Cass. civ., sez. V, ord., 20 dicembre 2022 n. 37346
(Omissis)
XXX ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Regionale del Lazio l’11 febbraio 2020 n. 740/02/2020, la quale, in controversia avente ad oggetto l’impugnazione di due avvisi di accertamento per l’omesso versamento dell’ICI relativa agli anni 2010 e 2011 con riguardo alla comproprietà – insieme alle germane … XXX ed … XXX, che avevano beneficiato dell’esenzione a titolo di abitazione principale, avendo entrambe fissato ivi la residenza anagrafica e la dimora abituale – degli appartamenti siti in XXX alla … n. 110 e contraddistinti con gli interni nn. 3 e 4, con le relative pertinenze (cantine ed autorimessa), ha accolto l’appello proposto da XXX nei confronti della medesima avverso la sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Provinciale di Roma il 5 aprile 2018 n. 7572/33/2018, con condanna alla rifusione delle spese giudiziali. Il giudice di appello ha riformato la decisione di prime cure sul rilievo che l’esenzione non spettasse a quella delle comproprietarie che – a differenza delle altre – non avesse fissato la residenza anagrafica nell’immobile soggetto ad ICI. Il ricorso è affidato a quattro motivi. XXX si è costituito con controricorso, eccependo l’inammissibilità del ricorso per cassazione. La controricorrente ha depositato memoria.
CONSIDERATO CHE:
Con il primo motivo, si denuncia «violazione o falsa applicazione di norme di diritto», in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., per essere stata applicata da XXX l’aliquota ordinaria per l’ICI relativa agli anni 2010 e 2011, nonostante l’abolizione dell’imposta medesima sin dall’anno 2008.
Con il secondo motivo, si denuncia «violazione o falsa applicazione di norme di diritto e ed omesso esame di un fatto decisivo», in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., per essere stato ignorato dal giudice di appello che «vi è stata la dimostrazione dell’uso come abitazione principale degli immobili in comproprietà, sia per l’anno 2010 che per l’anno 2011», giacché «Lo stesso Comune era peraltro in grado di conoscere aliunde proprio dalle imposte pagate dalle sorelle della ricorrente che per gli immobili di viale Tiziano 110 erano utilizzati dalle sole signore Rita e Emiliana …, quale abitazione principale (rectius esenti quindi dalla tassazione anche per la ricorrente che le aveva cedute in suo alle sorelle dal 1971)».
Con il terzo motivo, si denuncia «violazione o falsa applicazione di norme di diritto», in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., per essere stato erroneamente ignorato dal giudice di appello che … XXX non aveva mai avuto la residenza anagrafica in XXX, a differenza delle germane … XXX ed … XXX, che avevano sempre versato l’ICI fino all’anno 2008. 4. Con il quarto motivo, si denuncia «violazione o falsa applicazione di norme di diritto», in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., per essere stata erroneamente disposta dal giudice di appello, seppur in difetto di nota spese, la liquidazione dei compensi, oltre che degli esborsi (“spese vive”), a favore di Roma Capitale in sede di regolamentazione delle spese giudiziali, ancorché la stessa non si fosse avvalse dell’assistenza di un difensore.
RITENUTO CHE:
- Il primo motivo è inammissibile per carenza di specificità.
1.1 Nell’interpretare l’art. 366, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., in tema di specificità del motivo di ricorso, questa Corte ha già affermato che la proposizione, mediante il ricorso per cassazione, di censure prive di specifica attinenza al decisum della sentenza impugnata comporta l’inammissibilità del ricorso per mancanza di motivi che possono rientrare nel paradigma normativo di cui all’art. 366, comma 1, n. 4, cod. proc. civ.; dovendo i motivi per i quali si richiede la cassazione, aventi carattere di specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata, contenere, a pena di inammissibilità, oltre all’esatta individuazione del capo di pronunzia impugnato, l’esposizione di ragioni che illustrino in modo intelligibile ed esauriente le dedotte violazioni di norme o principi di diritto. In altri termini, l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si traducano in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo che non rispetti tale requisito considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo. In riferimento al ricorso per cassazione tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un “non motivo”, è espressamente sanzionata con l’inammissibilità ai sensi della citata disposizione (tra le tante: Cass., Sez. 5^, 3 agosto 2007, n. 17125; Cass., Sez. 5^, 21 aprile 2009, n. 9388; Cass., Sez. 6^-5, 8 gennaio 2014, n. 187; Cass., Sez. 5^, 20 ottobre 2016, n. 21296; Cass., Sez. 5^, 28 febbraio 2018, n. 4611; Cass., Sez. 5^, 15 maggio 2019, n. 12982; Cass., Sez. 5^, 21 luglio 2020, n. 15517; Cass., Sez. 5^, 15 luglio 2021, n. 20152; Cass., Sez. 6^-5, 7 settembre 2022, n. 26300; Cass., Sez. 6^-5, 5 ottobre 2022, n. 28884). 1.2 Nel caso di specie, a tacer d’altro, la censura non attinge alcun passaggio della sentenza impugnata, risolvendosi in una inammissibile critica dell’atto impositivo medesimo. Per cui, siffatto modo di articolare la censura nei confronti non della decisione impugnata, ma dell’atto impositivo (nel difetto di qualsivoglia coordinamento con le fattispecie di vizio tassativamente previste dall’art. 360 cod. proc. civ.) non è rispettoso del sistema processuale vigente, in relazione alla formula prevista per il ricorso per cassazione, così come inveratasi nella norma dell’art. 360 cod. proc. civ..
- Il secondo motivo – da restringere, in base alla prospettazione della censura, al solo omesso esame di un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., non essendo stata indicata violazione né falsa applicazione di norma di legge – è infondato. 2.1 Come è noto, l’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., riformulato dall’art. 54 del D.L. 22 giugno 2012 n. 83, convertito, con modificazioni, nella Legge 7 agosto 2012 n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, comma 1, n. 6, e 369, comma 2, n. 4, cod. proc. civ., il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (tra le tante: Cass., Sez. Un., 7 aprile 2014, nn. 8053 e 8054; Cass., Sez. 6^-3, 27 novembre 2014, n. 25216; Cass., Sez. 2^, 29 ottobre 2018, n. 27415; Cass., Sez. Lav., 21 ottobre 2019, n. 26764; Cass., Sez. 5^, 12 luglio 2021, nn. 19820, 19824, 19826 e 19827; Cass., Sez. 5^, 22 luglio 2021, n. 20963; Cass., Sez. 5^, 27 luglio 2021, n. 21431). L’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., come riformulato dall’art. 54 del D.L. 22 giugno 2012 n. 83, convertito, con modificazioni, nella Legge 7 agosto 2012 n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, nel cui paradigma non è inquadrabile la censura concernente la omessa valutazione di deduzioni difensive (Cass., Sez. 1^, 14 settembre 2018, n. 26305; Cass., Sez. 6^-1, 6 settembre 2019, n. 22397; Cass., Sez. 5^, 11 maggio 2021, n. 12400; Cass., Sez. 5^, 24 luglio 2021, nn. 21457 e 21458) né l’omessa disanima di questioni o argomentazioni (Cass., Sez. 6^-1, 6 settembre 2019, n. 22397; Cass., Sez. 5^, 20 aprile 2021, n. 10285). 2.2 Nella specie, secondo il tenore della doglianza, il giudice di appello non avrebbe tenuto conto della documentazione comprovante la destinazione dell’immobile ad abitazione principale delle germane … Rita ed … Emiliana per gli anni 2010 e 2011, su concessione in uso gratuito da parte di … Angela Maria (per la quota di sua spettanza) sin dall’anno 1971. Per cui, il “fatto” ignorato sarebbe costituito dalla dimora abituale delle germane … Rita ed … Emiliana presso gli appartamenti siti in Roma al Viale … n. 110 e contraddistinti con gli interni nn. 3 e 4 sin dall’anno 1971. Tuttavia, tale circostanza era stata espressamente valutata e soppesata dalla sentenza impugnata, che l’aveva ritenuta idonea a giustificare l’esenzione (nei limiti delle quote di loro spettanza) soltanto per le comproprietarie stabilmente residenti negli immobili in questione, ma non anche per la comproprietaria residente altrove (oltre che inottemperante all’obbligo di comunicazione dell’eventuale trasferimento all’ente impositore).
- Il terzo motivo è infondato.
3.1 Preliminarmente, si rileva che la rubrica di tale motivo si limita a denunciare la «violazione e falsa applicazione di norme di diritto», senza fornire alcuna indicazione circa le disposizioni legislative o regolamentari che sarebbero state infrante o disapplicate dalla sentenza impugnata. Ad ogni modo, in base alla effettiva portata della censura (secondo l’esposizione fattane in ricorso), nulla esclude che il collegio possa desumere, secondo la volontà manifestata dalla ricorrente nell’illustrazione delle doglianze riguardanti la sentenza impugnata, l’implicita (ma inequivoca) indicazione dei parametri di riferimento per il sindacato di legittimità, fermo restando che non si può demandare alla Corte il compito di individuare – con una ricerca esplorativa officiosa che trascende le sue funzioni – la norma che è stata violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa (tra le tante: Cass., Sez. Un., 28 ottobre 2020, n. 23745; Cass., Sez. 5^, 4 maggio 2021, nn. 11609, 11617 e 11619; Cass., Sez. 6^-5, 30 maggio 2021, n. 14319; Cass., Sez. 5^, 11 giugno 2021, nn. 16506 e 16511; Cass., Sez. 5^, 25 ottobre 2022, n. 31552).
3.2 Nella specie, la ricorrente ha lamentato il diniego dell’esenzione da ICI in relazione alla sua quota di comproprietà sugli immobili in questione, per i quali, invece, le sorelle, anch’esse comproprietarie, grazie anche alla cessione in uso a titolo gratuito a loro favore da parte sua nei limiti della predetta quota – avevano usufruito di tale beneficio in ragione della rispettiva fissazione della dimora abituale presso i medesimi immobili. Per cui, le disposizioni di cui si è denunciata la violazione o la falsa applicazione possono agevolmente individuarsi nell’art. 8, comma 2, periodo 2, del D.L.vo 30 dicembre 1992 n. 504, nel
testo modificato dall’art. 1, comma 173, lett. b, della Legge 27 dicembre 2006 n. 296, in relazione all’art. 1,
commi 1 e 2, del D.L. 27 maggio 2008 n. 93, convertito, con modificazioni, dalla Legge 24 luglio 2008 n. 126, nonché nell’art. 11, comma 4 (poi comma 3), del regolamento ICI del Comune di Roma (nel testo vigente ratione temporis).
3.3 Ora, secondo la previsione dell’art. 8, comma 2, del D.L.vo 30 novembre 1992 n. 504 (“Riordino della finanza locale degli enti territoriali, a norma dell’articolo 4 della legge n. 421 del 1992”): «Dalla imposta dovuta per l’unità immobiliare adibita ad abitazione principale del soggetto passivo si detraggono, fino a concorrenza del suo ammontare, lire 200.000 [pari ad un controvalore di € 1.032,91] rapportate al periodo dell’anno durante il quale si protrae tale destinazione; se l’unità immobiliare è adibita ad abitazione principale da più soggetti passivi, la detrazione spetta a ciascuno di essi proporzionalmente alla quota per la quale la destinazione medesima si verifica. Per abitazione principale si intende quella nella quale il contribuente, che la possiede a titolo di proprietà, usufrutto o altro diritto reale, e i suoi familiari dimorano abitualmente». In seguito, l’art. 1, comma 173, lett. b, della Legge 27 dicembre 2006 n. 296 (“Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2007”) ha modificato il testo originario dell’art. 8, comma 2, del D.L.vo 30 novembre 1992 n. 504 nel senso che: «(…) dopo le parole: “adibita ad abitazione principale del soggetto passivo” sono inserite le seguenti: “, intendendosi per tale, salvo prova contraria, quella di residenza anagrafica,”». Per cui, il tenore complessivo della citata disposizione è stato così riformulato: «Dalla imposta dovuta per l’unità immobiliare adibita ad abitazione principale del soggetto passivo, intendendosi per tale, salvo prova contraria, quella di residenza anagrafica, si detraggono, fino a concorrenza del suo ammontare, lire 200.000 [pari ad un controvalore di € 1.032,91] rapportate al periodo dell’anno durante il quale si protrae tale destinazione; se l’unità immobiliare è adibita ad abitazione principale da più soggetti passivi, la detrazione spetta a ciascuno di essi proporzionalmente alla quota per la quale la destinazione medesima si verifica. Per abitazione principale si intende quella nella quale il contribuente, che la possiede a titolo di proprietà, usufrutto o altro diritto reale, e i suoi familiari dimorano abitualmente». Da ultimo, l’art. 1, commi 1 e 2, del D.L. 27 maggio 2008 n. 93 (“Disposizioni urgenti per salvaguardare il potere di acquisto delle famiglie”), convertito, con modificazioni, dalla Legge 24 luglio 2008 n. 126, ha stabilito che: «1. A decorrere dall’anno 2008 è esclusa dall’imposta comunale sugli immobili di cui al decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, l’unità immobiliare adibita ad abitazione principale del soggetto passivo. 2. Per unità immobiliare adibita ad abitazione principale del soggetto passivo si intende quella considerata tale ai sensi del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, e successive modificazioni, nonché quelle ad esse assimilate dal Comune con regolamento o delibera comunale vigente alla data di entrata in vigore del presente decreto, ad eccezione di quelle di categoria catastale A/1, A/8 e A/9 per le quali continua ad applicarsi la detrazione prevista dall’articolo 8, commi 2 e 3, del citato decreto n. 504 del 1992». In tal modo, con decorrenza dall’anno 2008, la riduzione si è trasformata in esenzione per le abitazioni iscritte in catasto con categorie diverse da A/1, A/8 e A/9. Pertanto, secondo il combinato disposto delle norme richiamate, se l’unità immobiliare è adibita ad abitazione principale da più soggetti passivi, l’esenzione spetta a ciascuno di essi proporzionalmente alla quota per la quale la destinazione medesima si verifica. 3.4 Al contempo, l’art. 11, comma 4 (poi comma 3), del regolamento ICI del Comune di Roma in vigore ratione temporis ha previsto – tra le fattispecie “assimilate” all’“abitazione principale” – l’ipotesi dei «fabbricati concessi in uso gratuito a parenti e affini entro il secondo grado che li utilizzino come abitazione principale».
3.5 A ben vedere, la ricorrente invoca il beneficio previsto da quest’ultima disposizione di fonte regolamentare, assumendo di aver concesso gli immobili in uso a titolo gratuito per la sua quota di comproprietà alle sorelle, che pure godevano per le rispettive quote di comproprietà dell’esenzione per l’abitazione principale. Tale argomentazione non è, però, condivisibile. Invero, la previsione dell’art. 11 del regolamento ICI riguarda il caso specifico in cui il proprietario o il titolare del diritto reale di godimento conceda in uso a titolo gratuito (vale a dire, in comodato) l’immobile ad un parente o affine entro il secondo grado per destinarlo ad abitazione principale per sé e per la propria famiglia. Per cui, si presuppone che quest’ultimo non vanti alcun diritto reale o personale di godimento sull’immobile in questione, potendo destinarlo ad abitazione principale soltanto in forza della suddetta concessione in uso. Ne discende che l’ipotesi di concessione in uso tra comproprietari del medesimo immobile esula dalla ratio della previsione normativa, dal momento che il presupposto dell’esenzione pro quota per il comproprietario che l’abbia – o per i comproprietari che l’abbiano – destinato ad abitazione principale è fondato proprio sulla titolarità della quota di comproprietà e prescinde da una superflua concessione in comodato da parte del comproprietario ivi non residente. Difatti, ai sensi dell’art. 1102, comma 1, cod. civ., ciascun comproprietario può servirsi del bene comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto, non avendo bisogno a tal fine di una concessione degli altri comproprietari per il godimento esclusivo dell’intero bene, che trova giustificazione nella sola spettanza della quota di comproprietà. Secondo questa Corte, infatti, se la natura di un immobile oggetto di comunione non ne permette un simultaneo godimento da parte di tutti i comproprietari, l’uso comune può realizzarsi o in maniera indiretta oppure mediante avvicendamento; ma, fino a quando non vi sia richiesta di un uso turnario da parte degli altri comproprietari, il semplice godimento esclusivo ad opera di taluni non può assumere l’idoneità a produrre qualche pregiudizio in danno di coloro che abbiano mostrato acquiescenza all’altrui uso esclusivo, salvo che non risulti provato che i comproprietari che hanno avuto l’uso esclusivo del bene ne abbiano tratto anche un vantaggio patrimoniale (tra le tante: Cass., Sez. 2^, 9 febbraio 2015, n. 2423; Cass., Sez. 2^, 17 febbraio 2017, n. 4258; Cass., Sez. 2^, 30 luglio 2021, n. 21906; Cass., Sez. 2^, 20 gennaio 2022, n. 1738; Cass., Sez. 2^, 8 giugno 2022, n. 18548). Diversamente ragionando, il comproprietario non residente beneficerebbe dell’esenzione pro quota – a differenza degli altri comproprietari – senza avere fissato la dimora abituale nell’immobile, in palese violazione dell’art. 1, comma 2, del D.L. 27 maggio 2008 n. 93, convertito, con modificazioni, dalla Legge 24 luglio 2008 n. 126. In tale direzione, questa Corte ha recentemente deciso che, in tema di ICI, l’esenzione introdotta dall’art. 1, comma 1, del D.L. 27 maggio 2008 n. 93, convertito, con modificazioni, dalla Legge 24 luglio 2008 n. 126, non si applica al titolare pro quota del diritto di proprietà sull’immobile, nel quale egli ed il suo nucleo familiare non dimorino stabilmente e non vi abbiano la residenza anagrafica (in termini: Cass., Sez. 5^, 8 agosto 2022, n. 24462). Quindi, i comproprietari che non abitano e non utilizzano l’immobile come propria abitazione principale sono obbligati a corrispondere l’ICI relativa alla propria quota di proprietà.
3.6 In conclusione, si può enunciare il seguente principio di diritto: «In tema di ICI, con riguardo all’eventuale previsione di un regolamento comunale che assimili ad abitazione principale i «fabbricati concessi in uso gratuito a parenti e affini entro il secondo grado che li utilizzino come abitazione principale», la fattispecie normativa è riferita alla sola ipotesi in cui il proprietario o il titolare del diritto reale di godimento conceda in comodato l’immobile ad un parente o affine entro il secondo grado, che non possa vantare su di esso alcun diritto reale o personale di godimento, per destinarlo ad abitazione principale per sé e per la propria famiglia; ne discende che non può rientrarvi la diversa ipotesi di concessione in comodato tra comproprietari del medesimo immobile, in quanto, il presupposto dell’esenzione pro quota per il comproprietario che l’abbia – o per i comproprietari che l’abbiano – destinato ad abitazione principale è fondato proprio sulla titolarità della quota di comproprietà e prescinde da una concessione in comodato da parte del comproprietario ivi non residente, che beneficerebbe, altrimenti, dell’esenzione pro quota – a differenza degli altri comproprietari – senza avere fissato la dimora abituale nell’immobile, in palese violazione dell’art. 1, comma 2, del D.L. 27 maggio 2008 n. 93, convertito, con modificazioni, dalla Legge 24 luglio 2008 n. 126». 3.6 Nella specie, dunque, il giudice di appello si è uniformato a tale principio, avendo (sia pure sinteticamente) ritenuto che «(…) l’Ente impositore ha correttamente applicato l’esenzione concernente le abitazioni principali, secondo l’art. 1, comma 2, del D.L. n. 93/2008, convertito in Legge n. 296/2006; ciò avuto riguardo alla dimora abituale dei due familiari della ricorrente, non essendovi stata alcuna comunicazione della stessa al Comune circa la data di fissazione della suddetta residenza ai fini della decorrenza dei benefici di legge».
- Da ultimo, il quarto motivo è infondato.
4.1 Posto che la norma violata (o erroneamente applicata) è stata individuata dal ricorrente – soltanto in sede di illustrazione del motivo – nell’art. 15, comma 1, del D.L.vo 31 dicembre 1992 n. 546, il collegio rileva che, in base all’art. 15, comma 2-sexies, del D.L.vo 31 dicembre 1992 n. 546, quale introdotto dall’art. 2, comma 1, lett. b, del D.L. 15 marzo 1996 n. 123, con effetti salvati dall’art. 1, comma 2, della Legge 24 ottobre 1996 n. 556, nel testo modificato dall’art. 9, comma, lett. f, del D.L.vo 24 settembre 2015 n. 156: «Nella liquidazione delle spese a favore dell’ente impositore, dell’agente della riscossione e dei soggetti iscritti nell’albo di cui all’articolo 53 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, se assistiti da propri funzionari, si applicano le disposizioni per la liquidazione del compenso spettante agli avvocati, con la riduzione del venti per cento dell’importo complessivo ivi previsto. La riscossione avviene mediante iscrizione a ruolo a titolo definitivo dopo il passaggio in giudicato della sentenza».
4.2 In proposito, è pacifico che, in tema di contenzioso tributario, all’amministrazione finanziaria assistita in giudizio dai propri funzionari, in caso di vittoria nella lite, spetta, ai sensi dell’art. 15, comma 2-sexies (in origine, comma 2- bis), del D.L.vo 31 dicembre 1992 n. 546 (quale novellato dall’art. 9, comma 1, lett. f, n. 2, del D.L.vo 24 settembre 2015 n. 156), la liquidazione delle spese che va effettuata secondo le disposizioni per la liquidazione del compenso spettante agli avvocati, con la riduzione del venti per cento degli onorari di avvocato, quale rimborso per la sottrazione di attività lavorativa dei funzionari medesimi, utilizzabile altrimenti in compiti interni di ufficio e tenuto conto dell’identità della prestazione professionale profusa dal funzionario rispetto a quella del difensore abilitato (tra le tante: Cass., Sez. 5^, 17 settembre 2019, n. 23055; Cass., Sez. 5^, 4 novembre 2020, n. 24532; Cass., Sez. 5^, 29 luglio 2021, n. 21724; Cass., Sez. 6^-5, 26 gennaio 2022, n. 2254; Cass., Sez. 5^, 10 maggio 2022, n. 14694; Cass., Sez. 5^, 12 luglio 2022, n. 21955).
4.3 Ne discende che, in sede di statuizione sulle spese giudiziali, il giudice di appello ha correttamente liquidato in dispositivo una somma comprensiva dei compensi in favore dell’ente impositore, prescindendo dal (superfluo) deposito di una nota spese.
- Valutandosi l’inammissibilità del primo motivo, nonché l’infondatezza del secondo motivo, del terzo motivo e del quarto motivo, alla stregua delle suesposte argomentazioni, il ricorso deve essere rigettato.
- Le spese giudiziali seguono la soccombenza e sono liquidate nella misura fissata in dispositivo.
- Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente alla rifusione delle spese giudiziali in favore della controricorrente, liquidandole nella misura di € 200,00 per esborsi e di € 1.500,00 per compensi, oltre a rimborso forfettario nella misura del 15% sui compensi e ad altri accessori di legge; dà atto dell’obbligo, a carico del ricorrente, di pagare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto. Così deciso a Roma nell’adunanza camerale effettuata da remoto il 2 dicembre 2022.
(Omissis)
COMMENTO: Come noto la legge n. 208/2015 ha introdotto dall’anno 2016 la riduzione pari al 50% dell’IMU in caso di immobili concessi in comodato a parenti in linea retta entro il primo grado. In merito a tale fattispecie, la recente Ordinanza n. 37346 del 20/12/2022 della Suprema Corte di Cassazione ci offre lo spunto per approfondire alcune criticità insite nel dettato normativo che regola il funzionamento di tale forma di agevolazione.
La Cassazione in particolare ha stabilito che l’agevolazione IMU per immobile concesso in comodato tra genitori e figli, non si applica qualora questi ultimi siano comproprietari dell’immobile oggetto di comodato.
La pronuncia in oggetto si riferisce ad un contenzioso relativo all’applicazione dell’ICI per le annualità 2010 e 2011, ma la questione affrontata è di stretta attualità, visto che l’agevolazione in parola è stata sostanzialmente riproposta dalla normativa IMU.
L’art. 1, comma 747, lett. c), della Legge n. 160/2019, dispone infatti la possibilità di determinare l’IMU in misura ridotta (calcolandola su una base imponibile al 50%), per le unità immobiliari, (ad eccezione di quelle classificate nelle categorie catastali A/1, A/8 e A/9), che siano concesse in comodato dal soggetto passivo ai parenti in linea retta entro il primo grado che le utilizzano come abitazione principale, a condizione che il contratto sia registrato e che il comodante possieda una sola abitazione in Italia e risieda anagraficamente nonché dimori abitualmente nello stesso comune in cui è situato l’immobile concesso in comodato. Il beneficio in questione si applica anche nel caso in cui il comodante, oltre all’immobile concesso in comodato, possieda nello stesso comune un altro immobile adibito a propria abitazione principale, ad eccezione delle unità abitative classificate nelle categorie catastali A/1, A/8 e A/9. Il beneficio si estende infine, nel caso di morte del comodatario, al coniuge di quest’ultimo in presenza di figli minori.
Volendo schematizzare, per usufruire di detta agevolazione devono essere rispettate le seguenti condizioni:
- l’immobile deve essere utilizzato dal comodatario come abitazione principale;
- l’immobile concesso in comodato d’uso gratuito non deve rientrare tra le categorie catastali di lusso (A/1, A/8 e A/9);
- il comodante deve possedere un solo immobile in Italia, oltre alla sua abitazione principale (e anche quest’ultima non deve essere classificata nelle categorie catastali A/1, A/8 e A/9);
- il comodante deve avere residenza e dimora abituale nello stesso Comune in cui è situato l’immobile concesso in comodato d’uso.
- il contratto di comodato deve essere registrato.
Ebbene la fattispecie oggetto di contenzioso riguarda la casistica piuttosto frequente che si verifica nel caso di comodato “incrociato” tra genitori e figli che sono allo stesso tempo comproprietari delle abitazioni.
È infatti dubbio se l’agevolazione IMU in questione possa riconoscersi anche nel caso in cui il comodatario sia comproprietario di una quota dell’immobile che viene concesso in comodato.
In merito va preliminarmente rilevato come secondo la normativa civilistica, il contratto di comodato d’uso viene definito dall’art. 1803 c.c. come: “Il contratto con il quale una parte consegna all’altra una cosa mobile e immobile affinché se ne serva per un tempo o un uso determinato, con l’obbligo di restituire la cosa ricevuta. Il comodato è essenzialmente gratuito” e come l’art. 1103 del codice civile espressamente riconosca la facoltà di ciascun comproprietario di…“cedere ad altri il godimento della cosa nei limiti della sua quota”.
Non sembra pertanto che si rilevano elementi normativi evidenti che portino ad escludere la cessione in comodato da parte del comproprietario, e dunque di conseguenza, l’inapplicabilità della relativa agevolazione IMU; in tal senso si era espresso il Ministero dell’Economia e Finanze con la nota n. 27267/DF del 9/6/2016. All’epoca i tecnici del Ministero avevano risposto ad un quesito in cui si rappresentava come alcuni comuni avessero sollevato obiezioni in merito al riconoscimento dell’agevolazione per i contratti di comodato stipulati da comproprietari (genitore e figli). La situazione di incertezza espressa da tali enti, originava da una presa di posizione espressa dall’IFEL che, nella FAQ n. 9 del 24/2/2016 aveva in primo momento affermato che “in situazione di comproprietà fra più soggetti di un immobile il conferimento del godimento dell’intero bene ad uno solo non dovrebbe essere qualificabile come comodato, in quanto uno dei due utilizza il bene in quanto comproprietario e non comodatario. In altri termini non si realizza appieno lo schema legale del contratto di comodato, come ad esempio l’obbligo di restituzione del bene“.
Senonché proprio l’IFEL il 21/3/2016 integrando la suddetta FAQ aveva successivamente rivisto la propria posizione aggiungendo che “Tuttavia, non si rinvengono nella normativa particolari elementi ostativi al diritto ad usufruire dell’agevolazione in commento, qualora i comproprietari rispettino tutti i requisiti previsti dalla norma “. In seguito a tale integrazione è evidente come l’interpretazione data dall’Istituto per la finanza degli enti locali sia quella di ammettere al beneficio IMU la fattispecie dei c.d. comodati “incrociati”; interpretazione in larga parte seguita dagli enti locali in sede di applicazione del tributo IMU.
Ed al riguardo il MEF, facendo propria tale tesi aveva a sua volta enunciato quanto segue: si ritiene che la fattispecie in esame si configuri come un’ipotesi di comunione di cui all’art. 1100 del codice civile in base al quale “Quando la proprietà o altro diritto reale spetta in comune a più persone se il titolo o la legge non dispone diversamente si applicano le norme seguenti”. Per quanto qui di interesse, si richiama l’art. 1102 del codice civile che regola l’uso della cosa comune stabilendo, tra l’altro che “Ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto..” e il successivo art. 1103 in forza del quale “Ciascun partecipante può … cedere ad altri il godimento della cosa nei limiti della sua quota”.
In questo contesto normativo ed esegetico si inserisce l’Ordinanza n. 37346/2022, che al contrario si è espressa nel senso di escludere di fatto la possibilità di applicare la riduzione IMU del 50% prevista per i comodati in caso di comodato incrociato tra comproprietari.
Nello specifico il giudizio esaminato dalla Cassazione riguardava l’agevolazione ICI riconosciuta da un regolamento comunale per gli immobili concessi in comodato, infatti il regolamento ICI del Comune in questione, prevedeva tra le fattispecie assimilate all’ “abitazione principale” proprio l’ipotesi dei «fabbricati concessi in uso gratuito a parenti e affini entro il secondo grado che li utilizzino come abitazione principale»; ma il principio di diritto, appare perfettamente sovrapponibile alla riduzione del 50% dell’IMU prevista per gli immobili concessi in comodato a parenti.
La Corte in merito ha affermato che tale previsione può applicarsi solo se il possessore concede l’immobile a un parente o affine che non vanti su detto immobile alcun diritto reale o personale di godimento, escludendo quindi la sussistenza di tale fattispecie di agevolazione per l’ipotesi di concessione in uso tra comproprietari del medesimo immobile.
Nello specifico, la Suprema Corte ha affermato il seguente principio di diritto: “In tema di ICI (ora IMU), con riguardo all’eventuale previsione di un regolamento comunale che assimili ad abitazione principale i “fabbricati concessi in uso gratuito a parenti e affini entro il secondo grado che li utilizzino come abitazione principale”, la fattispecie normativa è riferita alla sola ipotesi in cui il proprietario o il titolare del diritto reale di godimento conceda in comodato l’immobile ad un parente o affine entro il secondo grado, che non possa vantare su di esso alcun diritto reale o personale di godimento, per destinarlo ad abitazione principale per sé e per la propria famiglia; ne discende che non può rientrarvi la diversa ipotesi di concessione in comodato tra comproprietari del medesimo immobile, in quanto, il presupposto dell’esenzione pro quota per il comproprietario che l’abbia – o per i comproprietari che l’abbiano – destinato ad abitazione principale è fondato proprio sulla titolarità della quota di comproprietà e prescinde da una concessione in comodato da parte del comproprietario ivi non residente, che beneficerebbe, altrimenti, dell’esenzione pro quota – a differenza degli altri comproprietari – senza avere fissato la dimora abituale nell’immobile”.
La motivazione posta alla base della pronuncia è da ricercare nel fatto che questa ipotesi di godimento del bene immobile da parte del comproprietario già rientra in quella di cui all’art. 1102 codice civile, (ai sensi del quale ciascun comproprietario può servirsi del bene comune, nella sua interezza, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto), sicché non occorre una concessione in comodato ex art. 1803 codice civile, o il consenso degli altri comproprietari, spettando il godimento dell’immobile già secondo la disciplina della comunione. Volendo spingersi a sostenere il contrario, infatti, si arriverebbe alla conclusione che il comodante, a differenza degli altri comproprietari, avrebbe beneficiato delle agevolazioni per l’abitazione principale senza averne i requisiti.
In base al principio di diritto così espresso, appare evidente l’omogeneità della natura della fattispecie in questione tra il passato regime di applicazione dell’ICI e l’attuale regime IMU, sicché le conclusioni dell’ordinanza n. 37346/2022 rilevano indubbiamente anche nel vigente assetto normativo, in riferimento alla riduzione in commento.
Secondo la giurisprudenza di legittimità pertanto deve escludersi l’applicazione del beneficio IMU previsto in caso di comodato tra familiari comproprietari e a tale dettato si stanno già adeguando sia i contribuenti che gli enti impositori. In relazione all’operato di questi ultimi si rileva infatti come tale pronuncia ovviamente da un lato conforta gli enti che in passato avevano sollevato dubbi sulla tesi, che come visto era stata espressa dal MEF e da IFEL nel 2016, dall’altra costringe a rivedere la posizione assunta nei confronti dei contribuenti interessati tutti quei comuni che negli anni avevano al contrario fatto affidamento proprio sulle indicazioni fornite dall’Anci e dal Ministero.
Dott. Francesco Foglia