Cass. Civ. sez.II, ord. 20 giugno 2022, n. 19751
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BERTUZZI Mario – Presidente –
Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –
Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –
Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –
Dott. CAVALLARI Dario – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 7857/2018 R.G. proposto da:
D.F.G., rappresentato e difeso dall’Avv. …, ed elettivamente domiciliato all’indirizzo PEC del difensore iscritto nel REGINDE; – ricorrente –
contro
… – …, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. …, ed elettivamente domiciliata all’indirizzo PEC del difensore iscritto nel REGINDE; – controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Campobasso n. 319 depositata il 31 agosto 2017;
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13 gennaio 2022 dal Consigliere Milena Falaschi.
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
Ritenuto che:
– il Tribunale di Campobasso, con sentenza n. 75 del 2014, decidendo sull’opposizione proposta da D.F.G. avverso l’ordinanza ingiunzione n. 2 notificata il 13.01.2011, unitamente alla nota n. 1472 del 14.01.2011, emessa dal Direttore Generale dell’ASREM di (OMISSIS) nei suoi confronti per essere all’epoca dei fatti Sindaco del Comune di (OMISSIS) e quindi autore della violazione, nonchè dello stesso Comune, per la violazione di cui all’art. 51, sanzionato dal D.Lgs. n. 152 del 1999, art. 54, comma 3, la respingeva affermando che era da escludere che la condotta fosse addebitabile alla C.G. quale dirigente dell’area deputata alla richiesta di rinnovo delle autorizzazioni allo scarico alla Provincia di Campobasso, mentre la responsabilità gravava sull’opponente per la sua qualità soggettiva al momento della commissione dell’infrazione contestata ricollegabile all’ente responsabile della gestione degli impianti fognari;
– sul gravame interposto dal medesimo D.F., la Corte d’appello di Campobasso, nella resistenza dell’…, rigettava l’impugnazione confermando le argomentazioni del primo giudice, oltre ad aggiungere che per affermare l’esclusiva responsabilità del delegato occorreva una prova rigorosa su specifiche condizioni e presupposti, tra i quali la natura formale ed espressa della delega, la sua natura strutturale e non occasionale, la specificità dei poteri delegati, la pubblicità verso terzi, la effettività dei poteri decisionali trasferiti in capo al delegato in completa autonomia di gestione economica, la capacità e l’idoneità tecnica del soggetto delegato, l’insussistenza di una richiesta di intervento da parte del delegato o di un’ingerenza da parte del delegante, la mancata conoscenza da parte del delegante della negligenza o sopravvenuta inidoneità del delegato quale conseguenza della non ingerenza, circostanze di cui non era stata offerta la prova nel caso de quo, non essendo sufficiente la mera esistenza dell’individuazione di un dirigente deputato alla gestione dell’area 1. Inoltre il Sindaco per dimostrare di essersi completamente spogliato dai suoi poteri di vigilanza sul settore avrebbe dovuto provarlo con atto scritto dal contenuto inequivocabile;
– per la cassazione del provvedimento della Corte d’appello di Campobasso ricorre il D.F., sulla base di tre motivi;
– resiste con controricorso l’…;
– in prossimità dell’adunanza camerale parte ricorrente ha curato il deposito di memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c..
Atteso che:
– con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione e la falsa applicazione del D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 107, e degli artt. 113 e 115 c.p.c., giacchè la delega – ad avviso del D.F. – andava individuata oltre che dal decreto sindacale n. 645 del 05.05.2005 di nomina della dirigente dell’Area 1 – Settore Ambiente del Comune di (OMISSIS), dall’avere la stessa presentato la domanda di rinnovo dell’autorizzazione allo scarico alla Provincia di Campobasso in data 28.12.2005 con prot. n. 32600, non potendosi certo il Sindaco occupare della gestione concreta e quotidiana delle molteplici attività dell’Ente locale. Aggiungeva che ai sensi del D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 107, agli organi di governo erano devoluti i soli poteri di indirizzo e controllo politico-amministrativo, mentre la “gestione amministrativa, finanziaria e tecnica è attribuita ai dirigenti medianti autonomi poteri di spesa, di organizzazione delle risorse umane, strumentali e di controllo, spettando ai dirigenti l’adozione di atti e provvedimenti amministrativi che impegnino l’amministrazione verso l’esterno”; circostanze tutte ignorate dal giudice del gravame, che aveva anche respinto le istanze istruttorie volte proprio a dare dimostrazione di tutto ciò.
Il motivo è fondato.
Va preliminarmente rilevato che la violazione contestata, accertata dall’ARPA Molise, con verbale del 31.01.2006 e successiva relazione, a seguito del sopralluogo effettuato presso il depuratore comunale (OMISSIS), ha fatto emergere l’afflusso di liquami provenienti dal canile municipale nel medesimo impianto, in attuazione di deliberazione comunale, senza però che siffatto versamento fosse stato preventivamente autorizzato.
Nel sistema sanzionatorio delineato dalla L. 24 novembre 1981, n. 689, l’art. 6, sancisce il principio della responsabilità solidale della persona giuridica nell’ipotesi in cui l’illecito amministrativo sia stato commesso dal suo rappresentante o da un suo dipendente e tale responsabilità è di carattere sussidiario, sicchè deve ritenersi sussistente ogni qualvolta sia stato commesso un illecito amministrativo da persona ricollegabile all’ente per aver agito nell’esercizio delle sue funzioni o incombenze, a prescindere dall’identificazione dell’autore materiale dell’illecito, trattandosi di requisito che, di per sè solo, non costituisce condizione di legittimità dell’ordinanza-ingiunzione, a meno che detta mancanza di identificazione non possa tradursi in un difetto di prova sulla responsabilità (Cass. 20 novembre 2006, n. 24573).
E’ stato tuttavia chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 20864 del 2009) che, nello svolgimento dell’attività degli enti locali, e in particolare dei comuni, le responsabilità penali e le responsabilità di ordine sanzionatorio – amministrativo connesse alla violazione delle norme che l’ente è tenuto a osservare nello svolgimento della sua attività, sono ripartite tra gli organi elettivi e quelli burocratici sulla base del principio della separazione delle funzioni (L. n. 142 del 1990, art. 51, comma 2, poi novellato dalla L. 15 maggio 1997, n. 127, art. 6, e quindi trasfuso nel Testo Unico degli enti locali approvato con D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, art. 107, comma 3) e in correlazione alle rispettive attribuzioni, desumibili dalla disciplina di settore. Non si può, pertanto, automaticamente ascrivere al Sindaco di un Comune, ancorchè di modeste dimensioni, qualsiasi violazione di norme verificatasi nell’ambito di attività dell’ente, allorchè sussista una apposita articolazione burocratica preposta allo svolgimento dell’attività medesima, con relativo dirigente dotato di autonomia decisionale e di spesa; una responsabilità dell’organo politico di vertice è, in tal caso, configurabile solo in presenza di specifiche situazioni, correlate alle attribuzioni proprie di tale organo.
A tali principi non si è attenuta la Corte di merito, perchè ha ritenuto il D.F. responsabile dell’illecito in base alla sua sola posizione istituzionale di sindaco del Comune, ed ha omesso di verificare, sulla base delle allegazioni dell’opponente, se i poteri decisionali relativi al rinnovo delle autorizzazioni allo scarico dei rifiuti in questione fossero stati validamente attribuiti ad organi burocratici. Infatti pur nel riportare l’orientamento secondo cui potrebbe operare la delegazione amministrativa, ne ha escluso l’applicazione nel caso di specie per l’assenza di prova rigorosa “su specifiche condizioni”, accertata la sola mera esistenza di un dirigente deputato alla gestione dell’area 1 – Settore Ambiente, senza verificare – ai fini dell’accertamento – l’attività in concreto esercitata dalla dirigente dell’area, C.G., e gli atti alla stessa delegati; in altri termini, se i poteri decisionali relativi a tale impianto fossero stati validamente attribuiti a siffatto dirigente anche alla luce dei compiti attribuiti agli organi politici e a quelli burocratici dal D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 107.
Alla luce delle considerazioni sin qui esposte, il Collegio ritiene opportuno specificare l’orientamento ravvisabile nelle decisioni indicate nel ricorso e nella memoria depositata dal D.F., affermando il seguente “principio di diritto”:
“Nell’ambito del giudizio di opposizione a sanzioni amministrative, ferma restando la regola della responsabilità solidale della persona giuridica e del suo legale rappresentante, prevista dalla L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 6, trattandosi però per quest’ultimo di responsabilità avente carattere sussidiario, il giudice è tenuto ad indagare – anche d’ufficio – sulla circostanza che l’illecito amministrativo sia stato commesso da persona fisica ricollegabile all’ente quale organo burocratico dello stesso per aver agito (od omesso di agire) nell’esercizio delle funzioni o delle incombenze proprie, a prescindere dall’esistenza di una delega ad hoc rilasciata dal legale rappresentante dell’ente medesimo. Il giudice di merito può applicare il principio sussidiario della responsabilità del legale rappresentante della persona giuridica allorchè la condotta sanzionata sia in correlazione alle attribuzioni, desumibili dalla disciplina di settore, proprie degli organi politici dell’ente”;
– i restanti motivi di ricorso, riguardanti l’omesso esame del secondo motivo di appello relativo alla mancata valutazione della circostanza dell’affidamento della gestione del depuratore ad un gestore esterno, Costruzioni Dondi s.p.a., (secondo motivo) e la mancata ammissione della prova testimoniale articolata già in primo grado volta a dimostrare il concreto esercizio da parte della dirigente del settore ambiente competente proprio in materia di rete fognaria comunale (terzo motivo), restano assorbiti nell’accoglimento del primo motivo.
La sentenza impugnata va pertanto cassata, con rinvio al giudice indicato in dispositivo, il quale si atterrà al principio di diritto sopra enunciato e provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso;
cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di appello di Campobasso, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte di Cassazione, il 13 gennaio 2022.
Depositato in Cancelleria il 20 giugno 2022
COMMENTO: Con l’ordinanza in commento, la Cassazione ha esaminato la questione relativa alla opposizione ad ordinanza-ingiunzione relativa alla sanzione comminata ad un Comune a causa dello sversamento di liquami provenienti dal canile municipale, in assenza di una preventiva autorizzazione da parte della Provincia.
In prima istanza, il Tribunale, applicando la legge 689/1981 ha rilevato la responsabilità del Sindaco sulla base del principio della responsabilità solidale della persona giuridica, essendo questi il legale rappresentante del Comune.
Infatti, come evidenzia il giudice di merito, nel sistema sanzionatorio delineato dalla Legge 24 novembre 1981, n. 689, l’art. 6 prevede il principio della responsabilità solidale della persona giuridica nell’ipotesi in cui l’illecito amministrativo sia stato commesso dal suo rappresentante o da un suo dipendente; tale responsabilità è di carattere sussidiario, sicché deve ritenersi sussistente ogni qualvolta sia stato commesso un illecito amministrativo da persona ricollegabile all’ente per aver agito nell’esercizio delle sue funzioni o incombenze, a prescindere dall’identificazione dell’autore materiale dell’illecito, trattandosi di requisito che, di per sé solo, non costituisce condizione di legittimità dell’ordinanza-ingiunzione, a meno che detta mancanza di identificazione non possa tradursi in un difetto di prova sulla responsabilità.
Tuttavia, è stato sancito dalla Cassazione che, nello svolgimento dell’attività degli enti locali, ed in particolare dei Comuni, le responsabilità penali e le responsabilità di ordine sanzionatorio – amministrativo connesse alla violazione delle norme che l’ente è tenuto a osservare nello svolgimento della sua attività, sono ripartite tra gli organi elettivi e quelli burocratici sulla base del principio della separazione delle funzioni (L. n. 142 del 1990, art. 51, comma 2, poi novellato dalla L. 15 maggio 1997, n. 127, art. 6, e quindi trasfuso nel Testo Unico degli enti locali approvato con D. Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, art. 107, comma 3) ed in correlazione alle rispettive attribuzioni, desumibili dalla disciplina di settore.
Non si può, pertanto, secondo la Suprema Corte, automaticamente ascrivere al Sindaco di un Comune, ancorché di modeste dimensioni, qualsiasi violazione di norme verificatasi nell’ambito di attività dell’ente, allorché sussista una apposita articolazione burocratica preposta allo svolgimento dell’attività medesima, con relativo dirigente dotato di autonomia decisionale e di spesa; una responsabilità dell’organo politico di vertice è, in tal caso, configurabile solo in presenza di specifiche situazioni, correlate alle attribuzioni proprie di tale organo (Cass. civ. 20864/2009).
Pertanto, la Cassazione afferma che nell’ambito del giudizio di opposizione a sanzioni amministrative, ferma restando la regola della responsabilità̀ solidale della persona giuridica e del suo legale rappresentante, prevista dall’art. 6 dalla legge 24 novembre 1981, n. 689, trattandosi per quest’ultimo di responsabilità̀ avente carattere sussidiario, il giudice è tenuto ad indagare – anche d’ufficio – sulla circostanza che l’illecito amministrativo sia stato commesso da persona fisica ricollegabile all’ente quale organo burocratico dello stesso per aver agito -od omesso di agire- nell’esercizio delle funzioni o delle incombenze proprie, a prescindere dall’esistenza di una delega ad hoc rilasciata dal legale rappresentante dell’ente medesimo.
Quindi, secondo quanto afferma la Corte, non è automaticamente ascrivibile al Sindaco di un Comune, ancorché́ di modeste dimensioni, qualsiasi violazione di norme verificatasi nell’ambito delle sue attività, allorché́ sussista una apposita articolazione burocratica preposta allo svolgimento dell’attività̀ medesima, con relativo dirigente dotato di autonomia decisionale e di spesa dell’ente.
Dott.ssa Eleonora Cucchi
Unicusano-Roma