Cass. civ. Sez. V, Ord., 27 gennaio 2022, n. 2377
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –
Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –
Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere –
Dott. RUSSO Rita – Consigliere –
Dott. LO SARDO Giuseppe – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 26637/2014 R.G., proposto da:
la “… S.a.s.”, con sede in Roma, in persona del socio accomandatario gerente pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avv. … e dall’Avv. …, entrambi con studio in …, ove elettivamente domiciliata, giusta procura in margine al ricorso introduttivo del presente giudizio; – ricorrente –
contro
Roma Capitale, (già Comune di Roma), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. … e dall’Avv. …, elettivamente domiciliata presso l’Avvocatura Capitolina; giusta procura in margine al controricorso di costituzione nel presente procedimento; – controricorrente –
e EQUITALIA SUD S.p.A.”, con sede in Roma, in persona del presidente del consiglio di amministrazione pro tempore;
– intimata –
Avverso la sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Regionale di Roma il 31 marzo 2014 n. 2025/28/2014;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata (mediante collegamento da remoto, ai sensi del D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 27, comma 1, convertito, con modificazioni, dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176, in virtù della proroga disposta dal D.L. 30 dicembre 2021, n. 228, art. 16, comma 3, in corso di conversione in legge, con le modalità stabilite dal decreto reso dal Direttore Generale dei Servizi Informativi ed Automatizzati del Ministero della Giustizia il 2 novembre 2020) dell’11 gennaio 2022 dal Dott. Giuseppe Lo Sardo.
Svolgimento del processo
che:
La “… S.a.s.” ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Regionale di Roma il 31 marzo 2014 n. 2025/28/2014, la quale, in controversia avente ad oggetto una cartella di pagamento per l’ICI relativa agli anni 2003 e 2004, ha accolto l’appello proposto dal Comune di Roma nei confronti della medesima e dell’EQUITALIA SUD S.p.A.” avverso la sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Provinciale di Roma il 18 febbraio 2013 n. 58/29/2013, con compensazione delle spese giudiziali. La Commissione Tributaria Regionale ha riformato la decisione di prime cure, sul presupposto che l’ente impositore avesse provato la rituale notifica dei prodromici avvisi di accertamento alla contribuente e che la conseguente cartella di pagamento fosse legittima. Roma Capitale (già Comune di Roma) si è costituita con controricorso, mentre l’EQUITALIA SUD S.p.A.” è rimasta intimata. Rinviata la causa a nuovo ruolo con ordinanza interlocutoria per consentire la definizione agevolata della lite, la contribuente non si è avvalsa di tale facoltà.
Motivi della decisione
che:
- Con il primo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, art. 50, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver erroneamente ritenuto l’insussistenza del difetto di rappresentanza processuale del Comune di Roma, essendo stato sottoscritto l’appello da dirigente responsabile dell’Ufficio Tributi e non dal Sindaco.
- Con il secondo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, artt. 32, 57 e 58, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver erroneamente ritenuto la rituale produzione della documentazione relativa alla notifica degli avvisi di accertamento prodromici alla cartella di pagamento.
- Con il terzo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione della L. 20 novembre 1982, n. 890, art. 7, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver erroneamente ritenuto la ritualità di un’unica notifica per i due avvisi di accertamento prodromici alla cartella di pagamento, non tenendo conto che non era stata provata la comunicazione della raccomandata informativa.
Ritenuto che:
- Il primo motivo è infondato.
1.1 Con specifica attinenza alla censura in esame, questa Corte ha più volte affermato (Cass., Sez. 5, 30 gennaio 2007, n. 1915; Cass., Sez. 5, 22 giugno 2007, n. 14637; Cass., Sez. 5, 30 settembre 2015, n. 19445; Cass., Sez. 5, 22 dicembre 2016, n. 26719; Cass., Sez. 5, 27 marzo 2019, n. 8532; Cass., Sez. 5, 15 novembre 2021, n. 34289) che il D.L. 31 marzo 2005, n. 44, art. 3-bis, comma 1, convertito, con modificazioni, dalla L. 31 maggio 2005, n. 88, in vigore dall’1 giugno 2005, sostituendo il D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 11, comma 3, sul contenzioso tributario, dispone che l’ente locale, nei cui confronti è proposto il ricorso, può stare in giudizio anche mediante il dirigente dell’ufficio tributi (o, in mancanza di tale figura dirigenziale, mediante il titolare della posizione organizzativa comprendente l’ufficio tributi). Il D.L. 31 marzo 2005, n. 44, art. 3-bis, comma 1, convertito, con modificazioni, dalla L. 31 maggio 2005, n. 88, estende ai processi in corso la suddetta disposizione, relativa alla legittimazione processuale dei dirigenti locali. Ai fini della rappresentanza in giudizio del Comune, poi, l’autorizzazione alla lite non costituisce più, in linea generale, atto necessario ai fini della proposizione o della resistenza all’azione; ma lo statuto comunale (atto a contenuto normativo, direttamente conoscibile dal giudice) o anche i regolamenti municipali, nei limiti in cui ad essi espressamente rinvii lo stesso statuto, possono affidarla ai dirigenti, nell’ambito dei rispettivi settori di competenza, od anche, con riguardo all’intero contenzioso, al dirigente dell’ufficio legale, così come possono esigere detta autorizzazione (della giunta o del competente dirigente), altrimenti non necessaria (tra le tante: Cass., Sez. Un., 10 dicembre 2002, n. 17550; Cass., Sez. Un., 16 giugno 2005, nn. 12868, 12869 e 12871; Cass., Sez. Un., 3 ottobre 2006, n. 21330; Cass., Sez. 5, 3 ottobre 2006, n. 21330; Cass., Sez. 5, 20 dicembre 2012, n. 23553; Cass., Sez. 5, 7 giugno 2013, n. 14389; Cass., Sez. 5, 11 dicembre 2015, n. 24996; Cass., Sez. 6-5, 22 gennaio 2016, nn. 1194 e 1195; Cass., Sez. 5, 4 maggio 2016, n. 8869; Cass., Sez. 2, 19 marzo 2019, n. 7673).
1.2 Discende da questa premessa l’affermazione della capacità processuale del Dirigente Responsabile del Dipartimento II Politiche delle Entrate – U.O. Accertamenti e controlli fiscali del Comune di Roma, legittimato a proporre appello avverso la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Roma senza bisogno dell’autorizzazione della Giunta Municipale, non risultando disposizioni in tal senso dallo statuto comunale. Infatti, tale statuto, approvato con deliberazione adottata dal Consiglio Comunale il 17 luglio 2000 n. 122 (successivamente integrato con deliberazione adottata dal Consiglio Comunale il 19 gennaio 2001 n. 22), prevede, all’art. 24, comma 1, che: “Il Sindaco è l’organo responsabile dell’amministrazione del Comune e rappresenta l’Ente”; stabilisce poi, all’art. 34, comma 4, che: “I Dirigenti promuovono e resistono alle liti anche in materia di tributi comunali ed hanno il potere di conciliare e transigere”. Quindi il regolamento, approvato con deliberazione adottata dalla Giunta Municipale il 25 febbraio 2000 n. 130 (disciplina interna del contenzioso dinanzi alle commissioni tributarie), dispone, all’art. 3, che i dirigenti hanno il potere di decisione autonoma sulla scelta di resistere, intervenire ed agire nei giudizi dinanzi alle commissioni tributarie, valutando tutti gli aspetti della controversia in fatto e in diritto, e il potere di rappresentanza diretta del comune sottoscrivendo gli atti processuali.
1.3 In conclusione, secondo lo statuto ed i regolamenti dell’amministrazione capitolina, il sindaco deve ritenersi – in virtù dello statuto comunale, art. 24, comma 1, ed in conformità al D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, art. 50, comma 2, (portante il “Testo unico degli enti locali”) – principale legittimato a rappresentare il Comune di Roma (come, peraltro, era stato già specificamente riconosciuto dalle Sezioni Unite di questa Corte: Cass., Sez. Un., 16 giugno 2005, n. 12868) ed a conferire la procura speciale al difensore. Analoghi poteri di rappresentanza processuale, senza necessità di particolari autorizzazioni, sono tuttavia conferiti ai dirigenti, in subiecta materia, limitatamente ai giudizi davanti alle commissioni tributarie (Cass., Sez. 5, 22 dicembre 2016, n. 26719; Cass., Sez. 5, 27 marzo 2019, n. 8532; Cass., Sez. 5, 15 novembre 2021, n. 34289).
- Anche il secondo motivo è infondato.
2.1 Con orientamento consolidato, che questo Collegio ritiene di condividere, si è affermato che, in tema di contenzioso tributario, il D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 58, fa salva la facoltà delle parti di produrre nuovi documenti anche al di fuori degli stretti limiti consentiti dall’art. 345 c.p.c., ma tale attività processuale va esercitata – stante il richiamo operato dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 61, alle norme relative al giudizio di primo grado – entro il termine previsto dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 32, comma 1, ossia fino a venti giorni liberi prima dell’udienza con l’osservanza delle formalità di cui al D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 24, comma 1, dovendo, peraltro, tale termine ritenersi, anche in assenza di espressa previsione legislativa, di natura perentoria, e quindi sanzionato con la decadenza, per lo scopo che persegue e la funzione (rispetto del diritto di difesa del principio del contraddittorio) che adempie (da ultime: Cass., Sez. 5, 24 giugno 2021, n. 18103; Cass., Sez. 5, 22 ottobre 2021, n. 29690; Cass., Sez. 6-5, 13 dicembre 2021, n. 39544; Cas., Sez. 5, 30 dicembre 2021, n. 42069; Cass., Sez. 5, 4 gennaio 2022, n. 14; Cass., Sez. 5, 5 gennaio 2022, n. 147).
2.2 Pertanto, il giudice di appello ha correttamente rigettato l’eccezione preliminare formulata dal contribuente con riguardo alla tardiva produzione degli avvisi di accertamento prodromici alla cartella di pagamento, rilevando che la mera preesistenza di tali documenti alla conclusione del giudizio di primo grado non ne precludeva la successiva produzione nel giudizio di secondo grado (di cui, in ogni caso, non è stata dedotta nè rilevata la tardività).
- Da ultimo, anche il terzo motivo è infondato.
3.1 Anzitutto, secondo questa Corte, in tema di accertamento delle imposte, non si ha violazione dell’art. 137 c.p.c., e comunque delle norme in materia di notifica, nel caso in cui più atti impositivi sono notificati al contribuente in unico plico, ricorrendo tale violazione soltanto qualora più atti con più destinatari, anche con un solo indirizzo, vengano inclusi in unico plico, essendo ragionevole temere che chi riceve l’atto non si faccia parte diligente con gli altri destinatari (in termini: Cass., Sez. 5, 3 agosto 2007, n. 17134; Cass., Sez. 5, 18 febbraio 2015, n. 3195; Cass., Sez. 5″, 25 gennaio 2019, n. 2206; Cass., Sez. 5, 29 maggio 2019, n. 14635; Cass., Sez. 5″, 23 luglio 2019, n. 19813; Cass., Sez. 5, 16 novembre 2021, n. 34539).
3.2 Ne discende che non può costituire motivo di nullità della notifica, nel caso concreto, il fatto che alla contribuente siano stati notificati due avvisi di accertamento in un unico plico, non essendo stato dedotto, peraltro, sotto quali profili questa modalità di notifica avrebbe pregiudicato o impedito l’esercizio del diritto di difesa.
3.3 Per il resto, si rammenta che, in materia di riscossione delle imposte, atteso che la correttezza del procedimento di formazione della pretesa tributaria è assicurata mediante il rispetto di una sequenza procedimentale di determinati atti, con le relative notificazioni, allo scopo di rendere possibile un efficace esercizio del diritto di difesa del destinatario, l’omissione della notifica di un atto presupposto costituisce un vizio procedurale che comporta la nullità dell’atto consequenziale notificato. Poichè tale nullità può essere fatta valere dal contribuente mediante la scelta, consentita dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 19, comma 3, di impugnare solo l’atto consequenziale notificatogli (avviso di mora, cartella di pagamento, avviso di liquidazione), facendo valere il vizio derivante dall’omessa notifica dell’atto presupposto, o di impugnare cumulativamente anche quello presupposto (nell’ordine, cartella di pagamento, avviso di accertamento o avviso di liquidazione) non notificato, facendo valere i vizi che inficiano quest’ultimo, per contestare radicalmente la pretesa tributaria spetterà al giudice di merito, interpretando la domanda, verificare la scelta compiuta dal contribuente, con la conseguenza che, nel primo caso, dovrà verificare solo la sussistenza o meno del difetto di notifica al fine di pronunciarsi sulla nullità dell’atto consequenziale (con eventuale estinzione della pretesa tributaria a seconda se i termini di decadenza siano o meno decorsi), nel secondo la pronuncia dovrà riguardare l’esistenza, o no, di tale pretesa (tra le tante: Cass., Sez. 5, 18 gennaio 2018, n. 1144; Cass., Sez. 5, 5 aprile 2019, n. 9585; Cass., Sez. 5, 30 giugno 2020, n. 13106; Cass., Sez. Un., 15 aprile 2021, n. 10012; Cass., Sez. 6″-5, 25 maggio 2021, n. 14292; Cass., Sez. 6-5, 21 settembre 2021, n. 25535; Cass., Sez. 6-5, 6 dicembre 2021, n. 38548).
Secondo la giurisprudenza di questa Corte è, dunque, senz’altro consentito al contribuente impugnare una cartella esattoriale al fine esclusivo di far valere la mancata/irrituale notificazione dell’atto impositivo prodromico alla medesima, senza contestualmente aggredire l’atto stesso sotto altri profili di invalidità formale ovvero per la sua infondatezza nel merito, non sussistendo dunque alcun onere processuale della parte ricorrente al riguardo (Cass., Sez. Un., 15 aprile 2021, n. 10012).
Pertanto, la nullità della notifica dell’avviso di accertamento si propaga alla conseguenziale cartella di pagamento, che viene ad esserne irrimediabilmente inficiata.
3.4 Ciò posto, la notificazione degli atti impositivi, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 60, comma 1, lett. a, (in tema di imposte dirette, ma richiamato dalle norme attinenti alla notificazione degli atti impositivi relative agli altri tributi) è eseguita dai messi comunali o dai messi autorizzati dall’ufficio finanziario secondo le norme stabilite dagli artt. 137 ss. c.p.c., ivi comprese, quindi, in mancanza di espressa esclusione, le modalità di cui all’art. 149 c.p.c. per la notificazione a mezzo del servizio postale. Si applicheranno, in questo caso, le norme specifiche dettate dalla L. 20 novembre 1982, n. 890, artt. 7 e 8, con piena equiparazione del messo comunale o del messo autorizzato dall’ufficio finanziario all’ufficiale giudiziario (per tale equivalenza, tra le tante: Cass., Sez. 5. 13 luglio 2016, n. 14273; Cass., Sez. 5, 26 settembre 2018, n. 22854; Cass., Sez. 5, 16 marzo 2018, nn. 6497 e 6498; Cass., Sez. 5, 11 marzo 2020, n. 6855; Cass., Sez. 5, 17 giugno 2021, n. 17368).
3.5 La notificazione a cura dei messi comunali o dei messi speciali autorizzati dall’ufficio ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, ex art. 60, comma 1, lett. a, deve essere eseguita nel rispetto delle norme stabilite dagli artt. 137 e ss. c.p.c., ma secondo le modifiche indicate nel medesimo art. 60 che, per quanto ci occupa, dispone, alla lett. b-bis, aggiunta dal D.L. 4 luglio 2006, n. 223, art. 37, comma 27, lett. a, convertito, con modificazioni, dalla L. 4 agosto 2006, n. 248: “Se il consegnatario non è il destinatario dell’atto o dell’avviso, il messo consegna o deposita la copia dell’atto da notificare in busta che provvede a sigillare e su cui trascrive il numero cronologico della notificazione, dandone atto nella relazione in calce all’originale e alla copia dell’atto stesso. Sulla busta non sono apposti segni o indicazioni dai quali possa desumersi il contenuto dell’atto. Il consegnatario deve sottoscrivere una ricevuta e il messo dà notizia dell’avvenuta notificazione dell’atto o dell’avviso, a mezzo di lettera raccomandata”.
Pertanto, nell’ipotesi di consegna diretta del plico al portiere da parte del messo notificatore, agli effetti della necessaria spedizione della raccomandata prescritta dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 60, comma 1, lett. b-bis, (e dall’art. 139 c.p.c., comma 3) e della necessità, in altre parole, che all’effettivo destinatario sia dato avviso dell’avvenuta consegna al portiere, vanno valorizzati i principi già affermati dalle Sezioni Unite di questa Corte, sia pur in riferimento alla notificazione del ricorso per cassazione (Cass., Sez. Un., 31 luglio 2017, n. 18992, secondo cui: “Nella notificazione eseguita ex art. 139 c.p.c., comma 3, l’omessa spedizione della raccomandata prescritta dal comma 4 della medesima disposizione costituisce un vizio dell’attività dell’ufficiale giudiziario che determina, fatti salvi gli effetti della consegna dell’atto dal notificante all’ufficiale giudiziario medesimo, la nullità della notificazione nei riguardi del destinatario”) e mutuati, in fattispecie simile a quella ora all’esame del Collegio, dalla Sezione Lavoro di questa Corte (Cass., Sez. Lav., 20 marzo 2019, n. 7892, secondo cui: “Nel citato arresto si è valorizzata la funzione dell’avviso nella struttura complessiva di una notificazione che si perfeziona a persona non legata da quei particolari vincoli evidenziati nel medesimo art. 139 c.p.c., comma 2, sicchè l’atto entra a far parte della sfera di effettiva conoscibilità del destinatario ma in una sua porzione connotata da un grado minore di possibilità di prendere immediata conoscenza dell’atto rispetto alle altre fattispecie indicate dal comma 2, per le quali è assai stretta la natura del vincolo che lega il consegnatario dell’atto al destinatario. Un tale minor grado di conoscibilità – se non degrada la consegna al punto di rendere necessario lo spostamento ulteriore del momento di perfezionamento della notifica (come accade per l’ipotesi contemplata dall’art. 140 c.p.c.) – esige però almeno di essere colmato con quel quid pluris costituito dalla spedizione dell’ulteriore avviso, sia pure ex post e non incidente sul tempo in cui l’attività notificatoria si è svolta e compiuta”), in considerazione della consegna dell’atto a persona non legata al destinatario della notificazione dai particolari vincoli evidenziati nell’art. 139 c.p.c., comma 2, condizione che attenua la sfera di effettiva conoscibilità del destinatario e la possibilità di prendere immediata conoscenza dell’atto rispetto alle altre fattispecie, indicate dal comma 2, per le quali è assai stretta la natura del vincolo tra consegnatario dell’atto e destinatario. Tale minor grado di conoscibilità esige, almeno, di essere colmato con quel quid pluris costituito dalla spedizione dell’ulteriore avviso, sia pure ex post (Cass., Sez. 5, 30 gennaio 2020, n. 2229).
Per cui, si può ribadire che la notificazione della cartella esattoriale, eseguita dai messi comunali o dai messi speciali autorizzati ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, ex art. 60, comma 1, lett. a, mediante consegna nelle mani del portiere, deve essere seguita dalla spedizione della raccomandata informativa di cui all’art. 139 c.p.c., comma 4, (Cass., Sez. 5, 30 gennaio 2020, n. 2229; Cass., Sez. 5, 9 aprile 2021, n. 9393).
3.6 Tuttavia, il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 60, comma 1, lett. b-bis, prevede esclusivamente la spedizione di una “lettera raccomandata”, non, quindi, di una lettera raccomandata con avviso di ricevimento (Cass., Sez. 6-5, 6 settembre 2017, n. 20863; Cass., Sez. 5, 3 aprile 2019, n. 9239; Cass., Sez. 6-5, 15 dicembre 2019, n. 29768), che viene a costituire un adempimento superfluo ed ultroneo ai fini del perfezionamento del procedimento notificatorio.
Invero, nel disciplinare la notifica al destinatario dell’avviso di avvenuta notificazione dell’atto a persona diversa, il legislatore ha fatto riferimento letterale alla sola raccomandata, senza ulteriori specificazioni. Tanto, sia per la notifica mediante ufficiale giudiziario (art. 139 c.p.c., comma 4) che per la notifica a mezzo posta (L. 20 novembre 1982, n. 890, art. 7, commi 3 e 6, nel testo novellato dal D.L. 31 dicembre 2007, n. 248, art. 36, comma 2-quater, convertito, con modificazioni, dalla L. 28 febbraio 2008, n. 31). Questa Corte ha ritenuto, quindi, che nel caso di consegna dell’atto a portiere o vicini (art. 139 c.p.c., comma 4) e di consegna dell’atto, con previsione più ampia, a persona diversa del destinatario (L. 20 novembre 1982, n. 890, art. 7, commi 3 e 6), la notizia al destinatario dell’avvenuta notificazione debba essere fornita con la sola raccomandata (Cass., Sez. 3, 22 maggio 2015, n. 10554; Cass., Sez. Lav., 16 giugno 2016, n. 12438; Cass., Sez. 6-5, 10 ottobre 2017, n. 23765; Cass., Sez. 3″, 7 giugno 2018, n. 14722; Cass., Sez. 2, 12 luglio 2018, n. 18504; Cass., Sez. 6-2, 30 gennaio 2019, n. 2747; Cass., Sez. 5, 20 luglio 2021, n. 20736).
Con specifico riguardo alla notifica di atto impositivo (o processuale) tramite servizio postale secondo le previsioni della Legge 20 novembre 1982 n. 890, le Sezioni Unite di questa Corte hanno recentemente affermato la necessità di distinguere tra l’ipotesi regolata dalla L. 20 novembre 1982, n. 890, art. 8 e dall’art. 140 c.p.c., connotata dal fatto che l’atto notificando non sia stato consegnato al destinatario per rifiuto a riceverlo ovvero per sua temporanea assenza ovvero per assenza o inidoneità di altre persone a riceverlo, e sia soltanto depositato presso l’ufficio postale (ovvero, nella notifica codicistica, presso la casa comunale), e quella eseguita ai sensi dell’art. 139 c.p.c., comma 4 e della L. 20 novembre 1982, n. 890, art. 7, comma 6, in cui la consegna dell’atto notificando sia avvenuta a persona diversa, stabilendo che la prova del perfezionamento del procedimento notificatorio debba essere fornita dal notificante attraverso la produzione giudiziale dell’avviso di ricevimento della raccomandata che comunica l’avvenuto deposito dell’atto notificando presso l’ufficio postale (C.A.D.), soltanto nel primo caso, stante l’insufficienza dell’avvenuta spedizione della raccomandata medesima (Cass., Sez. Un, 15 aprile 2021, n. 10012), e non anche nel secondo. La scelta di maggior rigore dettata dal legislatore in proposito, allorchè impone l’affissione dell’avviso di deposito nel luogo della notifica (immissione in cassetta postale) e la spedizione di lettera raccomandata con avviso di ricevimento (C.A.D.), trova giustificazione, ad avviso della Corte, nella comparazione di tale procedura notificatoria con quella prevista, tra le modalità di notifica curate dall’ufficiale giudiziario, dall’art. 140 c.p.c. e basata sull’identico presupposto fattuale della c.d. “irreperibilità relativa” del destinatario (e fattispecie assimilate), mentre la procedura semplificata stabilita per i casi di consegna a soggetto diverso dal destinatario dell’atto, consistente nell’invio al destinatario di una raccomandata “semplice” che gli dia notizia dell’avvenuta notificazione dell’atto notificando (C.A.N.), è dovuta alla ragionevole aspettativa che l’atto notificato venga effettivamente conosciuto dal destinatario, in quanto consegnato a persone (familiari, addetti alla casa, personale di servizio, portiere, dipendente, addetto alla ricezione) aventi con esso un rapporto riconosciuto dal legislatore come astrattamente idoneo a questo fine (Cass., Sez. Un, 15 aprile 2021, n. 10012 – nello stesso senso, tra le tante: Cass., Sez. 5, 20 luglio 2021, n. 20736; Cass., Sez. 5, 30 novembre 2021, nn. 37391 e 37392; Cass., Sez. 6-5, 5 gennaio 2022, n. 201).
Sul punto, peraltro, si rammenta anche che è stata ritenuta manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale della L. 20 novembre 1982, n. 890, art. 7, in relazione agli artt. 3 e 24 Cost., nella parte in cui non richiede, per il perfezionamento della notifica a mezzo posta effettuata mediante consegna dell’atto a persona diversa dal destinatario, la “ricezione” della raccomandata c.d. informativa, come, invece, previsto nel caso di notifica a persone irreperibili ex art. 140 c.p.c. e della L. 20 novembre 1982, n. 890, art. 8, comma 2, atteso che la mancata estensione alla notifica, eseguita ai sensi del cit. art. 7, degli interventi additivi richiesti dalla Corte Costituzionale (Corte Cost., 14 gennaio 2010, n. 3), al fine di equiparare i procedimenti notificatori di cui all’art. 140 c.p.c. e della L. 20 novembre 1982, n. 890, art. 8, comma 2, trova ragione nella evidente diversità fenomenica contemplata dalle norme in comparazione – nell’un caso essendo stata eseguita la consegna dell’atto a persona abilitata e riceverlo, nell’altro difettando del tutto la materiale consegna dell’atto notificando – cui consegue la diversità degli adempimenti necessari al perfezionamento delle rispettive fattispecie notificatorie, nella prima ipotesi costituiti dalla sola “spedizione” della raccomandata, nell’altra occorrendo un quid pluris inteso a compensare il maggior deficit di conoscibilità, costituito dalla effettiva ricezione della raccomandata, ovvero, in assenza di ricezione, dal decorso di dieci giorni dalla data di spedizione della raccomandata con avviso di ricevimento (Cass., Sez. 3, 7 giugno 2018, n. 14722; Cass., Sez. 5, 20 luglio 2021, n. 20736).
3.7 Ciò comporta che, essendo stata eseguita, nella specie, la consegna del plico a mani del portiere, come risulta dallo sbarramento di tale voce, nessun obbligo aveva il notificante di inviare una raccomandata con ricevuta di ritorno a titolo informativo, essendo a tal fine sufficiente l’invio di una raccomandata “semplice”, come nei fatti accaduto.
Per cui, è evidente che, nel caso in esame, esclusa ogni contestazione in ordine al collegamento dell’avviso di ricevimento alla notifica uno actu degli avvisi di accertamento ed alla spedizione – ma non alla ricezione – della raccomandata informativa, la previsione normativa è stata rispettata dall’agente notificatore e l’omessa produzione dell’avviso di ricevimento non ha pregiudicato in alcun modo il diritto della contribuente all’effettività della tutela giurisdizionale.
3.8 Nella specie, il giudice di appello si è pienamente conformato a tale principio, rilevando che: “può ritenersi sufficiente, ai fini del rispetto della normativa evocata, dal punto di vista probatorio, il timbro apposto alla succitata raccomandata consegnata il 23.12.2008, in cui viene specificato essere stata “spedita comunicazione di cui alla L. n. 890 del 1982, art. 7 e s.m.i. con racc. (OMISSIS) del 9.1.09 (…)”; da esso risulta, in sostanza, in che data è stata spedita la raccomandata “de qua”, dopo che gli avvisi di accertamento erano stati consegnati a soggetto diverso dalla destinataria, non potendosi accollare al Comune di Roma le conseguenze delle successive vicissitudini postali eventualmente accadute alla raccomandata contenente la “comunicazione” menzionata”.
Per cui, la sentenza impugnata è coerente al principio di diritto, atteso che, a fronte della notifica degli avvisi di accertamento, prodromici alla cartella di pagamento oggetto del presente giudizio, pacificamente avvenuta a mezzo del servizio postale, con consegna a persona qualificata come “portiere” (in difetto di querela di falso sulla relata di notifica), e non essendo stata omessa la spedizione della raccomandata informativa al destinatario (come riconosciuto dalla stessa controricorrente, la quale ha solamente contestato di non avere ricevuto la comunicazione dell’avvenuta notifica), non ha ritenuto necessaria anche la dimostrazione della ricezione della raccomandata informativa.
- Sulla scorta delle suesposte argomentazioni, dunque, valutandosi la infondatezza dei motivi dedotti, il ricorso deve essere rigettato.
- Nei rapporti tra ricorrente e controricorrente, le spese giudiziali seguono la soccombenza e sono liquidate nella misura fissata in dispositivo. Viceversa, nei rapporti tra ricorrente ed intimata, nulla deve essere disposto con riguardo alle spese giudiziali, non essendo stata svolta attività difensiva dalla parte vittoriosa.
- Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente alla rifusione delle spese giudiziali in favore della controricorrente, liquidandole nella misura di Euro 200,00 per esborsi e di Euro 1.400,00 per compensi, oltre a spese forfettarie nella misura del 15% sui compensi e ad altri accessori di legge; dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale effettuata da remoto, il 11 gennaio 2022.
Depositato in Cancelleria il 27 gennaio 2022
COMMENTO: Con la sentenza in commento, la Suprema Corte ribadisce alcuni principi in materia di notifica di atti tributari.
Nel caso di specie, la notifica degli avvisi e degli altri atti che per legge devono essere notificati al contribuente è stata eseguita direttamente dal messo notificatore nelle mani del portiere, ai sensi dell’art. 139 c.p.c., comma 3, e a tale consegna non ha fatto seguito la spedizione della raccomandata informativa.
La notificazione eseguita dai messi comunali o da messi speciali autorizzati dall’ufficio (D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 60, comma 1, lett. a)), va eseguita nel rispetto delle norme stabilite dagli artt. 137 c.p.c. e ss., ma secondo le modifiche indicate nel medesimo art. 60 che, per quanto ci occupa, dispone, alla lettera b)-bis, aggiunta dal D.L. n. 223 del 2006, art. 37, comma 27, lett. a): “se il consegnatario non è il destinatario dell’atto o dell’avviso, il messo consegna o deposita la copia dell’atto da notificare in busta che provvede a sigillare e su cui trascrive il numero cronologico della notificazione, dandone atto nella relazione in calce all’originale e alla copia dell’atto stesso. Sulla busta non sono apposti segni o indicazioni dai quali possa desumersi il contenuto dell’atto. Il consegnatario deve sottoscrivere una ricevuta e il messo dà notizia dell’avvenuta notificazione dell’atto o dell’avviso, a mezzo di lettera raccomandata”.
L’art. 26 del D.P.R. n. 602 del 1973, nel disciplinare la notificazione della cartella di pagamento, rinvia, per quanto in esso non regolato, al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60 e, dunque, a quanto ivi previsto per la consegna eseguita dal messo notificatore al consegnatario, diverso dal destinatario dell’atto.
La Corte Costituzionale, con sentenza n. 175/2018, intervenendo sulla speciale facoltà dell’agente della riscossione, in forza della funzione pubblicistica svolta, di avvalersi delle forme semplificate di notificazione a mezzo del servizio postale senza il rispetto della disciplina in tema di notifiche a mezzo posta da parte dell’ufficiale giudiziario, ha avuto modo di precisare che la mancata previsione di un obbligo di comunicazione di avvenuta notifica, limitata al solo caso in cui il plico sia consegnato dall’operatore postale direttamente al destinatario o a persona di famiglia o addetto alla casa, all’ufficio o all’azienda o al portiere, “non costituisce nella disciplina della notificazione”, nonostante tale “obbligo vale indubbiamente a rafforzare il diritto di azione e di difesa (art. 24 Cost., commi 1 e 2) del destinatario dell’atto”, “una condizione indefettibile della tutela costituzionalmente necessaria di tale, pur fondamentale, diritto”.
Dott.ssa Eleonora Cucchi
Unicusano – Roma