Cass. Civ. sez. II, sent., 21 giugno 2022, n. 19928


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. BERTUZZI Mario – rel. est. Consigliere –

Dott. PAPA Patrizia – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CAPONI Remo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

Comune di Venezia, in persona del sindaco, rappresentato e difeso per procura alle liti in calce al ricorso dagli Avvocati …, elettivamente domiciliato preso lo studio di quest’ultimo in …;                                                      – ricorrente –

contro

D.D., rappresentato e difeso per procura alle liti in calce al controricorso dagli Avvocati …, elettivamente domiciliato presso lo studio di quest’ultima in …;                                                                                                            – controricorrente –

avverso la sentenza n. 1955 del Tribunale di Venezia, depositata il 12.9.2019;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 5.5.2022 2011 dal consigliere relatore Dott. Mario Bertuzzi;

udita le conclusioni del P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FRESA Mario, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

udite le difese svolte dall’Avv. … per il ricorrente e dall’Avv. … per il controricorrente.

Svolgimento del processo

Con sentenza n. 1955 del 12.9.2019, il Tribunale di Venezia confermò la decisione di primo grado che aveva accolto l’opposizione proposta da D.D., titolare della omonima ditta individuale, avverso l’ordinanza ingiunzione del comune di Venezia che gli aveva contestato la violazione dell’art. 2, comma 1, regolamento comunale sulla circolazione delle acque, per avere con il proprio natante transitato sul Canal Grande alla velocità di 11 km/h, superando il limite di velocità ivi vigente di 7 km/h, considerato il limite di tolleranza di 2 km/h dello strumento di rilevazione telelaser. Il Tribunale motivò la sua decisione in adesione alla pronuncia di primo grado, affermando che nel caso di specie il limite di velocità non era stato superato dovendosi applicare per analogia, in mancanza di disposizioni sul punto da parte del regolamento comunale, l’art. 345 del regolamento di esecuzione del codice della strada, che prevede che la velocità dei veicoli rilevata attraverso gli apparecchi elettronici debba essere ridotta del 5% e, in ogni caso, nella misura di 5 km/h, trattandosi di norma di carattere generale volta a tutelare l’attendibilità del risultato tecnico e ad evitare di sanzionare condotte concretanti violazioni minime difficilmente percepibili dal conducente.

Per la cassazione di questa sentenza, con atto notificato il 28.2.2020, ricorre il comune di Venezia, affidandosi a tre motivi.

D.D. ha notificato controricorso.

Il Procuratore Generale ha depositato le conclusioni scritte come in epigrafe indicate.

Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Motivi della decisione

Il primo motivo del ricorso denunzia violazione degli artt. 12 e 14 preleggi, del D.P.R. n. 495 del 1992, art. 345, ed omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, censurando l’argomento della sentenza impugnata che ha affermato l’applicabilità in via analogica alla circolazione dei natanti nella laguna di Venezia dell’art. 345 regolamento di esecuzione codice della strada, nella parte in cui prevede che la velocità di un veicolo rilevata mediante apparecchiature di controllo va ridotta, al fine di evitare errori, di 5 km/h in caso in cui il limite sia inferiore a 70 km/h.

Il comune deduce l’erroneità di tale ratio decidendi affermando che la disposizione regolamentare in materia di circolazione stradale non poteva essere applicata per analogia legis al caso di specie, perché la mancata indicazione nel regolamento comunale della previsione di un riduzione della velocità del natante rilevata mediante apparecchi elettronici non costituisce un vuoto normativo, suscettibile come tale di essere coperto mediante il ricorso all’analogia, ma una precisa scelta del comune, cui la legge ha demandato la potestà regolamentare in materia. Si rappresenta inoltre che, in ogni caso, il richiamo al codice della strada non ha fondamento normativo, atteso che esso non è mai richiamato, come fonte integrativa, dalle norme del diritto della navigazione, rispetto al quale costituisce un comparto normativo del tutto distinto.

Il secondo motivo di ricorso denunzia violazione dell’art. 1 c.n., dell’art. 1 del regolamento della Città Metropolitana per il coordinamento della navigazione locale nella Laguna veneta, degli artt. 12 e 14 preleggidell’art. 112 c.p.c., del D.P.R. n. 495 del 1992, art. 345, e della L. n. 400 del 1988, art. 17, ed omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio.

Il Comune assume che l’applicazione in via analogica da parte del Tribunale di una norma dettata in materia di circolazione stradale alla circolazione dei natanti, in particolare nella laguna di Venezia, difetta di tutti i presupposti necessari dell’analogia, tenuto conto che: i limiti di velocità a cui sono soggetti i natanti nella specie sono talmente diversi e ridotti rispetto ai limiti della circolazione stradale, che risulta incongruo e del tutto irragionevole applicare ai primi la percentuale e la misura di riduzione di cui al citato art. 345; che una siffatta applicazione finisce per stravolgere lo stesso valore precettivo delle disposizioni comunali in tema di velocità dei natanti, atteso che l’argomentazione accolta dalla sentenza impugnata porta ad escludere la violazione nel caso in cui il natante percorra alla velocità di 12 km/h un tratto del canale ove vige il limite di 7 km/h; la regolamentazione della circolazione dei natanti è determinata non solo dalla ragione di garantire la sicurezza e l’incolumità delle persone e delle cose, che costituisce l’interesse esclusivo delle norme in materia stradale, ma anche e soprattutto dalla necessità contenere al massimo gli effetti dannosi prodotti del moto ondoso prodotto dalle barche, contrastando l’inquinamento e salvaguardando le strutture e gli edifici; la navigazione è fenomeno dal punto di vista delle leggi fisiche del tutto diverso dalla circolazione su strada; la disciplina del regolamento di esecuzione del codice della strada non è una disciplina generale, ma, trovando applicazione nel perimetro ad esso demandata dal codice della strada, integra un sistema normativo con carattere di specialità, come tale non suscettibile di regolare casi e situazioni al di fuori del suo ambito specifico.

Il terzo motivo del ricorso, denunziando violazione del D.P.R. n. 495 del 1992, art. 345, e dell’art. 3 Cost., ed omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, censura l’argomento della decisione impugnata che ha fatto riferimento all’applicazione da parte del comune, nella rilevazione della violazione contestata, del limite di tolleranza di 2 km/h, traendone la conseguenza che il superamento del limite di velocità di 3 km/h non avrebbe potuto essere facilmente percepibile dal conducente, dando vita ad un caso simile a quelli regolati dall’art. 345 regolamento del codice della strada. Si assume al riguardo l’erroneità della equiparazione tra velocità del natante e velocità dei veicoli su strada, che non può non riflettersi anche sulla percezione della velocità da parte del conducente, e che il limite di tolleranza di 2 km/h applicato dal comune trova esclusivamente la sua ragione nelle indicazioni tecniche dello stesso costruttore dell’apparecchio di misurazione della velocità.

I tre motivi del ricorso, che possono essere trattati congiuntamente per la loro connessione oggettiva, sono fondati.

Va premesso che il Tribunale ha giustificato l’applicabilità alla circolazione dei natanti nella laguna di Venezia dell’art. 345 reg. esecuzione codice della strada in forza del ricorso all’analogia legis, assumendo che ” è pacifico che non sussista alcuna specifica disposizione, nè di rango primario né di rango secondario, che disciplini, in materia di accertamento della violazione dei limiti di velocità nella circolazione acquea, la valutazione dei dati raccolti tramite telelaser, prevedendo o escludendo espressamente l’applicabilità di una determinata riduzione della velocità rilevata, in considerazione sia di un margine di errore strumentale sia di eventuali altri fattori “. Ha quindi affermato che, stante la mancanza di disposizione sul punto, trova applicazione anche per la circolazione dei natanti la norma secondaria dettata dall’art. 345 citato in materia di valutazione dei dati rilevati da telelaser, rispondendo essa a finalità di carattere generale volte sia ad escludere il possibile margine di errore della strumentazione impiegata che a non sanzionare violazioni del limite di velocità talmente esigue da non risultare nemmeno percepibili dal conducente e quindi nemmeno evitabili.

Le argomentazioni sopra riportate non appaiono giuridicamente corrette, non conformandosi ai principi legali che sovraintendono l’applicazione della analogia nell’interpretazione della legge, secondo il disposto dell’art. 12 preleggi, comma 2, che consente al giudice di ricorrere all’analogia soltanto “Se una controversia non può essere decisa con una precisa disposizione”.

Questa formula normativa sta a significare che il ricorso all’analogia è consentito solo a condizione che manchi nell”ordinamento una specifica norma regolante la concreta fattispecie e si renda necessario, quindi, porre rimedio ad un vuoto normativo altrimenti non colmabile in sede giudiziaria (Cass. n. 2656 del 2015; Cass. n. 9852 del 2002; Cass. n. 4754 del 1995). Sussiste questa condizione quando la vicenda concreta su cui il giudice deve pronunciarsi non trova previsione in una disposizione normativa e non possa di conseguenza essere risolta. Soltanto in tale evenienza l’analogia legis permette di decidere la controversia applicando norme che disciplinano casi simili o materie analoghe ed abbiano lo stesso fondamenta razionale.

Sulla base di tali principi, deve innanzitutto osservarsi che non appare corretta la premessa da cui muove la sentenza impugnata, vale a dire che la mancata previsione da parte del regolamento comunale di una disposizione che stabilisca una riduzione della velocità dei natanti rilevata a mezzo di apparecchi elettronici costituisca un vuoto normativo, che come tale debba essere colmato. La mancanza di tale previsione non rappresenta infatti, di per sè, alcun impedimento alla risoluzione della controversa introdotta con l’opposizione ad ordinanza ingiunzione, tenuto conto che la condotta contestata trova compiuta previsione da parte del suddetto regolamento comunale, laddove prevede, nel tratto del canale percorso dal natante, il limite di velocità di 7 km/h. L’esistenza di precise disposizioni normative al riguardo consentivano quindi al giudice, sulla scorta dell’accertamento dei fatti, di decidere l’opposizione proposta senza ricorrere al criterio della analogia.

In particolare si osserva che una lacuna normativa non può ravvisarsi per il solo fatto che le disposizioni locali che sanzionano il superamento dei limiti di velocità non prevedano una percentuale di riduzione della velocità accertata tramite apparecchi di rilevazione a distanza. L’assenza di una previsione normativa al riguardo non investe gli elementi costitutivi della condotta sanzionata e non impedisce l’accertamento demandato a l’Autorità giudiziaria. La regola che si assume omessa non interessa pertanto un fatto che necessariamente debba essere espressamente disciplinato, presupposto che consente al giudice di decidere in forza del criterio dell’analogia. Ed invero se la disposizione di cui all’art. 345 regolamento esecuzione codice della strada non fosse stata introdotta, questa mancanza non impedirebbe di per sè l’accertamento della violazione del limite di velocità nella circolazione stradale, ma porrebbe soltanto il problema, affatto diverso, di attendibilità della rilevazione effettuata, stante la possibilità di un margine di errore da parte dello strumento impiegato. Il che porta a rilevare che la questione attinente alla mancanza di una disposizione in materia di riduzione della velocità rilevata attiene alla prova della violazione ovvero alla attendibilità del mezzo di prova impiegato, che è questione di fatto e non di diritto. Ne discende che la mancata previsione da parte del regolamento comunale in materia di navigazione di una disposizione analoga a quella posta dall’art. 345, del regolamento di esecuzione in materia di circolazione stradale non impediva al giudice di decidere la controversia, ma sottoponeva il relativo tema alla eventuale contestazione della precisione e quindi della attendibilità dell’apparecchiatura utilizzata ed alla conseguente regola dell’onere della prova.

Merita aggiungere che la mancata previsione da parte del suddetto regolamento di una previsione analoga a quella prevista per le rilevazioni della velocità effettuate mediante apparecchi elettronici nella circolazione stradale ben può configurarsi, come dedotto dal comune, come una scelta consapevole, giustificata sia dalle peculiari caratteristiche della navigazione rispetto alla circolazione su strada, che dai particolari interessi tutelati dalla norma sanzionatoria, che non appaiono fermarsi alla sicurezza delle persone e degli altri natanti, ma comprendono anche la salvaguardia delle strutture e degli edifici rispetto al moto ondoso provocato dalla navigazione nei canali all’interno della città. Scelta che, da parte dell’amministrazione, si è concretizzata e risulta accompagnata nello specifico dal fatto di tenere conto, già in sede di accertamento della velocità del natante, del margine di errore dell’apparecchio nella misura indicata dallo stesso costruttore e quindi nel rimettere all’eventuale giudizio di opposizione ogni contestazione in ordine alla correttezza ed affidabilità del rilevamento.

Ne discende che il ricorso all’analogia da parte della sentenza impugnata è stato posto in essere in difetto del presupposto principale richiesto dall’art. 12 preleggi, con l’ulteriore conseguenza che il risultato raggiunto è stato quello non di colmare un vuoto normativo, ma di integrare la disciplina esistente con una nuova regola di giudizio.

Sotto altro e concorrente profilo deve poi rilevarsi che l’applicazione in via analogica di una disposizione normativa ad una situazione non disciplinata richiede un’attenta considerazione del contesto normativa cui è riconducibile la fattispecie concreta. In particolare laddove essa sia ricompresa in un corpus normativo in cui sono ravvisabili caratteri di specialità, in quanto dotato di proprie regole ispirate alla realizzazione di particolari interessi.

Tali caratteri si riscontrano nel diritto della navigazione, che è retto da un proprio codice e costituisce una legislazione speciale, finalizzata alla realizzazione anche di interessi pubblici. Depone in tal senso la stessa disposizione dettata dal codice della navigazione a proposito dell’analogia (art. 1, comma 2), la quale stabilisce che, se il caso non è regolato dalla disposizione del diritto della navigazione, debbono applicarsi per analogia le altre disposizioni del diritto della navigazione e, ove non ve ne siano di applicabili, il diritto civile (Cass. n. 1023 del 1988; Cass. n. 7571 del 1987; Cass. n. 383 del 1987). La regola in tema di applicazione analogica nel diritto della navigazione si caratterizza così, da un lato, dalla preferenza a colmare il vuoto normativo in forza delle stesse disposizioni del diritto della navigazione (c.d. analogia prioritaria), in quanto considerate più adeguate a regolare il caso concreto, dall’altro dalla previsione, in via gradata,, dell’applicabilità del diritto civile, secondo uno schema che conferma il carattere speciale del primo. Secondo la dottrina più autorevole l’espressione ” diritto civile ” designa il diritto comune, cioè il complesso delle norme e dei principi di diritto che costituiscono la normativa generale nella quale si inquadra la disciplina particolare del diritto della navigazione, con esclusione delle norme appartenenti a legislazioni speciali, secondo la definizione sopra accolta. Certamente non appartiene al diritto comune, nel senso sopra precisato, il codice della strada ed il relativo regolamento di esecuzione, che danno luogo ad una legislazione speciale dettata per la singola materia, la quale è ispirata alla finalità della sicurezza della circolazione stradale (D.Lgs. n. 285 del 1992, art. 1).

La censura di violazione dell’art. 1, comma 2, codice della navigazione appare pertanto fondata.

Ancora si osserva che l’applicazione in via analogica di una disposizione normativa ad una situazione non disciplinata richiede, come condizione necessaria, il riscontro di un rapporto di somiglianza tra due fattispecie. E’ necessario cioè che sia possibile stabilire una corrispondenza di elementi sostanziali suscettibili, al fine di salvaguardare la coerenza del sistema normativo, di essere ricondotti ad una medesima regola giuridica. Ciò significa che il ricorso all’analogia nell’interpretare ed applicare la legge non può prescindere, trovando anzi in esso la sua ragion d’essere, da un fondamento razionale che accomuni gli elementi di fatto delle due fattispecie e gli interessi giuridici perseguiti, giustificando l’applicazione all’una della regola posta per l’altra.

La soluzione accolta dal tribunale risulta invece, come puntualmente argomentato dalla relazione del Procuratore generale, del tutto disancorata anche da tale fondamento razionale e ciò sotto entrambi gli aspetti evidenziati.

Quanto agli elementi materiali delle due situazioni esaminate, apparendo evidente che la navigazione e la circolazione stradale obbediscono a proprie e distinte leggi dinamiche ed hanno caratteristiche affatto diverse, essendo sufficiente al riguardo considerare lo spazio occorrente per arrestare la corsa di un natante rispetto al veicolo su strada, che costituisce all’evidenza un criterio di grande rilevanza nella fissazione dei limiti di velocità. Gli argomenti spesi dal comune ricorrente al fine di sottolineare l’assenza di corrispondenza o somiglianza tra le due situazioni sono di immediata evidenza e la circostanza che nel caso concreto la condotta sanzionai:a sia avvenuta nel canale di Venezia non fa che rendere ancora più marcata la differenza.

Proprio questa diversità, che si riflette sulla fissazione dei limiti di velocità, priva di fondamento razionale la scelta di applicare in via analogica ai natanti la riduzione prevista dall’art. 345 reg. C.d.S., la quale è stabilità nella misura minima di 5 kh. della velocità rilevata ed è evidentemente parametrata e proporzionata a limiti che per gli autoveicoli risultano essere molto superiori e che di fatto stravolge il contenuto precettivo della disposizioni dettate in materia dal comune.

La diversità tra le due fattispecie è altresì riscontrabile anche con riguardo agli interessi perseguiti, costituendo un fatto pacifico ed acquisito che la disciplina dettata in materia di navigazione nella laguna di Venezia risponde, come dedotto dal ricorrente, non soltanto alla salvaguardia della sicurezza di persone e cose, ma anche e soprattutto allo scopo di contenere gli effetti dannosi prodotti del moto ondoso, contrastando l’inquinamento e preservando l’integrità delle strutture e degli edifici cittadini (art. 1, lett. b) del regolamento per la circolazione acquea del comune di Venezia). Difetta pertanto anche sotto tale aspetto il presupposto della eadem ratio richiesto ai fini dell’applicazione dell’analogia.

Va infine osservato che, nello specifico, la disposizione di cui all’art. 345 reg. esec. C.d.S., non costituisce espressione di un principio di carattere generale, ma appare soprattutto il frutto di una valutazione di opportunità, diretta ad evitare, tenuto conto delle caratteristiche della circolazione stradale e quindi della velocità dei veicoli, un contenzioso alimentato da mere contestazioni in ordine alla precisione della rilevazione effettuata attraverso apparecchi elettronici. Ne discende che, trattandosi di scelta non obbligata ma discrezionale, risulta confermato che il suo ambito di applicazione non può essere esteso al di là della materia in cui la norma si trova inserita.

Il ricorso va pertanto accolto, con conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinvio della causa al Tribunale di Venezia, in persona di diverso magistrato, che provvederà anche alla liquidazione delle spese del giudizio.

Il Tribunale di Venezia, quale giudice del rinvio, si atterrà nel decidere al seguente principio di diritto: ” L’art. 1, comma 2, codice della navigazione, che è legislazione di carattere speciale, nel prevedere che, se il caso non è regolato dalla disposizione del diritto della navigazione, debbano applicarsi per analogia le altre disposizioni del diritto della navigazione e, ove non ve ne siano di applicabili, il diritto civile, da intendersi come il complesso delle norme e dei principi di diritto che costituiscono la normativa generale nella quale si inquadra la disciplina particolare del diritto della navigazione, esclude l’applicabilità in via analogica alla materia della navigazione delle disposizioni che disciplinano la circolazione stradale, che costituiscono una normativa a sua volta di carattere speciale”.

P.Q.M.

accoglie il ricorso proposto; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per la liquidazione delle spese, al Tribunale di Venezia, in persona di diverso magistrato.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 5 maggio 2022.

Depositato in Cancelleria il 21 giugno 2022


COMMENTO:  La Corte di Cassazione, con la sentenza in commento, si pronuncia sulla questione relativa alla applicabilità in via analogica delle disposizioni che regolano la circolazione stradale alla circolazione acquea.

Nel caso di specie, era contestata dall’opponente la violazione dell’art. 2, comma 1 del regolamento comunale sulla circolazione delle acque, per avere con il proprio natante transitato alla velocità di 11 km/h, superando il limite di velocità ivi vigente di 7 km/h, considerato il limite di tolleranza di 2 km/h dello strumento di rilevazione telelaser. 

Il Tribunale sosteneva che, in tal caso, il limite di velocità non fosse stato superato, dovendosi applicare in via analogica, in mancanza di disposizioni sul punto da parte del regolamento comunale, l’art. 345 del regolamento di esecuzione del codice della strada, che prevede che la velocità dei veicoli rilevata attraverso gli apparecchi elettronici debba essere ridotta del 5% e, in ogni caso, nella misura di 5 km/h, trattandosi di norma di carattere generale volta a tutelare l’attendibilità del risultato tecnico e ad evitare di sanzionare condotte concretanti violazioni minime difficilmente percepibili dal conducente. 

Il ricorso all’analogia è consentito solo a condizione che manchi nell’ordinamento una specifica norma regolante la concreta fattispecie e si renda necessario, quindi, porre rimedio ad un vuoto normativo altrimenti non colmabile in sede giudiziaria (Cass. n. 2656 del 2015; Cass. n. 9852 del 2002; Cass. n. 4754 del 1995).

Nel caso di specie, come rileva la Cassazione, la mancata previsione da parte del regolamento comunale di una disposizione che stabilisca una riduzione della velocità dei natanti rilevata a mezzo di apparecchi elettronici non costituisce un vuoto normativo da colmarsi. La mancanza di tale previsione non rappresenta  alcun impedimento alla risoluzione della controversia introdotta con l’opposizione ad ordinanza ingiunzione, tenuto conto che la condotta contestata trova compiuta previsione da parte del suddetto regolamento comunale, laddove prevede, nel tratto del canale percorso dal natante, il limite di velocità di 7 km/h. L’esistenza di precise disposizioni normative al riguardo consentivano quindi al Giudice, sulla scorta dell’accertamento dei fatti, di decidere l’opposizione proposta senza ricorrere al criterio della analogia.

Infatti, secondo la Corte, la questione attinente alla mancanza di una disposizione in materia di riduzione della velocità rilevata attiene alla prova della violazione ovvero alla attendibilità del mezzo di prova impiegato, che è questione di fatto e non di diritto. 

In particolare, la Corte ha più volte ribadito che l’art.1 comma 2 del codice della navigazione a proposito dell’analogia prevede che se il caso non è regolato da una disposizione del diritto della navigazione, debbono applicarsi per analogia le altre disposizioni del diritto della navigazione e, ove non ve ne siano di applicabili, il diritto civile (Cass. n. 1023 del 1988; Cass. n. 7571 del 1987; Cass. n. 383 del 1987). 

Di conseguenza ha chiarito con la sentenza in esame che in tema di applicazione analogica nel diritto della navigazione si caratterizza così, da un lato, dalla preferenza a colmare il vuoto normativo in forza delle stesse disposizioni del diritto della navigazione (c.d. analogia prioritaria), in quanto considerate più adeguate a regolare il caso concreto, dall’altro dalla previsione dell’applicabilità del diritto civile, secondo uno schema che conferma il carattere speciale del primo. Secondo la dottrina più autorevole l’espressione ” diritto civile ” designa il diritto comune, cioè il complesso delle norme e dei principi di diritto che costituiscono la normativa generale nella quale si inquadra la disciplina particolare del diritto della navigazione, con esclusione delle norme appartenenti a legislazioni speciali, secondo la definizione sopra accolta. Certamente non appartiene al diritto comune, nel senso sopra precisato, il Codice della Strada ed il relativo regolamento di esecuzione, che danno luogo ad una legislazione speciale dettata per la singola materia, la quale è ispirata alla finalità della sicurezza della circolazione stradale (D.Lgs. n. 285 del 1992, art. 1).

Infine, come osserva il Giudice di legittimità, l’applicazione in via analogica di una disposizione normativa ad una situazione non disciplinata richiede, come condizione necessaria, il riscontro di un rapporto di somiglianza tra due fattispecie che nel caso di specie non sussiste.

Dott.ssa Eleonora Cucchi

Unicusano-Roma