Corte d’Appello Roma Sez. lavoro, Sent., 01 giugno 2022


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

CORTE DI APPELLO DI ROMA

SEZIONE CONTROVERSIE LAVORO, PREVIDENZA E ASSISTENZA OBBLIGATORIA

La Corte, composta dai seguenti magistrati:

Dott.ssa Maria Antonia Garzia – Presidente rel.

Dott. Carlo Chiriaco – Consigliere

Dott. ssa Sabrina Mostarda – Consigliere

ha pronunciato, mediante lettura del dispositivo, all’udienza del 27/05/2022 la seguente

SENTENZA

nella controversia in materia di lavoro in grado di appello iscritta al n. 301 del Ruolo Generale Affari Contenziosi dell’anno 2020 vertente

TRA

… S.P.A. …. rappresentato e difeso come in atti dall’Avv. … , dall’avv. … e dall’avv. … rappresentato e difeso come in atti dall’avv. …, dall’avv. …, dall’avv. … e dall’avv. … elettivamente domiciliati in …          APPELLANTI

E

ISPETTORATO TERRITORIALE DEL LAVORO DI ROMA rappresentati e difesi come in atti dall’avv. … elettivamente domiciliati in …  APPELLATO

E

ISPETTORATO NAZIONALE DEL LAVORO,                                                           APPELLATO CONTUMACE

Oggetto: appello avverso la sentenza del Tribunale di Roma n. 7985 del 25.9.19

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Gli odierni appellanti proponevano, in primo grado, opposizione avverso il verbale di accertamento n.(…) del 25.09.2018 emesso dall’Ispettorato del lavoro di Roma a seguito delle verifiche ispettive avviate nei confronti della società … s.p.a.

Chiedevano la declaratoria dell’estraneità del dott. I. ai fatti contestati nel citato verbale e nel merito l’infondatezza dell’accertamento con conseguente invalidità/nullità del verbale ovvero la nullità delle sanzioni dovute oppure in subordine la rideterminazione delle stesse.

Il ricorso era notificato sia all’Ispettorato Nazionale del lavoro sia all’Ispettorato di Roma.

L’Ispettorato del lavoro di Roma si costituiva in giudizio eccependo in via preliminare l’inammissibilità/improponibilità del ricorso in quanto il verbale di accertamento non era definitivo e quindi non era immediatamente opponibile, non essendo stato ancora concluso il procedimento sanzionatorio di cui alla L. n. 689 del 1981.

Evidenziava che gli accertamenti si erano conclusi in data 12.09.2018 e riguardavano le violazioni di cui all’art.5 co.1 e 3 co.1 D.Lgs. n. 185 del 2005 per un importo complessivo di euro 1.029.230,00

In particolare, i fatti contestati nel verbale erano relativi al periodo in cui il dott. I. era Chief Operations Officer & Accountable Manager” dell’area “operation” ed erano ascrivibili alla violazione della normativa nazionale e comunitaria in materia di orario di lavoro e tempo di volo.

Evidenziava l’Ispettorato che in ragione della pendenza di un procedimento penale in corso, ed in virtù del fatto che la documentazione probatoria relativa all’accertamento ispettivo non era ancora stata resa disponibile all’Ufficio competente per l’istruttoria del rapporto, nessuna ordinanza ingiunzione risultava ancora essere stata emessa, con la conseguenza che non poteva ritenersi manifestata alcuna lesione nei confronti dei ricorrenti in quanto il procedimento avrebbe potuto definirsi anche con una eventuale archiviazione ovvero con una rideterminazione degli importi.

Il Tribunale di Roma con la sentenza appellata ha affermato che il verbale unico di accertamento e di notificazione deve ritenersi un atto non autonomamente impugnabile, in quanto non costituisce atto definitivo della procedura amministrativo-sanzionatoria. Il tribunale ha riportato la giurisprudenza della Cassazione e della Corte costituzionale che ha affermato il principio della non autonoma impugnabilità del verbale emesso dall’ispettorato del lavoro nell’ambito del procedimento ex l. ed ha altresì motivato in ordine alla non persuasività dell’unico precedente contrario di cui alla sentenza della Cassazione n.5366/05. Il tribunale ha compensato le spese di lite. Propongono appello A. e I.M.R. l’Ispettorato chiedendo il rigetto dell’appello.

All’odierna udienza la causa è stata decisa con pubblica lettura del dispositivo.

Questo Collegio ritiene di richiamare ex art. 118 disp.att.c.p.c. il proprio precedente in termini (Corte di appello di Roma sent. n. 585 del 15.2.22) , condividendone integramente il percorso motivazionale, chiaro ed esaustivo ed avendo , tale pronuncia, affrontato le medesime questioni poste nel presente giudizio di appello dell’interesse ad agire degli appellanti e dell’omessa declaratoria di contumacia di una parte convenuta da parte del Giudice di prime cure. Si statuiva in effetti in detto precedente: “A)L’appellante afferma che la domanda proposta integra un’azione di accertamento negativo volta a rimuovere una situazione di incertezza oggettiva, rappresentata, nel caso di specie, dal rispetto da parte della Compagnia della normativa nazionale in tema di riposi e tempi di volo del personale navigante.

Sostiene quindi la presenza dell’interesse ad agire ai sensi dell’art. 100 c.p.c., configurandosi una situazione di incertezza in merito alla normativa in parola che è obbiettiva e attuale e comunque atta a produrre un danno o, comunque, un pregiudizio concreto che non è eliminabile senza l’intervento del giudice. Il tribunale avrebbe ignorato la sentenza della Cassazione n.10184/2017 che aveva precisato che la situazione soggettiva del datore di lavoro viene lesa quando l’amministrazione determina l’entità della sanzione, dovendosi ritenere che da tale momento sorga l’interesse del privato a rivolgersi all’autorità giudiziaria (così anche Cass. 12 luglio 2010, n. 16319). Nel caso di specie, nel verbale di accertamento ispettivo era stata quantificata l’entità della sanzione, nonché gli interessi.

Tale interesse era ancor più evidente se rapportato alla posizione soggettiva del Dott. S. esposto, in quanto persona fisica, all’ipotetica corresponsione di somme così elevate (pari circa ad un milione di euro) e che potrebbe pregiudicare, in ipotesi, la serenità psichica e patrimoniale del medesimo in maniera irreparabile.

Il motivo d’appello è infondato.

Il Collegio condivide l’orientamento consolidato della Cassazione secondo la quale il verbale di accertamento della direzione del lavoro non è autonomamente impugnabile.

Oltre alle sentenze già menzionate dal tribunale (Cass.n. 16319/10; n. 11236/03; n. 20167/04; 30 maggio 2007 n. 12696; 3 agosto 2007 n. 18320; 12 ottobre 2007 n. 21493; 28 dicembre 2009 n. 27373, Cass.SSUU 4 gennaio 2007 n. 16, Corte Cost.ord. 7 maggio 2002 n. 160); si aggiunge la pronuncia più recente sentenza della Cassazione n.32886/18 : “è tuttavia consolidato, e va qui confermato, il principio per cui “in tema di opposizione a sanzioni amministrative, il verbale di accertamento ispettivo (…)non è suscettibile di autonoma impugnabilità in sede giurisdizionale, trattandosi di atto procedimentale inidoneo a produrre alcun effetto sulla situazione soggettiva del datore di lavoro, la quale viene invece incisa soltanto quando l’amministrazione, sentite eventualmente le contrarie ragioni dell’interessato, determina l’entità della sanzione e, a conclusione del procedimento amministrativo, la infligge con l’ordinanza ingiunzione, dovendosi ritenere che solo da tale momento sorga l’interesse del privato a rivolgersi all’autorità giudiziaria” (Cass. 12 luglio 2010, n. 16319, Cass. 10 maggio 2010, n. 11281;Cass. 30 agosto 2007, n. 18320); la disciplina è dunque diversa da quella speciale e tipica prevista dal codice della strada, ove è pacifica l’opponibilità in sede giudiziale già del verbale di accertamento (ora, v. art. 7 D.Lgs. 1 settembre 2011, n. 150), ma ciò in quanto atto che, in mancanza di impugnativa amministrativa o giudiziale è destinato a divenire, esso stesso, titolo esecutivo, come non accade nel sistema generale della L. n. 689 del 1981, ove il verbale e l’atto di contestazione sono soloelementi prodromici rispetto alla successiva, ed eventuale, adozione dell’ordinanza ingiunzione, che soltanto costituisce titolo esecutivo; né può dirsi che la normativa, così impostata solleciti in alcun modo dubbi di legittimità costituzionale, sotto il profilo della ragionevolezza (art. 3) o dei diritti di difesa (art. 24) ed al giusto processo (art. 111 Cost.), in quanto semmai le garanzie per l’interessato ricevono una ancora maggior tutela, data dal fatto che in esito (o contestualmente) al verbale, deve procedersi alla contestazione delle infrazioni, la quale apre una fase di possibili difese e valutazioni in sede amministrativa, da cui potrebbe anche derivare la rinuncia della RA. rispetto alla pretesa sanzionatoria; avverso l’ordinanza ingiunzione sono poi ammesse piene tutele cautelari (v. ora, art. 5 e 6, co. 7, D.Lgs. n. 150 del 2011 cit.) e di merito, nell’an e nel quantum, e quindi non vi è proprio alcuna compressione dei diritti del soggetto privato” (Cass.32886/18).

E’ inconferente, e comunque non condivisa, Cass. n. 10184/2017 citata dall’appellante, la quale ha ritenuto ammissibile un ricorso nei confronti della Direzione Regionale del Lavoro volto all’accertamento della inesistenza di un rapporto di lavoro subordinato sebbene all’accertamento ispettivo non avesse ancora fatto seguito alcun provvedimento sanzionatorio.

In questa sentenza la Cassazione ha affermato che era evidente la ricorrenza dell’interesse ad accertare l’esistenza o meno di un rapporto di lavoro subordinato costituendo la rimozione di tale incertezza – determinata dal verbale di accertamento ispettivo – un risultato utile, giuridicamente rilevante e non conseguibile se non con l’intervento del giudice.

La Cassazione ha quindi precisato che “occorre precisare che i precedenti di questa Corte richiamati nel motivo riguardavano casi in cui era stato impugnato il verbale di accertamento ispettivo (o chiesto l’accertamento negativo del potere di infliggere la sanzione) rispetto ai quali è stata esclusa la ricorrenza dell’interesse ad agire trattandosi di atto procedimentale inidoneo a produrre alcun effetto sulla situazione soggettiva del datore di lavoro, la quale viene invece incisa soltanto quando l’amministrazione, sentite eventualmente le contrarie ragioni dell’interessato, determina l’entità della sanzione e, a conclusione del procedimento amministrativo, la infligge con l’ordinanza ingiunzione, dovendosi ritenere che solo da tale momento sorga l’interesse del privato a rivolgersi all’autorità giudiziaria (Cass. n. 16319 del 12/07/2010) mentre, nel caso in esame, il Cau non ha inteso affatto impugnare il verbale di accertamento ispettivo né, tampoco, chiedere l’accertamento negativo del potere di infliggere la sanzione amministrativa, bensì di accertare l’inesistenza di un rapporto di lavoro subordinato”.

Questa sentenza non è conferente al caso in oggetto, nel quale dalle conclusioni formulate nel ricorso ex art. 414 c.p.c. è evidente che la domanda era volta all’eliminazione del verbale di accertamento:

“in via preliminare, accertare e dichiarare l’estraneità del Dott. G.S. rispetto alle condotte imputategli dagli Ispettori del lavoro verbale unico di accertamento e notificazione n. (…)- 02/2015/U.T.P.(…) del 12 settembre 2018, Prot. N. (…) del 25 settembre 2018 e successivamente notificatogli in data 2 ottobre 2018;

  1. b) nel merito, accertare e dichiarare l’infondatezza delle conclusioni di cui al verbale unico di accertamento e notificazione n. (…)/U.T.P.(…) del 12 settembre 2018, Prot. N. (…) del 25 settembre 2018 e successivamente notificato alla Società in data 26 settembre 2018;
  2. c) dichiarare, comunque, la nullità, invalidità, inefficacia e, comunque revocare il medesimo al verbale unico di accertamento e notificazione;
  3. d) per l’effetto dichiarare non dovute le sanzioni indicate nel medesimo Verbale unico di accertamento e) in via subordinata, rideterminare l’ammontare delle sanzioni in ragione di quanto esposto nel presente ricorso, previo, se del caso, esperimento di CTU contabile”.

In ogni caso, la sentenza sopra citata non è condivisa dal Collegio perché la richiesta di accertamento dell’inesistenza dei presupposti accertati nel verbale di accertamento significa porre nel nulla questi stessi risultati, con conseguente identità delle azioni volte all’”annullamento” del verbale ovvero all’accertamento negativo di quanto ivi esposto e con riproponibilità del principio espresso dalla giurisprudenza nettamente maggioritaria e consolidata.

B)Con il secondo motivo d’appello le parti appellanti lamentano che il tribunale aveva omesso di pronunciarsi sulla contumacia dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro, ritualmente convenuto in giudizio.

La pronuncia era stata resa nei soli confronti degli odierni appellanti e dell’Ispettorato Territoriale di Roma, nonostante quest’ultimo fosse una parte processuale distinta ed autonoma rispetto all’Ispettorato Nazionale del Lavoro. Con tale modus operandi, il tribunale avrebbe fatto un’errata applicazione delle norme che regolano il procedimento civile che impongono la preliminare verifica della corretta instaurazione del contraddittorio. contraddittorio.

Il motivo d’appello è infondato.

L’omessa declaratoria di contumacia del convenuto non costituitosi non determina nullità della sentenza, né rappresenta elemento, da solo, sufficiente per dedurne la mancata prova del perfezionamento della notificazione dell’atto introduttivo del giudizio, trattandosi di mera irregolarità sanabile con il procedimento di correzione di errore materiale della sentenza. (Cass. n. 25238/10, Cass. n. 14759/07, Cass. n. 10212/04). “

Per le ragioni che precedono e che possono essere parimenti argomentate in relazione all’identica fattispecie all’esame di questo Collegio l’appello deve essere respinto.

Le spese processuali del grado seguono a soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

Deve darsi atto della sussistenza dei presupposti di cui al primo periodo dell’art. 13, comma 1quater, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, introdotto dal comma 17 dell’art. 1 della L. 24 dicembre 2012, n. 228, ai fini del raddoppio del contributo unificato per i casi di impugnazione respinta integralmente o dichiarata inammissibile o improcedibile.

P.Q.M.

Rigetta l’appello. Condanna l’appellante al pagamento delle spese di lite in favore dell’ISPETTORATO TERRITORIALE DEL LAVORO DI ROMA liquidate in complessivi euro 4000,00 oltre iva , cpa e spese generali al 15%. Nulla per le spese di lite nei confronti dell’Ispettorato Nazionale del lavoro . Si dà atto che sussistono le condizioni oggettive richieste dall’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002 per il versamento dell’ulteriore importo del contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma il 30 maggio 2022.

Depositata in Cancelleria 1 giugno 2022.


COMMENTO – La questione esaminata dalla Corte d’Appello di Roma riguarda un’opposizione avverso il verbale di accertamento emesso dall’Ispettorato del lavoro di Roma a seguito delle verifiche ispettive avviate nei confronti di una società. 

Il Tribunale, con la sentenza appellata, ha affermato che il verbale unico di accertamento e di notificazione deve ritenersi un atto non autonomamente impugnabile, in quanto non costituisce atto definitivo della procedura amministrativo-sanzionatoria. 

La Corte d’Appello, conformandosi a tale decisione e rigettando l’appello, ha ripreso l’orientamento della Cassazione, secondo cui, in tema di opposizione a sanzioni amministrative, il verbale di accertamento ispettivo non è suscettibile di autonoma impugnabilità in sede giurisdizionale, trattandosi di atto procedimentale inidoneo a produrre alcun effetto sulla situazione soggettiva del datore di lavoro, la quale viene invece incisa soltanto quando l’Amministrazione, sentite eventualmente le contrarie ragioni dell’interessato, determina l’entità della sanzione e, a conclusione del procedimento amministrativo, la infligge con l’ordinanza ingiunzione, dovendosi ritenere che solo da tale momento sorga l’interesse del privato a rivolgersi all’Autorità giudiziaria (Cass. 12 luglio 2010, n. 16319, Cass. 10 maggio 2010, n. 11281; Cass. 30 agosto 2007, n. 18320); la disciplina è dunque diversa da quella speciale e tipica prevista dal Codice della Strada, ove è pacifica l’opponibilità in sede giudiziale già del verbale di accertamento (art. 7 D.Lgs. 1 settembre 2011, n. 150), ma ciò in quanto atto che, in mancanza di impugnativa amministrativa o giudiziale, è destinato a divenire, esso stesso, titolo esecutivo, come non accade nel sistema generale della L. n. 689 del 1981, ove il verbale e l’atto di contestazione sono solo elementi prodromici rispetto alla successiva, ed eventuale, adozione dell’ordinanza ingiunzione, che soltanto costituisce titolo esecutivo; né può dirsi che la normativa, così impostata solleciti in alcun modo dubbi di legittimità costituzionale, sotto il profilo della ragionevolezza (art. 3) o dei diritti di difesa (art. 24) ed al giusto processo (art. 111 Cost.), in quanto semmai le garanzie per l’interessato ricevono una ancora maggior tutela, data dal fatto che in esito (o contestualmente) al verbale, deve procedersi alla contestazione delle infrazioni, la quale apre una fase di possibili difese e valutazioni in sede amministrativa; avverso l’ordinanza ingiunzione sono poi ammesse piene tutele cautelari (art. 5 e 6, co. 7, D.Lgs. n. 150 del 2011 cit.) e di merito, nell’an e nel quantum, e quindi non vi è alcuna compressione dei diritti del soggetto privato.

Inoltre, la Cassazione ha precisato che i precedenti richiamati riguardavano casi in cui era stato impugnato il verbale di accertamento ispettivo (o chiesto l’accertamento negativo del potere di infliggere la sanzione) rispetto ai quali è stata esclusa la ricorrenza dell’interesse ad agire trattandosi di atto procedimentale inidoneo a produrre alcun effetto sulla situazione soggettiva del datore di lavoro, la quale subisce effetti soltanto quando l’Amministrazione, sentite eventualmente le contrarie ragioni dell’interessato, determina l’entità della sanzione e, a conclusione del procedimento amministrativo, la infligge con l’ordinanza ingiunzione, dovendosi ritenere che solo da tale momento sorga l’interesse del privato a rivolgersi all’autorità giudiziaria (Cass. n. 16319 del 12/07/2010) mentre, nel caso in esame, oggetto dell’impugnazione non è stato né il verbale di accertamento ispettivo né l’accertamento negativo del potere di infliggere la sanzione amministrativa, bensì l’accertamento dell’inesistenza di un rapporto di lavoro subordinato. 

Dott.ssa Eleonora Cucchi

Unicusano-Roma