Cass. civ., sez. V, 05.12.2019 n. 31772


FATTI DI CAUSA

  1. L’Agenzia delle Entrate propone ricorso, affidato a due motivi, per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia n. 1454/2014, depositata il 21 marzo 2014, che ha rigettato il suo appello avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Milano, che aveva accolto, dopo averli riuniti, i ricorsi della S.R. s.p.a. (già S.F. s.p.a.), operante nel settore della produzione di filtri per auto, contro gli avvisi di accertamento con i quali l’Ufficio aveva rettificato le dichiarazioni Ires ed Irap, per l’anno d’imposta 2004, della contribuente, sulla base di un processo verbale di constatazione nel quale era stata rilevata, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37-bis, la natura elusiva, e quindi l’inopponibilità all’Amministrazione, di una serie concatenata di operazioni societarie, realizzate nell’ambito della riorganizzazione globale, sia in Italia che all’estero, del Gruppo S., resa necessaria per razionalizzare l’originario Gruppo S.F., a seguito dell’acquisizione del gruppo F., al fine di evitare che i due Gruppi entrassero in concorrenza tra loro, di unificare i centri amministrativi, di semplificare il perimetro di consolidamento e di accorciare la catena di controllo del Gruppo.

1.1. In particolare, l’Ufficio aveva rilevato che il fine della riorganizzazione era stato perseguito attraverso una serie di operazioni societarie che erano sfociate in ultimo nella fusione per incorporazione della S.F. s.p.a. (società italiana il cui capitale era interamente detenuto dalla capogruppo S. s.p.a.) nella F. I. s.r.l. (societa’ italiana il cui capitale era interamente detenuto dalla societa’ francese F. s.a., a sua volta partecipata per il 99,9% dalla stessa capogruppo S. s.p.a.). La societa’ incorporante aveva quindi assunto il nome e la forma di S. F. s.p.a. (negli atti definita “nuova” S. F., per distinguerla dalla “vecchia” S. F., incorporata) e, successivamente, la partecipazione al suo capitale sociale veniva ceduta nuovamente alla capogruppo S. s.p.a., che veniva così ad assumere il ruolo di holding del Gruppo riorganizzato, che controllava attraverso la partecipata italiana “nuova” S. F. e quella francese F. s.a..

Poiche’ all’atto della fusione l’incorporante F.I. s.r.l. possedeva (per averlo acquistata dalla capogruppo S. s.p.a., utilizzando un finanziamento concessole da quest’ultima, che ha successivamente rinunciato alla sua restituzione) l’intero capitale dell’incorporata “vecchia” S.F. s.p.a., l’operazione straordinaria produceva l’annullamento della partecipazione dell’incorporante nell’incorporata. La conseguente differenza tra il valore contabile della partecipazione nell’incorporata, iscritto nel bilancio dell’incorporante ed annullato con la fusione, e la quota corrispondente del patrimonio netto contabile della società incorporata, dava quindi luogo ad un disavanzo da fusione di Euro 14.412.000,00. Ai fini fiscali, l’incorporante “nuova” S. F. s.p.a. si avvaleva allora del D.Lgs. 8 ottobre 1997, n. 358, art. 6, comma 2, che il D.Lgs. 12 dicembre 2003, n. 344, art. 4, comma 2, lett. a), consentiva di continuare ad applicare alle operazioni di fusione e scissione deliberate dalle assemblee delle società partecipanti fino al 30 aprile 2004, essendo invece quelle deliberate successivamente disciplinate dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 172, comma 2, per il quale i beni ricevuti dall’incorporante sono valutati fiscalmente in base all’ultimo valore riconosciuto ai fini delle imposte sui redditi che avevano nel bilancio dell’incorporata prima della fusione, quindi senza imputazione ad essi, ai fini fiscali, dell’eventuale disavanzo da annullamento.

La “nuova” S. F. s.p.a. conseguiva pertanto il riconoscimento fiscale, senza l’applicazione dell’imposta sostitutiva, dei maggiori valori iscritti per effetto dell’imputazione del disavanzo da annullamento della sua partecipazione nell’incorporata. Il disavanzo veniva imputato in parte alla rivalutazione dello stabilimento della “vecchia” S. F. s.p.a., così neutralizzando fiscalmente la plusvalenza realizzata successivamente dall’incorporante con la vendita dello stesso bene; mentre altra parte del disavanzo era imputata ad avviamento, portato dall’incorporante in ammortamento.

1.2. L’Ufficio – pur riconoscendo sia la liceità dei singoli atti con i quali l’operazione complessiva era stata realizzata, sia la finalità di necessaria riorganizzazione globale del Gruppo che in parte l’aveva giustificata – contestava tuttavia che il medesimo risultato avrebbe potuto essere raggiunto attraverso un diverso procedimento alternativo (acquisto, da parte della capogruppo S. s.p.a., del capitale sociale della F. I. s.r.l., interamente detenuto dalla F. s.a.; fusione “orizzontale”, per concambio, tra F. I. s.r.l. e “vecchia” S. F. s.p.a., soggetti tra loro indipendenti e non legati da rapporti di partecipazione) che, tuttavia, non avrebbe generato, a titolo di differenza, analogo disavanzo gratuitamente affrancabile ai fini fiscali.

Pertanto, l’Agenzia riteneva che la sola ragione della scelta delle concrete modalità di realizzazione dell’operazione complessiva in questione era il risparmio d’imposta che esse garantivano e ne assumeva quindi l’inopponibilità all’amministrazione finanziaria, disconoscendo i vantaggi tributari che ne erano conseguiti, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37-bis.

Gli avvisi di accertamento impugnati recuperavano quindi a tassazione la predetta plusvalenza e le deduzioni delle quote di ammortamento dell’avviamento e della quota di interessi passivi sul finanziamento concesso dalla capogruppo all’incorporante F. I. s.r.l. per acquistare il capitale dell’incorporata “vecchia” S. F. s.p.a..

2.1 ricorsi della società contribuente, dopo la loro riunione, sono stati accolti dall’adita Commissione tributaria provinciale, secondo la quale (per quanto riportato da ambedue le parti nel ricorso e nel controricorso) la contribuente ha certamente agito ottenendo un risparmio fiscale, che tuttavia non e’ di per se’ illegittimo e non integra la fattispecie elusiva contestata, non avendo l’Ufficio “saputo motivare quale fosse il carattere indebito dei risultati ottenuti dalla contribuente”. L’appello dell’Ufficio e’ stato respinto dalla CTR adita.

  1. L’Ufficio ha quindi proposto ricorso per la cassazione della sentenza di secondo grado.
  2. La contribuente si e’ costituita con controricorso ed ha successivamente depositato memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

  1. Con il primo motivo, l’Ufficio ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, la violazione e la falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., comma 1, u.p.; artt. 2697 e 2729 c.c.; del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 172, comma 2, u.p.; del D.Lgs. 8 ottobre 1997, n. 358, art. 6, comma 2; e del D.Lgs. 12 dicembre 2003, n. 344, art. 4, comma 1, lett. a).

1.1. Come eccepito dalla controricorrente, il motivo, letto alla stregua degli indicati parametri di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, e’ inammissibile, per genericità e difetto di autosufficienza della sua formulazione, in contrasto con l’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4.

Infatti, la lettura dell’intera esposizione del complesso motivo evidenzia che i pretesi errori di diritto nell’applicazione delle menzionate norme sostanziali e processuali sono illustrati con la mera indicazione delle norme che la ricorrente assume violate, ma senza la necessaria critica delle soluzioni adottate dal giudice del merito nel risolvere le questioni giuridiche poste dalla controversia, operata mediante specifiche e puntuali contestazioni, nell’ambito di una valutazione comparativa con le diverse soluzioni in diritto, che peraltro la stessa ricorrente, pure all’interno di un’articolata disamina, neppure si fa carico di prospettare. Invero, la predetta carenza nell’esposizione del motivo appare imputabile all’effettivo contenuto dello stesso, che, nonostante la formale rubricazione attribuitagli dalla ricorrente, si sostanzia nell’imputazione, al giudice a quo, dell’omesso esame di fatti (il finanziamento, per acquistare il capitale dell’incorporata “vecchia” S. F. s.p.a., concesso all’incorporante F. I. s.r.l. dalla capogruppo, che ha successivamente rinunciato al conseguente credito verso l’incorporante; la cessione a terzi dello stabilimento già di proprietà dell’incorporata; l’imputazione del disavanzo da annullamento, conseguente alla fusione, a maggior valore dello stesso immobile, che ha impedito l’emersione della plusvalenza conseguente alla sua successiva alienazione), benché essi non fossero contestati ed avrebbero potuto costituire, secondo la ricorrente, la base di ragionamenti presuntivi idonei a sorreggere la pretesa impositiva.

In tali termini, il primo motivo di ricorso coincide allora con la censura motivazionale di cui al secondo, sul quale infra.

  1. Con il secondo motivo, l’Ufficio ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, che sono stati oggetto di discussione tra le parti. I fatti in questione coincidono con quelli individuati nel primo motivo ed ante richiamati.

2.1. Deve escludersi che, rispetto al secondo motivo, sussista l’inammissibilità eccepita dalla controricorrente ai sensi dell’art. 348-ter c.p.c., comma 5, che preclude l’impugnazione per il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nei casi della c.d. “doppia conforme”, ed e’ applicabile anche al giudizio tributario (Cass., Sez. U., 7/4/2014, n. 8053) e, ratione temporis, anche a questa controversia.

2.2. Infatti, la lettura della motivazione della sentenza di primo grado, nei limiti nei quali è stata, concordemente, riprodotta dalle parti nel ricorso e nel controricorso, non evidenzia in modo inequivocabile che il giudice di prime cure abbia fondato la sua decisione sulle stesse ragioni, inerenti alle questioni di fatto, poste a base della sentenza di secondo grado.

La motivazione adottata dalla CTP, nell’estratto riprodotto, si sostanzia invece nella censura, sul piano logico ed astratto, del sillogismo sul quale sarebbe fondato l’accertamento emesso dall’Ufficio, la cui “premessa maggiore (le fusioni per incorporazione possono legittimamente generare un disavanzo) non sarebbe coerente con quella “minore” (chi compie una fusione per incorporazione per ottenere un disavanzo riconosciuto gratuitamente ai fini fiscali integra un’elusione illegittima). Pertanto, la motivazione dell’atto impositivo, basata su tale fallace ragionamento, sarebbe viziata da “illogicità manifesta” ed insufficiente in ordine ad “un requisito fondamentale della fattispecie elusiva”, poiche’ “l’Ufficio non ha saputo motivare quale fosse il carattere indebito dei risultati ottenuti dalla contribuente”.

L’annullamento dell’accertamento, da parte della CTP, non risulta quindi motivato e fondato “sulle stesse ragioni inerenti alle questioni di fatto poste a fondamento della decisione impugnata” in questa sede, come prevede l’art., dell’art. 348-ter c.p.c., comma 5, ma basato sulla ritenuta criticità logica del ragionamento posto a fondamento della pretesa erariale (e quindi della motivazione dell’accertamento), apprezzata in astratto ed a prescindere dagli elementi fattuali concreti che compongono la fattispecie controversa, valutati invece dalla CTR.

2.3. Neppure sussiste l’inammissibilità del secondo motivo eccepita dalla controricorrente per preteso difetto di autosufficienza, o per genericità, della sua formulazione, che attinge invece i predetti tre fatti (o meglio i tre predetti complessi di fatti), sufficientemente individuati – e comunque, per quanto risulta dalla sentenza impugnata e dalle difese delle parti, oggetto del precedente contraddittorio tra le parti- ed argomenta in ordine alla loro potenzialità decisiva ai fini della decisione della lite nel merito.

2.4. Il secondo motivo, oltre che ammissibile, e’ fondato.

Invero, questa Corte (Cass., n. 5155/2016, in motivazione) ha già avuto modo di precisare che integra gli estremi del comportamento abusivo quell’operazione economica che – tenuto conto sia della volontà delle parti implicate, sia del contesto fattuale e giuridico – ponga quale elemento predominante e assorbente della transazione lo scopo di ottenere vantaggi fiscali, con la conseguenza che il divieto di comportamenti abusivi non vale se quelle operazioni possano spiegarsi altrimenti che con il mero conseguimento di risparmi d’imposta (Cass., n. 25972/2014,in motivazione, p. 9.1).

La prova sia del disegno elusivo sia delle modalità di manipolazione e di alterazione degli schemi negoziali classici, considerati come irragionevoli in una normale logica di mercato (Cass. n. 1465/2009) e perseguiti solo per pervenire a quel risultato fiscale, incombe sull’Amministrazione finanziaria, mentre grava sul contribuente l’onere di allegare l’esistenza di ragioni economiche alternative o concorrenti che giustifichino operazioni in quel modo strutturate.

Inoltre non e’ configurabile l’abuso del diritto se non sia stato provato dall’ufficio il vantaggio fiscale che sarebbe derivato al contribuente accertato dalla manipolazione degli schemi contrattuali classici (Cass. 20029/2010).

Pertanto, “il carattere abusivo, sotto il profilo fiscale, di una determinata operazione, nel fondarsi normativamente sul difetto di valide ragioni economiche e sul conseguimento di un indebito vantaggio fiscale (Cass., sez. un., 30055/08 e 30057/08; v. C. giust. UE nei casi 3M Italia, Halifax, Part. Service), presuppone quanto meno l’esistenza di un adeguato strumento giuridico che, pur se alternativo a quello scelto dai contraenti, sia comunque funzionale al raggiungimento dell’obiettivo economico perseguito (Cass. 21390/12, p.3.2) e si deve indagare se vi sia reale fungibilità con le soluzioni eventualmente prospettate dal fisco (Cass. 4604/14).” (Cass., n. 5155/2016, cit., in motivazione).

2.5. La stessa Commissione Europea, nell’ottica di perseguire la pianificazione fiscale aggressiva, ha diramato agli Stati membri la raccomandazione 2012/772/UE di intervenire quando sia realizzata “una costruzione di puro artificio o una serie artificiosa di costruzioni che sia stata posta in essere essenzialmente allo scopo di eludere l’imposizione e che comporti un vantaggio fiscale”, chiarendo che “una costruzione o una serie di costruzioni è artificiosa se manca di sostanza commerciale”, ovvero di “sostanza economica”, e “consiste nell’eludere l’imposizione quando, a prescindere da eventuali intenzioni personali, contrasta con l’obiettivo, lo spirito e la finalità delle disposizioni fiscali”, mentre “una data finalità deve essere considerata fondamentale se qualsiasi altra finalità che è o potrebbe essere attribuita alla costruzione o alla serie di costruzioni sembri per lo più irrilevante alla luce di tutte le circostanze del caso” (cfr. Cass., n. 5155/2016, cit.; Cass., n. 438/15 e Cass. n. 439/15, tutte in motivazione).

Il legislatore nazionale, con la L. 11 marzo 2014, n. 23, art. 5), ha raccolto la citata raccomandazione dell’UE, delegando al Governo l’attuazione “della revisione delle vigenti disposizioni antielusive al fine di unificarle al principio generale del divieto dell’abuso del diritto, in applicazione dei seguenti principi e criteri direttivi, coordinandoli con quelli contenuti nella raccomandazione della Commissione Europea sulla pianificazione fiscale aggressiva del 6 dicembre 2012, n. 2012/772/UE:

  1. a) definire la condotta abusiva come uso distorto di strumenti giuridici idonei ad ottenere un risparmio d’imposta, ancorché tale condotta non sia in contrasto con alcuna specifica disposizione;
  2. b) garantire la libertà di scelta del contribuente tra diverse operazioni comportanti anche un diverso carico fiscale e, a tal fine:

1) considerare lo scopo di ottenere indebiti vantaggi fiscali come causa prevalente dell’operazione abusiva;

2) escludere la configurabilità di una condotta abusiva se l’operazione o la serie di operazioni e’ giustificata da ragioni extrafiscali non marginali; stabilire che costituiscono ragioni extrafiscali anche quelle che non producono necessariamente una redditività immediata dell’operazione, ma rispondono ad esigenze di natura organizzativa e determinano un miglioramento strutturale e funzionale dell’azienda del contribuente;

  1. c) prevedere l’inopponibilità degli strumenti giuridici di cui alla lett. a), all’amministrazione finanziaria e il conseguente potere della stessa di disconoscere il relativo risparmio di imposta;
  2. d) disciplinare il regime della prova ponendo a carico dell’amministrazione finanziaria l’onere di dimostrare il disegno abusivo e le eventuali modalità di manipolazione e di alterazione funzionale degli strumenti giuridici utilizzati, nonché la loro mancata conformità a una normale logica di mercato, prevedendo, invece, che gravi sul contribuente l’onere di allegare l’esistenza di valide ragioni extrafiscali alternative o concorrenti che giustifichino il ricorso a tali strumenti;
  3. e) prevedere una formale e puntuale individuazione della condotta abusiva nella motivazione dell’accertamento fiscale, a pena di nullità dell’accertamento stesso;
  4. f) prevedere specifiche regole procedimentali che garantiscano un efficace contraddittorio con l’amministrazione finanziaria e salvaguardino il diritto di difesa in ogni fase del procedimento di accertamento tributario.”.

I principi appena esposti sono stati quindi attuati con la L. 27 dicembre 2000, n. 212, art. 10-bis, (c.d. Statuto del contribuente), introdotto dal D.Lgs. 5 agosto 2015, n. 128, art. 1, modificato dal D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 156, che, nei commi 1, 2, 3 e 4, così dispone:

“1. Configurano abuso del diritto una o più operazioni prive di sostanza economica che, pur nel rispetto formale delle norme fiscali, realizzano essenzialmente vantaggi fiscali indebiti. Tali operazioni non sono opponibili all’amministrazione finanziaria, che ne disconosce i vantaggi determinando i tributi sulla base delle norme e dei principi elusi e tenuto conto di quanto versato dal contribuente per effetto di dette operazioni.

  1. Ai fini del comma 1 si considerano:
  2. a) operazioni prive di sostanza economica i fatti, gli atti e i contratti, anche tra loro collegati, inidonei a produrre effetti significativi diversi dai vantaggi fiscali. Sono indici di mancanza di sostanza economica, in particolare, la non coerenza della qualificazione delle singole operazioni con il fondamento giuridico del loro insieme e la non conformità dell’utilizzo degli strumenti giuridici a normali logiche di mercato;
  3. b) vantaggi fiscali indebiti i benefici, anche non immediati, realizzati in contrasto con le finalità delle norme fiscali o con i principi dell’ordinamento tributario.
  4. Non si considerano abusive, in ogni caso, le operazioni giustificate da valide ragioni extrafiscali, non marginali, anche di ordine organizzativo o gestionale, che rispondono a finalità di miglioramento strutturale o funzionale dell’impresa ovvero dell’attività professionale del contribuente.
  5. Resta ferma la libertà di scelta del contribuente tra regimi opzionali diversi offerti dalla legge e tra operazioni comportanti un diverso carico fiscale. “.

2.6. Le predette disposizioni della L. n. 212 del 2000, art. 10-bis, sebbene non applicabili, ratione temporis, al caso di specie, in ragione della pregressa notifica dell’atto impositivo de quo (D.Lgs. n. 128 del 2015, art. 1, comma 5), sono tuttavia significative dell’affinamento dei principi comunitari e nazionali in materia e “rilevano in chiave interpretativa nel definire una linea evolutiva già indiscutibilmente tracciata nell’ordinamento tributario dalla giurisprudenza e dalle fonti nazionali e comunitarie (per un recente disamina v. Cass. pen. 40272/15).” (Cass., n. 5155/2016, cit., in motivazione).

In tale contesto evolutivo, si colloca la giurisprudenza, in materia, di questa Corte, che ha già avuto occasione di chiarire che, in materia tributaria, la scelta di un’operazione fiscalmente più vantaggiosa non è sufficiente ad integrare una condotta elusiva, laddove sia lo stesso ordinamento tributario a prevedere tale facoltà, a condizione che non si traduca in uso distorto dello strumento negoziale o in un comportamento anomalo rispetto alle ordinarie logiche d’impresa, posto in essere per realizzare non la causa concreta del negozio, ma esclusivamente o essenzialmente il beneficio fiscale (Cass., 26/08/2015, n. 17175).

Nello stesso senso, si è altresì ritenuto (Cass., 14/01/2015, n. 405) che in materia tributaria, l’opzione del soggetto passivo per l’operazione negoziale fiscalmente meno gravosa non è sufficiente ad integrare una condotta elusiva, essendo necessario che il conseguimento di un “indebito” vantaggio fiscale, contrario allo scopo delle norme tributarie, costituisca la causa concreta della fattispecie negoziale.

E’ stato quindi escluso che la mera astratta configurabilità di un vantaggio fiscale sia sufficiente ad integrare la fattispecie abusiva, poiche’ e’ richiesta la concomitante condizione di inesistenza di ragioni economiche diverse dal semplice risparmio di imposta e l’accertamento della effettiva volontà dei contraenti di conseguire un indebito vantaggio fiscale (Cass., 05/12/2014, n. 25758).

Inoltre, e’ stato ritenuto che costituisce condotta abusiva l’operazione economica che abbia quale suo elemento predominante ed assorbente lo scopo di eludere il fisco, sicché il divieto di siffatte operazioni non opera qualora esse possano spiegarsi altrimenti che con il mero intento di conseguire un risparmio di imposta, fermo restando che incombe, sull’Amministrazione finanziaria la prova sia del disegno elusivo che delle modalità di manipolazione e di alterazione degli schemi negoziali classici, considerati come irragionevoli in una normale logica di mercato e perseguiti solo per pervenire a quel risultato fiscale (Cass., 26/02/2014,n. 4603. Nello stesso senso Cass., 16/01/2019, nn. 868 ed 869).

Con riferimento alla contemporanea sussistenza di finalità di riorganizzazione societaria, e’ stato altresì chiarito che il carattere abusivo di un’operazione va escluso quando sia individuabile una compresenza, non marginale, di ragioni extrafiscali, che non si identificano necessariamente in una redditività immediata dell’operazione medesima, ma possono rispondere ad esigenze di natura organizzativa e consistere in un miglioramento strutturale e funzionale dell’azienda (Cass., 21/01/2011, n. 1372).

Inoltre, recentemente, il quadro dell’abuso di diritto e dell’elusione fiscale è stato sinteticamente composto con l’affermazione che: “In materia tributaria, il divieto di abuso del diritto si traduce in un principio generale antielusivo, che preclude al contribuente il conseguimento di vantaggi fiscali ottenuti mediante l’uso distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione normativa, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un risparmio d’imposta, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l’operazione, la cui ricorrenza deve essere provata dal contribuente.” (Cass. 23/11/2018, n. 30404; conforme Cass. n. 6836/2019).

2.7. Tanto premesso, incombeva quindi sull’amministrazione finanziaria l’onere di spiegare, anche nell’atto impositivo, perché il complesso delle forme giuridiche impiegate abbia carattere anomalo o inadeguato rispetto all’operazione economica intrapresa, mentre era onere del contribuente provare la compresenza di un concomitante contenuto economico dell’operazione, non marginale, diverso dal mero risparmio fiscale.

Nel caso di specie, l’Amministrazione (come si deduce dall’avviso d’accertamento controverso, nella parte trascritta nel controricorso, oltre che dal complesso del ricorso) non allega specificamente che il complesso dell’operazione societaria controversa sia, ex se, funzionalmente incoerente con la dedotta esigenza di riorganizzazione globale del Gruppo S., sia in Italia che all’estero, resa necessaria per razionalizzare l’originario Gruppo S. F., a seguito dell’acquisizione del gruppo F., al fine di evitare che i due Gruppi entrassero in concorrenza tra loro, di unificarne i centri amministrativi, di semplificare il perimetro di consolidamento e di accorciare la catena di controllo del Gruppo.

Piuttosto, l’Ufficio concentra la propria censura sulle concrete modalità con le quali tale intento e’ stato perseguito, ovvero sulla realizzazione della fusione per incorporazione della “vecchia” S. F. s.p.a. nella F. I. s.r.l., e su tutto il complesso di atti che l’hanno predisposta e realizzata, al fine di fare in modo che al momento dell’operazione straordinaria l’incorporante fosse in possesso dell’integrale partecipazione nel capitale dell’incorporata, affinché venisse a crearsi quella differenza da annullamento idonea a generare un disavanzo da fusione, che la protratta vigenza del D.Lgs. 8 ottobre 1997, n. 358, art. 6, comma 2, consentiva di imputare per ottenere che i maggiori valori iscritti si intendessero fiscalmente riconosciuti senza l’applicazione dell’imposta sostitutiva.

In particolare, l’Agenzia sottolinea che “(…) la S. s.p.a. vende alla ex F. la sua partecipazione nella società incorporata finanziandola con finanziamento che resterà solo sulla carta non essendovi nessuno spostamento di denaro.” (cfr. avviso di accertamento, trascritto a pag. 5 del controricorso).

Inoltre, l’Amministrazione contrappone a tale modalità operativa, che garantiva il predetto risparmio fiscale, un possibile procedimento alternativo – ovvero la fusione “orizzontale”, per concambio, tra F. I. s.r.l. e “vecchia” S. F. s.p.a., soggetti tra loro indipendenti e non legati da rapporti di partecipazione, preceduta dall’acquisto, da parte della capogruppo S. s.p.a., del capitale sociale della F. I. s.r.l., interamente detenuto dalla F. s.a. – che non avrebbe richiesto il ricorso al finanziamento in questione, evidenziandone la maggiore congruità economica.

Questa diversa ed ipotetica operazione straordinaria, pur raggiungendo la medesima finalità amministrativa, non avrebbe tuttavia generato, a titolo di differenza, analogo disavanzo gratuitamente affrancabile ai fini fiscali.

Nella ricostruzione del giudice a quo, e nella tesi della controricorrente, la natura elusiva, ai fini dell’applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37-bis, dell’operazione complessivamente realizzata dalla contribuente sarebbe stata individuata illegittimamente dall’Amministrazione nella scelta della contribuente, tra due procedimenti di riorganizzazione societaria funzionali in egual misura allo scopo di ristrutturazione dell’architettura societaria del Gruppo, di quello più vantaggioso sotto il profilo fiscale.

Tuttavia, la concreta compresenza, non marginale, di valide ragioni extrafiscali economiche e di riorganizzazione societaria, escluderebbe, secondo tale impostazione, che al complesso dei diversi atti che hanno composto l’operazione complessiva de qua possano attribuirsi i pretesi connotati abusivi solo perché la contribuente ha scelto, quale strumento per perseguire le predette finalità, l’operazione fiscalmente più vantaggiosa, piuttosto che quella ipotetica ed alternativa prospettata dall’Amministrazione, che non le avrebbe arrecato il medesimo beneficio fiscale.

Infatti, secondo la CTR e la controricorrente, diversamente opinando ovvero spingendo il sindacato dell’Amministrazione sino ad imporre una misura di ristrutturazione diversa tra quelle giuridicamente possibili, solo perché tale misura avrebbe comportato un maggior carico fiscale – si rischierebbe la compressione dei principi costituzionali di libertà d’impresa e di iniziativa economica, di cui all’art. 42 Cost., come ritenuto anche dalla giurisprudenza di legittimità (Cass., 21/01/2011, n. 1372).

2.8. Nel secondo motivo di ricorso, nell’enucleazione dei fatti decisivi, oggetto di discussione tra le parti, dei quali lamenta l’omesso esame da parte del giudice a quo, la ricorrente Agenzia evidenzia in particolare la vicenda del finanziamento concesso dalla S. s.p.a. alla F. I. s.r.l. affinché quest’ultima acquistasse, dalla stessa capogruppo e finanziante S. s.p.a., l’intero capitale dell’incorporata “vecchia” S. F. s.p.a..

Sottolinea la ricorrente che tale segmento della più ampia operazione controversa, per come si è concretamente realizzato, non evidenzia una finalità coerente con una normale logica economica, in quanto la società capogruppo si è privata del controllo su di una partecipata a favore di altra partecipata, previamente finanziandola (ma senza effettivo spostamento di denaro) a tal fine, per poi rinunciare alla restituzione del finanziamento e tornare in breve tempo in possesso della partecipazione appena ceduta. Secondo la ricorrente, attese tali connotazioni dei fatti, non emergono, le ragioni, ulteriori rispetto alla finalità del risparmio fiscale derivante dall’esito finale della complessiva operazione, per le quali la controricorrente dovesse finanziare per quasi venti milioni di Euro la propria controllata indiretta F. I. s.r.l., rinunciando poi alla restituzione.

2.9. Al fine di assolvere all’onere di spiegare, anche nell’atto impositivo, perché il complesso dell’operazione economica intrapresa dalla ricorrente si manifesti – con particolare riguardo alla circostanza del finanziamento- anomalo o irragionevole in una normale logica economica e di mercato, l’Amministrazione (in coerenza con le già citate Cass. n. 21390/12; Cass. n. 4604/14; Cass., n. 5155/2016) ha inoltre profilato l’esistenza, a suo dire, di un adeguato strumento giuridico, alternativo a quello scelto dai contraenti, ma comunque funzionale al raggiungimento dell’obiettivo economico perseguito, che tuttavia non avrebbe assicurato il medesimo vantaggio fiscale.

E’ quindi in quest’ottica di necessaria prospettazione di una modalità, alternativa e praticabile, di realizzazione della medesima operazione economica che deve inquadrarsi il raffronto, proposto dall’Ufficio, tra la riorganizzazione del gruppo societario così come è avvenuta e come altrimenti si sarebbe potuta compiere. Non si tratta, quindi, di sindacare o comprimere i principi costituzionali di libertà d’impresa e di iniziativa economica, imponendo alla contribuente una specifica misura di ristrutturazione, tra quelle giuridicamente possibili, solo perché essa avrebbe comportato un maggior carico fiscale. Piuttosto, si tratta di evidenziare l’esistenza di possibili modalità alternative di realizzazione della medesima operazione economica, presupposto logico necessario della verifica della ragionevolezza, secondo logiche economiche e di mercato, delle forme con le quali l’operazione stessa è stata concretamente eseguita. Infatti, laddove, diversamente da quanto accade in questo giudizio, l’Amministrazione avesse affermato che le incontestate esigenze di ristrutturazione del gruppo non avrebbero potuto soddisfarsi se non con le modalità con le quali la contribuente le ha effettivamente perseguite, la controversia non avrebbe ragion d’essere.

Nella sostanza, quindi, nel caso di specie, il giudice del merito non era chiamato ad accertare se l’operazione controversa fosse elusiva perché realizzata in un modo piuttosto che in un altro; ma a valutare se l’operazione concretamente realizzata fosse elusiva, premesso che avrebbe potuto conseguirsi il medesimo risultato in forme diverse.

  1. La motivazione della sentenza impugnata ha premesso in diritto, in coerenza con la giurisprudenza citata, che, dopo che l’Ufficio ha fatto risaltare le singolarità e/o anormalità che fanno ritenere un’operazione priva di un reale contenuto economico diverso dall’ottenere un mero risparmio d’imposta, il contribuente ha l’onere di fornire la controprova dell’esistenza di valide ragioni economiche, alternative o concorrenti, a connotato non marginale e non puramente teorico, che possano legittimare quella stessa operazione.

Tuttavia, nel contesto della motivazione esposta dalla CTR, è omesso uno specifico e concreto esame del “fatto” costituito dal finanziamento, nelle sue connotazioni oggettive allegate dall’Ufficio e non controverse, e comunque menzionato nella parte narrativa della stessa sentenza d’appello, ma non oggetto di valutazione apposita nella parte motiva vera e propria (che inizia da pag. 12 del provvedimento), ed anzi neppure elencato nella sintetica riepilogazione degli elementi della fattispecie presi in considerazione in tale sede (cfr. pag. 16 della sentenza).

Il mancato apprezzamento di tale dato, motore finanziario dell’intera architettura dell’operazione di ristrutturazione, appare potenzialmente decisivo rispetto al giudizio, di fatto, relativo sia all’esistenza di ragioni economiche – alternative o concorrenti, ma non teoriche né marginali – della condotta della contribuente, ulteriori rispetto alla finalità di perseguire il beneficio fiscale in questione; sia alla verifica del bilanciamento tra tali scopi eterogenei, ove effettivamente compresenti.

La sentenza impugnata va quindi cassata e la causa va rimessa al giudice a quo perché proceda a nuovo giudizio sul punto, in coerenza con i principi esposti.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il primo motivo, accoglie il secondo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 17 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 5 dicembre 2019


 

COMMENTO

Ai sensi dell’art. 10 -bis dello Statuto del contribuente (L. 212/2000) configurano abuso del diritto una o più operazioni prive di sostanza economica, che seppur compiute in ottemperanza alle vigenti norme fiscali, sono volte a realizzare vantaggi fiscali indebiti e censurati dall’ordinamento. In particolare la Legge 212/2000 considera priva di sostanza economica ogni operazione, anche costituita da fatti, contratti o atti tra loro collegati, che sia idonea a produrre, principalmente, vantaggi fiscali indebiti; questi ultimi si definiscono indebiti quando per il loro conseguimento si attuano operazioni in contrasto con quanto previsto dalla normativa fiscale e dai principi dell’ordinamento tributario.

La disciplina dell’abuso del diritto e dell’elusione fiscale era contenuta nell’art. 37-bis D.P.R. 600/1973 ed è stata oggetto della riforma definita nell’art. 5 L. 23/2014 ed emanata in attuazione ai principi comunitari in coordinazione con la raccomandazione della Commissione europea in materia di pianificazione fiscale aggressiva n. 2012/772/UE del 06 dicembre 2012. Quest’ultima, infatti, richiede di intervenire nei casi in cui si realizzi “una costruzione di puro artificio o una serie artificiosa di costruzioni che sia stata posta in essere essenzialmente allo scopo di eludere l’imposizione e che comporti un vantaggio fiscale “ e chiarisce, inoltre, che “una costruzione o una serie di costruzioni è artificiosa se manca di sostanza commerciale”, ovvero di sostanza economica e “consiste nell’eludere l’imposizione quando, a prescindere da eventuali intenzioni personali, contrasta con l’obiettivo, lo spirito e la finalità delle disposizioni fiscali”.

Il Legislatore italiano con la L. 11 marzo 2014, n. 23, art. 5, ha colto quanto raccomandato dalla UE e ha delegato il Governo ad attuare la “revisione delle vigenti disposizioni antielusive al fine di unificarle al principio generale del divieto dell’abuso del diritto, in applicazione dei seguenti principi e criteri direttivi, coordinandoli con quelli contenuti nella raccomandazione della Commissione Europea sulla pianificazione fiscale aggressiva del 06 dicembre 2012, n. 2012/772 UE”.

La “nuova” disciplina dell’abuso del diritto ed elusione fiscale tracciata dal Legislatore nazionale sulla base delle direttive, definisce abusiva la condotta volta all’ottenimento di un risparmio d’imposta mediante l’uso distorto di strumenti giuridici, “ancorché tale condotta non sia in contrasto con alcuna specifica disposizione”.

Al contribuente è garantita la libertà di scegliere tra diverse operazioni la cui adozione comporta anche un carico fiscale differente.

Il perseguimento di vantaggi fiscali indebiti deve costituire lo scopo prevalente dell’operazione abusiva posta in essere dal contribuente.

Si rileva, infatti, che non si configurano condotte abusive a carico dei contribuenti che pongono in essere operazioni rette da valide ragioni extrafiscali non marginali, ovvero, che rispondano ad esigenze di carattere organizzativo – gestionale consentendo il miglioramento, anche non immediato, della performance economica; a tal fine, si evidenzia che “costituiscono ragioni extrafiscali anche quelle che non producono necessariamente una redditività immediata dell’operazione, ma rispondono ad esigenze di natura organizzativa e determinano un miglioramento strutturale e funzionale dell’azienda”. 

Pertanto, affinché si configuri un abuso del diritto è necessario che dall’operazione posta in essere emerga la prevalenza dello scopo elusivo di ottenere vantaggi fiscali indebiti, e che la stessa non sia retta da validi motivi extrafiscali non marginali.

Occorre prevedere l’inopponibilità degli strumenti giuridici anzidetti all’Amministrazione finanziaria ed il potere di disconoscere i vantaggi  fiscali, ovvero i relativi risparmi d’imposta generati.

L’onere di provare l’esistenza dell’abuso del diritto e “le eventuali modalità di manipolazione e di alterazione funzionale degli strumenti giuridici utilizzati, nonché la loro mancata conformità a una normale logica di mercato” incombe sull’Amministrazione finanziaria.

In base a tale ultimo assunto, al contribuente è richiesto, invece, di dimostrare l’esistenza di valide ragioni non marginali e di carattere extrafiscale, alternative o concorrenti, che giustifichino l’adozione di determinati strumenti giuridici.

A pena di nullità, nell’accertamento fiscale, devono essere esplicitate le motivazioni che portano ad individuare la condotta abusiva. 

Dal punto di vista procedimentale è necessario definire un insieme di regole che assicurino un’efficace fase contraddittoria con l’Amministrazione finanziaria e che, contemporaneamente, salvaguardino il diritto di difesa in ogni fase del procedimento.

La Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 31772/2019 del 05 dicembre 2019, ribadisce gli elementi che configurano l’abuso del diritto, precisando che un comportamento abusivo si ha  ponendo in essere un’operazione che “tenuto conto sia della volontà delle parti implicate, sia del contesto fattuale e giuridico, ponga quale elemento predominante e assorbente della transazione lo scopo di ottenere vantaggi fiscali, con la conseguenza che il divieto di comportamenti abusivi non vale se quelle operazioni possano spiegarsi altrimenti che con il mero conseguimento di risparmi d’imposta”.

La Corte Suprema di Cassazione evidenzia che, ai fini della definizione del comportamento abusivo, l’Amministrazione finanziaria ha l’onere di provare il disegno elusivo, dimostrando le criticità dell’operazione compiuta, ovvero, il comportamento non conforme e irragionevole in una normale logica di mercato, evidenziando, altresì, la presenza di uno strumento giuridico alternativo a quello adottato, comunque idoneo al perseguimento dell’obiettivo economico ma che non avrebbe giovato al contribuente il medesimo beneficio fiscale. Pertanto, ai fini probatori, l’Amministrazione finanziaria ha l’onere di spiegare al contribuente il carattere elusivo dell’operazione compiuta, individuandone una alternativa, conforme alle logiche economiche, più lineare e concretamente praticabile  in luogo di quella compiuta che ha originato la contestazione. Mentre il contribuente ha l’onere di provare “la compresenza di un concomitante contenuto economico dell’operazione, non marginale, diverso dal mero risparmio fiscale”.

Gli Ermellini confermano che la scelta di un’operazione fiscalmente più vantaggiosa non è sufficiente a ravvisare una condotta elusiva, giacché lo stesso ordinamento tributario ammette tale facoltà “a condizione che non si traduca in uso distorto dello strumento negoziale o in un comportamento anomalo rispetto alle ordinarie logiche d’impresa, posto in essere per realizzare non la causa concreta del negozio, ma esclusivamente o essenzialmente il beneficio fiscale”.

Dott.ssa Clara Figoli