entrata non tributarie – il T.a.r. ha desunto la mancanza delle condizioni per sollevare la questione di legittimità costituzionale prospettata dalle ricorrenti.

7.9. Orbene, il Collegio ritiene che, quand’anche si dovesse propendere per la natura tributaria del ‘canone unico’, in linea di continuità con quanto affermato dalla giurisprudenza costituzionale per il CIMP (si veda Corte Costituzionale, 2010, n. 18), non emergerebbero comunque, allo stato, elementi per sollevare la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 817, 826 e 827, L. n. 160/2019, per contrasto con l’art. 23 della Costituzione.

7.9.1. Infatti, non è violato il vincolo della determinatezza della disposizione tributaria (art. 23 Cost.), anche perché la riserva di legge ex art. 23 Cost. è solo relativa e il legislatore può riservare in modo legittimo ai comuni ambiti di integrazione del precetto tributario.

7.9.2. L’articolo 1 comma 817 della legge n. 160/2019 delinea il principio di tendenziale invarianza del gettito secondo cui il canone unico patrimoniale “è disciplinato dagli enti in modo da assicurare un gettito pari a quello conseguito dai canoni e dai tributi che sono sostituiti dal canone …”.

7.9.3. La normativa in esame impone, dunque, ai comuni, alle province e alle città metropolitane di disciplinare il canone in parola in modo da assicurare un gettito pari a quello conseguito dai canoni e dai tributi che sono sostituiti dal canone stesso, fatta salva, in ogni caso, la possibilità di variare il gettito attraverso la modifica del valore della tariffa-base indicata dal Legislatore statale all’interno del comma 826 dell’art. 1 della L. n. 160 del 2019.

7.9.4. Il gettito derivante dal CUP comprende il gettito derivante dalle complessive entrate tributarie e corrispettive che il canone è andato a sostituire ed esso non può essere variato in aumento rispetto al precedente gettito così individuato (comma 817).

In particolare, il limite dell’invarianza finanziaria deve essere rapportato all’intero cumulo dei canoni e/o tributi sostituiti dal CUP e anche all’intero gettito rappresentato da tutte le esposizioni pubblicitarie effettuate nel comune, sia su suolo pubblico, che su suolo privato, con mezzi di proprietà dell’amministrazione ovvero con mezzi pubblicitari di proprietà delle singole società.

7.9.5. Il legislatore ha, quindi, delimitato il potere dei Comuni nel senso di ritenere l’invarianza in aumento del gettito quale limite alle determinazioni comunali, sicché l’ente ha il potere di disciplinare le tariffe del CUP senza, tuttavia, poter superare la soglia predefinita del gettito.

7.9.6. Così interpretata la disciplina sono, quindi, infondati i sospetti di incostituzionalità della norma, per violazione dell’art. 23 Cost., sollevati da parte appellante, avendo il legislatore delimitato il potere di determinazione in aumento del canone da parte dei Comuni: infatti, in forza del criterio dell’invarianza, posto dal comma 817, è fissato dal legislatore nazionale un tetto massimo, che la discrezionalità degli Enti non può superare, escludendosi perciò una violazione dell’art. 23 Cost.

Infatti, il legislatore statale ha attribuito agli Enti territoriali il potere di disciplinare il canone unico patrimoniale in modo da garantire l’invarianza di gettito anche eventualmente attraverso la modifica delle tariffe, così operando un bilanciamento tra la necessità di predeterminazione statuale della tariffa base, al fine di garantire il rispetto della riserva di legge di cui all’art. 23 della Costituzione, e l’esigenza di tutelare l’autonomia finanziaria dei singoli Enti territoriali riconosciuta dagli artt. 117, 118 e 119 della Costituzione.

7.9.7. Non conduce, pertanto, ad opposte conclusioni neanche la previsione che fa “salva, in ogni caso, la possibilità di variare il gettito attraverso la modifica delle tariffe”: tale previsione, da un lato, opera nel rispetto di quanto previsto dalla disciplina normativa sulla c.d. invarianza del gettito, dall’altro non comporta violazione del vincolo della determinatezza della fattispecie tributaria e della riserva di legge in materia né si sottrae al principio di ragionevolezza, per quanto si dirà sul legittimo esercizio della potestà regolamentare nell’esame dei successivi motivi.

7.9.8. Nel caso di specie non vi è alcuna prova – ed anzi può escludersi – che il Comune abbia impiegato in maniera illegittima la discrezionalità amministrativa conferitagli dal comma 817 della legge n. 160/2019, violando nella determinazione del CUP e delle relative tariffe la soglia del gettito conseguito dalle entrate che sono state sostituite dal canone unico patrimoniale.

7.9.9. Per le ragioni esposte, la questione di legittimità costituzionale, nei termini prospettati dall’appellante, è manifestamente infondata.

  1. Per le stesse ragioni è infondato il secondo motivo di appello.

8.1. Con tale mezzo l’appellante contesta le statuizioni della sentenza (punto 16) che hanno respinto la censura di violazione dell’art. 52 del D.Lgs n. 446/1997 il quale sottrae alla potestà regolamentare dei Comuni “l’individuazione e definizione delle fattispecie imponibili”, dei “soggetti passivi” e “dell’aliquota massima dei singoli tributi”.

8.1.2. Secondo l’appellante avrebbe errato il primo giudice nel respingere la censura in quanto, avendo il canone unico natura tributaria o, comunque, di prestazione patrimoniale “imposta”, il Comune avrebbe dovuto esercitare il potere regolamentare nel rispetto dei limiti indicati dalla norma.

8.1.3. Invece, la disciplina contenuta nel regolamento integrerebbe in più punti la fattispecie imponibile, e precisamente dove prevede che, partendo da una tariffa standard, il canone unico patrimoniale sia determinato applicando coefficienti moltiplicatori scelti dalla giunta in relazione a varie classi di superficie degli impianti pubblicitari e alla tipologia opaca o luminosa degli stessi (art. 25 comma 3), e sia ulteriormente differenziato tramite altri coefficienti a seconda del carattere ordinario o speciale delle località del territorio comunale, e tenendo conto del piano generale degli impianti e dell’impatto ambientale, luminoso e acustico (art. 26 commi 1, 2, 3, 4, 5, 6). Parimenti integrative della fattispecie imponibile sarebbero le disposizioni che regolano la scelta da parte della giunta dei coefficienti applicabili alle varie forme di pubblicità, da quella definita ordinaria a quella con veicoli o con pannelli luminosi, fino alle fattispecie residuali come la pubblicità tramite striscioni, aeromobili, palloni frenati, distribuzione a mano, amplificatori (art. 27, 28, 29, 30).

8.2. Il potere regolamentare esercitato dal Comune sarebbe, dunque, illegittimo per violazione dell’art. 52 D.Lgs n. 446/1997 perché, da un lato, avrebbe individuato nuove “fattispecie imponibili”, dall’altro avrebbe determinato, attraverso detti coefficienti di moltiplicazione della tariffa standard, l’“aliquota massima dei singoli tributi”.

8.2.1. D’altro canto, la natura tributaria e, comunque, di prestazione “imposta” del canone unico per la diffusione dei messaggi pubblicitari di cui al comma 819 lett. b) L. n. 160/2019 imponeva che, ai sensi dell’art.13, comma 13 bis del d.l. n. 201/2011, convertito in l. n. 214/2011 e dell’art. 15-bis del d.l. n. 34/2019, convertito in l. n. 58/2019, il regolamento e la relativa delibera di approvazione fossero trasmessi al Ministero dell’Economia e delle Finanze per la pubblicazione nell’apposita sezione del portale del Federalismo fiscale, mentre il Comune, assumendo erroneamente la natura patrimoniale del canone, ha ritenuto di essere esonerato da detto adempimento.

8.3. Ritiene, invece, il Collegio che anche tali doglianze debbano essere respinte, per l’assorbente considerazione per cui non è qui violato il limite di cui all’art. 52, comma 1, del D.lgs. 446/1997 in relazione al divieto per gli enti locali nel “disciplinare con regolamento le proprie entrate, anche tributarie” di stabilire in modo autonomo fattispecie imponibili, soggetti passivi e aliquota massima dei singoli tributi.

8.4. A prescindere dalla natura del canone unico, considerato che il legislatore può riservare in modo legittimo ai comuni ambiti di integrazione del precetto tributario, nel caso di specie l’ente locale non ha esercitato in modo illegittimo la propria discrezionalità nella gestione di entrate che presuppongono una precisa rilevazione delle caratteristiche dei beni pubblici a livello locale.

8.5. Infatti, come più approfonditamente si illustrerà nell’esame del seguente mezzo, il Comune di **** non ha individuato nuove “fattispecie imponibili”, né ha determinato, attraverso detti coefficienti di moltiplicazione della tariffa standard, l’“aliquota massima dei singoli tributi”, ma ha soltanto esercitato la potestà regolamentare, nei limiti previsti dalla legge.

8.6. Il principio di “invarianza del gettito” è accompagnato dalla previsione di un potere di modifica delle tariffe (art. 1, comma 817, 826 e 827 della L. n. 160/2019).

8.7. Il legislatore ha così operato un bilanciamento tra la necessità di predeterminazione statuale della tariffa base, al fine di garantire il rispetto della riserva di legge di cui all’art. 23 della Costituzione e l’esigenza di tutelare l’autonomia finanziaria dei singoli Enti territoriali riconosciuta dagli artt. 117,118 e 119 della Costituzione. Ciò si declina, in concreto, nell’introduzione di coefficienti da applicare al presupposto dell’obbligazione fissato dalla legge, che per il canone per l’esposizione pubblicitaria consiste nella superficie complessiva del mezzo pubblicitario.

8.7.1. L’applicazione dei coefficienti è legittima laddove risponda a criteri di ragionevolezza, consentendo di diversificare situazioni tra loro oggettivamente diverse per tipologia della strada, di pubblicità (opaca o luminosa) e durata, assicurando un maggior gettito dove il messaggio pubblicitario viene maggiormente recepito, in coerenza con il potere attributo agli enti locali di introdurre esenzioni, o riduzioni del canone, ai sensi dell’art. 1, comma 821, lett. f), della L. n. 160/2019, e risulta conforme al principio di autonomia finanziaria delle entrate degli Enti Locali ex art. 119 Cost.

8.8. Ne consegue che i coefficienti moltiplicatori non incidono sul presupposto dell’obbligazione di diritto pubblico, né sulla “base imponibile”.

8.9. Nel caso di specie non risulta, inoltre, provato che il Comune di **** non abbia rispettato il criterio dell’invarianza del gettito o che non lo abbia applicato secondo il canone della ragionevolezza, mantenendo, all’istituzione del canone unico, il precedente livello della pressione impositiva derivante dai canoni e dai tributi sostituiti.

  1. Con il terzo motivo l’appellante critica la sentenza nella parte in cui ha respinto la censura di contrasto del regolamento comunale con l’art. 1, comma 825, della L. n. 160/2019 a causa della introduzione di coefficienti moltiplicatori della tariffa standard differenziati in base alla tipologia – opaca o luminosa – degli stessi ed al carattere, ordinario o speciale, delle località del territorio comunale (punti 17 e 18 della motivazione).

9.1. Con lo stesso mezzo si contesta altresì la decisione nella parte in cui ha escluso che integrasse violazione della legge 160/2019 il fatto che sia stata data indicazione alla Giunta di tenere conto del piano generale degli impianti, dell’impatto ambientale, luminoso e acustico, nonché delle differenze tra le varie forme pubblicità (ordinaria, oppure con veicoli, pannelli luminosi, striscioni, aeromobili, palloni frenati, distribuzione a mano, amplificatori).

9.2. Secondo l’appellante il giudice di prime cure avrebbe respinto le censure con argomentazioni fallaci e non condivisibili.

9.3. L’unico criterio previsto dalla legge (art. 1, comma 825, della L. n. 160/2019) per la determinazione del canone dovuto per la diffusione di messaggi pubblicitari di cui al comma 819, lettera b) sarebbe quello fondato sulla “superficie complessiva del mezzo pubblicitario, calcolata in metri quadrati, indipendentemente dal tipo e dal numero dei messaggi”.

9.3.1. Ad opposte conclusioni non condurrebbero i commi 817 (che prevede “la possibilità di variare il gettito attraverso la modifica delle tariffe”) e 821, lett. b) dell’art. 1 della legge 160 del 2019 (che rimette al regolamento l’individuazione degli impianti pubblicitari autorizzabili e di quelli vietati, nonché il numero massimo degli impianti autorizzabili per tipologia e superficie).

9.3.2. In particolare, l’art. 1 comma 817 della legge 160/2019 consentirebbe la diversificazione delle tariffe solo in relazione alla superficie complessiva dell’impianto pubblicitario e non anche a coefficienti moltiplicatori estranei al parametro delineato dal citato art. 825, quali la tipologia e la collocazione dell’impianto medesimo.

D’altro canto, “il potere di negare o concedere l’autorizzazione”, tipizzato dall’ordinamento, non implicherebbe anche quello “di stabilire le condizioni per l’autorizzazione stessa”, se non creando in via interpretativa un nuovo potere amministrativo, non espressamente attribuito da una norma di legge, incorrendo così nella violazione del principio di legalità e nell’eccesso di potere giurisdizionale.

Per l’effetto, anche i parametri di ulteriore dettaglio stabiliti dalla Giunta sarebbero viziati in via derivata dall’illegittimità dei parametri fissati nel regolamento.

9.4. Le censure sono infondate.

9.5. Non è illegittimo né irragionevole ancorare il canone unico e la relativa determinazione delle tariffe, oltre che alla superficie dell’impianto pubblicitario (art. 25, comma 1, del regolamento), secondo quanto prescritto dal comma 825 dell’art. 1 della L. n. 160/2019, a elementi e coefficienti di maggiorazione (nella specie, quelli individuati negli artt. 25, comma 3, 26, commi 1, 2, 3, 4, 5 e 6, nonché negli artt. 27, 28, 29 e 30 del regolamento): si tratta, infatti, di un’entrata correlata a caratteristiche di beni a livello locale, che quindi possono ben essere diversi da ente a ente.

Deve, al riguardo, anche condividersi il ragionamento del primo giudice secondo cui il paesaggio urbano ha tutte le caratteristiche di un bene pubblico e, di conseguenza, anche la previsione di tariffe diversificate (art. 26 e ss reg.) è riconducibile alla diversa tipologia di impatto che gli impianti hanno sul paesaggio stesso.

9.5.1. Pertanto, correttamente il primo giudice non ha intravisto alcuno stravolgimento delle previsioni di legge nel fatto che il Comune, nell’esercizio della potestà regolamentare, abbia introdotto coefficienti moltiplicatori della tariffa standard differenziati in base alla superficie degli impianti pubblicitari, alla tipologia opaca o luminosa degli stessi e al carattere ordinario o speciale delle località del territorio comunale.

9.6. Del pari, non integra alcuna violazione della legge 160/2019 il fatto che sia stata data indicazione alla Giunta di tenere conto del piano generale degli impianti, dell’impatto ambientale, luminoso e acustico, nonché delle differenze tra le varie forme pubblicità sopra indicate.

9.7. Correttamente la sentenza appellata ha interpretato l’art. 1 comma 825 della legge 160/2019 – che associa la determinazione del canone alla superficie complessiva dell’impianto pubblicitario – secondo una lettura coordinata con l’art. 1 comma 817 della legge 160/2019, che, dopo aver fissato il vincolo della parità di gettito rispetto ai canoni e ai tributi sostituiti, prevede la possibilità di variare il gettito attraverso la modifica delle tariffe, e con l’art. 1 comma 821, lett. b) della legge 160/2019, che rimette al regolamento l’individuazione degli impianti pubblicitari autorizzabili e di quelli vietati, nonché il numero massimo degli impianti autorizzabili per tipologia e superficie.

9.7.1. Infatti, il giudice di prime cure ha compiutamente illustrato le ragioni per cui – benché la superficie complessiva dell’impianto pubblicitario sia riferimento imprescindibile per la base di calcolo – è necessariamente ammesso anche un contorno di parametri che, da un lato, tengano conto dell’impatto delle installazioni sul territorio, e, dall’altro, riflettano il maggiore o minore valore di mercato di una determinata postazione.

9.8. Si tratta, in sostanza, delle stesse ragioni già indicate da questo Consiglio di Stato (nel precedente di Sez. VII, 10 ottobre 2023, n. 8846), il quale si è già favorevolmente espresso in analoga fattispecie sulla legittimità di tale modalità di determinazione e applicazione del canone, escludendo che ciò integri violazione del comma 825 dell’art. 1 della legge n. 160 del 2019, con orientamento che il Collegio condivide e al quale intende dare continuità.

9.8.1. Sebbene per legge il canone unico per la diffusione di messaggi pubblicitari di cui al comma 819, lettera b) sia determinato “in base alla superficie complessiva del mezzo pubblicitario, calcolata in metri quadrati, indipendentemente dal tipo e dal numero dei messaggi”, ciò non osta a una differenziazione sulla base della tipologia di impianto o della zona.

9.8.2. È stato, infatti, chiarito dalla richiamata decisione come, in base a quanto si evince dal testo letterale dell’art. 1 comma 825 della legge n. 160 del 2019, non incidono sulla determinazione del canone il tipo ed il numero dei messaggi, con la conseguenza che possono essere, invece, utilizzati i diversi parametri della tipologia d’impianto e della zona nella determinazione della tariffa in base alla superficie, essendo tale differenziazione coerente alle “esigenze del mercato che apprezzano diversamente un impianto illuminato da uno che non lo è come una zona frequentata da turisti da una zona che ne è priva” (Cons. Stato, n. 8846/2023 cit.).

9.8.3. Invero, la norma di legge, quando vieta differenze del canone in base al tipo e numero, si riferisce esclusivamente al messaggio pubblicitario, non al tipo di impianto pubblicitario.

9.8.4. È, quindi, legittima la previsione di una differenziazione del canone unico pubblicitario in relazione alla tipologia di impianto e alla sua ubicazione, in quanto ciò consente legittimamente di commisurare il cup al complesso di elementi che – oltre alla superficie dell’impianto – determinano la visibilità del messaggio che vi è contenuto.

9.9. Né vi è poi prova alcuna che la previsione di coefficienti e correttivi delle tariffe che tengano conto della tipologia dell’impianto pubblicitario e della zona in cui esso è installato abbia comportato una illegittima maggiorazione del canone per gli impianti pubblicitari in violazione della previsione del comma 819 lettera b): si tratta, invero, di affermazione apodittica che, oltre ad essere rimasta priva di un concreto supporto probatorio (non avendo l’appellante allegato evidenze idonee ad attestare la variazione del gettito per il Comune di ****), è smentita dalle risultanze di causa.

Infatti, il raffronto tra le tariffe del canone unico per messaggi pubblicitari con quelle dei precedenti canoni e tributi (ICP, canone unico per le occupazioni del suolo pubblico e COSAP) dimostra la sostanziale invarianza delle tariffe (si veda quanto riportato nel “considerato” della deliberazione consiliare n. 8/2021 laddove “si riscontra che gran parte delle tariffe assumono valore simili alle fattispecie tariffarie in vigore fino al 31.12.2020, con lievi oscillazioni dovute alla rideterminazione dei coefficienti”).

9.9.1. I parametri di ulteriore dettaglio rientrano nel metodo di calcolo matematico della tariffa, e come tali non sono sottoposti al vincolo della riserva relativa di legge (v. Corte Cost. 2 febbraio 2023 n. 11, punto 5).

9.9.2. In definitiva, il Comune non ha violato i limiti della l. 160/2019 laddove ha introdotto specifici coefficienti moltiplicatori della tariffa standard (ad esempio in relazione all’ubicazione dell’impianto o alle sue caratteristiche): infatti, è la stessa legge 160/2019 che invita gli enti locali a operare secondo quelli che sono in effetti i normali canoni di corretto esercizio della discrezionalità, ossia la tutela delle località più fragili e meno adatte all’affollamento degli impianti pubblicitari, e l’applicazione di tariffe più elevate alle postazioni di maggiore interesse economico in rapporto alle diverse tipologie di impianti.

  1. Con il quarto motivo l’appellante deduce l’erroneità della sentenza (punti 19 e 20 della decisione) nella parte in cui ha respinto la censura di violazione dell’art. 1 comma 818 della legge 160/2019, il quale dispone che sono compresi nelle aree comunali, e quindi nel canone unico patrimoniale spettante ai Comuni, “i tratti di strada situati all’interno di centri abitati con popolazione superiore a 10.000 abitanti, individuabili a norma dell’articolo 2, comma 7, del codice della strada”.

10.1. Secondo l’appellante, in mancanza di una precisa ricognizione delle strade comunali e di quelle statali, regionali e provinciali, il regolamento impugnato, utilizzando il generico criterio della visibilità degli impianti pubblicitari dal territorio comunale (art. 11 comma 1), estenderebbe l’applicazione del canone unico patrimoniale anche a tratti stradali esterni al centro abitato proprietà di altri enti pubblici, con il rischio di una doppia imposizione.

10.2. La sentenza appellata, oltre ad aver errato nel prendere “atto del difetto di interesse” alla censura (sia perché le ricorrenti non possiederebbero impianti pubblicitari su strade provinciali, sia perché il territorio comunale non sarebbe attraversato da strade statali o regionali) – così dimenticando che è impugnato il regolamento comunale, cioè un atto normativo generale e astratto, e che, inoltre, la seconda ragione di inammissibilità sarebbe smentita in via di fatto (data la presenza nel territorio comunale di una strada statale) – avrebbe anche errato nel ritenere infondata la doglianza.

10.3. Il potere regolamentare ai sensi dell’art. 52 D. Lvo n. 446/1997 non sarebbe stato, infatti, esercitato entro i limiti di legge, non essendo sufficiente, al fine di evitare la duplicazione dei canoni con violazione dell’art. 1, comma 820, della L. n. 160/2029, il mero richiamo nel regolamento impugnato al contenuto del comma 818.

10.4. Sarebbe stata, invece, necessaria già in sede regolamentare una specifica istruttoria da parte del Comune appellato per individuare le strade che, pur attraversando il territorio comunale, si pongono, anche per taluni tratti, “fuori del centro abitato” (per le quali, dunque, non può operare la fictio iuris dell’appartenenza alle strade comunali di quei tratti che attraversano i “centri abitati di comuni con popolazione superiore a 10.000 abitanti”, prevista dalla norma richiamata), sì da tenere distinti gli impianti pubblicitari che, essendo visibili solo dai tratti stradali di proprietà statale, regionale e provinciale esterni al centro abitato, non possono essere assoggettati al potere regolamentare del Comune in materia di canone unico, essendo la relativa regolamentazione in tal caso riservata agli enti proprietari delle strade.

Nello specifico, rammenta l’appellante, l’imposizione di un canone unico sarà di competenza della Provincia per i tratti delle strade provinciali interni a centro abitato inferiore a 10.000 abitanti, ai sensi del comma 818 L. n. 160/2019 in combinato disposto con il comma 7 dell’art. 2 del D. Lgs n. 285/92, nonché per le strade provinciali fuori dal centro abitato, mentre per le strade statali e regionali che non rientrino nella fattispecie di cui al numero 2, l’imposizione del canone spetta agli enti proprietari secondo la normativa già regolante quelle fattispecie che, ai sensi dell’art. 1, comma 816, della L. n. 160/2019, non è stata modificata da tale sopravvenuta normativa disciplinante il canone unico.

10.5. Il primo giudice, al pari dell’ente appellato, sarebbe dunque incorso nella violazione dell’art. 1, commi 816, 818, 819 ed 821 dell’art. 1 della L. n. 160/2019, anche in combinato disposto con l’art. 52 D.Lgs n. 446/1997 e con l’art. 2 del D.lgs n. 285/1992.

10.6. Anche tale motivo è infondato.

10.7. Secondo l’art. 1, comma 818, della L. n. 160/2019 “nelle aree comunali si comprendono i tratti di strada situati all’interno di centri abitati di comuni con popolazione superiore a 10.000 abitanti, individuabili a norma dell’articolo 2, comma 7, del codice della strada, di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285”.

10.8. Tanto premesso, deve evidenziarsi che nessuna norma impone al Comune di individuare in sede regolamentare le strade poste al di fuori del centro abitato in cui il canone non va applicato: la classificazione e l’elencazione delle strade nelle quali è ammessa la pubblicità sono già contenute nel Piano generale degli impianti pubblicitari, che contiene anche la perimetrazione del centro abitato, piano che il regolamento del canone unico deve tenere in considerazione, ai sensi dell’art. 1, comma 821, lett. c), della L. n. 160/2019, come ha infatti previsto l’art. 14 del Regolamento sul canone unico del Comune di ****.

10.9. Ciò posto il regolamento impugnato si limita legittimamente a disciplinare la pubblicità visibile sulle strade poste all’interno del territorio comunale.

Infatti, il regolamento interessa unicamente le fattispecie rispetto alle quali il Comune di ****, sulla base della legge, è soggetto attivo del rapporto obbligatorio, dovendo rammentarsi che il canone sulla pubblicità va applicato su tutte le strade che attraversano il territorio comunale, al pari di quanto accadeva con la precedente ICP (in conformità al principio di invarianza del gettito).

In dettaglio, l’art. 2 del Regolamento prevede inequivocabilmente che: “1. Il canone è dovuto al Comune di **** per le fattispecie che costituiscono presupposto di legge realizzate nel territorio comunale. Ai fini dell’applicazione tariffaria del canone, si considera la popolazione residente al 31 dicembre del penultimo anno precedente a quello in corso, quale risulta dai dati pubblicati annualmente dall’Istituto nazionale di statistica. 2. Ai sensi del comma 818 del citato articolo 1, nelle aree comunali si comprendono i tratti di strada situati all’interno di centri abitati di comuni con popolazione superiore a 10.000 abitanti, individuabili a norma dell’articolo 2, comma 7, del codice della strada, di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285”.

Il fatto che il regolamento impugnato (art. 2, comma 2) riproduca il contenuto dell’art. 1 comma 818 della legge 160/2019 consente di ritenere che l’ambito di applicazione è esattamente circoscritto alle strade qualificate come comunali dal codice della strada, sicché l’esercizio del potere regolatorio non ha in concreto travalicato i limiti di legge.

Come correttamente rilevato dal primo giudice, è possibile che intervengano in futuro convenzioni o altre forme di interlocuzione con gli enti proprietari di strade non comunali per una gestione coordinata, o anche delegata, del canone, sul presupposto di una più precisa definizione dei tratti stradali di rispettiva competenza e della connessa visibilità degli impianti pubblicitari. Una specifica attività istruttoria sotto questo profilo sarà però necessaria solo nella fase applicativa del regolamento.

Pertanto, il Regolamento comunale non disciplina le fattispecie rispetto alle quali la Provincia è legittimata a richiedere il pagamento del canone unico, ma solo quelle realizzate nel territorio comunale, ricomprendendovi i tratti di strada situati all’interno di centri abitati di comuni.

Non sussiste di conseguenza, allo stato, il rischio di una doppia imposizione per non avere il regolamento comunale disciplinato le ipotesi di tratti stradali di proprietà di altri enti, attraversanti il territorio comunale. Quel che invece rileva in via assorbente è che il Comune non ha qui esteso la pretesa impositiva a fattispecie che non costituiscono presupposto di legge.

  1. Con il quinto motivo l’appellante contesta le statuizioni della sentenza di primo grado (punto 21, 22, 23), laddove ha ritenuto che non vi sia stata violazione alcuna riguardo alla determinazione del canone dovuto per gli impianti posti su suolo privato ed ha, inoltre, reputato irrilevante il fatto che il Comune abbia previsto la riduzione per tali impianti nella deliberazione di approvazione delle tariffe, anziché nel Regolamento approvato con la deliberazione consiliare n. 6/2021, istitutiva del canone unico.

11.1. Al riguardo l’appellante è tornata a sostenere che, poiché la componente del canone relativa alla diffusione di messaggi pubblicitari ha come presupposto la collocazione degli impianti sia su aree del demanio o del patrimonio indisponibile sia su aree private visibili da luoghi pubblici o aperti al pubblico (e nel primo caso l’art. 1 comma 820 della legge 160/2019 esclude l’applicazione del canone dovuto per le occupazioni delle aree appartenenti al demanio o al patrimonio indisponibile), sarebbe allora irragionevole la mancata previsione nel regolamento di un’analoga riduzione della tariffa standard per gli impianti installati su aree private.

11.2. Secondo l’appellante il potere di riduzione della tariffa previsto dall’art. 1 commi 821, lett. f) e 834 della legge 160/2019 dovrebbe, infatti, essere esercitato esclusivamente all’interno del regolamento previsto dall’art. 52 del D. Lgs n. 446/1997, di competenza del Consiglio Comunale, e non attraverso atti amministrativi generali (quale sarebbe l’atto di determinazione delle tariffe), e tantomeno con rinvio a deliberazioni della Giunta (v. art. 25 comma 3 del regolamento che rimette a quest’ultima la successiva regolamentazione sui coefficienti moltiplicatori in relazione “alla pubblicità insistente su suolo pubblico o privato”): solo il regolamento, atto normativo, potrebbe introdurre disposizioni innovative, come quelle, ai sensi dei citati commi 821 lett. f) e 834 dell’art. 1 L. n. 160/2019, recanti le “ulteriori” riduzioni del canone rispetto a quelle introdotte (ai sensi del comma 832 e dei commi da 816 a 847 dell’art. 1 L. n. 160/2019) dalla normativa primaria.

11.3. Anche tale motivo è infondato.

11.4. Non vi è stata infatti alcuna violazione della disciplina di cui alla legge n. 160 del 2019 per gli impianti posti su suolo privato, per i quali il Comune ha anche stabilito un canone inferiore (benché tale riduzione non sia neppure contemplata dalla normativa primaria), non rilevando il fatto che ciò sia avvenuto nella deliberazione di approvazione delle tariffe anziché nel regolamento istitutivo delle tariffe.

11.5. Pertanto, correttamente il primo giudice ha, innanzitutto, rilevato che l’argomentazione delle ricorrenti a sostegno della ragionevolezza di un trattamento più favorevole per gli impianti che non presuppongono l’occupazione di suolo pubblico è già stato implicitamente fatto proprio dal provvedimento di istituzione delle tariffe, che ha appunto stabilito un canone inferiore per gli impianti installati su aree private.

Infatti, è pacifico che una forma di riduzione sia stata prevista nel provvedimento di istituzione delle tariffe, e precisamente nell’allegato A (Messaggi pubblicitari) della deliberazione consiliare n. 8/2021, in quanto la tariffa standard è stata sottoposta a incrementi solo per gli impianti pubblicitari collocati su suolo pubblico, in base alla tipologia delle strade.

11.6. Il Comune non ha, dunque, violato i limiti della l. 160/2019 (in relazione all’imposizione relativa pure alle aree private), tenuto conto che tale disciplina non impedisce l’imposizione in relazione alle installazioni su aree private (peraltro, con tariffe più basse, in considerazione proprio del mancato utilizzo del suolo pubblico).

11.7. Quanto poi al riparto delle competenze anche a tale riguardo le statuizioni di prime cure non meritano le critiche appuntate.

11.8. In primo luogo, si osserva che l’adozione di due delibere consiliari è conforme all’art. 53, comma 16, della L. n. 388/2000, laddove prevede un termine annuale sia per deliberare le aliquote e le tariffe delle entrate locali, sia per l’approvazione dei connessi regolamenti.

Inoltre, a prescindere dalla natura regolamentare o amministrativa generale del provvedimento di approvazione delle tariffe, non può dubitarsi che anche il contenuto di quest’ultima deliberazione, nella sostanza, riguardi l’ordinamento del canone, per cui – indipendentemente dalla qualificazione del provvedimento – si tratta pur sempre di esercizio della potestà regolamentare.

Anche il provvedimento di approvazione delle tariffe del canone unico ha, infatti, natura sostanzialmente normativa, atteso che partecipa dei requisiti della generalità (in quanto suscettibile di essere applicato a un numero indeterminato di fattispecie), dell’astrattezza (in quanto i destinatari non sono individuabili, né a priori né a posteriori), della innovatività (in quanto introduce nell’ordinamento generale un quid novi che produce effetti stabili, non esaurendosi con la sua adozione).

Ad ogni modo, l’esigenza di classificare le singole disposizioni si pone solo una volta istituito il canone, quando occorre individuare il soggetto, tra Consiglio comunale e Giunta, competente all’approvazione della disciplina di dettaglio che definisce il flusso delle entrate.

11.9. Quanto alla dedotta violazione, ad opera dell’art. 25, comma 2, del Regolamento comunale, del riparto di competenze tra Consiglio e Giunta, si ritiene che, come statuito nella sentenza appellata, la stessa risulti invece conforme alle previsioni del D.Lgs. 267/2000, il cui articolo 48 riserva alla competenza residuale della Giunta tutto ciò che l’art. 42 non demanda espressamente al Consiglio comunale (si veda, in particolare, il criterio di riparto codificato con riguardo ai tributi e alle tariffe dall’art. 42 comma 2-f del Dlgs. 18 agosto 2000 n. 267 recante “ordinamento e disciplina generale al consiglio comunale, aliquote e coefficienti alla giunta”).

Su questa linea si colloca – legittimamente – il regolamento impugnato, che affida alla Giunta (artt. 24, 25, 26) la fissazione dei coefficienti correttivi della tariffa standard nel rispetto di criteri e limiti inderogabili. Dovrà poi verificarsi non in questa sede, ma in eventuali ricorsi avverso atti giuntali se in concreto un intervento sui coefficienti metta in discussione anche aspetti ordinamentali del canone.

  1. In conclusione, l’appello deve essere respinto.

Si ravvisano giusti motivi, in considerazione della particolarità e della relativa novità delle questioni, per compensare integralmente tra le parti le spese di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Settima), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Compensa interamente tra le parti costituite le spese di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 5 marzo 2024.


COMMENTO – La sentenza del Consiglio di Stato n. 5632 del 2024 interviene su una questione centrale relativa alla qualificazione del Canone Unico Patrimoniale (CUP), introdotto dall’art. 1, commi 816-835, della L. n. 160/2019, e applicato per la diffusione di messaggi pubblicitari. L’appellante, la società *** S.r.l., ha contestato la legittimità del regolamento adottato dal Comune di *** nel 2021, con il quale è stato istituito il CUP e fissate le tariffe per l’anno in corso. La contestazione si è concentrata in particolare sulla natura del CUP, sostenendo che esso debba essere qualificato come tributo, e sulla legittimità dei criteri di calcolo adottati dal Comune, che includono coefficienti moltiplicatori in relazione alla tipologia degli impianti e alla zona di collocazione.

La controversia trae origine dall’impugnazione di una serie di atti adottati dal Comune di *** con i quali è stato istituito il CUP e fissate le relative tariffe. La *** S.r.l., società attiva nella progettazione e commercializzazione di servizi pubblicitari, deteneva una serie di autorizzazioni pubblicitarie sul territorio comunale ed è stata destinataria di un avviso di pagamento del CUP in base al regolamento comunale. La società ha contestato la legittimità del regolamento, sostenendo che il CUP avesse natura tributaria e che il Comune avesse superato i limiti del potere regolamentare nel disciplinare un prelievo di tale natura.

Il TAR Lombardia ha respinto le censure mosse dalla società, confermando la legittimità del regolamento comunale. *** S.r.l. ha quindi proposto appello, riproponendo le medesime doglianze, con particolare riferimento alla presunta natura tributaria del CUP e all’asserita violazione dell’art. 23 della Costituzione.

Il nodo centrale della controversia riguarda la qualificazione giuridica del CUP. *** S.r.l. ha sostenuto che il CUP, nella componente relativa alla diffusione di messaggi pubblicitari, debba essere considerato un tributo, in quanto non sussisterebbe un rapporto sinallagmatico tra il soggetto obbligato e il Comune. In particolare, la società ha richiamato la giurisprudenza costituzionale sul Canone per l’Installazione dei Mezzi Pubblicitari (CIMP), già qualificato come tributo dalla Corte Costituzionale (sentenza n. 18/2010).

Secondo l’appellante, la mancanza di una controprestazione effettiva da parte del Comune farebbe sì che il CUP si configuri come un prelievo coattivo, soggetto alla riserva di legge di cui all’art. 23 Cost. Di conseguenza, la disciplina comunale del CUP, che prevede la possibilità di modificare le tariffe senza un esplicito vincolo legislativo, sarebbe incostituzionale.

Il Consiglio di Stato ha rigettato questa argomentazione, affermando che il CUP, per quanto riguarda la componente relativa alla diffusione di messaggi pubblicitari, ha natura di corrispettivo per l’uso di un bene pubblico immateriale, ovvero il “paesaggio urbano”. La sentenza ha richiamato la giurisprudenza costituzionale che distingue i tributi dai corrispettivi sulla base dell’esistenza o meno di un rapporto sinallagmatico. Nel caso del CUP, il rapporto si configura proprio nell’utilizzo esclusivo di una parte del paesaggio urbano per finalità pubblicitarie, con la conseguente perdita temporanea della fruizione collettiva di tale bene.

Un altro punto focale della controversia riguarda l’adozione, da parte del Comune di ***, di coefficienti moltiplicatori che differenziano l’importo del CUP in base alla tipologia dell’impianto pubblicitario (opaco o luminoso) e alla zona in cui è collocato. *** S.r.l. ha sostenuto che la L. n. 160/2019 stabilisce come unico criterio per il calcolo del CUP la superficie dell’impianto pubblicitario, e che l’introduzione di coefficienti moltiplicatori da parte del Comune sarebbe illegittima.

Il Consiglio di Stato ha respinto anche questa censura, affermando che l’adozione di criteri di calcolo diversificati è perfettamente legittima, purché rispetti il principio di invarianza del gettito stabilito dalla legge. In particolare, la sentenza ha sottolineato che il Comune, nell’esercizio della propria autonomia regolamentare, ha il potere di tenere conto di variabili come l’impatto ambientale e la collocazione geografica degli impianti pubblicitari, poiché tali fattori incidono sull’uso effettivo del bene pubblico. La giurisprudenza ha infatti chiarito che le differenziazioni basate su criteri ragionevoli, come la visibilità degli impianti o la loro luminosità, non violano il principio di legalità, ma anzi rispondono all’esigenza di garantire un trattamento equo in relazione all’effettivo valore del bene utilizzato.

Un ulteriore profilo di contestazione sollevato da *** S.r.l. riguarda il rischio di doppia imposizione. La società ha infatti sostenuto che il CUP venisse richiesto anche per impianti collocati su strade di proprietà di altri enti pubblici (ad esempio, strade provinciali o statali), in violazione dell’art. 1, comma 820, L. n. 160/2019. Secondo la ricorrente, il regolamento comunale avrebbe esteso illegittimamente l’ambito di applicazione del CUP a impianti situati su strade non comunali, dando luogo a un prelievo duplicato.

Anche su questo punto il Consiglio di Stato ha confermato la legittimità dell’operato del Comune, affermando che il regolamento si limita a disciplinare la pubblicità visibile dalle strade interne al territorio comunale. La previsione dell’art. 1, comma 818, L. n. 160/2019, secondo cui il CUP si applica anche ai tratti di strada all’interno di centri abitati con popolazione superiore a 10.000 abitanti, è stata interpretata nel senso che essa attribuisce ai Comuni la competenza esclusiva per la regolamentazione della pubblicità visibile da tali tratti, senza determinare un rischio di doppia imposizione.

La sentenza del Consiglio di Stato n. 5632/2024 offre un contributo significativo alla qualificazione giuridica del CUP ed ai limiti della discrezionalità regolamentare degli enti locali. Pur riconoscendo la possibilità per i Comuni di adottare criteri diversificati per il calcolo del CUP, la sentenza ribadisce che tali criteri devono essere applicati nel rispetto del principio di invarianza del gettito e del principio di ragionevolezza.

La natura del CUP, quando applicato alla diffusione di messaggi pubblicitari, si configura come corrispettivo per l’uso di un bene pubblico, con la conseguente esclusione della sua qualificazione come tributo.

Dott. Francesco Foglia