Il D.L. 16 luglio 2020 n. 76 (più noto come “Decreto Semplificazioni”), convertito con modificazioni in Legge 11 settembre 2020 n. 120, contiene al Titolo II, Capo IV tre norme in materia di “Responsabilità” sia contabile, che penale dei pubblici dipendenti.

In particolare, gli artt. 21 e 22 del predetto Decreto apportano alcune rilevanti novità in materia di responsabilità contabile per danno erariale dei funzionari e dipendenti pubblici, mentre l’art. 23 introduce una significativa modifica in materia di abuso d’ufficio (art. 323 c.p.).

L’art. 21, comma 1, D.L. 76/2020, convertito in Legge 120/2020, modifica l’art. 1, comma 1, Legge 14 gennaio 1994 n. 20, aggiungendo la previsione secondo cui la prova del dolo richiede la dimostrazione della volontà dell’evento dannoso.

Resta quindi ferma la previsione secondo cui la responsabilità dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei Conti in materia di contabilità pubblica è personale e limitata ai fatti e alle omissioni commessi con dolo o colpa grave, ferma restando l’insindacabilità nel merito delle scelte discrezionali. 

Il dolo consiste nella coscienza e volontà della condotta (i.e.: attiva o omissiva); a seguito della Novella, viene esplicitamente richiesta anche la dimostrazione della volontà dell’evento dannoso, con conseguente “appesantimento” dell’onere della prova richiesto al Pubblico Ministero contabile.

Come si legge nella Relazione illustrativa al Decreto Legge, “la norma chiarisce che il dolo va riferito all’evento dannoso in chiave penalistica e non in chiave civilistica, come invece risulta da alcuni orientamenti della giurisprudenza contabile che hanno ritenuto raggiunta la prova del dolo inteso come dolo del singolo atto compiuto“.

Il riferimento è quindi operato alla definizione di dolo contenuta all’art. 43 c.p., secondo cui il delitto è doloso, o secondo l’intenzione, “quando l’evento dannoso o pericoloso, che è il risultato dell’azione od omissione da cui la legge fa dipendere l’esistenza del delitto, è dall’agente preveduto e voluto come conseguenza della propria azione od omissione”.

Il dolo in chiave penalistica è quindi costituito da due componenti, entrambe imprescindibili: la rappresentazione, che consiste nella pianificazione dell’azione o dell’omissione volta a creare l’evento dannoso o pericoloso, e la risoluzione, che consiste invece nella decisione di realizzare effettivamente lo sforzo esecutivo del piano necessario per giungere alla realizzazione del fatto dannoso o pericoloso.

Pertanto, a seguito della Novella, per provare il “dolo erariale” non sarà più sufficiente dimostrare la consapevole e volontaria violazione degli obblighi di servizio, ma sarà necessario provare anche la volontà dell’incolpato di produrre l’evento dannoso. 

In altri termini, per poter ritenere provata la responsabilità contabile a titolo di dolo, l’organo requirente contabile dovrà fornire una duplice prova di volontarietà, riguardante non solo la condotta antigiuridica, ma anche l’evento dannoso.

Controversa appare la questione relativa al carattere retroattivo o non retroattivo della nuova norma.

In base all’art. 11 delle “preleggi”, “la legge non dispone che per l’avvenire”: quindi, in assenza di una specifica previsione di retroattività della norma, quest’ultima dovrebbe essere considerata, secondo la regola generale, irretroattiva.

D’altra parte, però, il carattere favorevole all’incolpato della nuova previsione (che aggrava l’onere probatorio dell’accusa contabile) può far propendere per il carattere retroattivo della norma, in applicazione del generale principio del favor rei.

Tale soluzione, peraltro, finisce per creare possibili problematiche di legittimità costituzionale per ingiustificata disparità di trattamento tra fatti che siano stati commessi e giudicati anteriormente all’entrata in vigore della norma e fatti che, invece, siano stati commessi anteriormente, ma vengano giudicati posteriormente ad essa.

La colpa grave ricorre nelle fattispecie di macroscopica negligenza, imprudenza, imperizia o trascuratezza del funzionario o del dipendente pubblico rispetto ai propri doveri d’ufficio. 

In merito alle caratteristiche di tale elemento psicologico, nessuna particolare novità viene introdotta dal Decreto Semplificazioni: pertanto, la gravità della colpa continua ad essere esclusa quando il fatto dannoso tragga origine dall’emanazione di un atto vistato e registrato in sede di controllo preventivo di legittimità, limitatamente ai profili presi in considerazione nell’esercizio del controllo. 

Analogamente, secondo la previsione inserita dall’art. 4, comma 12-ter, D.L. 18 aprile 2019 n. 32 (cd. “Decreto Sblocca-cantieri”), convertito con modificazioni in Legge 14 giugno 2019 n. 55, la gravità della colpa e ogni conseguente responsabilità sono in ogni caso escluse per ogni profilo se il fatto dannoso trae origine da decreti che determinano la cessazione anticipata, per qualsiasi ragione, di rapporti di concessione autostradale, allorché detti decreti siano stati vistati e registrati dalla Corte dei conti in sede di controllo preventivo di legittimità svolto su richiesta dell’amministrazione procedente. 

Altra innovazione significativa, seppure temporalmente limitata, è invece quella introdotta dall’art. 21, comma 2, D.L. 16 luglio 2020 n. 76, convertito con modificazioni in Legge 11 settembre 2020 n. 120, in materia di limitazione della responsabilità per colpa grave.

Tale norma stabilisce che, limitatamente ai fatti commessi dalla data di entrata in vigore del Decreto legge (avvenuta il 17 luglio 2020) e fino al 31 dicembre 2021, la responsabilità dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti in materia di contabilità pubblica, per l’azione di responsabilità erariale ex art. 1 Legge 20/1994, è limitata ai casi in cui la produzione del danno, conseguente alla condotta del soggetto agente, è da lui dolosamente voluta

La predetta limitazione di responsabilità non si applica invece per i danni cagionati da omissione o inerzia del soggetto agente.

Il termine finale di applicazione della norma, fissato dal D.L. 76/2020 alla data del 31 luglio 2021, è stato esteso dalla Legge di conversione 120/2020 fino alla data del 31 dicembre 2021.

In altri termini, per il periodo transitorio individuato dalla predetta disposizione, la responsabilità contabile per danno erariale viene limitata alle sole fattispecie di dolo, in caso di azione, mentre resta estesa anche alla colpa grave, in caso di omissione o inerzia da parte del funzionario o dipendente pubblico.

Dichiarato scopo della norma – secondo quanto risultante dalla stessa Relazione illustrativa- è quello di far sì che “i pubblici dipendenti abbiano maggiori rischi di incorrere in responsabilità in caso di non fare (omissioni o inerzie) rispetto al fare, dove la responsabilità viene limitata al dolo”.

La suddetta norma è risultata peraltro non esente da critiche in dottrina, da parte di chi ha rilevato il rischio che essa finisca per esentare da responsabilità i funzionari e gli amministratori pubblici, che agiscano con grave superficialità, sanzionando invece più gravemente coloro che siano rimasti semplicemente inerti.

Infine, significative innovazioni in materia di responsabilità contabile sono contenute anche all’art. 22 D.L. 16 luglio 2020 n. 76, convertito con modificazioni in Legge 11 settembre 2020 n. 120.

Tale norma stabilisce infatti che la Corte dei conti, anche a richiesta del Governo o delle competenti Commissioni parlamentari, svolge il controllo concomitante di cui all’art. 11, comma 2, Legge 04 marzo 2009 n. 15, sui principali piani, programmi e progetti relativi agli interventi di sostegno e di rilancio dell’economia nazionale. L’eventuale accertamento di gravi irregolarità gestionali, ovvero di rilevanti e ingiustificati ritardi nell’erogazione di contributi secondo le vigenti procedure amministrative e contabili, è immediatamente trasmesso all’amministrazione competente ai fini della responsabilità dirigenziale, ai sensi e per gli effetti dell’art. 21, comma 1, D.lgs. 30 marzo 2001 n. 165 (con conseguente possibile revoca o esclusione del rinnovo dell’incarico dirigenziale).

Sotto il profilo operativo, il Consiglio di presidenza della Corte dei conti, nell’esercizio della potestà regolamentare autonoma di cui alla vigente normativa, provvede all’individuazione degli uffici competenti e adotta le misure organizzative necessarie per l’attuazione delle disposizioni di cui all’art. 22 D.L. 76/2020 senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica e nell’ambito della vigente dotazione organica del personale amministrativo e della magistratura contabile.

La norma introduce quindi una nuova forma di controllo concomitante, diretto a rimediare alle disfunzioni e alle inerzie che spesso si riscontrano nei procedimenti volti all’erogazione di contributi o al trasferimento di risorse a soggetti pubblici e privati, destinati al finanziamento di spese di investimento.

Il controllo concomitante di ci all’art. 22 D.L. 16 luglio 2020 n. 76 presenta peraltro alcune peculiarità rispetto all’omologo istituto di cui all’art. 11, comma 2, Legge 04 marzo 2009 n. 15.

In primo luogo, esso può essere attivato non solo su iniziativa delle competenti Commissioni parlamentari, ma anche su iniziativa del Governo.

Inoltre, costituisce per la Corte dei Conti non già una mera facoltà (come previsto dall’art. 11, comma 2, Legge 15/2009 con l’espressione “può effettuare”), bensì un vero e proprio obbligo.

Ancora, mentre il controllo concomitante di cui all’art. 11, comma 2, Legge 15/2009 è diretto a riscontrare irregolarità rispetto ad atti normativi, nazionali e comunitari, e a direttive del Governo, quello di cui all’art. 22 D.L. 76/2020 è diretto a riscontrare irregolarità nella realizzazione di soli atti amministrativi (i.e.: “piani, programmi e progetti”).

Anche l’oggetto del controllo risulta maggiormente circoscritto rispetto a quello dell’istituto generale, includendo solo i piani, programmi o progetti relativi agli interventi di sostegno e di rilancio dell’economia nazionale.

Infine, mentre il controllo concomitante di cui all’art. 11, comma 2, Legge 15/2009 riguarda solo le gestioni pubbliche statali, si ritiene che quello di cui all’art. 22 D.L. 76/2020 possa essere indirizzato alle gestioni sia delle Amministrazioni statali, sia degli Enti locali.

Il Titolo II, Capo IV D.L. 76/2020, convertito in Legge 120/2020, termina infine con la norma di cui all’art. 23, la quale modifica il testo dell’art. 323 c.p. (relativo al reato di abuso d’ufficio), sostituendo alle parole “in violazione di norme di legge o di regolamento” le parole “in violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità”.

A seguito di tale riforma, dunque, l’ambito di applicazione oggettivo della fattispecie penale viene circoscritto.

Infatti, la sanzione penale viene esclusa per i comportamenti di trasgressione di norme regolamentari (di rango secondario) e viene invece riservata alla violazione di “specifiche regole di condotta” previste da norme di rango primario (i.e.: legge o atto avente forza di legge).

Ulteriore condizione per la configurazione del delitto è inoltre che le norme violate non contemplino margini di discrezionalità in sede applicativa.

In proposito, la Relazione illustrativa precisa che la finalità dell’intervento è quella di “definire in maniera più compiuta la condotta rilevante ai fini del reato di abuso d’ufficio”.

In particolare, il riferimento alla necessaria assenza di margini di discrezionalità è rivolto a rendere punibili solo le condotte caratterizzate da un forte contenuto di trasgressione e ad escludere invece il rilievo penale delle fattispecie prive di tale contenuto, incentivando così il funzionario pubblico all’azione, piuttosto che ad un comportamento omissivo.

Anche a seguito della riforma, rimangono invece inalterati gli ulteriori tratti salienti della fattispecie penale di cui all’art. 323 c.p., che resta pertanto:

  • un reato proprio del pubblico ufficiale  o dell’incaricato di pubblico servizio nello svolgimento della propria funzione o del proprio servizio;
  • un reato di evento, consistente nell’ingiusto vantaggio patrimoniale per sé o per altri o nell’ingiusto danno per altri;
  • un reato a carattere residuale (come si evince dalla clausola di riserva “salvo che il fatto non costituisca un più grave reato”);
  • un reato per il quale è richiesto l’elemento soggettivo del dolo generico, inteso come “intenzionalità”, con esclusione del dolo eventuale.

Restano inoltre invariate sia la cornice edittale della pena (che la Legge 190/2012 ha innalzato da sei mesi ad un anno nel minimo e da tre a quattro anni nel massimo), sia la circostanza aggravante speciale ad effetto comune, connessa ad una rilevante gravità dell’evento (di vantaggio o di danno).

 

Dott.ssa Cecilia Domenichini

Unicusano-Roma