Cass. civ., sez. V, sent., 17 aprile 2019 n. 10668


LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:              

Dott. MANZON           Enrico                       –  Presidente   –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe                     –  Consigliere  –

Dott. NONNO            Giacomo Maria                –  Consigliere  –

Dott. D’AQUINO         Filippo                      –  Consigliere  –

Dott. FANTICINI        Giovanni                –  rel. Consigliere  –

ha pronunciato la seguente:                                          

SENTENZA

sul ricorso 21414-2016 proposto da: 

EQUITALIA SERVIZI DI RISCOSSIONE SPA, in persona del legale 

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA  FLAMINIA 135, presso lo studio dell’avvocato …,

rappresentato e difeso dagli avvocati …, … giusta delega in calce;                                    – ricorrente – 

contro

               …, elettivamente domiciliata in ROMA VIA EMANUELE 

FILIBERTO 61, presso lo studio dell’avvocato …, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato … giusta delega a margine;  – controricorrente – 

e contro

AGENZIA DELLE DOGANE CIRCOSCRIZIONE DOGANALE DI (OMISSIS);  – intimata – 

sul ricorso 22554-2016 proposto da: 

AGENZIA DELLE DOGANE E DEI MONOPOLI, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12,  presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e  difende;             – ricorrente – 

contro

               ….., elettivamente domiciliata in ROMA VIA EMANUELE 

FILIBERTO 61, presso lo studio dell’avvocato …, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato … giusta delega a margine; 

– controricorrente – 

avverso la sentenza n. 309/2016 della COMM. TRIB. REG. SEZ. DIST. di LIVORNO, depositata il 18/02/2016; 

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 26/03/2019 dal Consigliere Dott. GIOVANNI FANTICINI; 

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SORRENTINO FEDERICO che ha concluso per l’accoglimento dei ricorsi; 

udito per il ricorrente r.g. 21414/16 l’Avvocato … per delega dell’Avvocato … che si riporta agli atti e deposita n. 2  cartoline A/R; 

udito per il ricorrente r.g. 22554/16 l’Avvocato … che si  riporta agli atti; 

udito per la controricorrente l’Avvocato … che ha chiesto il rigetto.

FATTO

Con ricorso alla C.T.P. di Livorno … impugnava la cartella di pagamento n. (…), emessa da Equitalia Centro S.p.A. per crediti iscritti a ruolo dalla Dogana di (…) e, segnatamente, per 18 avvisi di accertamento relativi a rettifiche impositive operate nei confronti della … S.a.s., di cui la stessa …, insieme col …, era socia accomandataria. Con l’atto introduttivo …) si sosteneva l’illegittimità dell’atto impugnato per duplicazione del titolo esecutivo, in ragione dell’identità del credito derivante da cartella di pagamento già azionata nei confronti dell’altro socio accomandatario …, ) si rilevava la natura satisfattiva dell’ordinanza di assegnazione emessa nella procedura di espropriazione presso terzi intrapresa dall’agente per la riscossione nei confronti del predetto …, …) si eccepiva la prescrizione (quinquennale) del credito erariale azionato.

Costituitesi in giudizio l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli e l’agente della riscossione Equitalia Centro S.p.A., la C.T.P. respingeva il ricorso.

La C.T.R. della Toscana, con sentenza n. 309/10/16 del 18/2/2016 accoglieva l’appello di …, annullava la cartella di pagamento impugnata e condannava gli appellati alla rifusione delle spese di lite: per quanto rileva in questa sede, il giudice d’appello così spiegava la propria decisione: “Detti avvisi di accertamento sono stati oggetto di impugnazione dinnanzi la CTP di Como e successivamente in appello alla CTR di Milano. Dopo di ciò la sentenza è divenuta titolo esecutivo che ha dato origine al pignoramento della pensione del Sig. … altro socio accomandatario per (Euro) 121.840,74. Per questo motivo la ricorrente sostiene che il credito coattivo è già stato esercitato e pertanto una ulteriore azione risulterebbe in duplicato del recupero esecutivo. … Questa Commissione…ritiene che vi sia inapplicabilità del principio del cumulo dei mezzi di espropriazione in quanto il creditore aveva già ottenuto nella procedura esecutiva precedentemente azionata un provvedimento che gli assegnava l’intero importo del credito, ordinando al terzo, nella fattispecie, il sig. .. la materiale corresponsione mensile. Pertanto (per) la natura satisfattiva e sospensiva dell’ordinanza di assegnazione, il creditore non aveva alcun diritto di azionare nuovamente il proprio credito fin tanto che il terzo provvedeva ai versamenti periodici. Tale orientamento è stato confermato dalla Suprema Corte nella sentenza n. 26036 Cassazione 29/11/2005”.

Avverso tale pronuncia l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli propone ricorso per cassazione (iscritto al n. 22554/2016), affidato a un unico motivo.

Anche Equitalia Servizi di Riscossione (già Equitalia Centro) S.p.a. ha proposto ricorso per cassazione (iscritto al n. 21414/2016) della medesima sentenza, basato su quattro motivi.

Ha depositato distinti controricorsi ….. 

DIRITTO

  1. Preliminarmente, ai sensi dell’art. 335 c.p.c., si dispone la riunione delle impugnazioni iscritte ai nn. 22554/2016 e 21414/2016.
  2. Coi primi tre motivi, Equitalia Servizi di Riscossione contesta l’affermazione della C.T.R. secondo cui “il creditore non aveva alcun diritto di azionare nuovamente il proprio credito”, da reputarsi errata perché la cartella di pagamento non costituisce atto dell’azione esecutiva ma atto prodromico ad essa (equiparabile, sotto vari profili, al precetto).

L’agente della riscossione lamenta sia l’incongruità della motivazione (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), perchè non sono state affatto esperite plurime azioni esecutive, sia la violazione D.P.R. n. 602 del 1973, artt. 25 e 50, e artt. 480 e 482 c.p.c. (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), perchè non è invocabile il divieto di cumulo dei mezzi di espropriazione prima dell’inizio di questa, sia – in subordine – il difetto di giurisdizione del giudice tributario rispetto agli atti dell’esecuzione forzata.

  1. La ricorrente Agenzia delle Dogane lamenta la violazione e falsa applicazione (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), dell’art. 483 c.p.c., poiché la C.T.R. avrebbe richiamato la predetta disposizione per inibire il recupero del credito dall’obbligata … sia considerando (erroneamente) satisfattiva l’assegnazione effettuata nella procedura espropriativa presso terzi nei confronti del condebitore solidale …, sia mancando di considerare gli elementi fattuali (assegnazione di una somma mensile estremamente esigua rispetto al credito).
  2. Analoghe censure sono svolte da Equitalia Servizi di Riscossione col quarto motivo.
  3. Tutti i motivi sono fondati nei termini di seguito esposti.

Il richiamo dell’art. 483 c.p.c., nella sentenza impugnata è del tutto inappropriato e costituisce falsa applicazione della norma.

La disposizione sul “cumulo dei mezzi di espropriazione” recita: “Il creditore può valersi cumulativamente dei diversi mezzi di espropriazione forzata previsti dalla legge, ma, su opposizione del debitore, il giudice dell’esecuzione, con ordinanza non impugnabile, può limitare l’espropriazione al mezzo che il creditore sceglie o, in mancanza, a quello che il giudice stesso determina. Se è iniziata anche l’esecuzione immobiliare, l’ordinanza è pronunciata dal giudice di quest’ultima”.

Si ha cumulo dei mezzi di espropriazione quando contemporaneamente si pongano in essere contro lo stesso debitore più processi esecutivi di tipo diverso; se si tratta, invece, di procedure dello stesso tipo, si ha il cosiddetto “cumulo omogeneo” in relazione al quale è comunque applicabile (secondo la prevalente dottrina e giurisprudenza) il disposto dell’art. 483 c.p.c..

Il creditore, per la soddisfazione del proprio credito, può avvalersi congiuntamente dei differenti mezzi di espropriazione previsti dall’ordinamento (espropriazione mobiliare presso il debitore, espropriazione presso terzi, espropriazione immobiliare) e anche promuovere varie procedure esecutive del medesimo tipo su beni diversi (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 19876 del 29/8/2013, in motivazione: “Al creditore spetta il diritto di proseguire il processo esecutivo fintantochè il debitore esecutato non abbia pagato per intero l’importo dovuto, in forza del titolo esecutivo posto a base dell’esecuzione”).

Il ricorso a plurime espropriazioni potrebbe, però, risultare eccessivamente gravoso per il debitore e superfluo per l’effettiva tutela delle ragioni creditorie, sicchè l’art. 483 c.p.c., costituisce un limite alla facoltà riconosciuta al creditore, qualora il cumulo dei mezzi di espropriazione si riveli eccessivo.

Pur non potendosi inquadrare la reazione del debitore nelle opposizioni esecutive ex artt. 615 o 617 c.p.c. (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 18533 del 3/9/2007), la disciplina dell’art. 483 c.p.c., è totalmente nell’alveo del processo esecutivo: l’istanza per la limitazione dei mezzi di espropriazione è proposta dal debitore con ricorso indirizzato ad uno dei giudici delle diverse esecuzioni promosse (o al giudice dell’espropriazione immobiliare nell’ipotesi prevista dal comma 2); nel ricorso devono essere indicate (e documentate) le circostanze che inducono l’esecutato a ritenere eccessivo il cumulo per la sproporzione tra il credito vantato e il complesso dei beni concretamente aggrediti; sulla richiesta il giudice, sentite le parti, provvede con ordinanza (atto finale del sub-procedimento), impugnabile con l’opposizione agli atti esecutivi (Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 2487 del 19/2/2003, Rv. 561045-01).

Perciò, come rilevato dalla ricorrente Equitalia Servizi di Riscossione, la corretta (non falsa) applicazione dell’art. 483 c.p.c., postula l’inizio dell’esecuzione forzata tributaria e la giurisdizione su questa del giudice ordinario (D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 2, comma 1), ma è evidente che ciò non può essere perché la cartella di pagamento non segna affatto l’inizio dell’espropriazione.

Difatti, secondo numerose pronunce di questa Corte, la cartella è atto prodromico all’esecuzione forzata tributaria e, al pari del precetto, costituisce minaccia del suo inizio.

  1. Occorre dunque interrogarsi sulla possibilità di far valere – in via preventiva (prima dell’inizio dell’esecuzione forzata) e innanzi al i giudice tributario – la superfluità per la tutela delle ragioni creditorie dell’iniziativa dell’agente della riscossione (sottesa all’istanza ex art. 483 c.p.c.) o, persino, la sopravvenuta carenza del diritto di agire in executivis in conseguenza della già avvenuta soddisfazione del credito erariale (fatto estintivo integrante, nel processo esecutivo ordinario, un’opposizione ex art. 615 c.p.c.).
  2. Riguardo a questa seconda problematica la Corte Cost., con la sentenza n. 114 del 31/5/2018, ha statuito che: “Se il contribuente contesta il titolo della riscossione coattiva, la controversia così introdotta appartiene alla giurisdizione del giudice tributario e l’atto processuale di impulso è il ricorso del D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 19, proponibile avverso “il ruolo e la cartella di pagamento”, e non già l’opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c. … La prevista inammissibilità dell’opposizione all’esecuzione, quando riguarda atti che radicano la giurisdizione del giudice tributario, non segna una carenza di tutela del contribuente assoggettato a riscossione esattoriale, perché questa c’è comunque innanzi ad un giudice, quello tributario. L’inammissibilità dell’opposizione ex art. 615 c.p.c., si salda, in simmetria complementare, con la proponibilità del ricorso del D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 19, assicurando, in questa parte, la continuità della tutela giurisdizionale…. Altrimenti detto, l’opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c., – che non è soggetta a termine di decadenza – in tanto non è ammissibile, come prescrive l’art. 57 cit., in quanto non ha, e non può avere, una funzione recuperatoria di un ricorso del D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 19, non proposto affatto o non proposto nel prescritto termine di decadenza (di sessanta giorni).

Pertanto, rientra nella competenza giurisdizionale del giudice tributario – investito con ricorso avverso la cartella di pagamento e, quindi, prima dell’inizio dell’espropriazione – la contestazione della permanenza del diritto dell’agente della riscossione di iniziare l’esecuzione forzata tributaria in ragione della già intervenuta soddisfazione del credito (e questo ha fatto valere la V. sostenendo, sin dall’inizio del processo, la natura satisfattiva dell’ordinanza di assegnazione emessa nell’espropriazione presso terzi promossa contro l’altro accomandatario).

  1. Con riguardo alla prima problematica (“estensione” della regola sottesa all’art. 483 c.p.c., ad una fase anteriore all’inizio dell’espropriazione), si osserva che sono pacificamente applicabili all’esecuzione forzata la generale clausola di buona fede e i principi in tema di abuso del processo (v. Cass., Sez. 3, Sentenza n. 8576 del 9/4/2013).

Proprio in applicazione di tali principi generali, Cass., Sez. 3, Sentenza n. 7078 del 9/4/2015, Rv. 635106-01, ha stabilito che: “In materia di espropriazione forzata, la necessità di coordinare il principio della cumulabilità dei mezzi di esecuzione con il divieto di abuso degli strumenti processuali – ricavabile dalla previsione dell’art. 111 Cost., comma 1, nonché dall’operatività degli obblighi di correttezza e buona fede anche nell’eventuale fase patologica di una relazione contrattuale – comporta che l’emissione di un’ordinanza di assegnazione, sebbene di regola non precluda la possibilità di ottenerne altre in relazione allo stesso titolo e fino alla soddisfazione effettiva del credito, renda illegittima la scelta del creditore di intraprendere una nuova esecuzione, allorché egli sia stato integralmente soddisfatto in forza di detto provvedimento, nè deduca la mancata ottemperanza all’ordine di assegnazione da parte del suo destinatario” (nella fattispecie, il creditore aveva minacciato, con precetto, un’esecuzione forzata, sebbene la debitrice avesse già inviato al creditore un assegno circolare – immotivatamente non posto all’incasso – per un ammontare idoneo ad estinguere il credito e, oltretutto, il creditore avesse già ottenuto, per lo stesso credito, una precedente ordinanza di assegnazione nei confronti di un terzo pignorato).

Nella motivazione della sentenza si specifica: “E’ ben vero che l’emissione di una ordinanza di assegnazione (accostata tradizionalmente dalla giurisprudenza ad una cessione pro solvendo) di per sé non integra una immediata e contestuale estinzione dell’obbligazione del debitore né al contempo comporta una immediata soddisfazione del creditore procedente, in quanto egli sarà pienamente soddisfatto soltanto con l’effettivo incasso delle somme assegnate allorchè il terzo destinatario dell’ordinanza di assegnazione avrà provveduto ad effettuare il pagamento. Questa Corte ha più volte affermato che, stante il principio della cumulabilità dei mezzi di esecuzione, l’emissione di una ordinanza di assegnazione in sé, non essendo immediatamente satisfattiva, non preclude di per sé la possibilità di ottenerne delle altre sempre in relazione allo stesso titolo e fino alla soddisfazione effettiva del credito… (Tuttavia) Intraprendere immotivatamente una nuova esecuzione, pur essendo beneficiari di una ordinanza di assegnazione pienamente satisfattiva nel suo importo del credito vantato, ed in difetto anche della semplice allegazione di una difficoltà ad incassare quanto portato nell’ordinanza stessa, costituisce abuso dei mezzi di espropriazione, che essendo destinati ad incidere direttamente nella sfera giuridica del debitore, vanno pur sempre utilizzati con cautela, e non devono divenire strumenti per moltiplicare senza giustificazione l’esposizione debitoria”.

Dalla decisione succitata si desume che anche prima dell’inizio dell’espropriazione forzata il debitore può far valere eventuali condotte abusive del creditore che manifesti l’intenzione di avviare ulteriori processi esecutivi, pur avendo già impiegato fruttuosamente gli strumenti processuali volti alla soddisfazione del credito.

Nel contesto dell’espropriazione forzata ordinaria lo strumento preposto a tale doglianza è l’opposizione preventiva all’esecuzione ex art. 615 c.p.c., comma 1; mutatis mutandis e sulla scorta dell’insegnamento di Corte Cost. n. 114 del 2018, prima dell’inizio dell’esecuzione forzata tributaria il mezzo da impiegare è costituito dall’impugnazione della cartella di pagamento (o degli altri atti prodromici alla riscossione coattiva).

  1. Nel caso de quo, la C.T.R. della Toscana ha attribuito all’ordinanza ex art. 553 c.p.c., emessa nell’espropriazione presso terzi contro V.B. una “natura satisfattiva e sospensiva” tale da escludere il diritto dell’agente della riscossione di azionare il credito in mancanza di inadempimento del terzo all’obbligo di effettuare i versamenti periodici.

In contrasto (e accogliendo le doglianze delle ricorrenti), si osserva che “In tema di espropriazione presso terzi, l’assegnazione in pagamento del credito, ex art. 553 c.p.c., in quanto disposta “salvo esazione”, non opera anche l’immediata estinzione del credito per cui si è proceduto in via esecutiva, essendo quest’ultima assoggettata alla condizione sospensiva del pagamento che il terzo assegnato esegua al creditore assegnatario, evento con il quale si realizza il duplice effetto estintivo dell’obbligazione del debitor debitoris nei confronti del soggetto esecutato e del debito di quest’ultimo verso il creditore assegnatario.” (da ultimo, Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 30862 del 29/11/2018, Rv. 651638-01; meno recentemente, Cass., Sez. 3, Sentenza n. 13021 del 9/12/1992, Rv. 479955-01, e la già citata Cass., Sez. 3, Sentenza n. 7078 del 9/4/2015).

Ne esce smentita l’affermazione circa la “natura satisfattiva” del provvedimento di assegnazione.

  1. Parimenti, nessuna efficacia “sospensiva” – intesa come preclusiva del diritto del creditore di avviare ulteriori procedure esecutive in pendenza dei pagamenti del terzo assegnato – può riconoscersi all’ordinanza ex art. 553 c.p.c., se non in caso di immotivato e abusivo ricorso agli strumenti processuali con finalità vessatorie del debitore e senza alcuna ragione a giustificazione della tutela del credito.

Posto che, per regola, “l’emissione di una ordinanza di assegnazione in sè, non essendo immediatamente satisfattiva, non preclude di per sé la possibilità di ottenerne delle altre sempre in relazione allo stesso titolo e fino alla soddisfazione effettiva del credito” (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 7078 del 9/4/2015), per poter reputare, in via di eccezione, illegittima la condotta del creditore, il giudice di merito è tenuto a vagliare scrupolosamente le ragioni addotte a giustificazione della reiterata iniziativa esecutiva minacciata.

Nella fattispecie in esame, la C.T.R. della Toscana ha erroneamente configurato una preclusione all’avvio di azioni esecutive nei confronti di altro coobbligato in contrasto con la natura non satisfattiva (dimostrata dalla locuzione “salva esazione” dell’art. 553 c.p.c.), dell’ordinanza di assegnazione del credito e non ha nè ipotizzato l’esercizio abusivo degli strumenti di riscossione, nè tantomeno dimostrato di aver preso in considerazione le ragioni giustificative addotte dal creditore (l’Agenzia delle Dogane illustra nel ricorso che, a fronte di un debito di Euro 94.036,52, il credito assegnato ex art. 553 c.p.c., ammonta a Euro 5,37 mensili; spetterà alla C.T.R. di rinvio stabilire se la notifica della cartella – che minaccia esecuzione forzata tributaria – nei confronti di V.E. sia superflua per la tutela delle ragioni creditorie).

  1. Dall’accoglimento dei motivi (nei limiti suesposti) discende la cassazione della sentenza impugnata, con rinvio alla C.T.R. della Toscana, in diversa composizione, per l’ulteriore esame e anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità. 

P.Q.M.

La Corte:

accoglie i ricorsi;

cassa la decisione impugnata con rinvio alla C.T.R. della Toscana, in diversa composizione, anche per la statuizione sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Quinta Sezione Civile, il 26 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 17 aprile 2019


COMMENTO

Un contribuente, socio accomandatario di una società in accomandita semplice, riteneva illegittima una cartella di pagamento emessa dall’Amministrazione tributaria, in quanto affermava che il credito fosse già stato soddisfatto attraverso il pignoramento della pensione di un altro socio della medesima società.

Il ricorrente, in particolare, nel ricorso innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale, sottolineava come il pignoramento della pensione del suo socio fosse avvenuto sulla base delle stesse cartelle di pagamento, che erano poi state emesse anche nei suoi confronti.

Il ricorrente, in primo luogo, dunque, lamentava la violazione dell’art. 483 c.p.c., che consente al creditore di valersi cumulativamente dei diversi mezzi di espropriazione previsti dalla legge, ma prevede altresì che, su opposizione del debitore, il giudice dell’esecuzione possa, con ordinanza non impugnabile, limitare l’espropriazione al mezzo scelto dal creditore o, in mancanza, a quello determinato dallo stesso giudice. 

In secondo luogo, si doleva della violazione dell’art. 553 c.p.c. il quale, secondo la tesi del ricorrente, sancisce che, una volta emessa l’ordinanza di assegnazione conclusiva della procedura di pignoramento presso terzi, il credito deve ritenersi soddisfatto.

La Commissione Tributaria Provinciale rigettava il ricorso; la  decisione di primo grado veniva appellata dal ricorrente innanzi alla Commissione Tributaria Regionale, che  accoglieva il gravame sulla base delle doglianze già proposte.

L’Amministrazione tributaria, allora, impugnava la sentenza della Commissione Tributaria Regionale in Corte di Cassazione, la quale cassava la sentenza e rinviava la decisione alla stessa Commissione Tributaria Regionale in diversa composizione. 

Ebbene, la Suprema Corte, innanzitutto, giudicava erronea l’interpretazione dei giudici di secondo grado relativa all’art. 483 c.p.c. 

La Cassazione, infatti, ha correttamente sottolineato come l’art. 483 c.p.c. attenga esclusivamente alla procedura esecutiva, e non agli atti prodromici a quest’ultima. 

Nella specie, il ricorrente aveva impugnato la cartella di pagamento, che è considerata un atto meramente prodromico all’espropriazione esattoriale (analogamente all’atto di precetto, il quale è atto meramente prodromico rispetto all’espropriazione ordinaria) e, quindi, non può essere qualificata quale atto della procedura esecutiva.

Al riguardo, la Suprema Corte sottolinea come non esista, formalmente, nell’ordinamento una norma legislativa che impedisca al creditore di intraprendere una nuova esecuzione per lo stesso credito.

La giurisprudenza di legittimità, poi, osserva, giustamente, che l’ordinanza di cui all’art. 553 c.p.c non determina ex se la soddisfazione del credito.

Infatti, il credito è soddisfatto solo nel momento in cui terzo pignorato abbia effettivamente versato la somma al creditore dell’esecutato.

Tuttavia, la Suprema Corte ha affermato che il comportamento del creditore, il quale dia inizio a nuove procedure esecutive per il medesimo credito, già oggetto di anteriore esecuzione, debba essere valutato alla luce del generale divieto di abuso del diritto.

Dunque, la Commissione Tributaria Regionale, in sede di giudizio di rinvio, dovrà valutare se il comportamento dell’Amministrazione tributaria, in astratto legittimo, si sia estrinsecato, in concreto, in un abuso del diritto.

Orbene, nell’ordinamento italiano non esiste una norma specifica sul generale divieto di abuso del diritto. 

Le ragioni di tale lacuna sono di carattere storico. 

Infatti, sia il Codice di Procedura Civile del 1940 che il Codice Civile del 1942 sono stati fortemente influenzati dalla Codificazione napoleonica. Quest’ultima era espressione di quella concezione illuministica di un diritto certo ed assoluto, incompatibile con il concetto di “abuso del diritto”.

In altri termini, secondo l’impostazione del Code Civil, riconoscere un diritto e poi limitarne l’esercizio era considerata un’insuperabile contraddizione. 

Di conseguenza, l’astratta titolarità di un diritto era ex se sufficiente a giustificarne l’esercizio, a prescindere dallo scopo per cui fosse esercitato. 

La Costituzione Repubblicana, tuttavia, ha introdotto tutta una serie di norme che, nel tempo, hanno influenzato e modificato i principi generali originari del Codice di procedura civile e del Codice Civile.

In primo luogo, l’art. 2 Cost. il quale, oltre ai diritti inviolabili, ha costituzionalizzato il principio solidaristico economico sociale. 

In secondo luogo, l’art. 24 Cost. che ha caratterizzato di inviolabilità costituzionale il diritto di difesa a tutela delle situazioni giuridiche soggettive garantite dall’ordinamento.

In terzo luogo, l’art. 111 Cost. il quale ha elevato a norma costituzionale il principio del giusto processo. 

Ebbene, proprio attraverso questi principi, la giurisprudenza ha ricavato l’esistenza del generale divieto di abuso del diritto (Cort. Cass. Sez. III. Sent. 18 settembre 2009, n. 20106).

In particolare, la giurisprudenza di legittimità ha individuato nelle norme del Codice civile che fanno riferimento al principio di “buona fede” in senso oggettivo– art. 1175, 1337, 1366, 1375, ma anche, indirettamente, artt. 1359, 1362 c.c. – il supporto attraverso cui proiettare il principio solidaristico all’interno del rapporto obbligatorio (Cantillo, M., Giurisprudenza sistematica di diritto civile e commerciali, fond. Bignavi, W., Torino, U.T.E.T., 1992, p. 203 a 283).

In altri termini, la buona fede, costituzionalmente interpretata, è stata elevata a regola di carattere precettivo ed inderogabile.

Il rapporto obbligatorio, quindi, deve estrinsecarsi nella massimizzazione dell’interesse del creditore attraverso il minor, in termini di ragionevolezza, sacrificio del debitore (Roppo, V., Diritto privato, Ed. VI, Torino, Giappichelli Editore, 2010, p. 267 a 279).

Di conseguenza, alla luce del principio di buona fede solidaristica, il creditore astrattamente titolare di un diritto non può, in concreto, esercitarlo al solo scopo di danneggiare il debitore.

Inoltre, è stato individuato negli artt. 111 Cost. (giusto processo) e 88 c.p.c. (lealtà tra le parti del processo) il supporto normativo attraverso cui proiettare il principio di buona fede – solidaristica – all’interno del processo (Cort. Cass. Sez. un. sent. del 15 novembre 2007, n. 23726).

Pertanto, il diritto ad una tutela giurisdizionale piena ed effettiva non può, in concreto, essere esercitato al solo scopo di ledere la controparte. 

A tal proposito, giova evidenziare come la primaria affermazione del generale principio di abuso del diritto sia avvenuta, non a caso, in ambito tributario. 

La Sezione Tributaria della Corte di Cassazione, infatti, già nel 2005, aveva affermato che operazioni di natura fiscale, astrattamente consentite, non possono essere, in concreto, effettuate al solo scopo di eludere la normativa fiscale (Cort. Cass. Sez. Trib. sent. del 21 ottobre 2005, n. 20398).

Quindi, il Giudice, oggi, alla luce della regola inderogabile di buona fede, deve sempre valutare se un diritto, pur in astratto riconosciuto dall’ordinamento, sia in concreto esercitato per scopi diversi da quelli per i quali è garantito. 

Nella specie, gli artt. 483 e 553 c.p.c. consentono, in astratto, all’Amministrazione tributaria di porre in essere gli atti necessari ad attivare nuove procedure esecutive di un credito già oggetto di esecuzione. 

Tuttavia, il Giudice deve, in concreto, valutare se questo comportamento si estrinsechi, o meno, in una forma patologica d’abuso che devii dallo scopo ordinamentale. 

La sentenza in commento, dunque, rappresenta una declinazione squisitamente pratica e corretta della regola di buona fede solidaristica. 

Dott. Gian Maria Marletti