Cass. Civ. Sez. V, Ordinanza 19-01-2023, n. 1623


CORTE DI CASSAZIONE

 Ordinanza 19 gennaio 2023, n. 1623

RILEVATO CHE

Il contribuente ha impugnato gli avvisi di accertamento con i quali il Comune ha preteso l’ ICI per gli anni 2009 – 2012 e l’IMU per l’anno 2013 disconoscendo il diritto alla invocata esenzione per l’abitazione principale, deducendo che pur se la moglie ha trasferito la residenza anagrafica nel Comune di (OMISSIS) per assistere l’anziana madre, non vi è stata alcuna frattura del rapporto coniugale e di conseguenza l’immobile per cui è richiesto il tributo costituisce l’abitazione principale. Il ricorso del contribuente è stato accolto in primo grado. Il Comune ha proposto appello che la Commissione tributaria regionale dell’Emilia ha respinto, disattendendo la tesi difensiva del Comune, secondo il quale per fruire entrambi i coniugi dell’agevolazione sarebbe necessaria la prova della frattura del rapporto coniugale, diversamente sarebbero possibili indebite duplicazioni di beneficio di imposta tramite strumentali e fittizi trasferimenti di residenza; la CTR ha osservato che non sussiste nella specie alcun intento elusivo posto che le due abitazioni sono ubicate in due Comuni diversi e che sussiste il diritto dei coniugi di stabilire anche residenze separate ove complessive esigenze familiari lo richiedano.

Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il Comune affidandosi ad un motivo di ricorso articolato in sei punti.

Si è costituito con controricorso il contribuente, che ha successivamente depositato memoria. La causa è stata trattata all’udienza camerale non partecipata del 2 dicembre 2022.

RITENUTO CHE

1.- Con l’unico motivo di ricorso, articolato in sei punti tra di loro collegati, si lamenta la illegittimità della sentenza di primo grado per il mancato rilievo della inapplicabilità del trattamento per abitazione principale ex art. 8 del D.lgs. N. 504 del 1992 ed ex art. 13 comma 2 del DL 201 del 2011; la mancata considerazione del difetto della qualità di abitazione principale in dipendenza della verificata inesistenza del requisito della convivenza con il coniuge; la violazione dell’art. 8 del D.lgs. n. 504 del 1992 , per quanto attiene all’ICI; la violazione dell’art. 13 comma 2 del D.L. n. 211 del 2011, per quanto attiene all’IMU, la illegittimità dell’estensione analogica dell’esenzione al caso dei fabbricati siti in comuni differenti; la violazione del principio di stretta interpretazione norme agevolative e del principio che vieta l’estensione analogica di norme tributarie agevolative; la violazione del principio che impone al contribuente l’assolvimento dell’onere probatorio in ordine alla chiesta agevolazione. Il Comune, affermando che gli avvisi sono adeguatamente motivati, deduce che il beneficio indicato dal contribuente non può essere riconosciuto nel caso in cui i coniugi vivono in dimore separate, e ciò tanto per l’ICI che per l’IMU, in quanto l’immobile può essere ritenuto abitazione principale soltanto se nello stesso dimorano abitualmente risiedono sia il contribuente sia i suoi familiari; nel caso di specie invece la coniuge del contribuente è residente in un altro Comune a partire dal 2005 mentre il contribuente ha mantenuto la residenza in (OMISSIS); i giudici di merito hanno quindi violato il principio che vuole le norme agevolative di stretta interpretazione.

2.- Il motivo è infondato.

La Corte Costituzionale con sentenza n. 209/2022, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 13, comma 2, quarto periodo, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, nella legge 22 dicembre 2011, n. 214, come modificato dall’art. 1, comma 707, lettera b), della legge 27 dicembre 2013, n. 147, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2014)», nella parte in cui stabilisce: «[p]er abitazione principale si intende l’immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore e il suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente», anziché disporre: «[p]er abitazione principale si intende l’immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore dimora abitualmente e risiede anagraficamente».

A seguito di tale intervento manipolativo, in virtù della norma così come rimodulata, applicabile ai giudizi pendenti, deve ritenersi sufficiente che nell’immobile risieda il possessore, come nella specie pacificamente ammesso anche dal Comune, pur se il coniuge risiede stabilmente altrove (nel periodo in esame). Non si tratta qui infatti di una c.d. seconda casa -poiché in quest’ultima ipotesi non spetterebbe all’esenzione-ma di residenze diverse il che, come rimarcato dalla Consulta, costituisce un diritto dei due coniugi, in virtù degli accordi sull’indirizzo della vita familiare liberamente assunti ai sensi dell’art 144 c.c.; non può, infatti, essere evocato l’obbligo di coabitazione stabilito per i coniugi dall’art. 143 c.c. , dal momento che una determinazione consensuale o una giusta causa non impediscono loro, indiscussa l’affectio coniugalis, di stabilire residenze disgiunte (Cass. 1785/2021) e a tale possibilità non si oppongono le norme sulla “residenza familiare” dei coniugi (art. 144 cod. civ.) o “comune” degli uniti civilmente (art. 1, comma 12, della legge 20 maggio 2016, n. 76.

Peraltro, osserva ancora la Corte Costituzionale, la logica dell’esenzione dall’IMU è quella di riferire il beneficio fiscale all’abitazione in cui il possessore dell’immobile ha stabilito la residenza e la dimora abituale, e dovrebbe risultare irrilevante, al realizzarsi di quella duplice condizione, il suo essere coniugato, separato o divorziato, componente di una unione civile, convivente o singolo. Non si tratta quindi di estendere l’esenzione, quanto piuttosto a rimuovere degli elementi di contrasto con i suddetti principi costituzionali quando tali status in sostanza vengono, attraverso il riferimento al nucleo familiare, invece assunti per negare il diritto al beneficio.

Ne consegue il rigetto del ricorso.

In ragione del recente intervento della Corte Costituzionale sulla disciplina normativa applicabile alla fattispecie, le spese del giudizio di legittimità sono compensate.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Compensa interamente tra le parti le spese del giudizio di legittimità

Così deciso in Roma, il 2 dicembre 2022.

Depositato in Cancelleria il 19 gennaio 2023


COMMENTO del dott. Francesco FOGLIA: Residenze disgiunte dei coniugi: i primi pronunciamenti della cassazione dopo la sentenza n. 209/2022 della Corte Costituzionale

Dopo la sentenza della Corte Costituzionale n° 209/22 che ha decretato l’illegittimità dell’art, 13 comma 2 D.L. 201/2011 in materia di agevolazioni IMU sull’abitazione principale, arrivano puntuali i primi pronunciamenti relativi ai giudizi pendenti in Cassazione. La disamina di uno di questi primi verdetti ci offre lo spunto per analizzare i risvolti applicativi nella gestione del tributo conseguenti alla decisione della Consulta. 

La suprema Corte ovviamente, si è infatti prontamente adeguata al nuovo dettato normativo scaturito successivamente alla declaratoria di incostituzionalità dell’ 13, comma 2, quarto periodo, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 nella parte in cui stabilisce che l’abitazione principale è quella nella quale il possessore e il suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente, anziché disporre che per abitazione principale si intende l’immobile nel quale il possessore dimora abitualmente e risiede anagraficamente.

Una delle primissime occasioni in cui la Cassazione ha affrontato il tema dell’esenzione IMU per l’abitazione principale nel caso dei coniugi residenti in comuni diversi è appunto la recente l’Ordinanza n. 1623 (Cass. Sez. Tributaria, Pres. De Masi, Rel. Russo) emanata lo scorso 19 gennaio. 

Nel caso di specie la Corte veniva chiamata a decidere sul ricorso presentato in seguito all’impugnazione da parte di un contribuente di avvisi di accertamento per mezzo dei quali il comune aveva preteso l’ICI e l’IMU per diverse annualità disconoscendo il diritto all’esenzione per abitazione principale. Il contribuente in questione argomentava che pur avendo la moglie trasferito la residenza anagrafica in altro comune per assistere l’anziana madre, non vi era stata alcuna frattura del rapporto coniugale e di conseguenza l’immobile per cui veniva richiesto il tributo costituiva abitazione principale, e, proprio in virtù di tali argomentazioni chiedeva di dichiarare illegittima la pretesa dell’ente.

Dopo che la Commissione di Giustizia tributaria di primo grado aveva accolto il ricorso, il comune proponeva appello, ma anche la commissione di secondo grado disattendeva la tesi difensiva del comune, secondo la quale per fruire entrambi i coniugi dell’agevolazione sarebbe stata necessaria la prova della frattura del rapporto coniugale; diversamente sarebbero possibili indebite duplicazioni di beneficio di imposta tramite strumentali e fittizi trasferimenti di residenza.

In quell’occasione la commissione regionale osservava che non sussiste nella specie alcun intento elusivo posto che le due abitazioni sono ubicate in due comuni diversi e che al contrario sussiste il diritto dei coniugi di stabilire anche residenze separate ove complessive esigenze familiari lo richiedano.

Avverso la predetta sentenza di secondo grado, il comune proponeva ricorso per cassazione affidandosi ad un unico motivo di ricorso, articolato in sei punti tra di loro collegati, per mezzo del quale lamentava:  

  • l’illegittimità della sentenza di primo grado per il mancato rilievo della inapplicabilità del trattamento per abitazione principale ex art. 8 del D.lgs. N. 504 del 1992 ed ex art. 13 comma 2 del DL 201 del 2011;
  • la mancata considerazione del difetto della qualità di abitazione principale in dipendenza della verificata inesistenza del requisito della convivenza con il coniuge;
  • la violazione dell’art. 8 del D.lgs. n. 504 del 1992, per quanto attiene all’ICI;
  • la violazione dell’art. 13 comma 2 del D.L. n. 211 del 2011, per quanto attiene all’IMU;
  • la illegittimità dell’estensione analogica dell’esenzione al caso dei fabbricati siti in comuni differenti;
  • la violazione del principio di stretta interpretazione norme agevolative e del principio che vieta l’estensione analogica di norme tributarie agevolative;
  • ed infine, la violazione del principio che impone al contribuente l’assolvimento dell’onere probatorio in ordine alla chiesta agevolazione.

Il Comune, in difesa del suo operato, ribadiva l’adeguata motivazione degli avvisi di accertamento emessi, deducendo che il beneficio indicato dal contribuente non poteva essere riconosciuto nel caso in cui i coniugi vivono in dimore separate, e ciò tanto per l’ICI che per l’IMU, in quanto l’immobile può essere ritenuto abitazione principale soltanto se nello stesso dimorano abitualmente e risiedono sia il contribuente sia i suoi familiari. Nel caso in esame invece la coniuge del contribuente risulta risiedere in un altro comune da alcuni anni, mentre il contribuente ha mantenuto la residenza nel comune di origine. Riconoscendo il diritto all’esenzione, i giudici di merito avrebbero quindi violato il principio che vuole le norme agevolative di stretta interpretazione. 

E’ utile ed interessante in questa sede, ripercorrere brevemente il percorso logico attraverso il quale gli ermellini, fin qui tendenzialmente contrari ad una applicazione del beneficio IMU abitazione principale nel caso di coniugi con residenze disgiunte, abbiano dovuto adeguarsi al nuovo corso imposto dalla Corte Costituzionale.

Nell’Ordinanza in commento i giudici ricordano preliminarmente che “la Corte Costituzionale con sentenza n. 209/2022, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 13, comma 2, quarto periodo, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, nella legge 22 dicembre 2011, n. 214, come modificato dall’art. 1, comma 707, lettera b), della legge 27 dicembre 2013, n. 147, nella parte in cui stabilisce: «per abitazione principale si intende l’immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore e il suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente», anziché disporre: «per abitazione principale si intende l’immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore dimora abitualmente e risiede anagraficamente».

A seguito di tale intervento manipolativo, argomentano i giudici di Cassazione, in virtù della norma così rimodulata ed applicabile ai giudizi pendenti, deve ritenersi sufficiente che nell’immobile risieda il possessore, come nella specie pacificamente ammesso anche dal comune, pur se il coniuge risiede stabilmente altrove.

Non si tratta qui infatti di una c.d. seconda casa, poiché in quest’ultima ipotesi non spetterebbe il diritto all’esenzione, ma di residenze diverse il che, come rimarcato dalla Consulta, costituisce un diritto dei due coniugi, in virtù degli accordi sull’indirizzo della vita familiare liberamente assunti ai sensi dell’art 144 c.c.

Del resto appare calzante in relazione al caso di specie come proprio la suprema Corte nella sentenza 209/2022 abbia rilevato che “Non vi è ragionevole motivo per discriminare tali situazioni: non può, infatti, essere evocato l’obbligo di coabitazione stabilito per i coniugi dall’art. 143 del codice civile, dal momento che una determinazione consensuale o una giusta causa non impediscono loro, indiscussa l’affectio coniugalis, di stabilire residenze disgiunte (ex plurimis, Corte di cassazione, sezione sesta civile, ordinanza 28 gennaio 2021, n. 1785). Né a tale possibilità si oppongono le norme sulla “residenza familiare” dei coniugi (art. 144 cod. civ.) o “comune” degli uniti civilmente (art. 1, comma 12, della legge 20 maggio 2016, n. 76, recante «Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze»).

Peraltro, osserva ancora la Corte Costituzionale, la logica dell’esenzione dall’IMU è quella di riferire il beneficio fiscale all’abitazione in cui il possessore dell’immobile ha stabilito la residenza e la dimora abituale, e dovrebbe risultare irrilevante, al realizzarsi di quella duplice condizione, il suo essere coniugato, separato o divorziato, componente di una unione civile, convivente o singolo. Non si tratta quindi di estendere l’esenzione, quanto piuttosto di rimuovere degli elementi di contrasto con i suddetti principi costituzionali quando invece tali status in sostanza vengono, attraverso il riferimento al nucleo familiare, assunti per negare il diritto al beneficio.

Per le motivazioni sopra esposte la Corte ha disposto il rigetto del ricorso.

Dall’analisi della sentenza in commento è evidente come la Cassazione si sia adeguata al nuovo corso emerso in conseguenza della decisione 209/22, prendendo atto del fatto che la Corte Costituzionale ha dichiarato incostituzionale per violazione degli artt. 3, 31 e 53 della Costituzione l’art. 13, comma 2 quarto periodo del D.L. 201/11, nella parte in cui, come formulato, finiva di fatto per penalizzare un’istituzione costituzionalmente garantita qual è la famiglia.

Ricordiamo infatti che la Consulta tra le motivazioni poste a base della sua decisione ha argomentato che «in un contesto come quello attuale, caratterizzato dall’aumento della mobilità nel mercato del lavoro, dallo sviluppo dei sistemi di trasporto e tecnologici, dall’evoluzione dei costumi, è sempre meno rara l’ipotesi che persone unite in matrimonio o unione civile concordino di vivere in luoghi diversi, ricongiungendosi periodicamente, ad esempio nel fine settimana, rimanendo nell’ambito di una comunione materiale e spirituale».

Con la decisione della Corte Costituzionale irrompono nella giurisprudenza della Corte di Cassazione, come del resto già successo recentemente in altri ambiti del vivere civile, la realtà e il cambiamento sociale. Assistiamo difatti al passaggio da una concezione di famiglia e di nucleo familiare più formale e strettamente normativa come è stata intesa fino ad un recente passato, ad una più moderna e coerente con l’evolversi della società attuale. Ritenere non sufficiente ai fini del riconoscimento del beneficio la residenza e la dimora del solo possessore determinerebbe infatti una ingiustificata discriminazione dei soggetti sposati rispetto ai single o alle coppie di fatto. 

L’analisi del giudizio in questione appare utile anche per una breve ricognizione delle prerogative di cui gli enti dispongono nell’affrontare giudizi pendenti in cui la pretesa tributaria sottostante i provvedimenti di accertamento impugnati si fondi esclusivamente sulla materia oggi dichiarata incostituzionale.

Tali prerogative si differenziano sostanzialmente in conseguenza della motivazione che l’ente ha indicato nell’atto contestato a supporto della propria pretesa impositiva. Qualora infatti l’atto impugnato sia stato emesso in conseguenza dell’oggettiva mancanza dei requisiti previsti per il riconoscimento del beneficio dell’abitazione principale in capo al soggetto passivo che richiede l’applicazione del beneficio stesso, (es. mancanza della residenza e/o mancato riscontro di elementi atti a comprovare la dimora abituale del soggetto passivo) allora è pacifico ritenere che la pretesa tributaria può essere legittimamente difesa in giudizio da parte dell’ente. In particolare si segnala come l’elemento che deve essere più attentamente valutato da parte dell’ente, ma anche oggettivamente il più difficile da riscontrare è la dimora abituale del soggetto passivo. Dimora abituale, che è bene ricordarlo, “integra una situazione di fatto il cui accertamento è riservato all’apprezzamento del giudice del merito, incensurabile in sede di legittimità, se congruamente e logicamente motivato” (Cfr. Cass.ord.32544 del 04/11/2022, Cass.ord.26685 del 09/09/2022, Cass.ord.3841 del 15/02/2021).

Nel caso in cui al contrario, la pretesa del comune sia riconducibile esclusivamente a presupposti esaminati in questa sede ed  oggi riconosciuti incostituzionali, ed in particolare in tutte quelle cause che vertono solo ed esclusivamente sulla contestazione della mancata coincidenza della residenza anagrafica e della dimora abituale del possessore e del suo nucleo familiare è consigliabile che l’ente provveda prontamente ad annullare in autotutela i relativi accertamenti, chiedendo al giudice la cessazione della lite con compensazione delle spese, visto il carattere innovativo della sentenza. Diversamente nel caso in cui il comune intendesse resistere o comunque dovesse rimanere inerte, con ogni probabilità andrà incontro ad un accoglimento del ricorso con giudizio a favore del ricorrente, proprio in applicazione della sentenza Corte Costituzionale n. 209/2022.

Giova infine sottolineare che per quanto attiene alle spese di giudizio, la Corte di Cassazione nell’ordinanza in esame, così come in occasione di altre pronunce similari recentemente emesse, avuto riguardo alle oscillazioni giurisprudenziali in materia ed alla circostanza che per la decisione delle controversie stesse è stata decisiva la citata sentenza della Corte Costituzionale ha sinora disposto la compensazione delle spese di lite; condizione questa che almeno sotto questo profilo non crea ulteriori difficoltà  agli enti che sin qui avevano seguito l’interpretazione indicata dalla stessa Corte di Cassazione, prima della pronuncia costituzionale n. 209/2022.

Dott. Francesco Foglia